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Pubblichiamo il testo dell’intervista rilasciata al Corriere della Sera (3,4,2004) dal Segretario Generale di M.I. Antonio Patrono

Patrono: abbiamo fatto il nostro passo, ora aspettiamo il Parlamento

ROMA - «I magistrati il passo lo hanno fatto e, ora, tocca alla politica che sicuramente ha la possibilità di raggiungere il risultato auspicato da più parti e, in primo luogo, dal capo dello Stato». Antonio Patrono, il leader delle toghe moderate di Magistratura indipendente che nel 2002 si dimise dalla presidenza dell’Anm perché non era d’accordo con il ricorso allo sciopero, oggi è in piena sintonia con la giunta unitaria del sindacato delle toghe: «Noi la disponibilità e il contributo l’abbiamo data, ora la palla passa alla politica». Il clima è buono ma presto i nodi della riforma verranno al pettine. La «proposta Pecorella» vi fa stare più tranquilli?
«In realtà proposte formali non ce sono. È positiva, dunque, la disponibilità a intervenire su alcuni punti nodali come quello dei concorsi. Però bisogna vedere se il Parlamento saprà tradurre tutto questo in soluzioni veramente efficaci».
Vi basta che vengano tolti i concorsi per esami tra il primo e il secondo grado?
«Noi abbiamo segnalato l’inidoneità tecnica del meccanismo teorico per la valutazione dei magistrati suggerendo di trovare mezzi concreti per giudicare la carriera di giudici e pm: e con questo intendo un osservatorio costante sulla produttività, sulla quantità e sulla qualità del lavoro svolto. L’alternativa, invece, sarebbe quella di una valutazione sporadica basata solo su esami teorici. Quindi, la distinzione è nettissima».
Perché il meccanismo dell’esame non funziona?
«Non funziona per l’aleatorietà della prova di un giorno. Perché non mette in evidenza l’equilibrio, l’attitudine, il coraggio e la fermezza del magistrato. Perché io posso conoscere tutte le norme a memoria ma, poi, posso anche essere un incapace a trattare con gli avvocati e con gli imputati. Ecco, noi vogliamo che queste caratteristiche vengano accertate sulla base di quello che il magistrato ha fatto nell’arco di 15-20 anni e non al termine di un esame di un giorno. È questo lo snodo intorno al quale ruota l’efficienza: perché si tratta di individuare le persone idonee a ricoprire i diversi incarichi. Altrimenti la giustizia andrà sempre peggio».
Voi, però, parlate di pari dignità delle funzioni.
«Certo. Non si deve riconoscere una maggiore dignità al giudice di secondo grado o a quello di legittimità. A parità di merito e di anzianità, non è possibile che uno dei due guadagni più dell’altro solo perché svolge le sue funzioni in appello o in Cassazione. Se noi abbiamo un giudice di primo grado impreparato e uno di Cassazione molto bravo, sarà annullata la sentenza. Ma non avremmo fatto giustizia».
Lo scoglio più arduo da superare sembra essere quello della separazione delle funzioni. Va bene il concorso unico e la scelta definitiva, giudice o pm, dopo 5 anni di servizio?
«Se vogliamo ragionare in termini di efficienza va detto che dopo 5 anni un magistrato ha svolto una sola delle funzioni. Se sbaglia la scelta, e non può più tornare indietro, avremmo non tanto un magistrato infelice ma un magistrato incapace che non presterà un buon servizio. Quindi, al magistrato, dovremmo dare la possibilità di sperimentare tutte e due le funzioni prima di scegliere».