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Consiglio superiore della magistratura

Discorso di commiato pronunciato dal prof. Giovanni Verde, vice presidente del Csm
(Roma, Palazzo del Quirinale, 31 luglio 2002)


I quattro anni della nostra consiliatura sono giunti al termine. Sono stati anni segnati da un impegno costante ed intenso. È forse questa la ragione per la quale, guardandoli retrospettivamente, sembrano essersi consumati in un attimo, e abbiamo l’impressione di essere ancora al 31 luglio 1998, quando, neoeletti, fummo convocati per analoga cerimonia.
Sono stati quattro anni pieni, nei quali abbiamo dovuto affrontare e risolvere non pochi problemi: la riorganizzazione degli uffici giudiziari dopo l’entrata in vigore della legge sulla soppressione delle preture; la gestione del concorso sui giudici onorari aggregati e dei concorsi relativi all’allargamento degli organici dei giudici di pace; il continuo rinnovo dei giudici onorari, dei vice pretori onorari e degli esperti; i nuovi concorsi per uditori; l’intensificazione della cooperazione internazionale; l’efficienza del sistema giudiziario; le innumerevoli occasioni di attrito e le continue polemiche che hanno interessato la magistratura.
La consiliatura che termina – me lo lasci dire con qualche orgoglio – è stata straordinariamente operosa.
Nel corso di quattro anni abbiamo emanato circa ottantatremila provvedimenti amministrativi e anche la Sezione disciplinare ha pronunciato quasi seicento decisioni tra le quali ho la civetteria di ricordare un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale e altra di elevazione di un conflitto, entrambe accolte dal giudice delle leggi.
Di là dalla orgogliosa rivendicazione della quantità del lavoro svolto è il caso di segnalare alcune delle più importanti questioni trattate.
Ricordo che nel parlare ai nuovi magistrati, durante la cerimonia così significativa del 17 novembre 2000, Ella, nel sottolineare come la Nazione si aspetti dai magistrati più di quanto essa normalmente richiede a chi è investito di funzioni pubbliche, coglieva l’occasione per sottolineare come la «produttività» del lavoro dei magistrati sia «essenziale, pregiudiziale allo ordinato svolgimento della vita civile». Il Consiglio ha cercato di assecondare l’esigenza da Lei particolarmente avvertita e raccomandataci anche nel corso del Suo intervento del 5  marzo 2001. Tra gli ultimi atti consiliari vi è la deliberazione con cui si è approvata la relazione sui risultati del gruppo di lavoro istituito in collaborazione con il Ministero della giustizia e che riguarda, per l’appunto, le maniere attraverso le quali pervenire ad una organizzazione degli uffici giudiziari, che, nel quadro della compatibilità esistente, sia in grado di realizzare il maggior tasso di produttività. Come Ella ha sottolineato nella lettera del 19 u.s., è questo un primo risultato che consegniamo al nuovo Consiglio, al quale spetterà di portare a definizione il difficile lavoro.
Sempre parlando agli uditori, Ella esprimeva anche il Suo apprezzamento per la nostra decisione di inserire il tema della Convenzione europea nei programmi dei nostri incontri di studi e per le due nostre circolari che richiamavano l’attenzione dei magistrati sulla grave esposizione italiana dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo a causa della eccessiva durata dei procedimenti nel nostro Paese. La cooperazione tra le magistrature europee e l’attenzione sui tempi del processo sono state, difatti, tra le preoccupazioni che più di tutte ci hanno impegnato nel corso della consiliatura e che – credo – costituiranno un impegno anche della prossima.
Già nel Suo primo intervento presso di noi, che ebbe luogo il 26 maggio ’99, Ella riconosceva che il Consiglio è «un importante interlocutore» sui temi della giustizia, che può recare «al dibattito su questi temi un contributo tecnicamente qualificato e politicamente neutrale», potendo non solo dare pareri, ma anche «utilmente avanzare proposte». In questo quadro, vanno segnalati i nostri pareri, elaborati dalla sesta commissione, sulla disciplina delle investigazioni difensive, sulla normativa in tema di giusto processo, sul regolamento di organizzazione del Ministero, sulle rogatorie internazionali, sulle disposizioni di contrasto al terrorismo internazionale, sulle modifiche urgenti al codice di procedura civile, sulla riforma dell’ordinamento giudiziario: un’attività intensa che si è conclusa soltanto ieri.
Ma soprattutto va segnalata la Relazione al Parlamento che ha avuto per oggetto la «tutela dei diritti, (l’)efficacia e (i) tempi della giurisdizione», da Lei definita un «documento corposo e nello stesso tempo agile e chiaro, che ripercorre, con osservazioni penetranti, i principali problemi della giustizia».
Talvolta non ci è stata risparmiata la critica di avere invaso competenze altrui e di aver tracimato dai confini che ci sono stati assegnati dalla Costituzione. Ricordo anche qui le parole da Lei pronunciate nel primo nostro incontro: «Nella difesa dell’autonomia ed indipendenza della magistratura, il Consiglio superiore ha sempre operato con grande determinazione: bisogna perseverare su questa strada, consapevoli che il nostro compito, il compito del Consiglio, non è certo la difesa corporativa della magistratura, ma l’assicurazione di una reale garanzia di giustizia per i cittadini. E non può esservi convincente ed efficace tutela di questi valori fondamentali senza vigile attenzione e severa risposta a tutto ciò che può intaccare il prestigio dell’ordine giudiziario. Esso è mortificato dagli attacchi denigratori e delegittimanti troppo spesso rivolti alla magistratura; ma è anche leso dalla constatazione che il sistema giudiziario, pur capace di realizzazioni di grandissima portata, soffre delle inadeguatezze alle quali si è fatto cenno».
In questi giorni, Signor Presidente, ho riletto le nostre deliberazioni a difesa della magistratura per controllare – con l’obiettività che si recupera quando ci si allontana dalla tempesta emotiva del momento – se avessimo in qualche modo oltrepassato i limiti che Ella ci aveva indicato e che – anche prima della Sua elezione – avevano ispirato l’azione dei consiglieri e mia. Ritengo anche oggi di poter dire che siamo stati rispettosi del Suo insegnamento e che, forse, proprio per queste ragioni consegniamo ai nostri successori un’istituzione che, di fronte all’opinione pubblica, gode di accresciuto prestigio e ha quella forza che nasce dall’autorevolezza conquistata sul campo.
Il giorno del commiato è anche il giorno degli inventari. Non posso, di sicuro, ricordare le tante deliberazioni prese in questi anni e che hanno scandito le tappe più significative del nostro lavoro. Me ne lasci segnalare a titolo di esempio, qualcuna.
La prima commissione consegna al nuovo Consiglio un numero di pratiche assai ridotto (dalle quattromila originarie alle sei settecento attuali) non solo per il duro lavoro svolto, ma anche per la saggia decisione assunta fin dal primo anno di abolire l’obbligo di comunicazione dei procedimenti penali in danno così eliminando una inutile occasione inflativa.
La seconda commissione si è dovuta misurare con i nuovi problemi emersi nella disciplina del fuori ruolo dei magistrati e con l’individuazione dei criteri di massima per individuare i magistrati-docenti presso le scuole forensi.
La terza commissione ha elaborato la circolare per la prima applicazione della legge che rende possibile la chiamata in cassazione dei laici per meriti insigni; ha razionalizzato le disposizioni vigenti in tema di tramutamenti e di assegnazione di sedi e ha disciplinato i criteri per la copertura dei posti specializzati di giudice del lavoro degli uffici di primo grado.
Alla quarta commissione va il merito per aver avviato il riordino dei fascicoli personali, che finora ha riguardato circa 2000 fascicoli e che, una volta completato, consentirà la loro riduzione all’essenziale e la completa informatizzazione del settore.
Della quinta commissione, oltre l’impegnativa attività di nomina di dirigenti e in particolare del Primo presidente e del Procuratore Generale presso la Suprema Corte, devo ricordare la nuova circolare in materia di conferimento degli uffici direttivi e la successiva modificazione riguardante il procedimento di nomina agli uffici apicali della Suprema Corte
Della sesta commissione ho già parlato.
Della settima commissione, oltre la ricordata risoluzione a conclusione del lavoro del gruppo misto, ricordo la realizzazione del programma Valeri@, che ha informatizzato l’attività consiliare in tema di formazione delle tabelle sulla base dei criteri generali elaborati da due circolari emanate dopo incontri ai quali hanno partecipato tutti i capi degli uffici giudiziari.
All’ottava commissione è toccato l’ingrato compito di gestire le magistrature onorarie che in questi anni sono state completamente rivoluzionate. La materia complessa ha dato luogo a molti interventi, l’ultimo dei quali risale a pochi giorni fa. L’importanza delle deliberazioni ha consigliato al CSM di raccogliere tutto il materiale in apposito volume.
L’imponente attività della nona commissione va ricordata anche per l’impulso dato alla formazione decentrata, alla creazione di una rete europea tra i magistrati dell’Unione e all’attenzione per i temi del giusto processo e della sua ragionevole durata (il cui materiale è stato raccolto in apposito volume).
Alla decima commissione si devono gli importanti documenti elaborati sull’evoluzione delle forme organizzative di Cosa Nostra, della criminalità in Campania, in Puglia, in Sardegna (di cui originario relatore fu l’avvocato Valensise), nel Veneto, a Milano e per effetto dei flussi migratori.
Della dodicesima commissione va soprattutto segnalata la proposta di modifica dell’articolo 27 R.I., mentre un grazie, soprattutto da parte del Comitato di Presidenza, va dato alla undicesima commissione per l’attenta vigilanza sulle delibere che hanno implicato problemi di bilancio.
Vorrei anche ricordare, uno ad uno, i consiglieri, ma sarebbe un’elencazione uggiosa e superflua giacché Ella ben li conosce e ben sa come essi abbiano lavorato in sostanziale armonia e con alto senso istituzionale. Faccio un’eccezione per Raffaele Valensise che la morte ben presto ci sottrasse. Quando lo conobbi, già avanti negli anni e chiaramente roso da un male incurabile, nutrii subito preoccupazione per la sua salute e cercai di non affidargli incarichi troppo gravosi. Ma Valensise non volle e suscitò la nostra ammirazione per il senso del dovere, che lo induceva ad essere il primo ad arrivare nella sala delle riunioni e l’ultimo ad abbandonarla e per l’alta sensibilità istituzionale che trasudava da ciascun intervento. Egli non si sottrasse agli impegni e lavorò con noi fino alla vigilia della morte, lasciandoci in eredità un fulgido esempio e scolpendo nei nostri cuori un ricordo indelebile.
Proseguendo nell’inventario, non posso dimenticare che nell’attuale consiliatura è finalmente giunto a conclusione l’inquadramento del personale del Consiglio, che, quando siamo stati eletti, era ancora tutto quanto comandato. Era un atto dovuto, perché il personale, insieme con i magistrati segretari e addetti all’ ufficio studi, costituisce la struttura portante di un organismo i cui componenti sono totalmente rinnovati ogni quattro anni.  E neppure va sottaciuta la sistemazione edilizia del complesso in cui il CSM è allocato e una avanzata informatizzazione dei servizi consiliari che oramai pone il CSM tra le istituzioni di avanguardia. Tutto ciò è avvenuto anche per l’impulso infaticabile del Segretario generale, che il Comitato di presidenza ha sempre cercato di assecondare.
Signor Presidente, in un racconto russo si narra di un contadino molto orgoglioso della sua vanga, di cui ha più volte dovuto cambiare i singoli pezzi, consumati dall’uso quotidiano, perché è pur sempre la sua vanga. Non diversamente accade per le nostre istituzioni che restano identiche pur cambiando gli uomini. Nel corso di questa consiliatura ci sono stati due Segretari generali, si sono avvicendati cinque Comitati di presidenza, sono cambiati quattro Ministri e ho avuto la prima delega dal Presidente Scalfaro, che Ella mi ha poi confermato. A ben riflettere un elemento di continuità c’è stato: il contatto costante e prezioso con il Suo Segretario Generale e con il Suo Consigliere per gli Affari Giuridici e le Relazioni Costituzionali.
L’istituzione è andata avanti. Per ciò che mi riguarda, è certo che l’attività del Vice Presidente è destinata a sicuro insuccesso se non è sostenuta dalla incondizionata fiducia del Capo dello Stato e se non è sorretta dalla Sua guida sapiente. Ho avuto con il Presidente Scalfaro e, poi, con Lei entrambe le fortune e se qualche successo, nel mio lavoro, ho conseguito, molto merito va al Presidente Scalfaro, che mi ha tenuto a battesimo, e a Lei. Ma a Lei devo un ringraziamento particolare perché non potrò dimenticare, finché avrò vita, il sostegno istintivo, convinto e senza esitazioni che Ella mi ha dato in uno dei momenti più difficili e, per me, più amari della consiliatura. Senza quel sostegno – come sa – non avrei potuto continuare.
Quando il 4 agosto di quattro anni fa ebbi l’onore di essere eletto alla Vice presidenza, assunsi due impegni: verso l’esterno, quello di difendere l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura oltre che il prestigio del Consiglio; verso i Consiglieri, quello di garantire la pari dignità di tutti e di ricercare l’armonia interna. Spero di non averLa delusa.
Per concludere Le rubo un’espressione che so esserLe cara: metterci l’anima.  Noi abbiamo cercato di farlo e non spetta a  noi dire se ci siamo riusciti. Ai nuovi consiglieri, cui va il nostro augurio più affettuoso e sincero di buon lavoro, mi permetto di rifarmi alla Sua esortazione: metteteci l’anima.


 



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