FRANCESCO FAVARA Procuratore Generale della
Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione SULLAMMINISTRAZIONE
DELLA GIUSTIZIA Roma, 13 gennaio 2003 Lo stato della giustizia oggi in Italia La dimensione europea della giustizia L A G I U S T I Z I A C I V I L E La durata dei processi e la legge n. 89/2001 (cosiddetta legge
Pinto) Misure di deflazione del numero dei processi e riforme processuali Il riparto della giurisdizione dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205 a) I processi davanti al giudice di pace b) I processi di primo grado davanti ai tribunali Il processo del lavoro e della previdenza I procedimenti in materia di famiglia. Separazioni personali. Divorzi La giustizia minorile in materia civile L A G I U S T I Z I
A P E N A LE Flussi quantitativi e dati statistici La perdurante crisi del processo penale I problemi del
processo penale. Le varie disfunzioni I problemi del
diritto penale sostanziale B) I VARI TIPI DI CRIMINALITA. LAZIONE DI CONTRASTO Landamento della criminalità. Considerazioni generali a) I
gruppi stranieri di criminalità organizzata b) La
criminalità organizzata di origine nazionale Terrorismo e reati contro lo Stato Le altre manifestazioni criminose a) Omicidi, sequestri di
persona, estorsioni, rapine, furti e la cd. microcriminalità. c) Reati in materia di stupefacenti d) Reati contro la pubblica amministrazione e) Reati inerenti la sfera sessuale f) Reati ambientali, urbanistici e negli ambienti di lavoro La Direzione nazionale antimafia Polizia giudiziaria e strutture investigative LA CORTE DI CASSAZIONE E LA PROCURA GENERALE INDICE DELLE TAVOLE STATISTICHE ()
INAUGURAZIONE
ANNO GIUDIZIARIO 2003 Lo stato della giustizia oggi in Italia Si è da poco concluso un anno difficile per la giustizia, sempre al
centro dellattenzione generale per il protrarsi dei
problemi che da tempo la affliggono e che tutti vorremmo ormai vedere
avviati a soluzione. Una giustizia spesso troppo lenta, che si svolge secondo riti e
regole tecniche che sfuggono alla comprensione dei più, con esiti spesso imprevisti, che
inducono perciò taluni ad utilizzarla in modo pretestuoso, o con finalità dilatorie, e
perciò ingiuste. Una giustizia fatta di troppe leggi, di un enorme numero di processi.
Al termine dellanno di riferimento (che va dal 1 luglio 2001 al 30 giugno 2002),
risultano pendenti circa 3.500.000 di processi civili, dopo che ne erano sopravvenuti
oltre 1.700.000 e ne erano stati definiti più di 1.800.000; e oltre 5.700.000 processi
penali, dopo che ne erano sopravvenuti quasi 6.000.000 e ne erano stati definiti
pressoché altrettanti. Questi dati complessivi,
che saranno successivamente analizzati, danno subito lidea dellenorme mole di
lavoro svolto, e da svolgere, da parte di circa 8.500 giudici togati e di altrettanti
giudici onorari. E sono circa 150.000 gli avvocati che assicurano lassistenza legale
dei cittadini. Ma occorre far fronte a una domanda di giustizia che è sempre crescente,
in corrispondenza con lo sviluppo economico e sociale del Paese. Il compito di
amministrare la giustizia in modo corretto, giusto e anche sollecito è veramente arduo. Questa è, nei grandi
numeri, la situazione della giustizia oggi in Italia;
che si protrae ormai da anni. nonostante il grande impegno profuso in questi
ultimi tempi per farvi fronte. Vi sono però, in questo quadro generale, anche elementi
positivi in taluni settori, nei quali anzi vi sono margini ulteriori di miglioramento se
vi saranno riforme appropriate, sul piano ordinamentale e su quello organizzativo. Con la presente relazione, nel dare conto
dello stato e dellandamento della giustizia nel periodo di riferimento, saranno
esposti i principali problemi e le connesse disfunzioni del processo civile e di quello
penale. Saranno esaminati anche taluni aspetti
organizzativi dellattuale apparato di giustizia, per quanto riguarda i compiti e il
modo di operare dei vari uffici giudiziari e lattività dei magistrati che li
dirigono o che ne fanno parte. Al termine di tale esame sarà possibile fare qualche valutazione
più generale sul ruolo che, nel vigente quadro istituzionale, spetta alla magistratura
nellattuale momento storico, per i fermenti che animano la società civile; nonché
sui compiti che essa è chiamata a svolgere nellinteresse della collettività. Il grande problema da affrontare, che riguarda tutti i settori della
giustizia, è quello dellefficienza, al
quale è connesso quello, che più direttamente interessa i cittadini, del rispetto dei
tempi del processo. Sono passati ormai più di tre anni da quando, dando attuazione alla
norma di cui allart. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali, venne
introdotto in Italia, con il rango di norma costituzionale, accanto alle altre garanzie
essenziali che devono connotare il giusto processo, il principio della sua ragionevole
durata. Il nuovo articolo 111 della
Costituzione mira a conseguire un preciso obiettivo: quello di costituire un sistema in
cui un giudice terzo e imparziale, attraverso un processo fondato sul rispetto del
contraddittorio delle parti, ammesse ad operare in condizioni di parità, possa assicurare lapplicazione del diritto in
tempi ragionevoli. Il che impone una rivisitazione dellintero ordinamento e un nuovo
modo di operare dellapparato di giustizia,
che tenga conto appunto del principio di efficienza. Il problema principale che si pone oggi nel nuovo quadro
istituzionale del giusto processo è quello del contemperamento tra garanzie ed
efficienza. Ma garanzie ed efficienza sono valori non contrapposti e che anzi concorrono
in modo paritario alla piena ed equilibrata esplicazione della funzione giurisdizionale. Lart.
111 Cost., nellaffermare i principi-cardine di garanzia spettanti al cittadino nel
processo, ha indicato - giustapponendolo agli
altri - anche questo nuovo principio di
effettività e tempestività della tutela giurisdizionale. Si tratta di valori di alta civiltà giuridica, ormai acquisiti, ma
non ancora attuati pienamente. Per conseguire questo risultato sono chiamati in causa non
solo il legislatore, ma tutti coloro che operano nel settore giustizia, principalmente i
magistrati e gli avvocati. Il legislatore viene chiamato in causa perché, nel varare la
disciplina attuativa del nuovo art. 111 Cost., dovrà assicurare il rispetto del principio
della durata ragionevole del processo, modulando e contemperando con esso le regole di
garanzia. Ciò tenendo anche presente che linosservanza
del principio di effettività e tempestività della tutela giurisdizionale potrebbe
comportare non solo problemi di legittimità costituzionale nellordinamento interno,
ma anche sanzioni a livello comunitario per mancata attuazione delle riforme strutturali
dirette a realizzare quel principio. Il che dovrebbe indurre il legislatore nazionale a
non introdurre regole processuali che non assurgono al livello di garanzie essenziali e a
valutare sempre le ricadute che le riforme possono avere sulla durata del processo. Ma sono chiamati in causa, in modo concreto e non meno importante,
anche gli operatori di giustizia, i quali dovranno svolgere la propria attività, già in
base al diritto vigente, in modo da assicurare al cittadino, nei fatti, una tutela quanto più possibile sollecita dei suoi
diritti: le difese curate dagli avvocati dovranno essere sobrie ed essenziali, senza
richieste dilatorie o pretestuose, così come puntuali ed essenziali, anche nelle
motivazioni, dovranno essere i provvedimenti dei magistrati. La direttiva costituzionale riguardante la durata ragionevole dei
processi, che comporta un obbligo di risultato, impone poi la efficienza degli apparati
organizzativi e dei singoli uffici giudiziari. Questo
chiama in causa anzitutto, in virtù del disposto dellart. 110 Cost., le competenze
del C.S.M. e del Ministero della Giustizia; ma poi anche le dirette responsabilità
operative dei capi degli uffici giudiziari e dei singoli magistrati, ciascuno per il
lavoro a lui affidato. Dobbiamo perciò tutti operare per dare una svolta al servizio
giustizia.
La dimensione europea della giustizia Prima di iniziare lesame dellandamento della giustizia in
Italia, occorre fare una breve riflessione sul contesto sovranazionale che si va
delineando in Europa. Lanno appena trascorso ha segnato laffermarsi di
una consapevolezza se possibile ancora maggiore dei vincoli di interdipendenza che si
vanno stringendo in Europa tra i vari Paesi dellUnione e che, proprio perché
effetto di un fenomeno globale, non lasciano indifferente il mondo della giustizia. Non è più possibile, oggi, affrontare realisticamente i temi dellattuazione
concreta del diritto in un singolo Paese, e quindi del servizio giudiziario, senza tener
conto di questa realtà. Una realtà che si manifesta in forme diverse e con varia
intensità a seconda degli specifici contesti che vengono di volta in volta in rilievo. Basti pensare, in primo luogo, al quadro dellUnione
Europea, prossimo oramai ad un ulteriore allargamento, e nel cui seno è in fase di
avanzata realizzazione lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia previsto dal
Trattato di Amsterdam del 1997. Sempre di più la cooperazione tra le autorità giudiziarie dei Paesi
dellUnione si allontana dagli schemi classici del diritto internazionale, per
basarsi su concetti nuovi, ancora non ben definiti, ma che vanno certamente al di là
delle categorie tradizionali dellorganizzazione internazionale, ed il cui tratto
comune è quello della progressiva considerazione degli ordinamenti giuridici nazionali
come europei, appunto, e non più stranieri, con tutte le
conseguenze che ne derivano quanto alla facilità di circolazione allinterno dellUnione
degli atti giudiziari di ciascuno Stato membro. Una forte sollecitazione verso lefficienza del sistema
normativo e organizzativo della giustizia viene dallUnione Europea, che sta oggi
realizzando, in base a concreti criteri organizzativi, una serie di strutture comuni, come
lOLAF, per la protezione degli interessi dellUnione dalle frodi, o come
EUROJUSTICE, per il coordinamento delle indagini penali, con un campo di azione non limitato alla protezione degli interessi
comunitari, bensì esteso alla lotta contro
tutte le forme gravi di criminalità, soprattutto se organizzata. Accanto a tali già esistenti strutture, ha iniziato a operare la
Rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, istituita con decisione del
Consiglio dEuropa del 28 maggio 2001 per affiancare la parallela Rete giudiziaria in
materia penale. Si tratta di uno strumento operativo di grandi potenzialità, che varrà
non solo a facilitare i rapporti intracomunitari di cooperazione giudiziaria, ma anche a
fornire un potente mezzo di informazione sui sistemi giuridici di tutti gli Stati membri,
aperto attraverso Internet alla consultazione generale del pubblico. In Italia sono stati
costituiti due punti di contatto, uno presso il Ministero della Giustizia e laltro
presso la Procura generale della Corte di cassazione. Una parola non può non essere detta per ricordare un evento di
rilievo storico, lentrata in vigore, lo scorso anno, dello Statuto di Roma della
Corte penale internazionale, uno strumento che ha trasferito ad un livello istituzionale
le istanze di protezione della legalità e dei diritti fondamentali della persona umana. Cè
da augurarsi che veda al più presto la luce la normativa interna di attuazione che
consentirà, da una parte, la piena incriminazione da noi delle fattispecie criminose
prese in considerazione dallo Statuto e, dallaltra, leffettiva cooperazione
con la Corte penale delle nostre autorità giudiziarie.
E appena il caso di aggiungere che la generale grande attesa in
relazione ai lavori costituenti della Convenzione europea è a pieno titolo condivisa dal
mondo giudiziario.
L A G
I U S T I Z I A C I V I L E La situazione della giustizia civile continua ad essere preoccupante,
anche se in taluni settori si registrano dati confortanti. E una situazione di crisi
che esiste e perdura ormai da molti decenni, ma credo che sia da sottolineare che questa
crisi riguarda soprattutto, e anzi direi esclusivamente, lefficienza. Sul
piano della qualità infatti la giurisdizione civile ha sicuramente livelli molto elevati
e non è inferiore alle giurisdizioni degli altri paesi.
Ma è la lentezza dei processi che ci pone in una condizione di imbarazzo di
fronte agli osservatori stranieri. Superare questo deficit di efficienza
rappresenta la condizione essenziale e preliminare per perseguire in modo credibile
qualunque ipotesi di riqualificazione e di valorizzazione della giurisdizione. Dallesame delle relazioni dei Procuratori generali resta però
confermata la tendenziale diminuzione in tutti i distretti delle pendenze civili, già
desumibile dai dati statistici del Ministero della giustizia. Al riguardo diversi
Procuratori generali rilevano che a tale
risultato hanno concorso le riforme approvate durante lo scorso decennio, relative allistituzione
del giudice unico di primo grado, le riforme processuali del 1990 e del 1995 e il
potenziamento della magistratura onoraria, con listituzione dei giudici di pace e
dei g.o.a.. Una parola di ottimismo sulla base di questo dato sarebbe però
prematura: dalle relazioni non emergono infatti elementi oggettivi idonei ad evidenziare
una riduzione significativa dei tempi del processo e la persistenza del problema è
comunque testimoniata dalle indicazioni offerte da alcune relazioni, che stimano la durata
media superiore ai tre anni, con punte di
cinque anni. Si deve anche tener conto
che la pendenza in grado di appello ha
registrato un lieve incremento, principalmente a causa dellaumento delle
sopravvenienze. A tali risultati hanno concorso laumento dei compiti attribuiti
alle corti dappello, a seguito dellistituzione della sezione lavoro e della
definizione del relativo contenzioso, al quale non ha corrisposto il contemporaneo
adeguamento degli organici, lincremento degli appelli, in particolare nei confronti
delle sentenze dei g.o.a., e la maggiore efficienza del processo di primo grado, ottenuta
grazie alla generale monocraticità dei giudizi . Un caso in tal senso paradigmatico è costituito dalla Corte dappello
di Roma, presso la quale nel periodo considerato è stato registrato un aumento delle
sopravvenienze (in appello) pari al 40% rispetto allanno precedente, che sommandosi
a quello altrettanto rilevante dello scorso anno (51,34%) rischia di incidere in modo
negativo sia sulla entità dellarretrato, sia sulla durata dei processi. Sempre a
Roma, dai dati emerge che la nuova sezione lavoro assorbe circa il 50% dellintero
numero delle sopravvenienze. Con riferimento agli effetti delle riforme processuali, le relazioni,
nel confermare nel loro complesso un giudizio
relativamente positivo sulle nuove norme
introdotte a partire dal 1995, mettono però in evidenza come tali norme non siano state
idonee ad incidere in profondità sul problema della eccessiva durata dei processi. In particolare si segnala lutilizzo sempre più frequente del
giudizio cautelare, per ovviare alle lentezze del processo: vi è il rischio di una
consequenziale duplicazione del numero dei processi civili (dal momento che le medesime
questioni possono essere riproposte anche nella successiva fase del giudizio di merito).
Ma questo rischio è più che compensato dal numero delle controversie che trovano
definitiva soluzione nella pronuncia cautelare. Tuttavia, a fronte delle disfunzioni, permane la pressoché totale
inoperatività degli strumenti previsti dagli
artt. 186 bis, ter e quater c.p.c., che non hanno prodotto alcun concreto
risultato; e la assoluta marginalità del ricorso a strumenti di conciliazione. La durata dei processi e la legge n. 89/2001
(cosiddetta legge Pinto) A conferma delle previsioni che erano state formulate, limpatto
della legge n.89/2001 (c.d. legge Pinto) sul lavoro delle corti di appello e
della corte di cassazione è stato rilevante ed è verosimilmente destinato ad aumentare,
anche in considerazione della maggiore vicinanza al cittadino del giudice nazionale ora
competente, rispetto alla Corte europea dei diritti delluomo, che in passato
decideva questo tipo di controversie. Anche se tutte le corti di appello sono gravate da questo nuovo
contenzioso, rimanendo così confermata la rilevanza nazionale del fenomeno, si può
oramai ritenere scongiurata la prospettiva di una ricaduta in blocco sul
nostro sistema giudiziario dei circa 12.000 ricorsi già pendenti presso la Corte di
Strasburgo, essendo decorso il termine per la riproposizione dinanzi alle corti di appello
competenti dei ricorsi già presentati a Strasburgo, ma non ancora dichiarati ricevibili
dalla Corte europea al momento dellentrata in vigore della legge. Il carico del nuovo contenzioso resta comunque considerevole e
difficilmente tollerabile da un sistema già sollecitato oltre le potenzialità consentite
dalle risorse umane e materiali disponibili. Ha corrisposto pertanto ad una felice intuizione il tentativo, posto
in essere con il decreto legge 11 settembre 2002 n. 201, di ridurre le sopravvenienze e le
pendenze dei ricorsi per equo indennizzo attraverso un filtro precontenzioso e, per le
cause pendenti, la formulazione di proposte transattive, con un meccanismo affidato ad un
organo qualificatissimo quale lAvvocatura Generale dello Stato. Anche se il decreto
non è stato convertito in legge dal Parlamento, ritengo tuttavia legittimo, nel rispetto
delle prerogative del legislativo e di quelle dellesecutivo, formulare lauspicio
che lidea di uno strumento deflattivo di questo particolare contenzioso, nei modi
ritenuti più opportuni, non venga abbandonata. Lanno
decorso ha registrato il primo formarsi di una giurisprudenza della Corte di cassazione in
merito alla legge Pinto. Credo che le sentenze pronunciate dalla Corte abbiano fornito un importante contributo alla piena
sistemazione di questa materia nellambito del diritto interno, con risultati
in termini di efficacia della tutela del tutto equivalenti a quelli che si
sarebbero ottenuti in sede europea. Si è in particolare riconosciuto valore di precedente
autorevole alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, così delineando un proficuo ed
interessante rapporto di integrazione reciproca tra il sistema giurisdizionale nazionale e
quello europeo. In tale contesto ritengo che lo strumento approntato dalla legge n. 89 del
2001 possa veramente costituire un rimedio effettivo alla stregua della
Convenzione europea dei diritti delluomo, fermo restando ovviamente lobbligo
primario dello Stato di introdurre riforme idonee a contenere la durata del processo in
tempi ragionevoli. E in tale direzione appunto
sembra muoversi ora il legislatore. Misure di deflazione del numero dei processi e
riforme processuali Già nella relazione dello scorso anno segnalavo che è necessario
prendere atto della propensione dei cittadini a far valere i propri diritti davanti al
giudice e che pertanto, al fine di conseguire lobiettivo di una giustizia
amministrata con efficienza e in tempi rapidi, è necessario, da un lato, decongestionare
il flusso dei processi civili facendo ricorso a modelli alternativi rispetto alla
soluzione giudiziaria della lite, dallaltro, ridurre drasticamente il numero dei
processi che arrivano fino alla sentenza. Occorre agire sui tempi del processo, anche riducendo quanto più
possibile i c.d. tempi morti, che sono quelli che si accumulano durante il suo corso tra
udienza e udienza. Si pensi ai tanti rinvii che disperdono le conoscenze acquisite da giudici e
avvocati sui fatti di causa, nella fase di introduzione del giudizio; ai termini di impugnazione troppo lunghi (come quello
di un anno e 46 giorni previsto dallart. 327 c.p.c.);
ai ritardi imputabili ai magistrati (nel deposito dei provvedimenti), agli
avvocati (che richiedono, o subiscono, rinvii
dovuti alleccessivo numero di cause), o ai consulenti tecnici (nel deposito delle
relazioni). Il processo potrà avere durata ragionevole solo quando saranno ridotti allessenziale
questi tempi morti. Richiamando di nuovo la relazione dello scorso anno, ricordo che in
quella sede, si auspicava lapplicazione generale dei principi contenuti nellart.
12 della legge 3 ottobre 2001 n. 366 (di delega al Governo per la riforma del diritto
societario), relativi allintroduzione di procedimenti sommari, a carattere cautelare
o non cautelare, destinati a garantire in tempi rapidi con provvedimenti esecutivi
opportunamente privi di efficacia di giudicato la tutela reale dei diritti violati,
nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle controparti,
trattandosi di rimedi endoprocessuali al problema della lentezza della giustizia civile,
che mantengono ferma la garanzia giurisdizionale rappresentata dallattribuzione
della funzione decisionale ad un giudice imparziale e indipendente. Oggi è possibile valutare il grado di attuazione di quei principi,
avendo il governo varato, nella seduta del Consiglio dei ministri del 30 settembre 2002,
uno schema di decreto legislativo recante il titolo Definizione dei procedimenti in
materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia
bancaria e creditizia, proprio nellesercizio della delega conferita
dall'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001 n. 366. Tale progetto, anche se riguarda un settore numericamente limitato di
controversie, si configura, per i suoi contenuti e per la sua struttura, come possibile
nuovo modello generale di processo civile destinato a sostituire, in modo anche piuttosto
radicale, quello oggi vigente. A tale proposito, non sembra auspicabile un sistema di
regole processuali che improntato a principi ispiratori diversi da quelli che informano lordinario
processo di cognizione riguardi solo una determinata categoria di controversie. Infatti,
se una maggiore flessibilità del sistema processuale è certamente opportuna per poter
far fronte meglio alle concrete e diversificate caratteristiche dei vari rami del
contenzioso civile, appare maggiormente opportuno e razionale perseguire - se mai - tale
obiettivo con lindividuazione di misure
idonee a rendere il processo ordinario adattabile alle caratteristiche concrete della
specifica controversia. Il modello individuato per la materia societaria e creditizia
presenta numerose positive innovazioni, quali: 1. la
semplificazione delle comunicazioni tra difensori, nonché tra ufficio di cancelleria e
difensori nel corso del procedimento, attraverso lutilizzo di strumenti come il
telefax e la posta elettronica; 2. la previsione
della sentenza con motivazione immediata di cui allarticolo 281 sexies c.p.c.
come modo ordinario di pronunzia della
decisione; 3. la introduzione
di un procedimento sommario, proponibile con ricorso, a disposizione dellattore che
non abbia interesse al giudicato, limitatamente alle cause
aventi ad oggetto pagamenti di denaro o consegna di cose determinate, con possibilità per
il giudice, nel caso in cui la causa si riveli
complessa, di dare un qualche maggior spazio
alle attività difensive; 4. la
regolamentazione di un procedimento cautelare ante
causam non seguito necessariamente (ma solo se una delle parti lo richiede) dal
giudizio di merito e la previsione di un procedimento cautelare in corso di causa
suscettibile di trasformarsi in una sorta di giudizio ordinario abbreviato, sulla
falsariga di quanto ultimamente previsto, per il processo amministrativo, dalla legge n.
205/2000; 5. la disciplina di
un procedimento di conciliazione stragiudiziale, su istanza della parte interessata,
davanti ad appositi organismi pubblici o
privati.
Queste innovazioni
contenute nello schema di decreto legislativo approvato dal governo, innestandosi nel
processo riformato dalle leggi del 1990 e del 1995, possono portare ad una trattazione delle cause più razionale e più
rapida, sanando le incongruenze che l'esperienza dei processi ha rivelato (come ad esempio
la rigidità della frammentazione in più udienze della fase preparatoria), dovendosi
prendere realisticamente atto che la cognizione piena ed esauriente non può essere negata
a chi la chiede, ma essa non sempre risponde davvero agli interessi e alle richieste delle
parti e non vi è motivo di imporla anche a parti che non la ritengano necessaria. Qualche particolare considerazione merita la nuova disciplina, sempre
contenuta nello schema di decreto legislativo, della fase preparatoria del processo, che
è stata interamente collocata fuori delludienza e affidata alla trattazione scritta
delle parti mediante scambio di atti, risposte e repliche minuziosamente regolamentato,
con esclusione della collaborazione del giudice nella definizione del thema decidendum.
Linnovazione proposta potrebbe tuttavia risultare non in linea con i principi
del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso consacrati nellart. 111
della Costituzione, in considerazione del notevole lasso di tempo che, in conseguenza
dello svolgimento delle attività preparatorie, dovrebbe intercorrere tra atto di citazione e prima udienza. Va rilevato
in questa sede che il rapporto diretto e dialogico tra giudice e parti è sempre apparso
il modo più ragionevole per condurre il processo di costruzione dalla decisione, seguendo
i binari della ragionevolezza e rifuggendo dalle angustie dei formalismi. Lo schema di decreto
legislativo in esame prevede, infine, un sistema di rilevazione dei tempi dei
procedimenti. A tal fine è stata prescritta la divulgazione annuale, nel corso della tradizionale
relazione sullo stato dellamministrazione della giustizia svolta dal Procuratore generale della Cassazione,
di una specifica ed articolata notizia concernente lattuazione della riforma, almeno
dal punto di vista della durata dei procedimenti. E da apprezzare la disponibilità del legislatore a sottoporre il proprio operato alla severa
verifica dellesperienza e ad apportare alle sue riforme i miglioramenti, le
correzioni e le revisioni che la realtà concreta consiglierà di adottare. Il riparto della giurisdizione dopo la legge
21 luglio 2000 n. 205 Come già osservato nella relazione dello scorso anno, la recente
riforma del sistema di riparto della giurisdizione di cui alla legge 21 luglio 2000 n.
205, ha inciso su aspetti fondamentali relativi non soltanto allassetto della
giurisdizione nel suo complesso organizzativo, ma anche alla stessa tutela delle posizioni
soggettive, con tendenza verso il superamento della distinzione tra diritto soggettivo e
interesse legittimo, e sul funzionamento del processo. Lanno trascorso offre lo spunto per un parziale esame dellesperienza attuativa della
legge n. 205/2000, che ha costituito il punto di arrivo di una vicenda storica complessa,
caratterizzata da spinte anche in parte contrastanti, di rafforzamento della tutela del
cittadino e dellutente nei confronti delle pubbliche amministrazioni, di efficienza
del processo e di specializzazione dei giudici in determinate materie. Ciò ha, come è noto, comportato il conferimento alla giurisdizione
amministrativa esclusiva di rilevanti materie, concernenti i servizi pubblici, lurbanistica
e ledilizia, con il potere di condanna della pubblica amministrazione al
risarcimento anche in forma specifica. Questo nuovo riparto della giurisdizione pone interrogativi di
rilievo, che emergono chiaramente anche da questa prima fase di attuazione. In primo luogo, emerge il tema della compatibilità di questa forte
dilatazione della giurisdizione esclusiva con un assetto costituzionale che ha
tradizionalmente privilegiato il giudice ordinario quale giudice dei diritti. In tale
assetto, il ruolo di interprete e di guida della Corte di cassazione veniva a ricoprire
una funzione di cerniera, oggi invece posta in crisi dal dualismo di diverse
giurisdizioni, che secondo la riforma, pur giudicando entrambe su posizioni di diritto
soggettivo, possono giungere a conclusioni contrastanti, in ordine a questioni identiche
senza che esista una sede di composizione e di indirizzo dellinterpretazione delle
norme. Questi profili evidenziano probabilmente quanto sia ancora attuale lobiettivo
dellunità della giurisdizione, strettamente collegato al compito della Suprema
Corte di Cassazione, quale organo supremo della giustizia, di assicurare
luniforme interpretazione della legge, lunità del diritto oggettivo
nazionale, oltre che il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni
(art. 65 dellordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12). Inoltre deve osservarsi che lindicazione delle materie rimesse,
rispettivamente, alla giurisdizione amministrativa esclusiva e a quella ordinaria non
sembra sempre rispondere a criteri coerenti con il fine della specializzazione e dellefficienza
che si vorrebbe perseguire. Il che è a dirsi per quanto rigurda lattribuzione al giudice ordinario di materie
relative al lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni; mentre per quella, di
tuttaltra natura, relativa alla disciplina dellimmigrazione (ricorsi avverso
le espulsioni previsti dal t.u. n. 286 del 1998), sembra però essere giustificata solo in
base alla concezione storica del giudice ordinario quale giudice dei diritti fondamentali
o comunque dotati di garanzia costituzionale. Daltro canto, la materia dei servizi
pubblici considera al suo interno una gamma di rapporti e di situazioni soggettive della
cui omogeneità è lecito dubitare, come emerge anche dalla recente giurisprudenza delle
Sezioni unite della Corte di cassazione che, in tema di giurisdizione, ha riconosciuto
(applicando tuttavia il regime transitorio previsto dalla legge n. 205) alla posizione
soggettiva degli utenti del servizio sanitario la tutela del giudice ordinario. Rinviando, per quanto
riguarda il giudizio di legittimità, alla speciale trattazione che se ne farà nel
capitolo sulla Corte di cassazione, si
espongono qui di seguito i dati relativi al giudizio di merito. Questi dati sono quelli forniti dal Ministero della Giustizia. Essi,
secondo la prassi sin qui sempre seguita, riguardano i processi di cognizione ordinaria
compresi quelli relativi alle controversie di lavoro e previdenza e alle
controversie agrarie mentre non comprendono tutta una miriade di procedimenti di
varia natura (volontaria giurisdizione, esecuzioni, fallimenti, separazioni e divorzi,
procedimenti speciali in genere) che assommano a circa 1.500.000 di procedimenti allanno e che contribuiscono non poco ad aggravare il carico di lavoro dei giudici. I prospetti statistici elaborati dal Ministero della giustizia
mostrano, a livello nazionale, una lieve riduzione delle pendenze dei giudizi di primo
grado. Complessivamente, infatti, le cause
pendenti, che erano 3.277.963 al 30 giugno 2001, sono passate a 3.135.371 al 30 giugno
2002, con una riduzione quindi, di 142.592 unità. Le cause di nuova
iscrizione, che erano state 1.609.503 nel periodo dal 1° luglio 2000 al 30 giugno 2001,
sono salite a 1.648.048 nel periodo dal 1°
luglio 2001 al 30 giugno 2002. Le cause esaurite sono di contro aumentate da 1.650.482 a
1.807.463 ed in particolare è aumentato il numero delle sentenze: da 873.946 a 1.017.044.
E quindi subito da sottolineare che la lieve
riduzione delle pendenze non è frutto della riduzione delle sopravvenienze, ma del fatto
che nel frattempo è aumentata, significativamente sia pure in misura non ancora
soddisfacente, la produttività del sistema. La disaggregazione dei dati
sui quali ho in precedenza riferito dimostra però che la lieve riduzione delle pendenze
non costituisce un dato omogeneo, in quanto se la pendenza davanti ai tribunali è
fortemente diminuita, quella davanti ai giudici di pace è invece notevolmente aumentata. a) I processi davanti al giudice di pace
In particolare, con riferimento ai giudici di pace, le pendenze al 30 giugno 2002 erano di 707.515 processi, con un
aumento, quindi, dell 10,1 % rispetto allanno precedente (642.350 processi
pendenti al 30 giugno 2001), che registrava a sua volta un aumento del 28,5% rispetto allanno
prima. Analogo landamento delle sopravvenienze: nei dodici mesi tra il
1° luglio 2001 e il 30 giugno 2002 sono stati iscritti davanti ai giudici
di pace 791.605 processi, con un aumento dell11% rispetto ai 713.305 iscritti nellanno
precedente (negli stessi dodici mesi le sopravvenienze davanti ai tribunali sono invece
diminuite del 5,3 %). Infine, il numero
dei processi definiti dai giudici di pace
è passato da 572.565 a 726.845, con un aumento del 26,9 %.
Anche questanno,
come negli anni passati, si registra una notevole eccedenza delle sopravvenienze
rispetto al numero dei processi esauriti, con conseguente progressivo aumento sia delle pendenze che della durata dei processi. Va però
rilevata come dato positivo la circostanza che si mantengono fermi lindice di
smaltimento (pari a circa il 50 per cento) e la durata media dei processi, inferiore allanno
(esattamente a 337 giorni, a fronte dei 324 dellanno precedente) e corrispondente ad
un terzo della durata media dei processi di primo grado davanti ai tribunali. I dati ora riportati dimostrano ampiamente limportanza che ha
assunto, nei fatti, questa nuova figura di giudice. E sufficiente osservare il dato
delle sopravvenienze negli ultimi dodici mesi (791.605, a fronte degli 845.393 processi
pervenuti nello stesso periodo ai tribunali) per constatare che il giudice di pace si avvia a gestire la metà del
contenzioso civile di primo grado. Si
è quindi conseguito il risultato di alleggerire notevolmente il carico di lavoro dei
tribunali, attraverso la creazione di un
settore della giurisdizione, riservato alle controversie minori, affidato ad un giudice
onorario diffuso sul territorio e connotato da maggiore rapidità, in un più ampio
disegno di recupero di efficienza dellorganizzazione giudiziaria e di soddisfazione
della domanda di giustizia. In tale contesto va quindi confermato il giudizio complessivamente
positivo espresso negli anni passati sullattività del giudice di pace, anche per il
ruolo di sostegno svolto nei confronti della magistratura ordinaria e come presidio legale
per contrastare il crescente fenomeno del rifiuto del processo civile e della fuga dalla
giurisdizione. Il giudizio positivo è del resto confermato, sia pure con qualche
differenza tra distretto e distretto, dalla quasi totalità delle relazioni distrettuali,
nelle quali è stato messo particolarmente in luce che
le sentenze dei giudici onorari hanno di regola un
livello qualitativo adeguato e sono oggetto di appello in misura esigua. Nelle relazioni di alcuni Procuratori generali emerge però la
preoccupazione in ordine alla possibile formazione
dellarretrato e ad una non razionale distribuzione sul territorio degli uffici del
giudice di pace. In particolare, in riferimento a questultimo inconveniente, si
segnala (richiamo in via esemplificativa la relazione del Procuratore generale di Bologna) la disfunzione originata dal forte aumento
del carico di lavoro presso le sedi collocate nei capoluoghi di provincia e, allinverso,
la scarsa utilità di uffici operanti presso piccoli centri, per i quali si auspica la
soppressione e laccorpamento agli uffici con maggior carico. Da altre relazioni (ed in particolare da quella del Procuratore
generale di Napoli) si ricava invece un quadro meno positivo, tale da indurre quellUfficio
a suggerire una riflessione sui costi e benefici indotti dallentrata in scena del
giudice di pace. Si fa riferimento, in particolare, alle disparità verificatesi nei
criteri di retribuzione. Già negli anni passati erano stati segnalati, in alcuni
distretti, casi di strumentale e artificioso
proliferare di controversie, provocato con vari espedienti, con conseguente incremento dei
costi di tale tipo di giustizia, anche sotto il profilo dei compensi spettanti a ciascun
giudice su ogni singola causa. Incidentalmente
si osserva che il problema si è in qualche modo riprodotto, con analoghe modalità, in relazione ai procedimenti penali definiti con
provvedimenti di archiviazione, impropriamente equiparati, sotto il profilo dei compenso,
alle sentenze ed ad altri più impegnativi provvedimenti decisori. Al riguardo, è
intervenuto il decreto legge n. 251 dell11
novembre 2002 il quale, allarticolo 6, ha dettato una nuova disciplina della materia
che dovrebbe eliminare gli inconvenienti che si sono verificati. Restano da risolvere alcuni problemi, legati, in casi sporadici, allinsorgenza
di comportamenti non conformi a principi di correttezza professionale e più in generale relativi allassetto ordinamentale dei giudici
di pace, con particolare riguardo allefficace
esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo e allaspirazione, diffusa nella
categoria di tali magistrati onorari, alla stabilizzazione del rapporto, con conseguenti
delicati problemi sul piano istituzionale e costituzionale. Spetta al Consiglio superiore della magistratura ogni utile
iniziativa per favorire, nellambito di un più ampio progetto di qualificazione e
aggiornamento, lassimilazione da parte dei giudici di pace dei principi di
deontologia professionale, mentre per quanto riguarda la disciplina ordinamentale, le
scelte del legislatore, come può desumersi da un progetto di legge allesame della
Camera dei deputati, sembrano orientate alla creazione in ogni regione di un Consiglio
regionale per i giudici di pace, al quale sarebbero trasferite tutte le competenze
relative a tali uffici, attualmente attribuite ai consigli giudiziari e al C.S.M.
Esplicita finalità della proposta di legge è quella di accentuare il collegamento del
giudice di pace con la comunità in cui esercita la giurisdizione, ricevendo da questa la
propria legittimazione, ma la prospettiva della regionalizzazione dellassetto
ordinamentale dei giudici di pace comporta rischi di incostituzionalità e il pericolo
della frammentazione e della caratterizzazione territoriale della giurisdizione onoraria,
che verrebbe ad essere inopportunamente esposta al pericolo di condizionamenti ambientali.
Appare opportuno sottolineare che il giudice di pace, quale magistrato onorario,
appartiene allordine giudiziario ed è assoggettato alla normativa che si applica ai
magistrati togati (in quanto compatibile con la natura onoraria della funzione) e alla
funzione di governo del Consiglio superiore della magistratura, a garanzia dellindipendenza
dellorgano giudiziario e della qualificazione professionale dei giudici di pace,
intesa in senso ampio, non solo come acquisizione di conoscenze tecniche, pratiche e
deontologiche, ma anche come consapevolezza dellautonomia e imparzialità della
funzione giurisdizionale. Merita infine positiva considerazione la disposizione contenuta nellart.
4 del decreto legge 11 settembre 2002 n. 201, convertito nella legge 14 novembre 2002 n.
259, con la quale si è inteso risolvere, attraverso lo snellimento delle procedure di
ammissione al tirocinio, il grave problema della tempestività degli avvicendamenti resi
necessari dalla temporaneità delle funzioni di giudice di pace. b) I processi di primo grado davanti ai
tribunali Anche questanno
si rileva una riduzione significativa (pari all8%) del numero dei processi pendenti
presso i tribunali. Da 2.627.186 procedimenti pendenti al 30 giugno 2001 si è passati a
2.416.847 al 30 giugno 2002. Una riduzione, quindi, certamente apprezzabile, anche perché
si aggiunge ad una equivalente riduzione dellanno precedente, a dimostrazione di una
tendenza positiva di carattere non transitorio,
ricollegabile in gran parte alla progressiva riduzione del numero delle cause
sopravvenute, passate da 893.028 nel periodo 1° luglio 1999 - 30 giugno 2000 a 845.393
nei dodici mesi successivi, per scendere ulteriormente fino a 809.017 nellultimo
periodo di riferimento. A sua volta, la riduzione delle sopravvenienze di nuove cause davanti
ai giudici togati di primo grado si spiega in gran parte
- come si è visto - con laffidamento di una quota notevole del
contenzioso al giudice di pace. Suscita un cauto ottimismo per il futuro la constatazione che il numero dei processi definiti in questi ultimi dodici mesi è
notevolmente superiore a quello dei processi sopravvenuto nel medesimo periodo: 1.072.719 contro 845.393. Se questa tendenza
dovesse mantenersi anche nei prossimi anni si determinerebbe una progressiva riduzione
delle pendenze arretrate, con favorevoli effetti anche sulla durata media dei giudizi, la
quale dipende soprattutto dallentità del carico di processi che ciascun giudice è
tenuto a gestire.
Il dato relativo
alla durata media dei processi davanti ai
tribunali si mantiene, ormai da vari anni, intorno ai mille giorni, pari a poco meno di
tre anni. Questo dato richiede peraltro di essere analizzato per poterne comprendere
appieno il significato. Occorre considerare, in primo luogo, che nel calcolo si
computano anche i procedimenti in materia di lavoro, che hanno mediamente una durata assai
inferiore: ne consegue che la durata media dei normali processi civili ordinari è
certamente superiore al triennio. In secondo luogo, il dato
rappresenta la somma di due distinti fattori: quello dei processi di nuovo
rito (per i quali molte relazioni evidenziano un'accelerazione dei tempi processuali,
quale effetto delle riforme intervenute) e quello dei processi affidati alle sezioni
stralcio, che hanno dovuto scontare iniziali gravi difficoltà di avvio, legate
soprattutto ai ritardi nelle nomine dei giudici onorari aggregati di tribunale e alla
scarsa dotazione di locali e personale amministrativo. Inoltre, i processi che attualmente
pendono davanti ai giudici onorari aggregati comportano tempi di definizione più lunghi,
in quanto, nei ruoli ad esaurimento, i giudizi che restano in trattazione sono normalmente
quelli più complessi e di più difficile definizione, come sottolineato in alcune
relazioni dei Procuratori generali.
I dati provenienti
dalle sedi distrettuali, peraltro, segnalano che nella maggior parte delle corti di
appello il contenzioso affidato a queste sezioni potrà essere esaurito entro il
quinquennio previsto dalla legge. Le pendenze finali, per questi processi, sono passate da
503.234 del 1999 a 347.763 del giugno 2001 e a 238.793 dal luglio 2002. Se si considera
che più si riduce il numero dei processi pendenti, maggiore è la possibilità di una
loro più celere trattazione, appare lecito guardare con ottimismo alla prospettiva di esaurire effettivamente lo stralcio entro i
cinque anni che erano stati previsti (anche se
la riduzione del numero dei processi definiti nellanno impone un attento controllo
sulle cause del rallentamento).
La relativa
positività dei dati degli ultimi anni è forse insufficiente a parlare di una vera e
propria inversione di tendenza. Essa però dimostra che lobiettivo di ridurre la
durata dei processi civili può essere raggiunto proseguendo nel disegno riformatore già
iniziato e agendo sul piano dellimpegno professionale e dellacquisizione di
una più matura cultura dellorganizzazione degli uffici e del lavoro individuale. La pendenza in grado di appello ha registrato un lieve incremento,
essendo passata dalle 242.446 cause del 30 giugno 2001 alle 247.312 del 30 giugno 2002.
Questo dato è da collegare principalmente alla sopravvenienza, che è notevolmente aumentata: mentre nei dodici mesi
dal 1° luglio 2000 al giugno 2001 era stata di 95.222, negli ultimi dodici mesi è salita
a 104.560. A tale impennata delle sopravvenienze, si è aggiunta (sia pur molto
lieve) la riduzione del numero dei processi
esauriti, che questanno sono stati 102.052, rispetto ai 102.319 dellanno
precedente. Peraltro è noto che laumento delle sopravvenienze per ciascun giudice
determina un incremento del ritardo nella definizione dei processi. Il risultato
complessivo è che nel 2002, a differenza dellanno precedente, il numero dei
processi esauriti è inferiore a quello dei processi sopravvenuti. Uninversione di
tendenza che potrebbe essere pericolosa per la funzionalità ed efficienza del processo di
appello, se dovesse essere confermata anche negli anni a venire, e che è dovuta
probabilmente anche ad una produttività talmente inferiore a quella di tanti altri uffici
giudiziari.
E' da tenere
presente, peraltro, che i dati complessivi richiamati riguardano sia i giudizi davanti
alle corti d'appello, sia quelli di appello
davanti ai tribunali. Come è noto, la riforma del giudice unico ha devoluto dai tribunali
alle corti d'appello la cognizione in secondo grado di
importanti quote di contenzioso, come quelle in materia di lavoro e
previdenza e in materia di locazione, mentre ha lasciato al tribunale la cognizione dei
gravami contro le sentenze del giudice di pace. Il
saldo di questi passaggi si è tradotto, per quanto riguarda i giudizi di secondo grado,
in un aumento notevole delle sopravvenienze per le corti d'appello ed in una considerevole
riduzione delle stesse per i tribunali.
Per questi
ultimi, infatti, la pendenza finale di processi dappello, che già era passata dai
147.296 del giugno 2000 ai 103.410 del giugno 2001, si è
ulteriormente ridotta a 71.451. In due anni, quindi, il contenzioso di
secondo grado davanti ai tribunali si è dimezzato, in corrispondenza della riduzione,
nello stesso arco di tempo, da 33.412 a 7.272 delle sopravvenienze annue. Lultimo
dato ora menzionato equivale sostanzialmente a quello, pari a 7.352, dellanno
precedente: il che significa una sostanziale stabilizzazione del numero degli appelli
contro le pronunzie del giudice di pace. Il residuo carico di procedimenti di secondo
grado davanti ai tribunali che comprende anche gli appelli in materia di lavoro e
previdenza non ancora esauriti si connota per una durata media abnorme, anche se
diminuita rispetto agli anni precedenti: 1.338 giorni, pari a oltre tre anni e mezzo. Molto minore è invece la durata dei processi di secondo grado
davanti alle corti dappello, pari a 727 giorni e quindi a circa due anni. Va però
segnalato con allarme laumento di questo dato rispetto a quello dellanno
scorso, che era pari a 641 giorni, in conseguenza dellincremento del numero dei
nuovi procedimenti (soprattutto nel periodo tra il 1999 e il 2000) e in particolare della
devoluzione alle corti dell'appello dei giudizi in materia di lavoro e di previdenza
sociale. Questo è infatti landamento delle sopravvenienze nel triennio: 58.400 dal
luglio 1999 al giugno 2000, 87.870 da tale data al giugno 2001 e 97.288 nei dodici mesi
successivi. Il processo del lavoro e della previdenza
Quanto al
processo del lavoro, dallesame delle relazioni pervenute dagli uffici giudiziari non
emergono ancora dati di rilievo in riferimento allimpatto della riforma che ha
trasferito al giudice ordinario, con leccezione di alcune specifiche categorie, la
competenza in materia di controversie di lavoro dei dipendenti pubblici. Potrebbe peraltro trattarsi di una stasi
temporanea, destinata ad essere superata, una volta esaurita la fase transitoria prevista
dal decreto legislativo n. 80 del 1998 ed una volta che gli studi legali specializzati nel
settore si saranno meglio attrezzati per il
diverso rito che ora è destinato a queste cause.
E però
opportuno segnalare che limpatto sarà, negli anni prossimi, rilevante sotto il profilo qualitativo, oltre che sotto
quello quantitativo. Infatti, le recenti e ripetute riforme legislative della dirigenza
pubblica, il cui rapporto di lavoro è stato anchesso contrattualizzato, potranno
porre allattenzione del giudice del lavoro anche il delicato tema della relazione
tra sistema di governo e amministrazione, che le riforme della scorsa e dellattuale
legislatura hanno inteso instaurare in tale particolare settore. Su questo piano, il
sistema è destinato ad attraversare una fase di profondo rinnovamento, anche perché lapplicazione
della nuova disciplina sostanziale relativa alla dirigenza è accompagnata -
come si è detto - dallintroduzione di
un nuovo rito per i dipendenti pubblici davanti al giudice ordinario.
Al 30 giugno
2001 le cause di lavoro e previdenza pendenti in primo grado risultavano essere 1.090.718
(dai dati statistici trasmessi dal Ministero della giustizia). Un anno dopo e cioè
al 30 giugno 2002 tale numero si è ridotto a 1.016.947. Per lappello la situazione è
preoccupante, specie in alcune grandi corti (come Napoli), nonostante limpegno che
viene profuso e la pendenza è perciò, come
già si è detto, aumentata, da 53.010 a 76.189, mentre
si è ridotta da 80.604 a 50.635 la pendenza ad esaurimento dei processi dappello
davanti ai tribunali. Nonostante questa mole abnorme di contenzioso (e nonostante che il numero dei magistrati addetti al settore sia
proporzionalmente minore), la durata media dei processi di lavoro continua ad essere notevolmente inferiore rispetto alla media dei
processi civili: 732 giorni per il primo grado
(con una certa riduzione rispetto a quella dello scorso anno, che era di 755 giorni). Si
tratta certamente di tempi molto superiori a quelli che il legislatore del 1973 aveva
preventivato e voluto, ma essi comunque confermano che quel modello processuale, unito ad
una spiccata specializzazione del giudice, consente una gestione più razionale del carico
processuale.
Resta invece connotata negativamente la durata delle cause
previdenziali, che è in media di 1.019
giorni. Le ragioni del maggior tempo richiesto
per la definizione di queste controversie non sono facilmente comprensibili: è possibile
che il fenomeno possa essere attribuito allincidenza dellaccertamento
medico-legale, che sfugge in larga misura al controllo del giudice. Il dato, comunque,
dimostra la necessità di una riforma processuale e sostanziale specificamente rivolta a
questo settore del contenzioso che, in larga misura mi riferisco alle cause genericamente definibili di invalidità
presenta spesso caratteri più propri di un accertamento tecnico garantito che di
una cognizione giurisdizionale. In questo medesimo settore, poi, vi è stato di recente un
caotico accavallarsi di riforme legislative che hanno reso più complicati e incerti i
giudizi, moltiplicandoli e rendendone più difficile la gestione.
Sono state
attuate riforme processuali del contenzioso
del lavoro e della previdenza che ancora richiedono di essere verificate ed altre ancora
ne vengono continuamente ipotizzate. In
generale si tende provvidamente, in questi progetti normativi, a favorire la composizione
o la definizione stragiudiziale delle controversie mediante la valorizzazione di procedure
conciliative oppure il rafforzamento delle procedure amministrative o arbitrali.
Non ci si può
nascondere peraltro che la legge sul processo del lavoro del 1973 aveva
previsto specifiche procedure di conciliazione, anche al fine di alleggerire il carico di
lavoro giudiziario, oltre che nell'intento di agevolare metodi di composizione delle
controversie più gestibili dalle parti sociali e più consoni a rapporti che erano
destinati a continuare anche dopo la definizione della controversia. Previsioni che però
non hanno avuto conferma nei risultati ottenuti e anzi è elevatissimo il numero di
controversie che invece vengono conciliate davanti al giudice del lavoro. I procedimenti in materia di famiglia.
Separazioni personali. Divorzi Anche questanno sono in netta progressione i ricorsi per
separazione personale e per scioglimento del vincolo matrimoniale. Il che riflette il
profondo mutamento sociale di questi ultimi
decenni e il crescente aumento delle crisi dei matrimoni. E un dato che viene riferito
da tutti i Procuratori generali e che desta
preoccupazione, ove si tenga conto che il segnale di crisi coinvolge soprattutto famiglie di recente formazione, a conferma
di una precarietà
affettiva che è spesso il portato di una precarietà economica , con effetti di
pesante ricaduta nei confronti dei minori, specie nelle situazioni culturalmente più
degradate. Va segnalato il ruolo promozionale svolto
in materia dalla giurisprudenza dei giudici di legittimità e di merito, cui si deve una particolare attenzione nella tutela del soggetto economicamente più
debole. Si è andato infatti consolidando lorientamento secondo il quale i genitori sono tenuti a
concorrere al mantenimento dei figli anche dopo il raggiungimento della maggiore età degli
stessi, salvo a fornire la prova che il
mancato svolgimento di unattività economica sia
dovuto ad inerzia o a rifiuto ingiustificato, da valutare secondo criteri di relatività. In tale direzione si muove anche il recente orientamento che ha
consentito una forte accelerazione dei tempi
necessari per
ottenere la pronuncia di divorzio, avendo affermato lautonomia della
domanda di separazione rispetto alla richiesta di addebito, sicché è ora possibile
chiedere il divorzio anche in pendenza della
causa relativa alladdebito. La giustizia minorile in materia civile
La giustizia civile minorile
rappresenta un settore nel quale la società esprime una domanda di giustizia in continua
espansione e che non sempre riesce ad ottenere
una risposta adeguata a causa della fragilità
del sistema delle strutture di protezione del
minore. La carenze dei servizi sociali territoriali, la difficoltà di
reperire al proprio interno figure professionali qualificate per
lespletamento delle delicate indagini da
svolgere, in particolare nel settore delle adozioni, nonché la carenza di comunità di
accoglienza o di strutture similari, non consentono ai tribunali per i minorenni di far fronte adeguatamente ai problemi relativi al
maltrattamento e allabuso dellinfanzia,
così come al disagio e al disadattamento
adolescenziale. Deve aggiungersi che la
frammentarietà delle competenze
tra giudice ordinario e giudice minorile, in particolare in
materia di provvedimenti che incidono sullesercizio della potestà
genitoriale, oltre ad essere fonte di confusione per
lutente, costituisce un ulteriore
elemento di irrazionalità del sistema, con una conseguente
moltiplicazione dei ricorsi in un settore in
cui la delicatezza dei temi in discussione e lincidenza dei
provvedimenti adottati sulle condizioni di vita del minore
suggerirebbero concentrazione delle
competenze, unitarietà dellintervento e specializzazione degli operatori. Il settore minorile necessita dunque di servizi professionalmente
qualificati e presenti sul territorio, nonché di strutture di sostegno in grado di far fronte ai fenomeni del disagio e della
marginalità dei minori; fenomeni amplificati dallenorme aumento della immigrazione
clandestina di minori non accompagnati, che determina una situazione di generale emergenza
assistenziale. I più recenti interventi legislativi
non hanno migliorato il quadro normativo di riferimento, al di là delle
intenzioni del legislatore. La legge n. 149/2001, in ossequio
al principio costituzionale del c.d. giusto processo introdotto con la
modifica dellart. 111 della Costituzione, ha
strutturato il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità come procedimento di parte, assegnando al P.M. un ruolo
fondamentale e introducendo la difesa di ufficio; una innovazione radicale ed incisiva, diretta a recuperare pienamente la terzietà del giudice, ma
che con successivi decreti legge è stata congelata fino al 30 giugno 2003 per problemi di
coordinamento con la legge sul patrocinio dei non abbienti e in attesa di una compiuta
disciplina sulla difesa di ufficio. Anche la nuova disciplina dellart. 333 del codice civile,
introdotta dalla legge n. 149/2001 e non ancora in vigore, necessita di un coordinamento
con la legge n. 154/2001, contenente misure contro la violenza nelle relazioni
familiari, al fine di evitare pronunce del giudice minorile contrastanti con quelle
del giudice ordinario. Infine, nonostante lentrata in vigore della legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (legge n.
328/2000), tutti i Procuratori generali hanno denunciato la carenza dei servizi sul
territorio. Il che, oltre a rendere difficoltoso il lavoro giudiziario, sovente ne
vanifica gli effetti. Un breve cenno va fatto al disegno di legge di iniziativa governativa
n. 2517/C in materia di diritto di famiglia e dei minori, che affronta i problemi della
giustizia minorile mediante la soppressione delle competenze civili del tribunale per i
minorenni (adozioni interne e internazionali, interventi sulla potestà dei genitori,
affidamento dei figli naturali) e il
trasferimento delle medesime al tribunale ordinario con istituzione, a organico invariato,
di una sezione specializzata composta di soli giudici togati. Il tribunale per i minorenni
verrebbe mantenuto, con riduzione dei componenti onorari, per lesercizio delle sole
funzioni penali. Liter dei lavori parlamentari una volta superata lemotività
determinata da gravi fatti di cronaca - sembra peraltro rispondere allesigenza di una riflessione
più ampia, che faccia perno sulla necessità di intervenire unitariamente
nel settore civile e penale. Pur senza entrare nel merito delle scelte di competenza del legislatore, la unificazione
delle competenze in materia di minori e famiglia appare obiettivo condivisibile, ma
altrettanto auspicabile appare il mantenimento in capo ad un solo organo delle competenze
civili e penali, per larmonizzazione degli interventi rivolti al recupero del minore
deviante. E auspicabile altresì il mantenimento della componente
onoraria, in considerazione dellapporto diretto e dialettico degli esperti nella
trattazione e nella decisione di cause che richiedono saperi extragiuridici per una soluzione
che sia la più aderente allinteresse del minore, nonché lintroduzione di
regole puntuali in materia di diritto di difesa, di garanzie processuali e di ragionevole durata del processo. ***** Nellattuale quadro ordinamentale
e processuale, lattività dei tribunali per i minorenni si segnala per lenorme
carico di lavoro svolto in materia di adozioni e di provvedimenti limitativi o
ablativi della potestà genitoriale. I nuovi adempimenti imposti dalla legge
476/1998, quale laudizione diretta e la valutazione delle coppie
aspiranti alladozione internazionale, hanno creato
problemi nellespletamento delle procedure,
a causa della mancanza di personale specializzato presso i Servizi territoriali. Generalmente, nelle relazioni dei Procuratori generali si segnala una
scarsa preparazione dei coniugi in ordine ai problemi
e alle difficoltà connesse allintroduzione nelle famiglie italiane di minori di
diversa cultura, spesso con passato traumatico o costituito
da lunga istituzionalizzazione. Per tutti i
tribunali per i minorenni i dati evidenziano lassoluta prevalenza delle adozioni
internazioni rispetto a quelle nazionali. Laffidamento eterofamiliare,
diretto a tamponare situazioni di temporaneo
disagio e di carenze nella famiglia di
origine, non ha dato risultati soddisfacenti. Il numero dei provvedimenti di affidamento
è contenuto,
al Nord come al Sud del Paese.
Il che è da attribuire presumibilmente alla mancanza di una effettiva cultura della
solidarietà e alla difficoltà di gestire rapporti affettivi concorrenti in vista del
rientro del bambino in famiglia. Va segnalata la delicata attività svolta dalle procure presso i tribunali per i minorenni nei riguardi di
minori vittime di violenze e maltrattamenti, in stretto collegamento con la procura
ordinaria, titolare del procedimento penale contro lautore delle violenze che non sia minore di età. Da non trascurare anche lintervento della
giustizia minorile in ordine allevasione
dellobbligo scolastico, che ha dato luogo come nel distretto di Palermo
a forme di collaborazione con il Provveditorato agli studi per un controllo capillare sui minori inadempienti e sui loro nuclei
familiari, al fine di rimuovere le cause di dispersione scolastica e di evidenziare
situazioni di rischio che superano le stesse problematiche della evasione dellobbligo
scolastico. Infine va segnalato che il crescente numero di matrimoni fra italiani
e cittadini stranieri ha reso più frequente lapplicazione delle convenzioni
internazionali in materia di affidamento dei
figli minori.
L A
G I U S T I Z I A P
E N A LE Flussi quantitativi e dati statistici Per una corretta analisi dello
stato della giustizia penale, prima ancora di esaminare gli aspetti generali e poi quelli
particolari, conviene avere conoscenza dei
flussi quantitativi riguardanti i procedimenti penali, in relazione allandamento
della criminalità che ad essi dà origine, e la tipologia dei provvedimenti che li
definiscono. I dati statistici relativi ai procedimenti penali nel periodo 1°
luglio 2001 30 giugno 2002 evidenziano una riduzione delle sopravvenienze
rispetto al corrispondente periodo anteriore, essendo le stesse passate da 6.254.041 a
5.964.463. E così proseguita una linea di tendenza già emersa lo scorso anno. Per
contro, risulta negativo il dato concernente i
procedimenti definiti, che ha subito una consistente contrazione: da 6.223.066 al 30
giugno 2001 a 5.858.526 al 30 giugno 2002. Con
la conseguenza che le pendenze totali hanno subìto un ulteriore incremento: 5.721.653 rispetto a 5.512.692 dellanno
precedente (+3,8%). Si tratta di un dato nazionale che deve essere valutato con molta
prudenza in quanto sconta anche situazioni emergenziali verificatesi a livello locale. Lesame
delle relazioni dei Procuratori generali evidenzia che, a fronte di numerosi uffici con
situazioni sostanzialmente analoghe all'anno precedente, si registrano anche dati
incoraggianti in taluni importanti distretti, con pendenze in diminuzione rispetto al
precedente periodo, per essere stati gli affari eliminati in numero superiore a quello
(pur sempre cospicuo) degli affari sopravvenuti. Vi è chi comincia a parlare di
"netto e progressivo miglioramento" (Palermo), col venir meno, in parte, delle
deficienze e degli inconvenienti verificatisi negli anni precedenti, pur permanendo
insoddisfacente la situazione complessiva. Altri significativi elementi di valutazione si possono desumere dai
dati riguardanti gli esiti dei procedimenti, con la relativa tipologia, portati alla
cognizione del giudice, limitatamente tuttavia alle fasi delle indagini preliminari e del
giudizio di primo grado (mancano quelli relativi allappello, mentre per il giudizio
di cassazione se ne riferirà allorché si parlerà di tale organo). Emerge da tali dati che, nel periodo considerato,
presso gli uffici del GIP si sono avuti 2.015.355 decreti di archiviazione (-6,20%) e
8.936 sentenze di non luogo a procedere
(-14,77%). Di contro si sono avuti 28.869 decreti che dispongono il giudizio (-3,80%),
60.680 decreti di condanna divenuti esecutivi (-17,60%),
12.394 sentenze a seguito di giudizio abbreviato (+20,84%) e 27.625 sentenze di
patteggiamento (+6,72%). Presso i
tribunali, invece, si sono avute 55.666 sentenze di proscioglimento e assoluzione
(-6,62%), 9.253 sentenze promiscue (-18,04%) e 146.329 sentenze di condanna, di cui 51.666
di patteggiamento (+7,02%). Complessivamente,
nei due uffici, i procedimenti esitati nei quali è stata esercitata lazione penale
sono stati 543.200, mentre le sentenze di non luogo a procedere, di proscioglimento e di
assoluzione sono state 64.602 (11,89%). Tenuto
conto tuttavia che taluni esiti non sono rigorosamente classificati come condanne o come
proscioglimenti (sentenze promiscue e sentenze pronunciate a conclusione di giudizio
abbreviato), il rapporto percentuale fra le seconde ed i primi può ritenersi attestato
intorno al 15%. Come si vede e ove si
consideri che tra i proscioglimenti vengono conteggiate anche le sentenze applicative di
una causa di estinzione del reato o della depenalizzazione una percentuale del tutto fisiologica, che dimostra
e conferma lesercizio prudente dellazione penale. A questi dati vanno aggiunti
gli esiti dei giudizi nelle successive fasi dimpugnazione, spesso conseguenti a
eventi maturati solo nel prosieguo del giudizio. Merita piuttosto di essere segnalato il generalizzato decremento di
produttività che tali dati evidenziano, con punte particolarmente significative per i
decreti di condanna divenuti esecutivi (-17,60%) e per le sentenze promiscue (-18,04%).
Relativamente ai primi, poiché il dato statistico prende in considerazione i soli decreti
divenuti esecutivi, cioè quelli per i quali non vi è stata opposizione da parte dellimputato,
tale contrazione potrebbe trarre origine più che da un minor ricorso a siffatto tipo di
procedimento da parte dellautorità giudiziaria, da un più esteso rifiuto dello
stesso ad opera della parte privata, che si manifesta con lopposizione. Consistente è, invece, lincremento dei procedimenti definiti
con il giudizio abbreviato (+20,84%) e con il patteggiamento (+6,72%) davanti al GIP; ove
si tenga conto anche dei procedimenti definiti con questultimo rito davanti al
tribunale, si ha un dato particolarmente significativo:
91.685 procedimenti (pari al 14,69% di quelli nei quali è stata esercitata
lazione penale) sono stati definiti con tali riti speciali. E ancora poco per sperare
che il loro utilizzo possa dare un contributo decisivo alla risoluzione dei problemi
derivanti dalla eccessiva durata dei processi. Perché
il ricorso ad essi sia ulteriormente potenziato è necessario por mano a riforme
legislative che ne agevolino la ulteriore diffusione. Non, forse, per quanto riguarda il
giudizio abbreviato (che è stato già oggetto di una radicale ma discussa riforma con la
legge 16 dicembre 1999 n. 479), della cui
effettiva utilità da molti si dubita per le ragioni che saranno più oltre indicate e che comunque non sembra suscettibile di ulteriori
interventi; ma piuttosto per quanto riguarda il
patteggiamento, del quale, lasciando immutata lattuale strutturazione
procedimentale, potrebbe essere esteso lambito di operatività, come da più parti
e anche da questo Ufficio nelle precedenti relazioni - auspicato, mediante un ulteriore ampliamento del limite
massimo di pena detentiva (attualmente di soli due anni) entro il quale può ad esso farsi
ricorso. Tali auspici sono stati di recente accolti dal legislatore. La Commissione
Giustizia della Camera dei deputati, infatti, il 3 luglio 2002 ha approvato in sede
deliberante il d.d.l. n. 1488 (risultante dalla riunficazione di tre d.d.l.), il quale
prevede il patteggiamento per pene fino a cinque anni di reclusione. Quanto alla durata dei processi, i dati statistici elaborati dal
Ministero della Giustizia evidenziano che, a fronte di una riduzione della durata media
della fase del giudizio di merito, che per i tribunali è stata particolarmente rilevante,
essendo passata da 371 a 322 giorni, vi è stato un consistente aumento della durata media
della fase precedente. Tale incremento è
dovuto, prevalentemente, alla dilatazione temporale della durata dei procedimenti davanti
agli uffici del GIP (da 194 a 261 giorni), originata da una consistente riduzione dei
procedimenti esauriti (-9,2%) e non compensata dalla contrazione delle sopravvenienze
(-6,5%). Il che ha determinato, altresì, un
incremento delle pendenze (del 27,6%). Nellinsieme, ove si ipotizzi un procedimento che si snodi nelle
fasi delle indagini preliminari, delludienza preliminare, del giudizio di primo
grado in tribunale ed in quello di appello, la sua durata media è di 1509 giorni,
rispetto ai 1490 giorni del periodo 1° luglio 2000 30 giugno 2001. I tempi effettivi sono ancora più lunghi. Quelli
riferiti, infatti, tengono conto solo del lasso temporale
che intercorre tra il momento in cui un procedimento è incardinato in un determinato
ufficio e quello in cui viene adottato il provvedimento che definisce la relativa fase;
non anche del tempo necessario perché il fascicolo pervenga al giudice della fase
successiva. I dati sullattività del giudice di pace, per il limitato
periodo preso in considerazione (il primo semestre del 2002; infatti è divenuto
competente anche in campo penale dal 2 gennaio 2002), non consentono di esprimere alcuna
seria valutazione. Lauspicio è che, una volta divenuto pienamente operativo, tale
organo possa alleviare il lavoro dei giudici
professionali e contribuire a ridurre la durata dei processi. La perdurante crisi del processo penale A distanza di un anno, sono ancora valide tutte le osservazioni e le
considerazioni fatte nella relazione del 2002, al di là di quanto potrebbe desumersi dai
dati statistici ora riportati - alcuni
negativi, altri positivi, altri ancora poco significativi -
tutti sostanzialmente confermativi della situazione precedente. In assenza di riforme di sistema, preannunciate ma
non ancora approvate, è possibile anzi valutare meglio lo stato della giustizia penale ed
esaminare il quadro generale e anche taluni aspetti particolari del diritto penale
processuale e sostanziale. Si era parlato, un anno fa, di processo malato, di crisi del
processo. Questa certamente perdura. Si può anzi, in modo secco, affermare, che il
processo penale oggi ancora non funziona. Ormai tutti - studiosi, operatori di giustizia, parti private - sono daccordo credo, su questa conclusione.
Il susseguirsi, in questi ultimi anni, di riforme mal coordinate e prive di disegno
unitario, ma soprattutto lintroduzione di un numero eccessivo di pretese garanzie,
ha determinato una situazione alla quale occorre al più presto porre rimedio con riforme
ispirate a esigenze di sistema, senza tener conto eccessivo di interessi di categoria e
senza indulgere a compromessi o cedimenti. Lintroduzione del parametro costituzionale del giusto processo
impone di modulare le riforme per assicurare il pieno rispetto del contraddittorio dinanzi
ad un giudice imparziale tenendo conto dellesigenza, di pari dignità
costituzionale, di assicurarne la ragionevole durata.
Il processo penale ha bisogno di garanzie, ma lesigenza di rispettare
i tempi di durata ragionevole impone di
sfrondarlo da garanzie ridondanti. Il nostro
processo penale è frutto di questa travagliata alternativa tra garanzie ed efficienza,
che non ha ancora trovato il punto di equilibrio. Nella nostra Costituzione i due principi fissati nellart. 111
forniscono una chiara direttiva al legislatore ordinario su entrambi i versanti, imponendo
di coordinarne e contemperarne le diverse finalità, ma tenendo presente che la
ragionevole durata del processo non è solo una esigenza di sistema ma un diritto
fondamentale del cittadino al pari di quello alle garanzie nel processo, per di più
tutelabile in sede comunitaria e fonte di responsabilità per gli Stati membri dellUnione
europea. Questo potrebbe comportare il controllo di legittimità costituzionale delle
leggi di garanzia se formulate in modo da impedire il rispetto dellaltro principio.
Tutto ciò indurrebbe a escludere - ma il
giudizio in proposito spetterà ovviamente alla Corte Costituzionale - che, dei due principi, luno sia
immediatamente operativo e laltro meramente
programmatico. E tale prospettiva ha
probabilmente indotto il legislatore a espandere le garanzie processuali, senza
considerarne gli effetti sulla durata del processo. Certo è però che la Commissione
europea, nel rilevare lenorme numero di controversie proposte a causa della
violazione del diritto fondamentale alla durata dei processi ci impone ora di adeguare il
nostro ordinamento a tale esigenza e quindi di contemperare appunto i due su ricordati
princìpi, al fine di evitare condanne comunitarie non più solo sui danni ai singoli ma
per inottemperanza alla prescrizione di varare riforme adeguate di sistema che evitino
ulteriori lesioni. I problemi del processo penale. Le varie disfunzioni Se il processo penale in Italia non funziona e se ha in tanti casi
durata eccessiva, esistono evidentemente ragioni precise e bene individuabili. Storicamente il processo penale, sotto qualsiasi latitudine, ha avuto
sempre un centro unico: o il centro era linvestigazione (processo inquisitorio) o il
centro era il dibattimento (processo accusatorio). Il nostro processo penale è un
processo a più centri di gravità autonomi: lindagine e il giudizio. Si tratta di
una realtà davvero particolare, che produce effetti difficilmente comprensibili: gli atti
di indagine, in generale, non valgono per il dibattimento (e questo è coerente con la
logica di un processo accusatorio). Però, le garanzie del dibattimento e i criteri di valutazione della prova in esso
operanti sono stati estesi dal dibattimento
alle indagini preliminari (e questo è assolutamente dissonante con la logica
accusatoria). Lindagine preliminare si sta progressivamente modellando sulle forme
del giudizio. Ludienza preliminare si è, di fatto, sostanzialmente trasformata in
un dibattimento anticipato e il decreto di rinvio a giudizio è, di fatto, diventato un
giudizio di responsabilità sulla base dellistruttoria compiuta. Il principio del contraddittorio si è poi espanso ben oltre la
previsione costituzionale. Esso si è pervasivamente insediato in ogni angolo del
procedimento penale. La logica che muove tale espansione sembra essere questa: il
procedimento penale non viene più visto come una indagine in funzione di un giudizio,
bensì come una serie di giudizi provvisori e parziali che anticipano il giudizio finale.
Così abbiamo un giudizio sullinazione (archiviazione), un giudizio sui tempi dellazione,
un giudizio sulle modalità dellazione (misure cautelari personali e reali), un
giudizio sulla completezza delle indagini e sul fondamento dellazione (udienza
preliminare). In questo modo, mentre lindagine difensiva rimane un territorio
riservato della difesa, lindagine del pubblico ministero tende ad essere una
indagine in contraddittorio con le parti e sotto il costante controllo del giudice. Tutto
questo avrebbe senso se le prove raccolte nel corso dellindagine valessero per il
giudizio. Ma, come si è detto, questo non avviene nel nostro processo. Pertanto, lindagine
preliminare ha perso il suo significato tradizionale, sia nella prospettiva accusatoria,
sia in quella inquisitoria. E una indagine ancora alla ricerca di un senso. La sovrapposizione di indagine e giudizio, la confusione di strutture
e funzioni è la inevitabile conseguenza di un processo a più centri. E necessario
che il legislatore scelga un centro di gravità per il processo. Le scelte incompiute
producono diseconomie e irrazionalità. In particolare, esaminando le singole disfunzioni, si possono fare le
seguenti considerazioni. 1) Per quanto riguarda la garanzia del contraddittorio, la
Costituzione ne prescrive il rispetto nel giudizio e, comunque, nella formazione della
prova. Nel nostro processo il contraddittorio si è esteso non solo dal giudizio allinchiesta
preliminare, come si è visto, ma anche dagli atti di prova a quasi tutti gli atti di
indagine. Non solo. Il contraddittorio è stato inteso nella sua massima espansione
concettuale, così da dar luogo quasi sempre ad un procedimento incidentale che può
giungere fino in cassazione. Ora, è difficile immaginare come possa avere una ragionevole
durata un processo in cui ogni atto può generare un microprocesso, che richiede avvisi,
notifiche, discussioni, deliberazioni e consente ripetute impugnazioni. In questa prospettiva prevedere sospensive del procedimento di
cognizione in attesa della definizione del procedimento incidentale costituirebbe un colpo
esiziale alla ragionevole durata del processo. Un recupero di efficienza del processo impone di porre un argine
normativo alla proliferazione dei procedimenti incidentali, un filtro rigoroso alla loro
ammissibilità, forme semplificate quanto alla decisione e una barriera di preclusioni
alla loro impugnazione. 2) I riti differenziati
sono stati ideati proprio per favorire lefficienza del processo e
accorciarne la durata. I dati statistici
dianzi richiamati evidenziano che lobbiettivo perseguito non è stato raggiunto; in
ogni caso, ad esso certamente risponde
il patteggiamento, ma è dubbio che vi risponda il giudizio abbreviato. Invero, il principio di ragionevole durata del processo implica che
si deflazioni il dibattimento senza però allungare lindagine preliminare.
Altrimenti, si determina soltanto una diversa allocazione dellinefficienza. Lindagine preliminare doveva avere la sola funzione di
raccogliere le informazioni probatorie necessarie e sufficienti per decidere se andare a
giudizio o archiviare. Essa era, appunto, preliminare nella funzione e nella struttura. I
tempi legali dellindagine erano commisurati a questo scopo. Ma un giudizio
abbreviato su dati probatori incompleti non garantiva né il diritto dellimputato ad
un giusto processo, né il diritto della società ad un accertamento veridico del reato.
Il giudizio abbreviato per funzionare postulava una completezza delle indagini. Di qui lo
snaturamento dellindagine preliminare: adesso ogni indagine, per qualsiasi reato, al
fine di consentire il giudizio abbreviato, è diventata completa e capillare. Nel caso
ciò non bastasse, una integrazione probatoria può avvenire nel corso del giudizio
abbreviato stesso. In questo modo tale giudizio è diventato
un processo nel processo. Va aggiunto: un processo inquisitorio conficcato nel cuore del
processo accusatorio. Il giudizio abbreviato va, dunque, rimeditato,
ponendosi anche il problema del suo mantimento nel vigente sistema processuale.
Esso rompe il rapporto penalistico pena-reato perché consente enormi sconti di pena (fino
a dieci anni) proprio nei casi di reati più gravi, senza che il giudice possa sindacare
la congruità della pena rispetto al caso concreto. Inoltre, altera lequilibrio tra
le parti, dal momento che tale giudizio costituisce un diritto potestativo dellimputato,
cui il pubblico ministero non può opporsi. Non giova alla
ragionevole durata del processo perché, se dà sollievo alla fase del dibattimento,
appesantisce fortemente la fase delle
indagini. E quanto si è verificato nel nostro sistema giustizia.
I dati statistici confermano tale valutazione: nellultimo periodo, a fronte di una
riduzione di quarantanove giorni della durata media del giudizio di primo grado vi è
stato un aumento della durata delle indagini preliminari e della fase davanti al giudice
della udienza preliminare di settantasei giorni; il saldo, come si può constatare, è
negativo in termini di tempo del processo. Se poi si considera che il giudizio abbreviato
viene chiesto dallimputato nei casi in cui più alta è la probabilità di condanna, cè da chiedersi se il costo non sia sproporzionato rispetto allutile.
Più funzionale agli scopi dianzi richiamati
sarebbe un ampliamento dei limiti del patteggiamento. In tale
direzione, come si è già detto, si sta opportunamente movendo il legislatore.
3) Le continue interferenze fra procedimenti
incidentali e procedimento principale e tra questo e i procedimenti differenziati ha
creato un groviglio di situazioni di incompatibilità del giudice che, a loro volta,
alimentano nuovi procedimenti incidentali e nuove disfunzioni del procedimento principale. Non è razionale un
modello di procedimento penale che genera 4) Il principio di garanzia ha portato ad
una proliferazione di situazioni di inutilizzabilità di prove e di invalidità di atti.
Il processo penale è ormai diventato un contorto e accidentato sentiero, disseminato di
ostacoli. Eppure, in una visione moderna del processo penale le forme
processuali andrebbero tutelate non per il loro aspetto ritualistico, ma per la loro
funzione obbiettiva. Dove latto non lede garanzie e raggiunge il suo scopo, la
invalidità non dovrebbe operare. Il principio costituzionale di ragionevole durata del processo
dovrebbe in questo campo portare alla rielaborazione anche normativa della categoria delle
invalidità, in modo da valorizzarne la dimensione funzionalistica e la
lesività in concreto. Ad esempio, non credo sia davvero razionale che leventuale inosservanza del termine
iugulatorio di dieci giorni per la trattazione e decisione dellistanza di ammissione
del patrocinio a spese
dello Stato determini la nullità assoluta dellintero processo, nullità che, ovviamente, verrà spesso dedotta solo in fase di ricorso per
cassazione. A questultimo proposito non può non rilevarsi che allelevatezza
degli ideali che ispirano la disciplina della difesa dufficio e del patrocinio dei
non abbienti fa in generale riscontro, nella pratica, un notevole esborso a carico dellerario,
senza che i risultati in termini di garanzia sostanziale ed effettiva del diritto
di difesa possano davvero definirsi soddisfacenti. Nella stessa prospettiva occorrerebbe porre un
freno alla proliferazione di forme innominate di inutilizzabilità, che hanno un effetto
deleterio sulla
capacità del processo di provare i fatti. 5) La tensione tra i
principi costituzionali garanzie-ragionevole durata del processo trova il suo epicentro
nel dibattimento. In via generale, può osservarsi che
il principio della ragionevole durata del processo dovrebbe portare anche ad
una più rigorosa deontologia dei comportamenti processuali, che vieti pratiche
ostruzionistiche: poteri e garanzie devono servire nel processo e per il processo, non
contro il processo. Spesso si ascoltano nei dibattimenti, da parte del P.M., requisitorie
che vanno al di là delle esigenze della discussione o, da parte della difesa,
prospettazioni di eccezioni o richieste manifestamente pretestuose e consapevolmente
destinate a seminare ragioni di impugnazione, per dilatare la durata del giudizio. La struttura portante del nostro processo è segnata dal principio
della discontinuità del dibattimento rispetto alle indagini preliminari. Le prove
raccolte nellindagine preliminare non valgono per il dibattimento. Qui tutto deve
ricominciare daccapo. Al riguardo è da dire che la strada seguita dal legislatore
ordinario, mentre è autorizzata (ma non imposta) dal principio costituzionale del
contraddittorio, sembra però poco consonante col principio di ragionevole durata. Invero, la scelta di azzerare le prove dichiarative precedentemente
raccolte è una scelta radicale, che è comune a pochi ordinamenti processuali nel mondo e
che, comunque, destina il processo a tempi inusitatamente lunghi. Non si comprende davvero
a cosa serva una indagine preliminare presidiata ad ogni passo da garanzie, se poi nulla
di quello che vi è stato raccolto può valere come prova nel dibattimento. La prova dichiarativa e il diritto al silenzio dellimputato
andrebbero ripensati. La distinzione tra dichiarazioni sul fatto proprio e dichiarazioni
sul fatto altrui, in astratto chiara, in concreto è sfuggente e dà luogo a conflitti
endoprocessuali, con problemi di inutilizzabilità che si possono trascinare fino in
cassazione. Probabilmente è la logica del giudizio penale che è entrata in
crisi. Libero convincimento del giudice e motivazione delle sentenze non sono più sentiti
come garanzie di un corretto giudizio. Questa sfiducia nel giudice affiora sempre più
nella legislazione processuale, che tende a chiudere gli spazi di discrezionalità
decisoria. In questa prospettiva vanno lette quelle disposizioni normative che fissano un metodo legale di valutazione
probatoria, o prevedono casi di inutilizzabilità della prova. 6) Altro momento critico del nostro processo è il regime delle
impugnazioni. La logica del codice è quella del controllo totale: ogni provvedimento del
giudice o anche del pubblico ministero deve essere sottoposto a controllo. In questo modo,
accanto ai tradizionali mezzi di impugnazione nei confronti delle sentenze, sono germinate
numerose forme di riesame, opposizione, reclami, che danno luogo a procedimenti in camera di consiglio, che a loro
volta innescano un regime di impugnazione. Questo sistema certamente non giova ad un obbiettivo di ragionevole
durata del processo. Ma appare anche
dissonante con il modello di processo che il legislatore ha in mente. Innanzitutto, lidea che la sentenza di secondo grado sia più giusta (cioè, contenga un accertamento più
veridico) di quella di primo grado è un postulato normativo, ma non ha alcuna evidenza
logica. Inoltre, allorché i due accertamenti sono radicalmente
incompatibili, è evidente lo sconcerto dellopinione
pubblica e la sfiducia nelloperato dei giudici, anche se rientra nella fisiologia
dei sistemi improntati al principio del doppio grado di merito. Tale sistema di controlli progressivi è coerente con un modello di
accertamento del fatto compiuto unilateralmente da poteri pubblici. Ma non appare più
coerente in un processo di parti, in cui la ricostruzione del fatto avviene attraverso
apporti informativi delle parti in contraddittorio. Le impugnazioni vanno riviste sotto una triplice direttiva: a)
limitazione della legittimazione ad impugnare gli atti del procedimento principale di
cognizione; b) limitazione dei motivi di impugnazione, evitando in particolare lautomatismo
processuale per cui ogni eccezione non accolta diventa motivo di impugnazione; in questa prospettiva potrebbe essere affrontato anche il problema delle
impugnazioni del pubblico ministero, escludendo dalle censure proponibili quelle incidenti
direttamente o indirettamente sul trattamento sanzionatorio o relative ai c.d. benefici di legge; c) limitazione dei provvedimenti impugnabili,
con riguardo soprattutto a quei provvedimenti endoprocessuali che non incidono sui diritti
di libertà e che hanno un breve respiro temporale. Questa rapida ricognizione dei molteplici
problemi del processo penale ci riporta al punto di origine: occorre trovare una
mediazione fra i principi di garanzia e di ragionevole durata, i quali invece ora operano
come vettori di forze in direzioni opposte. Se non si danno tempi ragionevoli al processo, la funzione
giurisdizionale lavora a vuoto. In questo modo, accanto al mistero del processo, si crea
il paradosso del processo: da un lato, il processo viene caricato di sempre più funzioni
(pensiamo, per esempio, alla sempre più espansa funzione del processo diretta a colpire la dimensione economica del reato
attraverso la confisca), dallaltro lato, esso si dimostra sempre meno in grado di
assolvere le sue funzioni tradizionali (funzione di accertamento del reato e di
adeguamento della pena alla colpevolezza). Non è un caso che la
valutazione della personalità del reo e la reale determinazione della pena Davvero spinoso è il problema delle garanzie. Che il processo penale
soffrisse di un deficit di garanzie è una constatazione incontroversa. Anzi, fu proprio
tale constatazione il principale impulso alla codificazione di un nuovo processo penale.
Ma quello che va sottolineato è che questa spinta alle garanzie non risponde ad un
progetto coerente di modello processuale. Ci sono garanzie tipiche Occorre essere consapevoli che in questa sovrapposizione di garanzie
si nascond E difficile pensare che un siffatto processo possa definirsi
giusto processo. I problemi del diritto penale sostanziale Una giustizia migliore implica non solo un processo più giusto, ma
anche un diritto penale più giusto. Un giusto processo che applichi un diritto avvertito
come irrazionale o iniquo dalla collettività non rende credibile la giustizia. Così come
non rende più credibile la giustizia un diritto penale aderente alle effettive esigenze
di difesa della collettività e condiviso, ma applicato in un processo penale sperequato e
imprevedibile. Il diritto e il processo penale devono ottenere il consenso della collettività, altrimenti lamministrazione
della giustizia è destinata alla ineffettività; anzi, finisce col generare
conflittualità sociale, anziché risolverla. La giustizia penale oggi deve fronteggiare non solo una sfiducia nel
processo ma, prima ancora, una sfiducia nel diritto penale, che è ridondante di fattispecie, le quali poi
sovraccaricano il processo penale, inceppandone i meccanismi perché troppo numerose e di
difficile accertamento. E linefficienza del processo penale rende inefficace il
diritto penale; anche nei casi in cui una risposta giudiziaria è fornita alla
collettività in tempi ragionevoli. Abbiamo un codice penale fermo a settanta anni fa
(al riguardo è assai viva lattesa per la conclusione dei lavori dellapposita
commissione ministeriale incaricata nel novembre del 2001 di predisporre un progetto
organico di riforma di tale codice) e una legislazione penale complementare in
continua espansione. Nelle società dinamiche come la nostra i beni e i valori subiscono
continui mutamenti nella coscienza sociale, che crea nuovi valori Nella società contemporanea è cresciuta linsicurezza e si
moltiplicano sia le occasioni, sia il tipo di aggressione alla nostra sfera di libertà.
Sono in crisi la famiglia, la scuola, letica sociale. Per fronteggiare questa
realtà la politica criminale produce incessantemente nuove fattispecie penali. Tutto questo rischia di
creare un vistoso cambiamento nelle strutture del diritto penale. Non più poche
fattispecie di reato che rispecchiano condotte ben definite e
realmente temibili, ma una proliferazione Linflazione di
norme penali porta, a lungo andare, ad una perdita di autorità delle stesse. E illusorio
pensare che tutti i problemi possano essere risolti con leggi
penali. Occorre comunque considerare che queste non sono a costo zero. Esse hanno costi di attuazione. Basta pensare allimpatto
sulle strutture investigative e processuali. Se non si affrontano questi costi, le leggi
penali rimangono sulla carta, si riducono a legislazione simbolica.
Accanto alla criminalità tradizionale delle figure di reato
contemplate dal codice penale (tra esse compresi anche i c.d. reati bagatellari), prendono
consistenza figure minori di illecito, che danno vita alla sempre
più vasta area della criminalità c.d. da strada Cè poi larea,
non meno temibile e pervasiva, della criminalità economica, che comprende tutto il
settore dei reati fiscali, societari e fallimentari. Cè infine una
terza area, quella della criminalità organizzata. In una società ben ordinata essa
dovrebbe rappresentare un fenomeno marginale. Invece,
essa è diventata unarea invasiva, che paradossalmente rappresenta, sotto il profilo
criminologico, unarea di raccordo fra le prime due
In questa prospettiva appare forse preferibile perseguire i princìpi della certezza e della
prontezza della sanzione piuttosto che quello di una severità indifferenziata. Allo stesso modo non è
pensabile che la risposta ai gravi fenomeni del nostro tempo sia data solo dal diritto
penale. Il diritto penale non può tutto, anzi a volte può davvero poco. Appare pertanto opportuno, in aree determinate, un
agire integrato di strumenti penalistici e di strumenti civilistici e amministrativi,
purché nel loro insieme rispondano a criteri di efficacia e di proporzionalità.
Rincresce, per esempio, che la prassi abbia finora poco valorizzato uno strumento
normativo incisivo come la responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche. Questo diritto penale
disgregato provoca scetticismo e produce inefficienza e incertezza. Tra i rimedi possibili per dare ordine al sistema, il più importante
resta quello di una seria depenalizzazione. Il sovraffollamento di norme genera un eccesso
di reati e un eccesso di processi. Si invoca allora una maggiore depenalizzazione, che
però viene vista in una prospettiva, che risulta spesso falsa, La deflazione dei processi deve piuttosto realizzarsi per altra via:
prevedendo meccanismi semplificati di definizione del processo o di riduzione dellillecito
penale ad illecito amministrativo (il riferimento va, per esempio, alle ipotesi di minima
rilevanza offensiva del fatto, allattuazione di condotte riparatorie, allampliamento
dei casi di oblazione). Per dare vita ad una depenalizzazione saggia e misurata, che non
escluda cioè fatti di scarsa rilevanza e non includa invece fatti di rilevante allarme
sociale, occorre ridefinire i beni tutelati dal diritto penale e poi operare scelte di
valori che abbiano un diffuso radicamento nella coscienza sociale, graduandoli secondo una
gerarchia definita, ispirata a criteri di
proporzionalità e di stretta necessità.
B) I VARI TIPI DI CRIMINALITA. LAZIONE DI CONTRASTO Landamento della criminalità.
Considerazioni generali Le relazioni dei Procuratori generali presso le corti di appello
tracciano un quadro complessivo della
criminalità che non si discosta in maniera sostanziale rispetto agli anni precedenti, pur
se quasi tutti sottolineano con soddisfazione uninversione di tendenza nellandamento
della criminalità, che trova conforto nei dati statistici di seguito riportati. In tutte viene sottolineata la perdurante inosservanza del precetto
costituzionale della ragionevole durata del processo e la scarsa effettività del sistema
penale nel suo complesso. Quanto alla individuazione delle sue cause, è diffusa lopinione
che la complessità del vigente sistema processuale sia uno degli ostacoli più rilevanti
sulla strada di un processo che, rispettoso dei diritti dellimputato, pervenga in
tempi ragionevoli ad una pronuncia di assoluzione o di condanna e costituisca strumento di
difesa della società nei confronti di coloro che pongono in pericolo la civile convivenza
e di tutela di chi dal reato subisce un danno. Va poi registrato con soddisfazione che, pur nel persistere di gravi
difficoltà, ancora una volta viene manifestata ed assicurata la volontà di un impegno
sempre maggiore, animato da spirito costruttivo, per affrontarle e risolverle con gli
strumenti disponibili che, per quanto riguarda la magistratura, possono riguardare solo il
versante organizzativo; di qui la sempre maggiore attenzione alla razionalizzazione del
lavoro per cercare di ottimizzarne i
risultati. ***** Dai dati forniti dallIstituto Nazionale di Statistica emerge
che nel periodo in esame i delitti registrati dagli uffici di procura (che comprendono
anche i delitti commessi da ignoti) sono stati 2.821.624, con una diminuzione, rispetto al
corrispondente periodo precedente, di 112.782 unità (- 4%). Tale dato confortante è
confermato da una contrazione generalizzata dei delitti più gravi o che destano maggior
allarme sociale, con la sola eccezione dei reati in materia di sostanze stupefacenti, che
hanno fatto registrare un preoccupante aumento, come risulta dalla tabella qui di seguito
riportata: Omicidi tentati e consumati
3.112 (- 9%) Rapine
51.138 (- 8%) Estorsioni
7.642 (- 5%) Sequestro di persona a scopo di estorsione
207 (+ 2%) Violenza sessuale
5.161 (- 11%) Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli
4.432 (- 5%) Bancarotta
5.509 (- 4%) Stupefacenti
41.762 (+ 54%) Furti
1.459.205
(- 12%) La inversione di tendenza che emerge da tali dati va registrata con
soddisfazione, ma non deve far indulgere a facili ottimismi o, quel che è peggio, ad
abbassamenti della tensione nella lotta alla criminalità e nella tutela della sicurezza
dei cittadini. Infatti, come ebbi già occasione di rilevare nella precedente relazione, i
dati statistici quando si riferiscono a periodi temporali limitati, qual è un anno, non
consentono di trarre conclusioni definitive se non trovano conferma in analoghi andamenti
nei periodi successivi. Resta gravissimo, e preoccupante, il numero dei delitti dei quali
sono rimasti sconosciuti gli autori, anche se un segnale di ottimismo può, trarsi dalla conferma di una tendenza alla
riduzione, seppure lieve, del loro numero: nel periodo considerato sono stati 2.289.363, pari all'81% di tutti i delitti denunciati (nel
periodo precedente erano stati 2.434.367, pari all'83%). Sono rimasti ignoti il 96% degli
autori di furti (1.399.807; percentuale sostanzialmente identica rispetto al periodo
precedente). Siffatte percentuali scendono al 65% se si tiene conto di tutti i delitti con
esclusione dei furti, mentre nel periodo precedente tale percentuale era stata del 66%. Ed
è risaputo che per taluni tipi di reati (come il furto di veicoli) le indagini non
vengono neppure iniziate. Tali calcoli non tengono conto delle contravvenzioni, i cui dati non
sono oggetto di rilevazione da parte dellISTAT; si può solo rilevare che in materia
contravvenzionale lincidenza percentuale degli ignoti è sicuramente
molto bassa dato che per tali reati vi è, di solito, contestualità fra accertamento ed
individuazione dei responsabili. Il fenomeno delinquenziale connesso alla presenza di forti e radicate
organizzazioni criminali sul nostro territorio nazionale continua a rappresentare loggetto
principale dellattività giudiziaria penale e deve suscitare viva e profonda
preoccupazione per tutte le istituzioni, per le Forze di polizia e per lintera
società civile. Laffermazione deve essere recepita non solo come segnale di
allarme, ma come sollecitazione a continuare ed intensificare limpegno e lattenzione
di ciascuna istituzione verso aspetti patologici della vita civile che non solo
compromettono la libertà e la dignità di ciascun cittadino, ma inquinano anche ogni
segmento della società civile: lavoro, economia, sviluppo sociale. I gruppi di criminalità organizzata estendono la loro attività allintero
territorio nazionale, con poche e limitate eccezioni, e si contraddistinguono
essenzialmente, sul piano strutturale, in due gruppi: la criminalità organizzata di
origine nazionale e quella di origine straniera. Come già evidenziato negli ultimi anni, la differenza strutturale
non determina una netta separazione delle aree di mercato delinquenziale ma genera, volta a volta, contrasti,
contrapposizioni o alleanze, che si traducono in ulteriore aumento degli episodi
delittuosi. Sul piano funzionale lattività delinquenziale posta in essere
dalle varie forme di criminalità organizzata spazia dai molteplici reati contro la
persona (omicidi, tentati omicidi, lesioni) ai reati contro il patrimonio (furti, rapine,
estorsioni), per dilagare nei traffici illeciti di sostanze stupefacenti, armi, tabacchi e
nello sfruttamento della prostituzione e della immigrazione clandestina per poi colpire
larghi settori delleconomia pubblica e privata. Lattività di controllo e contenimento, posta in essere dalle
Forze di polizia e dalla Magistratura, ha conseguito buoni risultati su molti fronti e si
è caratterizzata, oltre che per una ampia estensione delle tecniche investigative, per la
collaborazione tra le varie procure e per la cooperazione giudiziaria internazionale con
le magistrature e le forze di polizia di altri Paesi. I gruppi stranieri di criminalità
organizzata La collocazione geografica del nostro Paese favorisce limmigrazione
e linsediamento di persone, purtroppo anche dedite ad attività delittuose,
provenienti da paesi di culture diverse e che stanno vivendo un difficile, travagliato e
lungo processo di evoluzione sociale, politica ed economica. Il fenomeno migratorio, con le connesse realtà criminali indotte o
dirette, estese a vari altri traffici
illeciti, rappresenta un fenomeno non agevolmente arginabile. Si tratta di forme di criminalità che presentano grandi difficoltà
investigative perché strutturate su una forte base di intimidazione in danno di immigrati
della stessa etnia, realizzata con il diretto coinvolgimento di persone che operano allestero;
per la difficile e laboriosa identificazione degli stranieri in condizione di
clandestinità; per la non infrequente commistione ed alleanza con gruppi criminali
locali; e per la scarsa collaborazione, finora offerta dai taluni Paesi extra comunitari,
a rendere possibile lindispensabile sinergia tra le attività delle polizie e degli
organi inquirenti. Permane invariato il quadro complessivo delle condotte criminose
poste in essere dalle diverse organizzazioni di nazionalità straniera. Sempre attive nel nostro Paese sono alcune nuove mafie di
importazione, soprattutto russa e cinese. La prima è particolarmente attiva nel settore
delle merci e dei prodotti energetici, nonché nelle società che operano nellimport-export.
Sono stati di recente segnalati investimenti immobiliari e acquisizioni di centri
commerciali, attività turistico-alberghiere e di piccole e medie aziende nel settore dellabbigliamento
e degli elettrodomestici. La seconda, che tende ad assumere le medesime caratteristiche
organizzative della madrepatria, è molto presente in quelle che sono le tipiche
manifestazioni criminali dei gruppi organizzati: traffico di stupefacenti, estorsioni,
gioco dazzardo, prostituzione e, soprattutto, immigrazione
clandestina di connazionali. La pericolosità ed importanza del fenomeno del traffico di immigrati
clandestini impone una sempre più vigile attenzione. Una complessa ed attenta attività di indagine, svolta in
coordinamento tra vari uffici di procura (Trento, Trieste, Roma e Lecce), ha individuato
una vasta struttura criminale internazionale, di nazionalità turco-iraniana, dedita allimmigrazione
clandestina di stranieri di etnia curdoirachena, che ha consentito di colpire una
organizzazione criminale finalizzata a sfruttare il bisogno di riscatto sociale e la
ricerca di una nuova patria da parte di immigrati extracomunitari ed accertato lesistenza
in Turchia di diverse agenzie specializzate nel reclutamento e nella organizzazione del
trasporto verso lEuropa, via mare e via terra, dei clandestini curdi. Sul punto, peraltro, è in atto una modifica di atteggiamento, di
segno positivo, dei Paesi interessati dalla migrazione clandestina: un timido passo avanti
che non deve illudere, ma che può costituire una prospettiva di utile lavoro
investigativo. Su questo piano la sempre lamentata difficoltà di identificazione
sicuramente riceverà beneficio dalla avviata tecnica della identificazione
fotodattiloscopica. Sempre in questa prospettiva viene segnalata la utilità di una
previsione di immissione in una rete informatica, su scala internazionale, degli estremi
identificativi dei passaporti, che potrebbe arginare la circolazione dei passaporti
falsificati, smarriti e rubati, da parte della criminalità organizzata dedita allimmigrazione
illegale. La legislazione in materia si è, finora, rivelata sostanzialmente
poco efficace per la repressione del fenomeno, anche se molto apprezzamento continua a
riscuotere la previsione della concessione del permesso di soggiorno per motivi di
protezione sociale, che agevola i tentativi di sottrazione ai condizionamenti delle
associazioni criminose e rende possibili dichiarazioni di collaborazione alle indagini da
parte dei destinatari dei provvedimenti. Non è consentito, allo stato, formulare previsioni e valutazioni
sulla legge 30 luglio 2002, n. 189 (modifica alla normativa in materia di immigrazione
e di asilo) proprio per lestrema difficoltà che presenta il fenomeno in esame,
oltre che per il limitato periodo di applicazione. In conclusione può affermarsi che, dal raffronto con i dati della
precedente relazione, emerge una maggiore e più efficiente reazione di contenimento e
contrasto di questa forma di criminalità, dovuta anche alla creazione in molte procure di
gruppi di lavoro specializzati, alla sempre maggiore cooperazione tra gli uffici
inquirenti italiani ed alla collaborazione con le istituzioni degli altri Paesi europei.
Resta, purtroppo la constatazione che il fenomeno delinquenziale in esame costituisce uno
dei più importanti apporti criminogeni allinterno del nostro Paese. La criminalità organizzata di origine
nazionale E proseguita nellanno appena decorso la strategia di
basso profilo, sul piano della visibilità, adottata dalle organizzazioni criminose
interne; in parte dovuta pure alla instancabile opera di Magistratura e Forze dellordine
nella ricerca dei latitanti, conclusasi anche nel 2002 con importanti successi, fra i
quali larresto di un noto capo di Cosa Nostra, che ha successivamente operato una
scelta collaborativa. In alcuni distretti (Calabria) anche se la visione non è
così netta in altre realtà afflitte da fenomeni endemici di criminalità organizzata -
è riconfermata la presenza di una criminalità con forte radicamento nel territorio, che
finisce per condizionare pesantemente il libero determinarsi dei cittadini al punto da
minarne, a volte, la stessa fiducia nella democrazia e nella legalità. Se la pax mafiosa ha ridotto la guerra tra le cosche, anche
per effetto di alcuni importanti maxi-processi conclusisi con condanne pesanti per i capi
delle organizzazioni, ciò non significa che la ndrangheta abbia perso il controllo
del territorio. La situazione dellordine pubblico continua a presentare carattere di
indubbia gravità per la presenza pervasiva di organizzazioni mafiose nei gangli vitali
della società, che finisce anche per scoraggiare il nascere di nuove iniziative
economiche in un territorio pur afflitto da elevati indici di disoccupazione. Il traffico degli stupefacenti e le estorsioni, insieme alla gestione
diretta o indiretta di appalti pubblici, consentono di lucrare ingenti quantità di denaro
da reinvestire in attività illecite, o anche lecite (edilizia, investimenti finanziari),
attraverso le quali lorganizzazione è riuscita a consolidare la sua posizione in un
più ampio ambito internazionale. Cosa Nostra palermitana, con la sua immanente presenza, mantiene
ancora la capacità di imporre le strategie generali dellorganizzazione, che
continua ad esercitare un violento, arrogante ed esteso controllo sulle attività
economiche, sociali e politiche del territorio. Le indagini di polizia continuano a svelare progressivamente lesistenza,
prevalentemente nella Sicilia occidentale, di una vasta rete di fiancheggiatori nei più
svariati settori della società e delleconomia, la perdurante ed estrema
pericolosità dellorganizzazione mafiosa, nonché la sua straordinaria capacità di
infiltrare il tessuto economico e sociale. Il vertice di Cosa Nostra ha iniziato ad attuare concretamente un
complesso progetto di ricostruzione del suo assetto organizzativo per gestire una
transizione dalla precedente fase emergenziale ad una fase di restaurazione della
struttura organica dellorganizzazione, capace di restituire ad essa la sua
tradizionale capacità strategica. Importanti conferme di questa strategia sono emerse: a) dal contenuto
di alcune conversazioni acquisite agli atti processuali, dalle quali emerge limmagine
di una Cosa Nostra pienamente operativa, gestita in modo verticistico, il cui gruppo
dirigente appare proteso alla ricucitura di vecchi strappi, per poter riavviare una sorta
di convivenza con lo Stato, quale scelta più utile alla sopravvivenza ed al rafforzamento
dellorganizzazione mafiosa ed alla sua espansione e reddittività; b) dal contenuto
delle più recenti collaborazioni intraprese da chi, allinterno dellorganizzazione
criminale, aveva raggiunto una posizione assai elevata
ed aveva avuto, a quanto pare, anche il delicato incarico di ricostruire le
strutture di Cosa Nostra. In altre realtà meridionali (Napoli e Bari) si segnala il
consolidamento delle organizzazioni criminali dedite ai traffici ed al contrabbando di
tabacco, anche mediante operazioni di transazioni estero
su estero. Grazie allattività di intelligence condotta nel settore, è
stato possibile accertare la spiccata matrice internazionale del fenomeno, ormai
chiaramente verificabile tanto nei flussi di provenienza, quanto nelle direttrici di
destinazione del tabacco di contrabbando, che ha fatto dellItalia un
importante area di transito verso altri stati del Nord Europa. In proposito, è stata evidenziata, da un lato, la sottovalutazione
del fenomeno da parte della società civile, cui sfugge che la immissione di enormi flussi
di denaro sporco è in grado di destabilizzare leconomia sana, e dallaltro la
bontà della scelta operata dalla legge 10 marzo 2001, n. 92, che regola la repressione
del contrabbando come reato associativo così consentendo maggiori potenzialità operative
allazione di contrasto. Infine in altre zone del Sud (Salerno e Lecce) si assiste ad un
riassetto della criminalità e viene segnalata, insieme ad una presenza di società
finanziarie che appare sproporzionata rispetto al numero degli sportelli bancari ed alle
esigenze della locale imprenditoria, il pericolo di infiltrazione criminale, per fini di
riciclaggio, in settori economici sani quali il turismo e lagricoltura. Unanime è lapprezzamento per lefficacia che nella lotta
alla criminalità organizzata assumono le misure di prevenzione, specialmente quelle di
natura patrimoniale. In una società, quale quella attuale, nella quale tale criminalità
ha avuto unespansione che ha superato ogni più pessimistica previsione, il fulcro
della repressione penale non può essere soltanto la persona e la libertà personale, ma
deve coinvolgere anche il patrimonio e le ricchezze accumulate. Si svela, in tal modo, lefficacia
preventiva del sequestro e della confisca di prevenzione che, quando colpiscono lappartenenza
di beni in capo a soggetti di criminalità organizzata, rivelano una capacità di
incidenza diretta sulla rete di rapporti economici dei poteri criminali utilizzati per linfiltrazione
nelleconomia legittima. Va, quindi, potenziata lazione di repressione
delle ricchezze conseguite tramite il crimine
ed oggi moltiplicate dalle opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalla
progressiva liberalizzazione dei flussi internazionali di capitale. A tale scopo è
necessaria, tuttavia, una razionalizzazione ed un riordino della legislazione in materia;
con tale finalità ha lavorato una Commissione di studio istituita presso il Commissariato
straordinario del Governo per la gestione e destinazione dei beni confiscati ad
organizzazioni criminali, che ha presentato di recente le conclusioni dei propri lavori. Generale è la condivisione per liniziativa (parlamentare e
governativa), recentemente tradotta nella legge 23 dicembre 2002 n. 279, volta a rendere
permanente la possibilità di disporre un regime carcerario differenziato nei confronti
degli appartenenti alla criminalità organizzata e ad estenderne lambito di
operatività. Anche questanno le relazioni dei Procuratori generali delle
regioni più interessate dal fenomeno della criminalità organizzata ribadiscono lessenzialità
dei contributi offerti dai c.d. collaboratori di giustizia; le statistiche, tuttavia,
confermano il trend negativo secondo il quale il
loro numero negli ultimi anni si è andato progressivamente assottigliando, pur se non è
sottovalutata limportanza di talune collaborazioni. In ordine alla legge 13 febbraio 2001, n. 45, recante modifiche della
disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio dei collaboratori di giustizia
nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza, le valutazioni
concordano sulla compresenza, nella nuova disciplina, di profili positivi (la protezione
differenziata, la nuova valorizzazione dei testimoni estranei al mondo criminale, un
minimo di pena obbligatorio prima di beneficiare delle scarcerazioni anticipate) e profili
negativi. In particolare, vengono evidenziati gli inconvenienti derivanti dalle
disposizioni varate per risolvere uno dei temi più spinosi e dibattuti in questi anni:
quello delle c.d. dichiarazioni a rate dei collaboratori. Lintroduzione
di un termine ultimo e rigido (sei mesi dallinizio della collaborazione) entro il
quale il collaborante deve riferire in ordine a tutti i fatti di maggiore gravità e
allarme di cui è a conoscenza ed ai relativi responsabili, è considerata inopportuna.
Tale termine è, ad avviso dei Procuratori generali, troppo esiguo, soprattutto per i
collaboranti di maggiore spessore, per consentire lassunzione di tutte le
dichiarazioni e lapprofondimento di tutti i temi davanti alle varie autorità
giudiziarie competenti. Né può ignorarsi che il collaboratore proviene da un ambiente
abituato a percepire lo Stato e i suoi rappresentanti come i propri nemici tradizionali,
ed è quindi poco verosimile che egli in soli sei mesi, e prima ancora di essere certo di
venire ammesso ad un duraturo programma di protezione, acquisisca quella fiducia
necessaria per riferire tutte le sue conoscenze. Su tali problematiche vi è stato anche un recente intervento della
Commissione parlamentare dinchiesta sul fenomeno della mafia, la quale nella seduta
del 27 novembre 2002 ha approvato un documento con il quale viene rappresentata la
necessità di prevedere un sistema di proroghe del suddetto termine (comunque non
superiore a centottanta giorni) nel caso di collaborazioni particolarmente complesse,
ovvero di legittimo impedimento del collaborante e del suo difensore o dello stesso
pubblico ministero. Viene, infine, sottolineato il problema delleffettivo
reinserimento sociale dei collaboratori e dei loro familiari ed il rischio di riconsegnare
alla società individui sbandati, sradicati dal proprio territorio e nuovamente
disponibili al compimento di azioni delittuose. In conclusione, grande è e deve restare lo sforzo investigativo e di
collaborazione tra le varie Forze di polizia e i diversi uffici di Procura per fare in
modo che si realizzino le condizioni di convivenza civile ed economica e secondo lalto
invito del Capo dello Stato, lintero Mezzogiorno diventi una grande riserva di
risorse umane a vantaggio di tutta lItalia. Senza, peraltro, sottovalutare lespansione
del fenomeno mafioso in realtà territoriali diverse da quelle di origine. Terrorismo e reati contro lo Stato Nel periodo considerato non si sono attenuate le preoccupazioni per
una ripresa dellattività terroristica, interna ed internazionale. La rivendicazione dellomicidio del prof. Biagi ad opera delle
Brigate Rosse per la costruzione del Partito comunista combattente desta
inquietudine; essa colloca lomicidio in
continuità politico-strategica con il precedente attentato al prof. DAntona e
conferma che il mondo del lavoro costituisce uno degli obiettivi dellazione
eversiva, che tenta di riproporsi come struttura clandestina che fa politica con le
armi contrastando, in base allevolversi del dibattito politico-economico, le
strategie del Governo nazionale ritenute dannose per gli interessi dei lavoratori. La pericolosità del momento è confermata dalle strutture
investigative la cui attività trova riscontro, in molti distretti, nei procedimenti in
corso per reati di terrorismo e per fatti delittuosi che rivestono oggettivo carattere
politico; in particolare, sopratutto nel periodo successivo allazione terroristica
di Bologna, è segnalata una recrudescenza di azioni intimidatorie, con attentati a sedi di organi istituzionali, di partiti politici e
sindacati, e con diffusione di documenti inneggianti alla lotta armata, che testimoniano
il tentativo di alimentare il circuito clandestino. Le indagini sono seguite con particolare attenzione anche in vista di possibili collegamenti con gli
attentati DAntona e Biagi. A Bologna, oltre alle complesse indagini sullomicidio del prof.
Biagi, eseguite in coordinamento con la Procura di Roma, sono in fase di approfondimento
le investigazioni sul fallito attentato, di chiaro contenuto terroristico, consistito
nella collocazione di un ordigno, poi disinnescato, molto verosimilmente destinato a
colpire appartenenti alle Forze di polizia richiamate sul luogo da una falsa segnalazione
di presenza di sostanze stupefacenti. A tale attentato, oltre che ai gravi incidenti
verificatisi nel luglio 2001, è stato collegato quello, caratterizzato da preoccupanti
analogie esecutive e dalle stesse finalità, compiuto nello scorso mese di dicembre a
Genova. Le indagini sono svolte in collegamento con le strutture
investigative di altre Procure interessate da episodi criminali con finalità
terroristica, tra le quali quelle del distretto di Trieste, zona teatro di attentati
rivendicati dalla organizzazione clandestina qualificatasi Nuclei Territoriali
Antimperialisti (N.T.A.) e nel cui territorio, in più occasioni, sono stati rinvenuti
volantini inneggianti alla violenza contro lo Stato ed alla lotta contro il mondo
occidentale. Né va dimenticato che la rivendicazione dellomicidio del prof. DAntona
è partita da Udine, mentre quella dellattentato omicida al prof. Biagi è stata
effettuata tramite posta elettronica proveniente dal Friuli. Il risveglio dellazione eversiva di matrice nazionale desta
maggiore preoccupazione per le particolari contingenze di carattere socio-economico
nazionale ed internazionale, che rischiano di favorire imprevedibili convergenze e
strumentalizzazioni delle legittime espressioni di protesta. La introduzione della nuova normativa sostanziale e processuale in
tema di delitti commessi per finalità di terrorismo interno e internazionale decreto legge 28 settembre 2001 n. 353 (disposizioni sanzionatorie
per le violazioni delle misure adottate nei confronti della frazione afgana dei talibani),
convertito, con modificazioni, nella legge 27 novembre 2001 n. 415, e decreto legge
18 ottobre 2001 n. 374 (disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo
internazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2001 n. 438,
emanati per dare attuazione alla
risoluzione n. 133/2001 del Consiglio di Sicurezza dellO.N.U. ed al regolamento CEE
n. 2.199 del 12 novembre 2001 (entrambi adottati a seguito dei tragici attentati
dell11 settembre 2001) - è stata accolta con particolare favore consentendo, anche
nellambito di inchieste in corso, di disporre ulteriori attività investigative
nella prospettiva di collegamenti con fenomeni di terrorismo internazionale anche in
relazione alla ipotesi di reato di cui allart. 270-bis c.p. La presenza sul territorio nazionale di eventuali appartenenti a
gruppi terroristici internazionali costituisce oggetto di particolare attenzione in molte
realtà giudiziarie. Indagini preliminari (per il delitto di cui allart. 270-bis
c.p.) sono in corso a Firenze sulle attività economiche svolte da fiduciari di una
società finanziaria con sede in Dubai, che risulta essere tra
le società destinatarie del congelamento dei capitali, reso possibile dal citato decreto
legge 28 settembre 2001 n. 353. In base agli elementi acquisiti dalla polizia giudiziaria,
anche tramite servizi di sicurezza stranieri, la predetta struttura finanziaria sarebbe
emanazione di una organizzazione integralista fondata da Osama Bin Laden, la cui raccolta
di risorse economiche risulterebbe, in parte, destinata al finanziamento di attività
terroristiche. Sul fronte più significativo delle indagini collegate al terrorismo
di matrice internazionale ed in relazione ad attività di supporto a centrali
terroristiche che agiscono allestero, a Milano sono stati già celebrati due
dibattimenti a carico di altrettante cellule, una delle quali riconducibile alla rete di
Al Qaeda e laltra al GIA algerino, mentre un terzo dibattimento è in procinto di
cominciare. Ma quel che maggiormente preoccupa su tale versante sono le possibili
ripercussioni nel nostro Paese del grave stato di tensione esistente nel vicino Medio
Oriente. Per la sua collocazione geo-politica non si esclude che lItalia possa
divenire teatro di azioni terroristiche aventi come bersagli anche beni o installazioni di
paesi stranieri. Per scongiurare che ciò avvenga è necessaria una sempre più attenta e
rigorosa vigilanza degli organi preposti alla sicurezza. Le altre manifestazioni criminose a) Omicidi,
sequestri di persona, estorsioni, rapine, furti e la cd. microcriminalità. Omicidi, estorsioni, rapine e furti (come emerge dai dati riportati
in dettaglio nel paragrafo dedicato al quadro complessivo della criminalità) presentano
una inversione di tendenza rispetto a quanto esposto nella precedente relazione. Sono
infatti in diminuzione, mentre si registra un lieve aumento dei sequestri di persona a
scopo di estorsione, maturati soprattutto allinterno di comunità di immigrati e nei
confronti di prostitute. Viene segnalato, peraltro, un ulteriore salto di qualità nelle
modalità di consumazione di tali reati, che appaiono sempre più improntate a violenza ed
a totale disinteresse per la vita e la dignità della persona e dei quali, con una
frequenza in progressivo aumento, si rendono protagonisti gli stranieri. In molti casi gli omicidi sono apparsi ricollegabili, purtroppo, a
situazioni di malessere nellambito familiare. Particolare allarme suscitano in alcune realtà (Milano, Brescia,
Veneto) i reati di riduzione in schiavitù e sfruttamento di donne e minori, che si
presentano in costante aumento. Permane assai elevato, pur se con una tendenza alla contrazione, il
numero dei furti, soprattutto di quelli che restano impuniti (ben il 96%); si tratta di un
tipo di reato che, oltre ad arrecare sovente un danno rilevante alla vittima, genera
insicurezza e sfiducia nei cittadini, principalmente quando viene perpetrato mediante
introduzione nelle abitazioni. Al riguardo non sono disponibili i necessari dati
statistici per esprimere una meditata valutazione sullefficacia dissuasiva della
nuova figura criminosa, introdotta con la legge 26 marzo 2001 n. 128, del furto in
abitazione e furto con strappo (art. 624-bis c.p.). Vi è da rilevare che sono in aumento gli uffici di procura che hanno
costituito, in collaborazione con le Forze di polizia, gruppi di lavoro specializzati nel
monitorare i fenomeni criminali c.d. minori, così da
valorizzare ed utilizzare il patrimonio di conoscenza ed i risultati
conseguiti nella mappatura del territorio, rendere maggiormente uniformi le
applicazioni delle misure cautelari e la concessione dei benefici ed incrementare la
celerità e certezza nellesecuzione della pena con lobiettivo di aumentare la
sicurezza e la fiducia dei cittadini. In questa prospettiva va ricordato che recentemente
è stata avviata, sia pure in misura limitata, la sperimentazione del c.d. poliziotto di quartiere. Sostanzialmente stabile la situazione dei reati fallimentari e
societari, pur se i primi hanno fatto registrare una lieve contrazione. Da tutti i distretti è evidenziato che è ancora troppo presto per
apprezzare gli effetti delle recenti innovazioni legislative sul diritto penale societario
(decreto legislativo 11 aprile 2002 n. 61), anche se le previsioni, a causa anche della
generalizzata riduzione della pena, sono tutte nel senso di una massiccia prescrizione o
archiviazione per la maggior parte dei procedimenti relativi a fatti pregressi. Inoltre,
molti Procuratori generali esprimono lavviso che la riduzione del controllo di
legalità esterna del mondo delleconomia da parte della Magistratura avrebbe dovuto
essere accompagnata da un rafforzamento dei controlli interni ed amministrativi. Resta trascurabile il numero dei reati di borsa per la oggettiva
difficoltà di perseguire efficacemente questa tipologia di illeciti, che pur
richiederebbe maggiore attenzione a garanzia dei diritti del piccolo e medio investitore. In relazione ai reati di usura ed allattività di riciclaggio
si evidenzia che, pur nelloggettiva difficoltà di individuazione delle operazioni
sospette, sono estremamente limitati e marginali i casi di segnalazioni, provenienti dal
mondo bancario, suscettibili di determinare utili indagini giudiziarie. Nel settore, così come in quello legato al fenomeno dellusura
e dellattività delle società finanziarie, è auspicabile - se non addirittura
necessario - un maggiore sforzo di coordinamento e collaborazione tra il sistema
amministrativo di controllo dellUfficio italiano cambi, il settore del credito e lattività
di indagine posta in essere dalla autorità giudiziaria e dalle forze di polizia
giudiziaria. Permane notevole il giro di affari legato alla contraffazione dei
marchi di impresa. c) Reati in materia di stupefacenti Lattività della criminalità dedita alla gestione del traffico
e spaccio di sostanze stupefacenti ha avuto una considerevole impennata facendo registrare
uninversione di tendenza rispetto allandamento evidenziato lo scorso anno; le
denunce per i relativi reati sono, infatti, aumentate, nel periodo 1° luglio 2001
30 giugno 2002, del 54% nonostante la energica azione di contrasto del fenomeno
testimoniata dallelevato numero dei procedimenti avviati per tali reati e dagli
ingenti quantitativi di sostanza sequestrati. E auspicabile che, almeno in parte, lincremento
delle denunce tragga origine anche da una più intensa attività di controllo e
repressione delle Forze dellordine e non solo da unulteriore diffusione del
fenomeno criminoso. Laumento è del resto in sintonia con la circostanza che è
ormai emerso, a livello processuale, che le organizzazioni criminali nazionali,
soprattutto quella calabrese, hanno consolidato una loro dimensione internazionale; sempre
più intensi sono, infatti, i collegamenti diretti con i centri di produzione e di
smistamento, a livello mondiale, delle sostanze stupefacenti, essendo stati provati
rapporti con il Sud-America, il Sud est del Mediterraneo, il Nord Europa, il Canada e lAustralia.
Sul versante della gestione dello spaccio, è da rilevare che aumenta
la preoccupazione per lopera di penetrazione del mercato nei luoghi aperti al
pubblico (discoteche, sale concerto e perfino scuole), che viene attuata mediante il
coinvolgimento dei giovani impegnati nellattività di promozione dei locali pubblici
e con la distribuzione di biglietti di ingresso omaggio e che giunge, sempre più spesso,
anche a far assumere la veste di spacciatore a soggetti minorenni pur se non direttamente
compromessi con la sostanza. Nellopera di spaccio risulta sempre più attiva la componente
criminale straniera; in particolare i gruppi di nazionalità nigeriana e maghrebina, di
mentalità più mercantile che violenta, svolgono una silenziosa,
ma incessante e redditizia, opera nel traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. d) Reati contro la pubblica amministrazione In generale, si registra una costante diminuzione dei procedimenti
per reati contro la pubblica amministrazione, ricollegabile alla attuale configurazione
del reato di abuso di ufficio che ha notevolmente ristretto larea del penalmente
rilevante e conseguentemente ridotto anche leffetto di penetrazione nel sistema
corruttivo che spesso era consentito proprio dalle indagini per abuso di ufficio. Peraltro, lelevato numero delle denunce che ancora pervengono
alle procure al di là di più o meno circoscritte criticabili realtà di
denunce facili - conferma la tuttora diffusa domanda di giustizia che perviene dai
cittadini nei riguardi della attività e dei comportamenti della pubblica amministrazione,
in cui permangono prassi e condotte illegittime se non illecite. La diminuzione dei procedimenti, quindi, non è espressione di un
effettivo regresso del fenomeno (come è del resto emerso da alcuni procedimenti di grande
rilevanza di recente iniziati), ma appare legata ai più sofisticati espedienti cui
ricorrono i corruttori ed i corrotti ed alla minore disponibilità a rivolgersi alla
giustizia da parte dei concussi e delle persone informate sui fatti. Loccasione più frequente per la commissione dei reati di
corruzione e concussione è pur sempre legata allo svolgimento delle procedure di
assegnazione di appalti pubblici. La introduzione di nuove regole negli appalti pubblici mediante una
maggiore trasparenza delle varie fasi della procedura, volte a consentire adeguati
controlli sulla esecuzione dei lavori e ad evitare ingiustificate loro sospensioni,
finalizzate solo alla revisione dei prezzi ed alladozione di costose varianti, si è
rivelata una iniziativa indubbiamente idonea, necessaria ed utile anche nella conduzione
delle indagini, unitamente agli altri strumenti investigativi. Il sistema di manipolazione illecita degli appalti è stato uno degli
obiettivi della criminalità organizzata, in particolare di Cosa Nostra, che ha dimostrato
di avere la capacità di imporre un proprio
cartello di imprese collegate, anche mediante lo sfruttamento dellistituto dellassociazione
di impresa o dei consorzi, così da ottenere una diretta partecipazione agli appalti. Neppure il progressivo inserimento del sistema economico italiano
nellambito europeo è sfuggito allinteresse di tali organizzazioni che si sono
attrezzate in questo campo anche con il tentativo di instaurare proficue relazioni con
importanti espressioni dellimprenditoria, della finanza e della pubblica
amministrazione, realizzata mediante personaggi che, dotati dei necessari requisiti (know
how tecnico, dislocazioni in punti nevralgici del sistema e patrimonio di relazioni
personali), sono in grado di svolgere la delicata funzione di interfaccia tra Cosa Nostra
e il mondo imprenditoriale. Dai distretti in cui maggiore è la presenza delle organizzazioni
criminali viene segnalato che lacquisizione di dati sui movimenti di denaro e sulla
consistenza patrimoniale degli appartenenti alle organizzazioni risultano utilissimi anche
nelle indagini per i reati in esame. In tale prospettiva è di enorme importanza la
recente istituzione presso la Direzione Nazionale Antimafia del Servizio pubblici appalti,
in costante collaborazione con la Autorità di Vigilanza dei Lavori pubblici. Anche in realtà non afflitte da fenomeni di criminalità
organizzata, si segnala la troppo lieve entità della sanzione prevista per il reato di
turbativa nella libertà degli incanti, in quanto le indagini, rivolte allesame
della gestione degli appalti e delle relative procedure di aggiudicazione e di controllo
sulla esistenza dei cartelli, rimangono spesso frustrate dallattuale normativa in
termini di pena (troppo bassa, tranne nel caso di coinvolgimento di un pubblico ufficiale)
che, da un lato, non consente ladozione di più efficaci strumenti investigativi e, dallaltro, prevede tempi troppo ristretti
rispetto alla vastità della documentazione di riscontro da esaminare. A Milano è segnalata la conclusione di un processo per fatti
corruttivi collegati alla installazione di una discarica, definito con patteggiamento e
con un risarcimento che è si è rivelato, nel suo complesso, come il più consistente
introito nelle casse dello Stato della storia giudiziaria italiana. Lavvenuto ampliamento dellarea soggettiva delle persone
indagabili per coinvolgimento in operazioni economiche internazionali illecite, ad opera
della legge 29 settembre 2000 n. 300, costituisce un innegabile passo avanti nella
creazione di un diritto penale internazionale e di uno spazio giudiziario europeo che
potrà dare impulso determinante nella lotta alla corruzione. Non sono, peraltro, ancora
emerse applicazioni delle nuove fattispecie di reato (salvo pochissime iscrizioni). Allo
stesso modo assai scarse sono state le applicazioni della suddetta legge n. 300 e del
decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche. e) Reati inerenti la sfera sessuale Decisamente positivo è il
giudizio in ordine alla efficacia delle leggi vigenti contro la violenza sessuale e lo
sfruttamento sessuale dei minori, che sembrano dare maggiore sicurezza alle vittime. La
normativa, infatti, si è rivelata idonea a garantire, nel corso del procedimento, la
riservatezza e la tutela della dignità della persona offesa, con conseguente riduzione
delle pur comprensibili titubanze e ritrosie a rievocare fatti personali dolorosamente
vissuti. Può, quindi, affermarsi che la
legislazione in materia ha contribuito a determinare una emersione del sommerso
costituendo un felice caso di positiva interazione tra innovazione legislativa ed
evoluzione del costume. Purtroppo, spesso i fatti
maturano nellambito della scuola o della famiglia. A questo fine si è dimostrata
utile lapplicazione dellistituto dellallontanamento da casa, in presenza
di insufficienti sostegni familiari e/o sociosanitari. Da più parti è stata posta
in rilievo limportanza dello sviluppo di interventi di sostegno in sinergia tra
istituzioni diverse, già realizzati in varie città, per la cura dei minori vittime di
abusi. Molte procure hanno
lodevolmente dato vita a strutture investigative specializzate e hanno concluso protocolli
di intesa con strutture ed istituzioni interessate al fenomeno, mantenendo contatti e
promuovendo incontri e seminari di studi per il rilevamento delle notizie e la gestione
delle investigazioni. Sono purtroppo in aumento i reati di pedopornografia. La preoccupante crescita del fenomeno, segnalata nelle molte realtà
in cui si è già sviluppata una particolare attenzione per questa tipologia di reati e di
investigazione, richiede un maggiore sforzo per la creazione di strutture investigative
con personale attrezzato culturalmente. Di grande utilità si sta rivelando lo strumento
investigativo della attività sotto copertura, in particolare per i reati commessi con luso
di strumenti informatici. Per quanto riguarda il fenomeno della pedofilia, va segnalato che,
allo stato attuale della legislazione, in assenza di diagnosi di non imputabilità o di
imputabilità ridotta, non vi può essere alcun intervento coercitivo, a sanzione espiata. Sarebbe auspicabile uno sforzo di ulteriore elaborazione normativa
che prenda in considerazione lipotesi di un trattamento obbligatorio successivo alla
espiazione della pena, modellato sullo schema della misura di sicurezza, per favorire una
terapia permanente delle persone con tendenze pedofiliache, nel tentativo di conciliare il
bisogno di maggiore difesa sociale che la collettività avverte con le esigenze di
equilibrio del sistema penale. f) Reati ambientali, urbanistici e negli
ambienti di lavoro In generale si rileva che la opzione verso forme di riduzione dellarea
del penalmente rilevante si accompagna, purtroppo, ad una del tutto insufficiente
preparazione tecnica ed amministrativa di molti settori della pubblica amministrazione; in
particolare nelle realtà di più ridotte dimensioni nelle quali uffici tecnici dei comuni
si devono confrontare con realtà imprenditoriali di grande rilievo. Nel settore delledilizia continua la presenza del fenomeno di
abusivismo, anche in zone vincolate, che viene avvertito e quasi tollerato come male
minore rispetto alle grandi forme di criminalità. In proposito si segnala che, pur in
presenza di un generalizzato ricorso alla sanzione della demolizione delle opere abusive
anche da parte dellautorità giudiziaria, permangono le difficoltà di una sua
concreta esecuzione, mentre scarsa rimane la applicazione della acquisizione delle aree a
causa delle perduranti inerzie e disattenzioni di molte amministrazioni. Notevoli, ed in molte realtà in aumento, anche le molteplici forme
di aggressione allambiente. Nessuna risorsa ambientale è risparmiata: estrazione
abusiva di ghiaia dai fiumi, discariche abusive di rifiuti sul suolo e nelle acque,
inquinamento dellaria con conseguenti effetti diretti ed indiretti sulla salute delluomo,
forme di alterazione del demanio ed utilizzo abusivo delle acque potabili. Grande attenzione è dimostrata verso il contrastato fenomeno dellelettromagnetismo,
la cui possibile rilevanza penale ha trovato conferma anche in recenti decisioni della
Corte di cassazione. Sul piano normativo è confermato lenorme impatto del diritto
comunitario sulla nostra legislazione ambientale, evidenziato anche dalle molteplici
questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto comunitario sollevate da molti
giudici italiani dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, e la necessità
di forme di collaborazione tra Stati per contrastare i fenomeni di inquinamento
transfrontaliero e di traffico illecito di sostanze e rifiuti inquinanti e pericolosi. In proposito la redazione di testi unici in materia, la cui utilità
è stata invocata da più parti, non si è ancora avviata; lunico testo approvato è
quello delledilizia (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380),
ma la sua entrata in vigore è stata ulteriormente differita anche in relazione alla
necessità di tener conto non solo della nuova normativa in materia (legge 21 dicembre
2001 n. 443), ma anche degli effetti del nuovo riparto di attribuzioni Stato-Regioni
delineato dal nuovo titolo V della nostra Costituzione. Si assiste, in definitiva, ad una troppo disattenta alterazione dellambiente
nel suo complesso, che viene drammaticamente messa in risalto in occasione dei disastri
naturali; è necessario rilanciare limpegno per una piena attuazione dei principi
comunitari in materia della precauzione, prevenzione e più elevato livello di tutela. Allaumento degli infortuni sul lavoro, in quasi tutte le
realtà economicamente interessate da fenomeni di industrializzazione, si accompagna una
richiesta di maggiore specializzazione del personale preposto al controllo ed alla
prevenzione negli stabilimenti ed ambienti di lavoro. Va segnalato, infine, che non condivisibile appare la esclusione nel
decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, già
citato, attuativo della legge sulla responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, dei reati in tema di infortuni sul lavoro ed ambiente. E confermata la consistente riduzione dei reati del settore,
che deve unicamente ricollegarsi alla nuova legislazione,
la quale ha ridotto le fattispecie penalmente rilevanti mediante linnalzamento
delle soglie di punibilità delle evasioni fiscali. A tal proposito taluni Procuratori
generali manifestano la preoccupazione che tale innalzamento possa avere ripercussioni
negative sulle entrate tributarie dello Stato. Lapplicazione delle specifiche norme del codice penale in
materia di criminalità informatica permane scarsa; ad
esempio, il Procuratore generale di Roma riferisce che nel distretto il fenomeno è
pressoché sconosciuto. E legittimo il sospetto che il fenomeno effettivo rimanga
sommerso, anche per lo scarso interesse a segnalare forme di aggressione ai propri sistemi
di rete informatica e per le oggettive difficoltà di individuazione dei soggetti
coinvolti. Non significative nemmeno le forme di truffa via Internet,
anche per luso non ancora diffuso di tale tipo di transazioni commerciali. Molte sono le indagini, definite o in corso, per episodi di
pedopornografia informatica mediante intrusione nella privacy o commercio di
materiale pedopornografico di minori tramite Internet. Peraltro, il fenomeno dei reati informatici nelle sue svariate
tipologie (pedofilia via Internet, utilizzo della rete per fini criminali o
terroristici, acquisizione a fini illeciti di dati riservati o coperti da segreto,
diffusione di informazioni illegali e aggressione di programmi altrui ad opera dei c.d. hackers)
va assumendo sempre maggiore rilevanza e non può più essere affrontato con sufficienza
ed approssimazione. E necessario che si sviluppi una maggiore sensibilità sia con
una migliore organizzazione di mezzi e uomini, sia con una nuova cultura specialistica,
anche in seno alla Magistratura, che sia in grado di conoscere in tutti i suoi aspetti il
fenomeno per combatterlo e punirlo adeguatamente. In tale prospettiva si segnala la recente sottoscrizione della
Convenzione internazionale di Budapest del 23 novembre 2001 sulla Criminalità
informatica che obbliga tutti gli Stati aderenti, tra cui lItalia, ad
introdurre nel proprio ordinamento nuove specifiche figure di reato e prevede norme
processuali e di cooperazione internazionale. Il fenomeno della criminalità minorile si conferma come preoccupante
non tanto per il numero dei procedimenti quanto perché, anche dove si segnala una
diminuzione dei reati, permane o aumenta la gravità della tipologia dei delitti commessi;
inoltre modalità sempre più violente connotano i comportamenti dei giovani, che non
esitano a delinquere neppure allinterno delle scuole. In realtà non afflitte da fenomeni di criminalità organizzata gli
autori non provengono più dalle c.d. famiglie multiproblematiche, ma appartengono sempre
più spesso a famiglie normali e la spinta a delinquere non è più
collegabile, né giustificata da un obiettivo economico. Nelle medesime realtà, ed ancor più in quelle dove invece sono
presenti organizzazioni criminali sempre pronte a creare forme di sfruttamento o
reclutamento ed addestramento delinquenziale dei minori, viene evidenziato il preoccupante
fenomeno di forme anche autonome di aggregazione dei minori, quasi ad imitazione delle
modalità di condotta della criminalità adulta, tanto da avere condotto ad una pronuncia
di condanna a carico di minori per il reato di cui allart. 416-bis c.p.. Ulteriore dato di riflessione e preoccupazione è quello che discende
dal frequente accertamento e contestazione della recidiva, che rende manifesta la
difficoltà di individuare efficaci strumenti e strutture di recupero e prevenzione, ancor
più necessarie quando gli autori sono minorenni di nazionalità straniera. E pressoché generalizzato il rilievo, contenuto in tutte le
relazioni dei Procuratori generali, secondo cui la devianza minorile appare riconducibile
allassenza di validi riferimenti familiari, allo scadimento dei valori tradizionali,
al diffuso consumismo ed allenfatizzazione dei modelli di vita negativi realizzata,
a volte, anche da un approccio troppo disinvolto, superficiale e di puro spettacolo al
tema da parte del mondo dellinformazione. In tale quadro viene segnalata come inadeguata una mera prospettiva
di aumento degli strumenti di responsabilità e punizione; mentre si rende sempre più
necessario rimettere al centro dellattenzione i problemi delleducazione dei
giovani nella famiglia, nella scuola e nello stesso processo penale mediante una doverosa
e giusta punizione che si collochi allinterno di un percorso di crescita dei giovani
devianti. In questo settore è ancor più emblematica e rilevante lattuazione
di un giusto processo mediante un sempre più frequente ricorso ai riti
alternativi, possibilmente alludienza preliminare (lasciando al dibattimento i casi
più gravi nei quali non è stato possibile attuare un percorso di recupero), e la
definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli e ravvicinati allepoca di
commissione dei reati, così da realizzare un grande effetto educativo trasmettendo ai
giovani, coinvolti e non, il messaggio di una giustizia equa ed efficiente. A tredici anni
dalla sua riforma, anche il processo penale minorile avrebbe bisogno di interventi di
semplificazione, al fine di consentire una più celere celebrazione dei processi,
soprattutto per i reati più modesti. E' atteso, inoltre, da decenni un ordinamento penitenziario minorile,
affinché la permanenza dei ragazzi nelle carceri minorili sia disciplinata da regole
diverse da quelle degli adulti e si possano sperimentare nuovi momenti sanzionatori, ma
anche più ricchi percorsi di aiuto per i minorenni che commettono gravi reati. In questa ottica è significativo e doveroso lapprezzamento per
il notevole incremento, fortemente sostenuto da tutta la magistratura minorile, delle
iniziative programmate e finanziate dallo Stato italiano e dai competenti organismi
europei, anche attraverso limpegno ed il coinvolgimento del volontariato, per
interventi socio-assistenziali in favore dei minori. Di tale impegno è stata concreta
testimonianza il premio conferito dal Dipartimento della Funzione Pubblica al Progetto
Pollicino, presentato dal Centro per la giustizia minorile di Palermo unitamente a
cooperative di volontariato. La Direzione nazionale antimafia La Direzione nazionale antimafia, istituita, comè noto, nellambito
della Procura generale presso la Corte di cassazione, che è anche preposta alla
sorveglianza su di essa, ha proseguito con
instancabile incisività ed efficacia la sempre più difficile azione di contrasto alla
criminalità organizzata. Come sottolinea nella sua relazione il Procuratore nazionale
antimafia, leconomia mafiosa si sta estendendo con silente, ma capillare,
pervasività nelleconomia legale con un continuo aumento del fatturato e dei
profitti dei mercati e delle imprese mafiose o a partecipazione mafiosa. La
globalizzazione delleconomia ha comportato una globalizzazione del crimine
organizzato. Gli effetti sono davvero temibili: leconomia mafiosa rappresenta una
minaccia gravissima alla democrazia e alleconomia legale. Contro il carattere trasnazionale del crimine il rimedio auspicato
consiste in una più incisiva cooperazione internazionale. In tale prospettiva, nel periodo 1° luglio 2001 30 giugno
2002 la D.N.A. ha intensificato le missioni dei magistrati allestero e gli incontri
in Italia con autorità straniere con finalità di coordinamento e di impulso
investigativo. Sul piano legislativo vanno segnalate alcune importanti novità. La
legge 5 ottobre 2001 n. 367 ha aggiunto il comma 5-ter
allart. 727 c.p.p., prevedendo che in
ogni caso, copia delle rogatorie dei magistrati del pubblico ministero, formulate nellambito
di procedimenti relativi ai delitti di cui allart. 51, comma 3-bis, è
trasmessa senza ritardo al procuratore nazionale antimafia. Tale disposizione
accresce la capacità informativa della D.N.A. e ne consente una maggiore
funzionalità operativa. Altra importante novità riguarda la partecipazione della D.N.A.
al Comitato di sicurezza finanziaria previsto dal decreto legge 12 ottobre 2001 n. 369,
convertito con modificazioni, nella legge 14 dicembre 2001 n. 431. Tale partecipazione
consente alla D.N.A. di compiere una lettura
unitaria delle dinamiche dei mercati finanziari infiltrati dalla ricchezza mafiosa. Ma nuove iniziative legislative vengono sollecitate. Per una più efficace azione preventiva
contro linfiltrazione della criminalità organizzata negli appalti di
opere pubbliche si suggerisce la riduzione del numero delle stazioni appaltanti e, in
piena sintonia con i Procuratori generali, laumento delle pene per i delitti di
turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e per lastensione dagli incanti (art.
354 c.p.). Per quanto riguarda le misure di prevenzione, è ribadita la
necessità che vengano attribuiti anche alla D.N.A. e alle procure distrettuali i poteri
di accertamento e di proposta ora assegnati al procuratore della Repubblica, al questore e
al direttore della Direzione investigativa antimafia. Parimenti, ancora una volta viene segnalata lopportunità che
il potere di disporre le intercettazioni preventive, finalizzate esclusivamente allattività
di prevenzione in ordine a specifiche tipologie di delitti previsti dallart. 51
comma 3-bis c.p., sia attribuito anche al
Procuratore nazionale antimafia con un corredo di penetranti forme di garanzia. A livello di coordinamento operativo va registrato il forte impegno
della D.N.A., che nel corso dellanno ha
organizzato ben 129 riunioni di coordinamento con le procure distrettuali, con le Forze di
polizia ed altre autorità. Lintensa attività della D.N.A. nei suoi principali campi di
azione è resa palese dai seguenti, ulteriori dati statistici: 62 applicazioni di magistrati della Direzione agli
uffici di procura impegnati nelle indagini per reati di criminalità organizzata; 28
colloqui investigativi; 1113 pareri ex art. 4-bis dellordinamento
penitenziario sulla richiesta di misure alternative alla detenzione da parte di soggetti
collegati alla criminalità organizzata; 1437 pareri sulla protezione dei collaboratori di
giustizia; 2402 pareri in tema di gratuito
patrocinio. E stato inoltre potenziato il sistema informatico con la
predisposizione di una nuova versione delle regole minime concernenti lorganizzazione
e il funzionamento delle banche dati. A tale riguardo, lindispensabile maggior ricorso ai sistemi
informatici per la gestione dei notevoli flussi di informazione impone lurgente
formazione presso la D.N.A. di una sezione di analisti, composta da personale di polizia
giudiziaria delle tre Forze di polizia, con uno status analogo al personale che
svolge funzioni simili presso le Direzioni distrettuali antimafia. Unefficace lotta alla criminalità organizzata richiede il
costante adeguamento e potenziamento di tutte le strutture in essa impegnate, prima fra
tutte la D.N.A. Polizia giudiziaria e strutture investigative L'attività espletata dalla polizia giudiziaria ha riscosso meritato
apprezzamento in tutti i distretti di corte d'appello. Carabinieri, Guardia di Finanza e
Polizia di Stato così come, per quanto di competenza, gli altri Corpi hanno
agito con dedizione, fattivamente collaborando in tutti i settori d'indagine. In tale
giudizio vanno ricomprese le sezioni di polizia giudiziaria istituite presso le procure
della Repubblica, peraltro costrette ad operare in condizioni di difficoltà per il
perdurante sottodimensionamento degli organici. Tale sproporzione è vistosa in rapporto alla vastità dei fenomeni
criminali radicati nel territorio, il cui "controllo" da parte dello Stato
dev'essere segnato in primo luogo proprio dalleffettivo impegno di un numero congruo
di operatori, che renda percettibile la preponderanza della legalità rispetto alla
presenza criminale. Fortunatamente marginale ma, comunque, sempre da evitare
è l'interpretazione delle funzioni di polizia giudiziaria in chiave burocratica.
Di regola si è invece registrato un impegno costante sia nel contrasto di quelle figure
di reato che destano maggiore allarme nella collettività, sia nell'azione specialistica,
necessaria a fronte del variegato e mai statico atteggiarsi dei fenomeni delinquenziali: luso
di tecniche di polizia scientifica sempre più sofisticate è imprescindibile nelle
indagini relative agli omicidi, per il rischio d'impunità che consegue alla mancata
acquisizione scientifica, nellimmediatezza dei fatti, di riscontri oggettivi; le
investigazioni di natura finanziaria sono essenziali per incidere sui flussi monetari e
sui patrimoni illecitamente acquisiti, anche al fine di contrastarne efficacemente il
reimpiego in ulteriori attività, illecite o apparentemente lecite, che possano fungere da
fattori di incremento o di "ripulitura" dei capitali; lambiente minorile
fa emergere, a sua volta, la necessità di una polizia giudiziaria dotata di specifica
preparazione, così per i rapporti con lambiente e le famiglie, come nei riguardi
dei soggetti perseguiti quali autori di reato, nonché al fine di prevenire i già
ricordati fenomeni dorganizzazione per bande ovvero di organico inserimento dei
ragazzi nelle strutture criminali maggiori. Tuttavia, all'impegno tipico di polizia giudiziaria si affiancano di
frequente incombenze marginali (come, ad esempio, informazioni e controlli in materia
sostanzialmente amministrativa), fonte di distrazione di significative risorse
dall'impiego più propriamente investigativo. In questo contesto va rammentato il
controllo di soggetti sottoposti ad arresti domiciliari, purtroppo non alleviato
dall'innovazione introdotta dallart. 2 del decreto legge 24 novembre 2000 n. 341,
convertito, con modificazioni, nella legge 19 gennaio 2002 n. 4: il c.d. braccialetto
elettronico risulta nella pratica scarsamente applicato. Giungono pure segnalazioni della
scoperta di possibili modalità di elusione del controllo a distanza. Sul piano delle dotazioni strumentali resta d'attualità la
richiesta, da parte della magistratura inquirente, di nuove attrezzature soprattutto
d'intercettazione ambientale e dei telefoni cellulari, nonché di moderni apparecchi di
ripresa. I tempi dattesa (oltre che i notevoli costi) per poter utilizzare le
apparecchiature necessarie non di rado risultano incompatibili con le urgenze e gli
obiettivi d'indagine. Anche nell anno 2002 è proseguito il recupero di efficienza
degli uffici preposti allesecuzione penale. In particolare le procure della
Repubblica e le procure generali non sembrano avere alcun ritardo in nessun distretto e
anche i tribunali di sorveglianza hanno incrementato il numero delle udienze e dei
procedimenti definiti, in molti casi riducendo significativamente le pendenze (Roma,
Firenze, Bari, Genova). La situazione appare generalmente buona nei piccoli distretti (in
particolare, Campobasso e Messina), con leccezione di Potenza. Decisamente negativa,
per cause non imputabili ai magistrati, è la situazione delle pendenze a Reggio Calabria
e a Palermo, e addirittura drammatica quella che sono chiamati a fronteggiare il tribunale
e la magistratura di sorveglianza di Napoli. Va, tuttavia, rilevato che anche dove sono stati raggiunti risultati
particolarmente positivi si è ben lontani dal rispetto del termine di legge di
quarantacinque giorni dalla presentazione dellistanza: ove i ritardi sono più
contenuti (Genova, Messina ) si registra una media di quattro-sei mesi per la definizione
di un procedimento di sorveglianza. Del resto il termine di quarantacinque giorni per la
decisione era stato stabilito quando l affidamento in prova poteva essere concesso
solo ai detenuti in espiazione di pena, per condanna non superiore a tre anni, dopo tre
mesi di osservazione in ambito penitenziario. Da un lato si è verificato, per successivi
interventi normativi ed estensioni operate dalla Corte costituzionale, un enorme
ampliamento della platea dei soggetti che possono essere ammessi alle misure alternative,
dallaltro, per i richiedenti le misure in stato di libertà, è necessario attendere
la relazione dei Centri di servizio sociale, che dovrebbero avere un minimo di serietà e
consistenza. Il termine, quindi, anche ove fosse possibile astrattamente, non potrebbe
essere rispettato pena una decisione non ponderata e priva di istruttoria per i condannati
in regime di sospensione. In ordine alle pendenze, tuttora assai elevate, va poi rilevato che lultima
determinazione degli organici della magistratura di sorveglianza risale alla fine degli
anni ottanta, mentre le funzioni ed il contenzioso sono enormemente aumentate. A ciò si
aggiungono le persistenti carenze e scoperture degli organici del personale amministrativo
e dei Centri di servizio sociale. Come avevo già anticipato nella relazione dello scorso
anno scorso, tutti i magistrati di sorveglianza sono ben consapevoli della trasformazione
del loro ruolo, da garanti della legalità dellesecuzione della pena a responsabili
delleseguibilità delle condanne e delle modalità di esecuzione. La conseguenza è
che in distretti come Palermo il numero delle udienze del tribunale di sorveglianza è
stato elevato a quattro a settimana, cui vanno aggiunte le udienze monocratiche del
magistrato di sorveglianza; il che, però, ha avuto ripercussioni negative sullo
svolgimento di altre attribuzioni: le visite al carcere e la conoscenza dei detenuti si
sono drasticamente ridotte proprio in una delle realtà più drammatiche per affollamento
degli istituti penitenziari e tipologia dei detenuti. La situazione è peraltro pressoché
generalizzata, e si vanno diffondendo prassi semplificatorie delle procedure; così, ad
esempio, alcuni tribunali di sorveglianza dichiarano le estinzioni della pena a seguito di
positivo svolgimento della misura alternativa dellaffidamento in prova al servizio
sociale o della liberazione condizionale senza adottare la procedura in contraddittorio
prevista dallart. 678 c.p.p., riservando ai soli casi dubbi la fissazione delludienza
camerale. Molto opportunamente, quindi, il Parlamento ha, di recente, varato,
con la legge 19 dicembre 2002 n. 277, una riforma della legge 26 luglio 1975 n. 354 che,
come era stato auspicato nella relazione dello scorso anno, ha modificato liter procedimentale
in materia di liberazione anticipata attribuendola alla competenza del magistrato di
sorveglianza, che provvede con ordinanza de plano, reclamabile al collegio. Il rapporto tra misure alternative richieste e concessioni è del
tutto in linea con quello dei due anni precedenti, salvo un aumento della detenzione
domiciliare dovuto allampliamento dei limiti normativi di concedibilità. Si
rafforza la tendenza a concedere l affidamento in prova per i tossicodipendenti solo
in presenza di programmi residenziali di recupero presso comunità terapeutiche. Limitatissimo il numero di casi di ritardato o mancato rientro da
permessi. Alcune recenti modifiche normative sono state positivamente
apprezzate: sul piano processuale la riforma dellart. 656 c.p.p., che ha
ripristinato la notifica in luogo della consegna a mani proprie dellordine di
carcerazione, e linserimento nellart.
677 c.p.p. del comma 2-bis che prevede
lobbligo del richiedente una misura alternativa di eleggere domicilio a pena di
inammissibilità della richiesta. Ciò ha molto semplificato le notifiche. Sul versante
sostanziale ha avuto larga applicazione la concessione della detenzione domiciliare oltre
i limiti ordinari ai condannati affetti da gravi malattie, in sostituzione dei rinvii o
delle sospensioni dell esecuzione. La situazione delle carceri appare sempre più grave. Lamministrazione
ha valutato in 41.602 la recettività complessiva di tutti gli istituti in condizioni di
rispetto del regolamento e delle finalità rieducative, oltre che di sicurezza e di pieno
controllo della situazione da parte della polizia penitenziaria, indicando però una più
elevata soglia di capienza di necessità (circa 60.000), legata, appunto, alle contingenze
del momento. Tale distinzione suscita perplessità, poiché in linea di massima i diritti
dei detenuti e il rispetto della loro dignità non sono comprimibili, ed è difficile ammettere uno scarto così elevato
tra capienza regolamentare e capienza di necessità; ma va tenuto presente che la prima è
stata calcolata sulla scorta dei requisiti minimi di superficie per persona richiesti per
le abitazioni civili. In ogni caso il numero dei detenuti al 30 giugno 2002 era di 56.271
unità (dei quali 22.135, pari al 39,3%, in custodia cautelare), con un incremento di
circa 900 unità rispetto al 30 giugno 2001 (nei mesi successivi si è avuta una lieve
diminuzione: al 14 novembre 2002 erano 56.032); si è, quindi, ormai vicini alla c.d. capienza di necessità. Ma la situazione è certamente più grave di quanto appaia perché il
sovraffollamento non è distribuito in modo uniforme; esistono situazioni come quella di
Massa in cui il rapporto tra capienza regolamentare e presenze è addirittura di 82 a 237;
assai grave è, comunque, il sovraffollamento a Napoli, Palermo e Reggio Calabria. La
popolazione carceraria presenta problematiche particolari per presenza di
tossicodipendenti (pari al 28% dei detenuti presenti) e malati di epatite o
immunodeficienza, turbe psichiche e di un elevato numero di stranieri (il 30%), moltissimi
dei quali di religione islamica, con tutte le conseguenze legate alle diverse abitudini
alimentari e di culto. Inoltre le strutture penitenziarie sono giudicate, in molti casi,
inadeguate per vetustà e degrado. E auspicabile che il piano straordinario di
potenziamento delle strutture penitenziarie previsto dallart. 6 del decreto legge 11
settembre 2002 n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 2002 n. 259,
possa avere tempestiva attuazione. Va ancora segnalata la carenza di strutture sanitarie. In Sardegna
non esiste un solo ospedale psichiatrico giudiziario; per tutta la Sicilia e la Calabria
ce nè uno solo. Eppure è noto che la detenzione è una situazione di stress che
favorisce le sindromi depressive reattive, e il numero dei suicidi e dei tentati suicidi
di detenuti è purtroppo assai elevato: per citare solo alcuni dati, nel distretto di
Milano si sono verificati ben 13 suicidi, in quello di Bologna 107 tentati suicidi e 5
suicidi, ad Ancona 7 tentativi e 2 suicidi, a Sassari 3 suicidi, a Trieste 2 tentativi ed
un suicidio, a Venezia 9 tentativi ed un suicidio, a Palermo 3 suicidi, a Catanzaro 2.
Altre corti d appello non hanno fornito il dato. La situazione penitenziaria è al centro del dibattito politico. Non
compete al Procuratore generale la scelta delle misure più opportune. Sembra però giunto
il momento di affrontare con urgenza un problema il cui esito era prevedibile da anni,
poiché la popolazione penitenziaria è ininterrottamente cresciuta nonostante il sempre
maggior ricorso a misure alternative (che coprono ormai ben più della metà delle
condanne a pena detentiva) e la recente depenalizzazione. Anche le legittime aspirazioni
alla sicurezza e alla certezza della pena debbono confrontarsi con lattuale
rigidità ed inadeguatezza del sistema penitenziario. Occorre una visione globale del
problema; eventuali misure temporanee di riduzione dellaffollamento che si ritenesse
di adottare dovrebbero essere accompagnate da un programma di rinnovamento delledilizia
penitenziaria e di aumento degli organici della polizia penitenziaria e degli educatori,
per rendere la espiazione della pena più coerente possibile con i principi costituzionali
di umanizzazione e rieducazione. LA CORTE DI CASSAZIONE E LA PROCURA GENERALE Sulla Corte di cassazione restano tuttora valide le considerazioni
svolte lo scorso anno; permangono, infatti, tutte le difficoltà allora evidenziate
perché possa avere piena attuazione il suo ruolo istituzionale di organo posto al vertice
(funzionale, non gerarchico) del sistema giudiziario italiano, come emerge non solo dagli
artt. 111 della Costituzione e 65 dellordinamento giudiziario, che affidano ad essa
luniforme interpretazione della legge e lunità del diritto
oggettivo nazionale, ma anche dallart. 104 comma 2 della Carta fondamentale,
che conferisce al Primo Presidente ed al Procuratore Generale della Corte di cassazione il
ruolo di componenti di diritto del Consiglio Superiore della Magistratura e dal successivo
art. 135 comma 1, che attribuisce alla Corte di cassazione e alla Procura generale il
potere di nominare un quinto dei giudici della Corte costituzionale. Resta infatti imponente e non trova pari in corti supreme di
Paesi ad ordinamento giuridico simile al nostro il numero dei ricorsi che
annualmente affluiscono alla Corte di cassazione. Nel periodo 1° luglio 2001 30
giugno 2002 ne sono pervenuti 79.170, di cui 32.682 in materia civile e 46.488 in materia
penale; nello stesso arco temporale sono state pronunciate ben 63.534 sentenze.
Armonizzare, sia pure nellambito dei singoli settori e delle varie materie trattate,
un così elevato numero di decisioni al fine di garantire luniforme interpretazione
della legge è mera utopia, nonostante gli sforzi, anche organizzativi, che la Corte
compie in tale direzione con lindispensabile supporto dellUfficio del
Massimario, particolarmente attento e sensibile alla pronta rilevazione e segnalazione di
ogni contrasto di giurisprudenza. In tale attività si rivela sempre più prezioso lausilio
degli strumenti informatici, il cui ulteriore sviluppo è stato, tuttavia, rallentato da
restrizioni di bilancio. Per fronteggiare tale situazione è urgente por mano con decisione a
riforme che riducano il sovraccarico della Corte. Talune
di esse, di natura più strettamente tecnica, sono state già auspicate nella relazione
dello scorso anno e non è il caso di indugiarvi ancora; mi limiterò a segnalare che nel
settore penale è ulteriormente aumentato, sia in termini assoluti che percentuali, il
numero dei ricorsi proposti personalmente dallinteressato (che costituiscono un non
senso in un giudizio caratterizzato da spiccato tecnicismo, qual è quello di cassazione):
sono stati 11.706, pari al 25%, a fronte del 21% del periodo precedente; va pertanto
registrata con soddisfazione una proposta di legge di iniziativa parlamentare (n. 2754-bis/C)
volta ad eliminare tale possibilità mediante una modifica dellart. 613 c.p.p. E sempre più necessario impegnarsi per un cambiamento della
mentalità di tutti coloro che operano in cassazione (magistrati ed avvocati) perché,
ciascuno per la loro parte, contribuiscano a ricondurre il giudizio di cassazione nellàlveo
suo proprio di giudizio di legittimità, che si limita a verificare la corretta
applicazione della legge sostanziale e processuale, senza sostituirsi al giudice di merito
nella valutazione dei fatti per cui è processo. Se non è possibile procedere nella direzione, più volte auspicata
negli anni scorsi, di una drastica riduzione, sia nel settore civile che in quello penale,
dei provvedimenti soggetti a ricorso per cassazione, pur nel rigoroso rispetto della
disposizione di cui allart. 111 comma 7 della Costituzione, secondo il quale contro
le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi
giurisdizionali è sempre ammesso ricorso per cassazione, è necessario evitare unulteriore
dilatazione dei provvedimenti ricorribili. Una tale estensione rischierebbe di paralizzare
definitivamente la suprema Corte e di porsi in rotta di collisione con il principio della
ragionevole durata del processo, sancito dal comma 2 del suddetto art. 111, tutte le volte
in cui oggetto dellimpugnazione fossero provvedimenti adottati nel corso delliter
procedimentale che conduce alla pronuncia e volti a disciplinarne lo svolgimento. A quanto detto si aggiunga che le condizioni di grave disagio in cui
sono costretti ad operare i magistrati della Corte di cassazione non ne agevola certo il
lavoro. La maggior parte di loro non dispone, non dico di una stanza, ma neppure di un
tavolo sul quale potersi appoggiare quando vengono in ufficio per studiare gli incarti
processuali; senza parlare, poi, della assoluta mancanza di supporti umani che possano
agevolare tale studio: il pensiero corre alla tante volte auspicata introduzione del c.d.
assistente di studio. Nella relazione dello scorso anno non era stato possibile fare un
bilancio su alcune riforme del procedimento davanti alla Corte di cassazione intervenute
nei primi mesi del 2001. Trascorso oltre un anno dalla loro introduzione, tale bilancio è
ora possibile. Per quel che concerne il settore penale e gli effetti della legge 26
marzo 2001 n. 128, con la quale è stato semplificato il procedimento camerale e se ne è
potenziata lutilizzazione con la creazione di unapposita sezione della Corte
(la VII sezione penale), cui è affidato lesame dei ricorsi inammissibili, il
bilancio è senzaltro positivo. Nel periodo considerato sono pervenuti a tale
sezione 21.620 ricorsi, pari al 46% del totale; ciò sta a significare che quasi la metà
del lavoro della Cassazione in materia penale viene svolto dalla nuova sezione, con due
importanti conseguenze: a) le rimanenti sezioni possono dedicarsi più
proficuamente alla trattazione degli altri procedimenti; b) la sollecita
individuazione e la tempestiva definizione dei ricorsi inammissibili costituisce un utile
mezzo di dissuasione contro lutilizzazione strumentale e defatigatoria di tale
impugnazione. Non è poi estraneo alla istituzione della nuova sezione il consistente
aumento delle declaratorie di inammissibilità di si dirà più oltre. E auspicabile, tuttavia, che lattività preliminare di
individuazione dei ricorsi inammissibili sia ispirata a criteri di maggior rigore; infatti
ancora assai elevato è il numero dei ricorsi che vengono dichiarati inammissibili dalle
altre sezioni: circa il 40%. Ciò significa che vi è ancora spazio per migliorare il
funzionamento del meccanismo procedimentale voluto dal legislatore e, quindi, per
ottimizzarne gli effetti.
Nel settore
civile, la riforma dellart. 375 c.p.c. è stata introdotta per consentire alla Corte
di risolvere, più rapidamente e in modo più informale, i ricorsi per i quali lo strumento della sentenza, sorretta da una
motivazione compiutamente esplicitata, non
rispondeva ad alcuna vera esigenza. Adeguandosi a tale richiesta, il legislatore ha
previsto - con la legge 24 marzo 2001 n. 89 - la possibilità di decidere il ricorso in
camera di consiglio e con motivazione succinta non più soltanto nei casi di
inammissibilità e per i regolamenti, ma anche
nei casi di manifesta fondatezza o di manifesta infondatezza, oppure di mancanza dei
motivi di cui allarticolo 360 c.p.c., in particolare quando con il ricorso si chiede
una rivalutazione dellaccertamento di fatto.
Il bilancio che
ad oggi è possibile fare di questa riforma non può dirsi soddisfacente: i risultati dellinnovazione
legislativa appaiono molto scarsi in tutte le sezioni della Cassazione civile (con tale
procedura sono stati definiti poco meno del10% dei ricorsi), fatta eccezione per la
terza sezione e per la sezione tributaria, anche se naturalmente prima che l'attuazione della nuova disciplina vada
a pieno regime, è necessità un certo spazio
di tempo per elaborare le più opportune misure organizzative. Non convincono pienamente
le ragioni addotte da altre sezioni civili della Corte, nelle quali si fissano per ludienza
pubblica ricorsi che bene potrebbero essere decisi in camera di consiglio. Anche infatti a
parità di tempi di fissazione, si trascura di
considerare che si tratta di una direttiva di legge che intende dissuadere dalla
proposizione di ricorsi inammissibili, che invece la trattazione in udienza fa apparire
come meritevoli di attenzione da parte di una corte suprema. Non esistendo per il settore
civile una sezione apposita (come accade invece nel settore penale con la VII sezione),
sarebbe auspicabile il rafforzamento degli uffici-spoglio già esistenti, affidandone la cura ai presidenti assegnati a ciascuna di esse. I dati statistici (che si riferiscono al periodo 1° luglio 2001
30 giugno 2002) evidenziano con spietata implacabilità la grave situazione in cui
versa lorgano posto al vertice dellorganizzazione giudiziaria italiana. I ricorsi pendenti sia nel settore civile che in quello penale
a fine periodo ammontavano a 104.565, mentre al 30 giugno 2001 erano 88.955, con un
aumento, quindi, del 17%. Nel settore civile il numero delle sopravvenienze continua ad
aumentare in misura molto elevata e questanno
è stata superata quella soglia di 32.000 nuovi processi allanno, che fino a pochi
anni fa veniva considerata una prospettiva troppo pessimistica. I dati dellultimo
triennio mettono in luce una progressione allarmante: dai 24.235 procedimenti sopravvenuti
nel periodo dal 1° luglio 1999 al 30 giugno 2000 si era già passati, nei 12 mesi
successivi, a
29.272, con un incremento, quindi, del 21%.
Le sopravvenienze sono ulteriormente aumentate
nellultimo anno, sia pure con una progressione meno accentuata: nel
periodo dal 1° luglio 2001 al 30 giugno 2002, infatti, sono stati iscritti in Cassazione 32.682
nuovi ricorsi, con un aumento dell12% rispetto ai dodici mesi
precedenti. La gravità della situazione è poi accentuata dalla notevole
riduzione del numero dei processi esauriti nel corso dellanno: 18.155, contro i
20.944 dei dodici mesi precedenti (- 13%) e i 21.128 dellanno giudiziario 1999-2000.
La riduzione riguarda tutte le sezioni, eccettuate le Sezioni unite e la sezione
tributaria, e sommando i processi pendenti allinizio del periodo di riferimento
(pari a 61.951) a quelli sopravvenuti nel corso del
periodo (pari a 32.682), si ha un carico di 94.633 processi
rispetto al quale il numero di quelli esauriti (pari, come si è detto, a
18.155) rappresenta una quota del 19%, certamente insufficiente.
Poiché la mole
di ricorsi che vengono annualmente iscritti è di gran lunga superiore a quella che la
Corte riesce a decidere e questa eccedenza si cumula con quella degli anni precedenti, la
pendenza è aumentata questanno da 61.951 a 76.478 ricorsi (+ 23%).
Per effetto di
tale situazione si è verificato un consistente aumento della durata media del ricorso per
cassazione in materia civile, passata da 836 a 994 giorni, pari a 33 mesi. Come è stato posto in evidenza nella relazione dellanno
scorso, questo abnorme incremento del numero dei ricorsi ha una causa precisa. Si verifica
infatti in un settore ben delimitato: quello della materia tributaria. Nel periodo 1° luglio 2001 30 giugno 2002
sui 32.682 ricorsi di nuova iscrizione, infatti, ben 9.767
hanno avuto ad oggetto sentenze delle commissioni tributarie regionali o della Commissione
tributaria centrale. Di fronte a questo
afflusso, la capacità di definizione della sezione appositamente istituita per questa
materia ha avuto grazie anche allaumento del numero dei magistrati ad essa
addetti una impennata verso lalto tanto rimarchevole quanto insufficiente
essendo passati, i ricorsi definiti, da 2.531
a 3.784: il risultato è che la pendenza, per i giudizi in materia tributaria ha superato
le 25.000 unità (ed è andata ulteriormente aumentando nel periodo successivo: al 30
ottobre 2002 erano 28.187). Depurando i dati complessivi da quelli
relativi alla materia tributaria, il quadro che ne deriva è grave, ma meno
allarmante: la sopravvenienza si colloca a 22.915
unità; il numero dei giudizi definiti a 14.371
(pur sempre inferiore, quindi ai ricorsi sopraggiunti nel medesimo arco di tempo, ma con
un divario ridotto e, tutto sommato, meno scoraggiante); la pendenza finale si attesta a
50.955 ricorsi, con un incremento del 13% (rispetto
al 23% avendo riguardo a tutti i ricorsi). Gli sforzi organizzativi sin qui fatti al fine di cercare di far
fronte allimponente mole dei nuovi ricorsi non hanno raggiunto lo scopo ed anche la
speciale procedura camerale prevista dal nuovo testo dell'articolo 375 c.p.c., come si è
detto, non sembra aver dato i frutti sperati. Va tuttavia segnalato che, con la
collaborazione dei magistrati addetti allesame preliminare dei ricorsi, si sta
realizzando laccorpamento dei ricorsi c.d. seriali, al fine di definirli in ununica
udienza. Il che ha portato a un incremento del numero dei ricorsi definiti.
E stata
poi avviata (presso la terza sezione civile) il procedimento di informatizzazione, nella
prospettiva di estenderlo, se ne sarà confermata lutilità, a tutte le altre
sezioni.
Nel settore
penale, la situazione è meno pesante, anche se non si deve indulgere a facili
ottimismi. Infatti, a fronte di una contrazione delle sopravvenienze del 6%, essendo le stesse passate, rispetto al
periodo precedente, da 49.798 a 46.488, si è registrata una riduzione del 2% dei ricorsi
definiti (da 46.295 a 45.379).
Le
sopravvenienze hanno risentito positivamente degli effetti della depenalizzazione dei
reati minori di cui alla legge 25 giugno 1999 n. 205 ed ai successivi decreti legislativi
di attuazione 30 dicembre 1999 n. 507 e 10 marzo 2000, n. 74. Ma allincidenza
quantitativa non ha corrisposto una pari riduzione del lavoro dei magistrati, in quanto i
ricorsi aventi ad oggetti i reati poi depenalizzati, di regola, non presentavano eccessive
difficoltà. Per contro, la sempre maggiore complessità dei procedimenti sui quali la
Corte è chiamata a pronunciarsi sia per la obiettiva delicatezza e difficoltà di
molte questioni, accentuate dalle frequenti modifiche
del quadro normativo, che impediscono la formazione di orientamenti giurisprudenziali
consolidati, sia per lelevato numero di ricorrenti presenti in molti procedimenti
giustifica la contrazione del numero dei procedimenti definiti. Basti pensare ai
problemi connessi alla successione di norme penali sostanziali originati dalla nuova
disciplina dei reati in materia societaria, che hanno dato origine a non ancora risolti
contrasti interpretativi, ed alla frequenza con la quale ormai anche in Cassazione la
trattazione di un singolo procedimento si protrae per più udienze. Nellanno appena
decorso sono stati decisi diciassette procedimenti che hanno richiesto per la loro
definizione ben cinquantasette udienze. In particolare, sono stati venti i procedimenti
con più di venti ricorrenti, dei quali uno con sessantasette, uno con ottantaquattro, uno
con novantotto ed uno con ben centotrentuno ricorrenti.
Per effetto dei dati sopra riportati nel periodo considerato si è
verificato un aumento delle pendenze del 4%; sono, infatti, passate da 27.004 a 28.087; è confermato, in tal modo, un trend verso il progressivo incremento delle
pendenze, già emerso nellanno precedente, che si era arrestato solo nel periodo 1°
luglio 1999 30 giugno 2000. La durata media dei ricorsi per cassazione in materia penale è stata di 219 giorni, dal momento in cui
pervengono alla Corte a quello in cui vengono decisi (nel periodo precedente era stata di
192 giorni). La suddetta pendenza corrisponde, quindi, al lavoro della Cassazione di poco più di sette
mesi, ove si consideri che mediamente (tenuto conto anche del periodo feriale) il numero
dei ricorsi definiti in un mese è stato di 3.781 unità. Lesame degli esiti evidenzia che gli annullamenti, totali o
parziali, sono stati il 16,81% (una percentuale di quattro punti inferiore a quella del
periodo precedente), a fronte del 31,17% di rigetti, che hanno subito una lieve
contrazione (-2,03%) e del 50,20% di inammissibilità, che sono aumentate in maniera assai
consistente, essendo passate a tale incidenza percentuale dal 44,3% del periodo
precedente; il residuo 1,82% è costituito dai
conflitti, di giurisdizione o competenza, rettifiche
ed altro. In ordine agli annullamenti, i dati
statistici non rilevano la diversa incidenza percentuale di quelli con rinvio rispetto
agli annullamenti senza rinvio. Si può, tuttavia, rilevare che lincidenza dei
secondi è assai modesta e dovuta, nella quasi totalità dei casi, alla sopravvenienza di
cause di estinzione del reato.
Questi dati
debbono far riflettere sulluso distorto che viene fatto del ricorso per cassazione
in materia penale: la metà di quelli proposti lo sono per ragioni che non possono essere
esaminate dal giudice di legittimità; il 12% (pari a 5.488) sono proposti avverso
sentenze con le quali il giudice accoglie laccordo intervenuto fra le parti
(patteggiamento); l85% di questi ultimi
sono dichiarati inammissibili (4.695). Di ciò i magistrati della Cassazione, specie dopo la già ricordata
istituzione della VII sezione penale, hanno acquisito definitiva consapevolezza. E
auspicabile che altrettanto facciano gli utenti del servizio giustizia, i quali dovranno
rendersi conto della inutilità di una impugnazione che non abbia ad oggetto
esclusivamente vizi di legittimità, considerato anche che, secondo lormai
consolidato orientamento della giurisprudenza, una impugnazione inammissibile preclude
anche la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Non dovrà essere più consentito, se si vuole che la Cassazioni
operi come giudice supremo, di proporre -
senza subire conseguenze in caso di rigetto - ricorsi
il cui unico scopo sia quello di procrastinare il passaggio in giudicato della sentenza. *****
Presso la Corte
di cassazione è costituita, quale organo del pubblico ministero, la Procura generale.
Sulle funzioni ed i poteri, tuttaffatto particolari e diversi rispetto agli omologhi
uffici di merito, ad essa attribuiti nel nostro ordinamento e sulla sua posizione nellambito
dellorganizzazione giudiziaria, mi sono soffermato nella relazione dello scorso
anno, e non è quindi il caso di tornare, anche se non possono ignorarsi le proposte di
riforme strutturali attualmente allo studio, sulle quali non è ovviamente possibile
pronunciarsi.
I dati
statistici sopra richiamati sui flussi di lavoro della Cassazione sono riferibili anche
alla Procura generale, che esprime il parere, scritto o orale, su tutti i provvedimenti,
anche in materia civile, che la Corte adotta.
Quanto alle
competenze proprie della Procura, si è avuto un consistente incremento dei provvedimenti
in materia di determinazione della competenza nel corso delle indagini preliminari,
adottati a seguito di contrasti, positivi o negativi, tra organi del pubblico ministero
appartenenti a distretti diversi (artt. 54 e 45-bis c.p.p.), ovvero su
sollecitazione della parti private che ritengano competente per le indagini il pubblico
ministero di un distretto diverso da quello dellorgano procedente (art. 54-quater c.p.p.). Essi, infatti, nel periodo 1°
luglio 2001 30 giugno 2002, sono stati 315, con un aumento del 9% rispetto al
periodo precedente.
Una lieve
contrazione hanno subìto, invece, i provvedimenti di cessazione delle misure cautelari
allorché questa consegua a sentenze della Corte di cassazione, che lart. 626 c.p.p.
attribuisce alla competenza del Procuratore generale; nellanno appena decorso sono
stati 132 ed hanno riguardato 208 ricorrenti.
Nel settore
civile particolarmente intensa ed impegnativa è stata lattività dei magistrati
della Procura volta ad applicare con la massima latitudine possibile la nuova procedura di
cui al citato art. 375 c.p.c., specie per quanto attiene al delicato settore dei
regolamenti di giurisdizione davanti alle Sezioni Unite. Nellanno appena decorso la Procura generale ha ulteriormente
intensificato i rapporti con gli uffici omologhi di Paesi stranieri, soprattutto europei.
In ambito continentale, infatti, è sempre più avvertita la necessità di conoscenze, di
scambi culturali e di esperienze nel settore della giustizia, che consentano di porre le
basi per una futura armonizzazione dei vari ordinamenti, superando la dimensione
prevalentemente economica dellUnione europea. Per dare ulteriore impulso a tali rapporti nel novembre scorso è
stato istituito lUfficio relazioni internazionali, nellambito del quale
opererà anche il Punto di contatto della Rete giudiziaria europea in materia civile e
commerciale, essendo stata la Procura generale presso la Corte di cassazione designata
quale uno dei due punti di contatto, per lItalia, di detta Rete (laltro è lUfficio
legislativo del Ministero della Giustizia). Per quanto attiene al settore della responsabilità disciplinare dei
magistrati, vanno ricordate le novità strutturali già evidenziate nelle relazioni degli
anni trascorsi, quali : a) la definitiva affermazione del carattere giurisdizionale del
procedimento, con conseguente applicabilità ad esso del principio del giusto
processo; b) la sentenza n.
497/2000 della Corte costituzionale, che ha reso possibile al magistrato sottoposto a
procedimento disciplinare di avvalersi, per la difesa, dellopera professionale di un
avvocato del libero Foro; c) lentrata in vigore della legge 24 marzo 2001
n. 89 (c.d. legge Pinto) che, configurando allart. 5 un ulteriore caso di responsabilità contabile per danno erariale
conseguente alla non ragionevole durata del
processo, ha inciso sul regime della responsabilità disciplinare del magistrato,
ampliando il sistema di controllo dei doveri di laboriosità e professionalità. A queste novità dello scorso anno devono aggiungersi e segnalarsi,
per lanno di riferimento, due significativi interventi della Corte costituzionale
(sentenze n. 457/2002 e 270/2002): con il primo di essi i giudici della Consulta hanno escluso, con riferimento al procedimento di
trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale ex art. 2 del regio decreto
legislativo 31 maggio 1946 n. 511, la sussistenza del diritto del magistrato ad essere
assistito da un avvocato del libero Foro. A tale conclusione la Corte è pervenuta in base alla considerazione che il procedimento in
esame, diversamente da quello disciplinare in
senso stretto, non riveste natura giurisdizionale, posto che
in esso non viene in rilievo un illecito compiuto dal magistrato, ma una
situazione obiettiva che si determina nellUfficio ove egli esercita le sue funzioni;
e considerando altresì che il procedimento segue lo schema tipico del procedimento
amministrativo, in cui ciascun suo componente può intervenire e manifestare pubblicamente
la propria opinione, concorrendo infine alla deliberazione finale a seguito di votazione
pubblica. Con la sentenza 270/2002, la Corte costituzionale, in sede di
risoluzione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto in punto di sindacabilità da parte del C.S.M.
delle condotte, in ipotesi disciplinarmente rilevanti, poste in essere da magistrato poi
collocato fuori del ruolo organico della magistratura per mandato parlamentare, ha
affermato limportante principio in base al quale i comportamenti riconducibili esclusivamente allo status
di magistrato ed ai connessi doveri, non essendo qualificabili come opinioni (né tanto
meno come voti) espresse nelle funzioni parlamentari, non possono essere in alcun modo
ricondotti alla sfera della insindacabilità garantita dallart. 68, comma primo,
della Costituzione. Nella decisione della Corte è rimasto peraltro impregiudicato un
altro tema di fondamentale rilevanza e cioè se in capo al magistrato eletto in Parlamento
possa ipotizzarsi la permanenza di qualcuno dei doveri collegati alla status
tuttora rivestito di magistrato. Per quanto riguarda i
compiti spettanti a questUfficio ai sensi della c.d. legge Pinto, occorre
considerare che oggetto del decreto della competente Corte di appello è laccertamento
della violazione del fondamentale dovere dello Stato di fornire il servizio giustizia in
un termine ragionevole, e non laccertamento della responsabilità del singolo
operatore del processo (giudice, ausiliario, parte) nel quale il ritardo ingiustificato si assume verificato. Ciò nonostante, e pur nella consapevolezza di aggravare di un
ulteriore onere i capi di Corte, si è dato seguito alle prescritte comunicazioni,
procedendo ad acquisire informazioni sulloperato dei magistrati, al fine di
verificare se la durata irragionevole del procedimento fosse imputabile a colpa del
giudice, o dei giudici incaricati della trattazione del procedimento medesimo, nonché al
fine di controllare il rispetto del dovere di diligenza e operosità da parte del
magistrato (in aggiunta alle ordinarie fonti di acquisizione di informazioni al riguardo,
quali le ispezioni, le segnalazioni dei capi degli uffici, le statistiche ecc.). E significativo in proposito constatare che, a fronte delle 201 pratiche aperte a tal fine nel 2001, nel corso del
2002 risultano aperti oltre 1500 procedimenti, cui hanno fatto seguito altrettante
richieste di accertamento rivolte ai Capi delle Corti territoriali che, in più occasioni,
hanno segnalato lestrema difficoltà ad espletare tale compito. E vi è da dire che
tale impegno non ha portato a risultati in qualche modo significativi o utili, non essendo
stato possibile, nella stragrande maggioranza dei casi, ravvisare inerzia o difetto di laboriosità addebitabili
disciplinarmente a singoli magistrati ed
essendo risultato che la durata non ragionevole del processo è quasi sempre dovuta
piuttosto a carenze del sistema o a vicende di varia natura, quali ad esempio lavvicendarsi
di più magistrati nella trattazione del procedimento, per trasferimento di sede o
destinazione ad altro incarico. Altre volte si
è riscontrata la particolare gravosità, per qualità e quantità, del carico di lavoro
assegnato al singolo, o lesistenza di carenze di organico nellUfficio, sia dei
magistrati, sia del personale amministrativo. Le modifiche della normativa (a seguito del decreto legge 11
settembre 2002 n. 201) prevedevano, come si è già ricordato, la possibilità di un
accordo transattivo su proposta dellAvvocatura
dello Stato, investita direttamente da chi propone listanza di equa riparazione ai
sensi della legge 89/2001. Tali modifiche tuttavia risultano, a oggi, venute meno a
seguito della mancata conversione in legge del decreto sopra citato. Si confida comunque
in un ripensamento della intera disciplina
della materia che tenga conto delle difficoltà applicative emerse. A proposito della (da
gran tempo) auspicata individuazione delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare e
delle relative sanzioni, si registra con favore che essa
è stata inserita nel disegno di legge delega presentato dal Governo nello
scorso mese di marzo per la riforma dellordinamento giudiziario (n. 1296/S),
concernente la riforma dellordinamento giudiziario (art. 1 lett. f ed art.7). Si auspica che, nell emanando decreto
legislativo, si ponga mano anche alla riforma delle
regole del procedimento disciplinare, tuttora assoggettato alla disciplina del codice di
procedura penale abrogato; inoltre; che si modifichi la impugnabilità delle sentenze
della Sezione disciplinare, che attualmente prevede, forse
impropriamente, la competenza alle
Sezioni Unite civili della Corte di cassazione. Si rappresenta poi lesigenza di
dotare anche il Procuratore generale presso la Corte di cassazione di autonomi poteri di
inchiesta e dei relativi strumenti di controllo della deontologia dei magistrati. A proposito del disegno
di legge di riforma dellordinamento giudiziario sopra citato, suscita non poca
perplessità la previsione (art. 4 lett. g, n.
2) del trasferimento del potere di vigilanza sui magistrati, con obbligo di segnalare i
fatti disciplinarmente rilevanti, dai capi di corte (artt.14
e segg. ord. giud. vigente) ai Consigli giudiziari che, quale organo collegiale, si
troverebbero a dover fronteggiare le difficoltà di una procedura necessariamente più
complessa al fine di individuare le notizie disciplinarmente rilevanti, da far pervenire
ai titolari dellazione disciplinare. Si conclude riaffermando che lo strumento disciplinare, usato con
tutte le garanzie di legge, costituisce, ed ancor più potrà costituire in futuro, un
fondamentale strumento di verifica, volto al controllo dellosservanza, da parte dei
magistrati, dei doveri connessi allespletamento delle funzioni (ed in particolare
della loro operosità e diligenza), nonché al
controllo dei comportamenti degli stessi nella vita privata e di relazione, ivi compreso
il rispetto del dovere di riserbo in rapporto al diritto di critica e manifestazione del
pensiero.
Rifacendomi a
quanto si era detto in Premessa, occorre soffermarsi su taluni importanti aspetti di una
possibile riorganizzazione del sistema, al fine di proseguire nel cammino del recupero
dellefficienza e di estendere a tutti gli uffici giudiziari i metodi di lavoro
sperimentati con successo in alcune corti e in alcuni tribunali. Nelle relazioni di tutti i Procuratori distrettuali vi è ampia
condivisione della necessità di proseguire nel cammino del recupero dellefficienza
attraverso un maggiore impegno, diretto e immediato, in tutti gli uffici giudiziari, già
in base agli strumenti oggi disponibili. Questo dimostra quanto sia sentita nella
magistratura questa esigenza di concretezza. Mi auguro che nelle loro relazioni del 18
p.v. tutti i Procuratori generali delle Corti di appello la vorranno ribadire.
Personalmente, vorrei aggiungere che in molti casi è possibile suggerire lapplicazione
di metodi di organizzazione del lavoro
sperimentati con successo in alcuni uffici giudiziari. Il principio affermato, in punto di
effettività della tutela giudiziaria, nel novellato art. 111 Cost. deve avere infatti diretta applicazione, quale obbligo di risultato,
anche da parte di tutti coloro che sono preposti a compiti di dirigenza e di organizzazione. Mi fa piacere segnalare che esistono oggi numerosi esempi virtuosi di
uffici giudiziari nei quali, grazie allo spirito diniziativa e allimpegno dei
capi, e grazie alla collaborazione dei magistrati che ne fanno parte, sono stati formulati
(così è avvenuto, ad esempio, in molti settori del tribunale di Roma) piani di
riorganizzazione degli uffici e dellattività dei singoli magistrati secondo moduli
operativi preventivamente studiati e concordati, verificati poi alla fine dellanno,
per la riduzione degli arretrati e per lordinato svolgimento del lavoro giudiziario
corrente. Nel settore civile, risultano rispettati in molti uffici i tempi giusti per i
giudizi di nuova instaurazione e, con lausilio dellinformatizzazione, si sono
ottenuti ottimi risultati per il migliore funzionamento e la trasparenza dei più
importanti settori, come quello (molto
delicato) fallimentare - e qui vorrei segnalare il programma informatico approntato dal
tribunale di Monza - quello societario e
quelli delle esecuzioni, dei procedimenti cautelari e di volontaria giurisdizione. In
molti uffici giudiziari, con lausilio degli strumenti informatici, magistrati,
avvocati e le stesse parti interessate sono in grado di seguire landamento delle
procedure. Ciò dimostra la possibilità,
prima ancora che sia stata formulato un piano generale di riorganizzazione, di ottenere
risultati concreti con il solo impegno personale dei magistrati. E giunto, credo, il momento di valorizzare i compiti che
spettano ai capi degli uffici. Occorrono magistrati dirigenti dinamici e autorevoli,
dotati di capacità organizzative, che sappiano gestire gli uffici secondo programmi predefiniti e con criteri che
abbiano di mira i risultati da conseguire e che sappiano realizzare gli scopi che la
situazione locale impone. Occorre che il C.S.M. li scelga perciò in base a criteri di
efficienza e non di sola anzianità di ruolo, chieda loro di prendere conoscenza della
situazione e dei problemi in atto, li chiami a enunciare i propri programmi e poi a
rendere conto, a determinate scadenze, dei risultati conseguiti. A simili riforme organizzative, che si possono realizzare già in
base alla normativa vigente, altre se ne potrebbero aggiungere, sempre nellintento
di modernizzare un servizio che, per rispettare il canone fondamentale della piena
autonomia sul versante giurisdizionale, non può ottenere risultati utili in termini di
efficienza se non attraverso sistemi di coordinamento e di controllo sui metodi
organizzativi adottati.
In particolare,
ferme restando le competenze del C.S.M., occorrerebbe potenziare i controlli interni alla
stessa magistratura, da attuarsi attraverso i capi degli uffici (scelti secondo i criteri
sopra auspicati) e con la collaborazione dei consigli
giudiziari, al fine di verificare le modalità di svolgimento del lavoro
giudiziario nei singoli settori ed i risultati conseguiti. Il tutto sempre nel rigoroso
rispetto dellindipendenza del magistrato e della funzione giurisdizionale. Attualmente, per quanto attiene all'organizzazione del servizio
giustizia sul territorio, vi è una realtà complessa. Esistono 26 corti di appello e 165
tribunali, con i relativi uffici di procura, senza parlare degli uffici dei giudici di
pace. Un numero forse eccessivo, specie con
riferimento a taluni comprensori dove meno elevata è la litigiosità o la criminalità. Sono in servizio 9157 magistrati, di cui 8262
investiti di funzioni giurisdizionali (2069 con funzioni requirenti). Di questi, 3280 sono donne (il 37,9 %
del totale). La presenza dei magistrati donna è cospicua negli uffici di merito e si
avvia a diventare visibile anche nelle
funzioni di legittimità (con 25 consiglieri di cassazione e 3 magistrati addetti alla
Procura generale) e negli incarichi direttivi. Il che sta a
significare che la magistratura è stata in
grado di recepire i fermenti nuovi della società, facendo vivere anche al proprio interno
il valore costituzionale delluguaglianza. Questa complessa, e qualificata, macchina della giustizia deve poter
funzionare al meglio. L'enorme mole di lavoro che incessantemente si riversa su di essa
impone ormai, in una visione d'insieme, di fare uso dei principi della scienza
dell'organizzazione, con una progettualità di largo respiro. E importante infine
riaffermare lesigenza che, pur nella distinzione delle funzioni, giudicante e
requirente, tutti i magistrati continuino a far parte di un unico ordine e abbiano una
comune cultura della giurisdizione, per potere operare in piena indipendenza nellinteresse
generale, ben vero nel rispetto delle regole interne di coordinamento fissate nellambito
degli uffici di appartenenza ai fini di un corretto ed efficiente esercizio dellattività
giudiziaria.
***** Il quadro attuale dellorganizzazione giudiziaria e della
gestione della giustizia risulta però ancora inadeguato. Talune iniziative, che lo scorso anno avevano ingenerato speranze,
segnano il passo. Così, ad esempio, le disposizioni (di cui alla legge 13 febbraio 2001
n. 48) in tema di sostituzione dei magistrati assenti dal servizio per temporanea
indisponibilità: la formazione presso ogni corte di appello di una pianta organica di magistrati
distrettuali a disposizione, da destinare alla sostituzione dei colleghi
del distretto che risultino assenti per una delle ragioni predeterminate dalla legge
(malattia, gravidanza, maternità, sospensione cautelare, ecc.), potranno avere una
concreta attuazione solo quando verranno espletati i concorsi previsti da detta legge. Non
si è ancora realizzata poi la tanto attesa istituzione della figura professionale dellassistente
del giudice, per un ausilio nelle ricerche, nella stesura di provvedimenti seriali e
nellesame di incartamenti particolarmente voluminosi. Si riscontra, d'altro lato, il permanere di carenze, già rilevate
anche lo scorso anno, per quanto riguarda lentità e la distribuzione delle risorse
tra i vari uffici giudiziari, nonché la
insufficienza degli organici del personale amministrativo e la scarsità delle dotazioni
materiali (fra i molti settori oggetto di doglianze nei diversi distretti vi è pure
quello della attività investigativa - molto rilevante là dove più consistenti sono le
attività investigative in tema di criminalità organizzata - che richiedono luso di
apparecchiature per intercettazioni telefoniche soprattutto ambientali, la cui carenza
costringe a fare ampio ricorso a collaborazioni esterne, con notevole lievitazione dei
costi). L'inadeguatezza dei fondi destinati al lavoro straordinario del
personale amministrativo limita considerevolmente le attività degli uffici giudicanti e
requirenti, specie per quanto attiene alle udienze ed alle indagini più impegnative. Con
tale problema interagiscono negativamente anche la scarsa flessibilità consentita dalle
disposizioni vigenti nellimpiego dei dipendenti (problema che rischia di acuirsi con la progressiva attribuzione
a gran parte del personale di qualifiche superiori, a detrimento della varietà delle
professionalità occorrenti), nonché la scarsità di personale esecutivo (come nel caso
dei commessi, la cui assenza determina non secondarie difficoltà pratiche di gestione
delle attività d'ufficio). ***** Specifica trattazione occorre dedicare al settore informatico, non
soltanto per le peculiarità della materia, ma anche per la situazione su scala nazionale,
differente da quella registrata in generale per le strutture giudiziarie, che ho dianzi
sintetizzato. Per l'informatica è infatti unanime la valutazione in termini
positivi circa la dotazione di apparecchiature negli uffici giudiziari e l'apprestamento
di sistemi funzionali. La richiesta più pressante che viene dai distretti concerne la
necessità di curare la preparazione degli operatori, al fine di raggiungere l'effettiva
piena utilizzazione delle risorse disponibili. La formazione di una diffusa cultura informatica in ambito
giudiziario richiede in effetti uno sforzo consistente, anche nella consapevolezza che
assai più marcata è l'esigenza di aggiornamento in questo settore, rispetto a quasi
tutti gli altri ambiti operativi. Si registra perciò con preoccupazione il notevole
ridimensionamento dei fondi per l'informatica, riscontrato negli ultimi mesi, che
oltre a rendere difficoltosa la gestione dei sistemi in uso e la formazione del personale
ha significativamente rallentato l'attuazione dei progetti in fase di
realizzazione. La stessa gestione informatica del settore disciplinare, in via di
apprestamento in questa Procura generale, ha subìto una
inattesa battuta d'arresto. In conformità con una prassi, opportunamente consolidatasi nel corso degli anni, il Consiglio
nazionale forense, in vista dellinaugurazione dellanno giudiziario, ha fatto
pervenire le proprie riflessioni sullo stato dellamministrazione della giustizia. Nella consapevolezza che la funzione giurisdizionale, essendo
per eccellenza presidio del valore dello Stato deve essere difesa da ogni attacco che non
sia legittima critica del singolo caso giudiziario, nel documento si auspica che,
superando le discussioni e le tensioni che hanno caratterizzato lanno
trascorso, tutti gli operatori della giustizia possano ritrovare, nella concordia degli
strumenti tecnici, il modo per ridare autorevolezza ai soggetti del processo. Di un
processo che deve essere restituito al
corretto dispiegarsi delle dinamiche processuali e protetto da possibili ingerenze esterne, così da restare un
luogo il più possibile asetticamente separato dal più generale contesto sociale e
politico, nel quale operi una difesa sempre attiva e presente nel
processo e non contro il processo. I principi costituzionali esigono che la domanda di giustizia sia
soddisfatta, attraverso mezzi definiti e risultati certi, il più celermente possibile,
poiché giusto processo significa anche e soprattutto processo di durata ragionevole.
Il che impone labbandono in sede legislativa delle visuali parziali e settoriali per
affrontare in una visione complessiva i problemi della riforma con lapprovazione
dei tanti istituti di cui si parla ogni giorno, tutti utili alla causa della
giustizia. Il Consiglio nazionale forense è anche consapevole che la
realizzazione dei valori costituzionali esige unetica di comportamento e di
responsabilità e, in questa prospettiva, riferisce delle numerose iniziative adottate a livello culturale e
deontologico. Al termine di questa lunga esposizione sullo stato e landamento
della giustizia, si possono fare alcune considerazioni conclusive. La più importante mi
sembra quella che tutti oggi condividono il desiderio di poter fruire di una giustizia
efficiente e sollecita, ma anche di vedere
ristabilito il corretto, normale rapporto tra la magistratura e le altre istituzioni,
ponendo fine a contrasti e polemiche.
Si è parlato
della crisi del processo, della necessità di altre riforme ben coordinate, che vadano
nella direzione di assicurare la effettività e la tempestività della giustizia. Si è detto infine della possibilità di attuare la
riorganizzazione degli uffici giudiziari secondo logiche di progettualità conformi alle
esigenze del nostro tempo.
Per avviare a
soluzione il problema della scarsa efficienza
della giustizia cè bisogno però di una nuova cultura del processo, che deve essere
liberato da formalismi eccessivi e poter essere gestito in modo funzionale allo scopo da
raggiungere. Cè una crisi del processo civile che si trascina da anni ma che,
forse, con le riforme in arrivo, sembra potersi gradualmente avviare a soluzione. Resta
grave invece, e anzi si è ulteriormente aggravata, la crisi del processo penale, che non
funziona nei suoi snodi tecnici e che si svolge spesso in un clima di forti tensioni,
anche per contrasti tra esigenze di essenzialità e celerità che i magistrati cercano di
realizzare e posizioni difensive o accusatorie varie, consentite alle parti dallattuale
normativa. In questo settore occorre non solo agire con riforme di sistema che assicurino
la durata ragionevole del processo, ma soprattutto operare perché vi siano, da parte di
tutti i suoi protagonisti, comportamenti improntati a misura e a responsabilità, oltre
che a rispetto reciproco, così da eliminare eccessi e accanimenti, specie nel
dibattimento. I magistrati e gli avvocati - si
sono appena ricordate le assicurazioni fornite dal Consiglio Nazionale Forense - lo auspicano con convinzione. Bisogna ora mettere a
frutto queste disponibilità. La crisi del processo si traduce in crisi di consenso da parte della
collettività, la quale esige chiarezza nelle regole e normalità nella risposta di
giustizia. Ci devono essere norme, soprattutto processuali, che consentano di prevedere
i possibili esiti di un giudizio, esiti che poi si realizzano in tempi adeguati, anchessi
prevedibili. La crisi di consenso nei
confronti della giustizia, che è come si è detto crisi di efficienza e
anche di comportamenti, si traduce poi in crisi di fiducia soprattutto nei confronti della
magistratura, alla quale si addebitano spesso colpe che sono invece del sistema nel suo insieme. Ma occorre darsene carico per la
parte che concerne la nostra professionalità, nella convinzione che anche coloro che
muovono quelle accuse si ricrederanno. La Magistratura in qualche occasione è stata accusata, in relazione a taluni provvedimenti o a talune dichiarazioni
pubbliche di singoli magistrati, di essersi lasciata coinvolgere nelle contrapposizioni
che caratterizzano attualmente la società italiana. Le reazioni, talvolta strumentali,
che vi sono state, quando non improntate solo a legittima critica, hanno via
via creato però, anche per lamplificazione fattane nel circuito mediatico, limmagine
sbagliata di una magistratura non imparziale e incline alle polemiche
politiche, affetta in molti suoi componenti da protagonismo. Non si considera, da parte di costoro, che i magistrati
decidono in base a quello che risulta dagli atti di causa, ignoti ai più, e che il loro
convincimento e le loro decisioni, magari opinabili o criticabili, sono passibili di
impugnazione secondo le ordinarie regole del processo. Per il resto, desidero assicurare
che la stragrande maggioranza dei magistrati lavora con assoluto equilibrio e con rigorosa
imparzialità, rifugge da polemiche e
protagonismi ed ha piena consapevolezza che non si può oggi ragionare
solo in termini di poteri e di funzioni, bensì di servizio da rendere alla collettività.
Il magistrato sa che non può più attendersi, come in passato, rispetto sociale solo per
la carica che ricopre e che dovrà guadagnarsi stima e considerazione in base alle sue
qualità professionali, di giudice, di pubblico ministero, di capo di un ufficio. E
sempre più avvertita lesigenza di una nuova professionalità del magistrato, il
quale svolge una funzione delicata e incisiva che richiede, oltre alla conoscenza
di tante leggi e principi giuridici, grande equilibrio e prudenza, e anche garbo verso
tutti coloro che hanno contatto con la giustizia. Occorre puntare ad unimmagine di
magistrato non solo preparato ma anche cortese, disponibile allascolto,
responsabile. Tutto questo gioverà per il recupero di fiducia che tutti ci auguriamo e
restituirà autorevolezza e prestigio. Ma detto tutto questo, nellintento di contribuire a migliorare
il rapporto tra magistratura e società civile, è giusto
anche chiedere alla collettività di considerare in modo equanime loperato
dei magistrati, anche quando adottano decisioni non condivise o sgradite, soprattutto per
il lavoro ordinario, che non suscitano linteresse dei media, ma che permette
di far fronte a una così estesa domanda di giustizia. Il Paese dovrà riflettere sullimportanza
del ruolo di presidio della legalità per tutti i cittadini, che ad essa è stato
assegnato dalla Costituzione, quale ordine indipendente e autonomo da ogni altro potere. Si annuncia una stagione di grandi riforme nellorganizzazione
dello Stato che dovrebbe coinvolgere anche lordinamento giudiziario, la cui rivisitazione
fu ritenuta necessaria dallo stesso costituente. Credo di poter interpretare i sentimenti
dellintera Magistratura nellaffermare che la fedeltà alla Costituzione, della
quale è stata data dai magistrati ampia prova in oltre mezzo secolo di storia
repubblicana, comporta il riconoscimento da
parte di tutti noi del primato della legge e del
Parlamento, espressione del Popolo sovrano, ma anche il pieno rispetto, da parte delle altre
istituzioni e di tutti, della autonomia e indipendenza della Magistratura. In tale quadro
istituzionale, desidero esprimere il forte auspicio che siano evitate riforme che
sconvolgano lattuale assetto dellordine giudiziario e che pongano a rischio -
se non ora, in un futuro più o meno prossimo - la sua autonomia e indipendenza. Che non costituiscono un privilegio dei magistrati,
ma una garanzia per il rispetto della
legalità. La crisi del rapporto tra politica e amministrazione della giustizia,
che sembra caratterizzare i nostri giorni, potrà allora, nella condivisione dei valori e
princìpi sopra ricordati, avviarsi finalmente
a soluzione, ristabilendo la normalità nei rapporti istituzionali.
Ed è in questa
convinzione e con questi auspici che La prego, signor Primo Presidente, di volere
dichiarare aperto lanno giudiziario 2003.
INDICE DELLE TAVOLE STATISTICHE (*) Grafico dei procedimenti in materia civile Primo grado
Anni 1990-2001 Grafico dei procedimenti in materia civile Grado di appello
di Tribunali e Corti di Appello -Anni 1990
2001 Tavola 1
- Movimento dei procedimenti civili per tipo di
ufficio e grado di giudizio Tavola 2
-
Procedimenti civili Tavola 3
- Movimento di alcuni procedimenti civili Tavola 4
- Movimento dei procedimenti civili di cognizione - Primo grado: Giudici di pace, Preture, Tribunali, Corti di Appello anni 1990 -2001 Tavola 5
- Movimento dei procedimenti
civili di cognizione Grado di appello: Tribunali, Corti di Appello anni 1990 - 2001 Tavola 6
- Durata media in giorni delle
controversie civili anni 1994- 2001 Tavola 7
- Durata media in giorni delle
controversie in materia di lavoro, previdenza e
assistenza anni 1994-2001
Grafico dei procedimenti in materia penale Primo grado
Anni 1992-2001 Tavola 8 - Movimento
procedimenti penali Pendenti a fine periodo Tavola 9 - Movimento
procedimenti penali Sopravvenuti Tavola 10
- Movimento procedimenti penali
Esauriti Tavola 11
- Movimento procedimenti penali
Rapporto esauriti/carico Tavola 12
- Principali modalità di esaurimento dei
procedimenti Tavola 13
-
Durata media in giorni dei procedimenti Tavola 14
-
Delitti denunciati per i quali è iniziata lazione penale Tavola 15
-
Delitti denunciati per i quali è iniziata lazione penale Quozienti per
100.000 abitanti Tavola 16
-
Delitti denunciati per i quali lAutorità giudiziaria ha iniziato lazione
penale e delitti di autore ignoto Tavola 17
-
Delitti denunciati per i quali lAutorità giudiziaria ha iniziato lazione
penale Tavola 18
-
Delitti denunciati, esclusi i furti, per i quali lAutorità giudiziaria ha iniziato
lazione penale Tavola 19
-
Presenti al 31 dicembre negli Istituti di prevenzione e pena, per adulti, secondo la
posizione giuridica
anni 1999-2001 Tavola 20
-
Condannati per delitto con sentenza definitiva secondo il sesso Tavola 21
-
Condannati per delitto con sentenza definitiva
secondo il grado del giudizio Tavola 22
-
Condannati per delitto con sentenza definitiva secondo la pena inflitta Tavola 23
-
Condannati per delitto con sentenza definitiva secondo la specie del delitto (*) Fonte: Ministero della Giustizia Ufficio delle statistiche (tavole 1-13) e ISTAT Servizio giustizia (tavole 14-23) |