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  Intervista al Segretario Generale "Antonio Patrono"

di Sebastiano Gulisano

 

«Se la Camera approverà la legge così com’è avremo magistrati meno liberi». Antonio Patrono è il segretario di Magistratura indipendente, la corrente più moderata dell’Associazione nazionale magistrati (Anm). «Moderata non vuol dire di destra», precisa. Due anni fa, per appena due mesi, è stato presidente dell’Anm: si è dimesso perché non condivideva lo sciopero deciso dai suoi colleghi contro la riforma dell’ordinamento giudiziario, pur condividendo i motivi della protesta. Patrono è un uomo che preferisce il dialogo. Con lui parliamo della riforma approvata dal Senato la scorsa settimana.

Il ministro Castelli parla di una riforma «epocale». Lei è d’accordo?

Epocale sì, nel senso che cambia molto. Solo che il pensiero del ministro è in termini positivi, mentre il mio è in termini negativi.

Quali sono le cose che non le piacciono?

Sono più di una. La prima è la filosofia di fondo, che stabilisce una gerarchia tra le funzioni.

Cosa implica, nei fatti, questa gerarchia?

Implica benefici, in termini di status giuridico e economico, per coloro che vadano a svolgere funzioni di grado sempre superiore, sulla base del presupposto che sia più importante una sentenza di secondo grado o di legittimità, rispetto alla sentenza di primo grado. La Costituzione dice che i magistrati si distinguono solo per funzioni, non pone alcun livello di gerarchia tra queste; il processo - penale o civile - si forma progressivamente, quindi è sbagliato pensare che abbia maggiore dignità e quindi debba essere privilegiato in vario modo lo svolgimento delle funzioni di grado superiore. Chi costruisce il processo in Cassazione non è  più bravo o più importante degli altri, è quello che costruisce il tetto, le fondamenta del processo le ha fatte chi ha scritto la sentenza di primo grado.

Ci faccia un esempio.

Il nuovo sistema tende sempre a favorire i gradi superiori: i migliori a costruire i tetti e i peggiori a costruire le fondamenta.

Se fosse una casa, crollerebbe.

Appunto. Un altro esempio: è come se un’industria destinasse il 90 per cento delle sue risorse ai controlli di produzione e solo il 10 per cento alla produzione. Così avrebbe degli splendidi controlli di produzione che non potrebbero fare altro che accertare una pessima produzione, quindi non si produrrebbe più niente.

È chiarissimo.

Oltre al principio di base, anche le soluzioni concrete sono discutibili. Ad esempio si stabilisce che il metodo di valutazione principale della professionalità di un magistrato è l’esame, scritto e orale. Quindi accade che magistrati, che fanno questo mestiere da quindici anni e chiedono di andare a fare i giudici d’Appello o di Cassazione, anziché essere giudicati in base alle sentenze emesse negli anni di attività, dovrebbero essere giudicati sulla base di un esamino: da un lato con tutta l’aleatorietà tipica delle prove d’esame di un giorno solo; in secondo luogo, l’esame può dimostrare la preparazione teorica, ma nulla dice sulle altre qualità anche più importanti per un magistrato, specie già in carriera, che sono l’equilibrio,  l’attitudine e il coraggio delle proprie decisioni. Da un esame teorico non emergono.

Lei è pm. Il giorno in cui decidesse di studiare per diventare gip o giudice di Tribunale o di Corte d’appello che fa, chiede al suo capo ufficio di non assegnarle più procedimenti?

Dovrei fare tutte e due le cose.

Magari male entrambe.

Anche questo è un rischio. Però stiamo attenti: non possiamo dire che un giudice non deve studiare o non si deve aggiornare, solo che dovrebbe farlo per migliorare il suo lavoro, non per superare un esame e fare carriera. È il meccanismo degli esami a essere criticabile: una persona la si valuta sulla base di ciò che ha fatto e attraverso chi la conosce.

Una sua dichiarazione di ottobre: «L’obiettivo della maggioranza è un magistrato meno libero di quello disegnato dalla Costituzione». Pensa che questa legge contenga qualche vizio costituzionale?

Non so se quello sia l’obiettivo della maggioranza e non mi permetto di dirlo. Certamente, quello che può risultare da queste modifiche è un magistrato che si senta meno libero e più condizionabile. Non so se vi siano specifiche disposizioni che violino principi costituzionali, non lo escludo, ma indipendentemente da ciò esiste soprattutto un problema di efficienza, in generale. Indubbiamente, da tutto questo meccanismo i magistrati si sentiranno più costretti, meno liberi e, sostanzialmente, un po’ meno indipendenti.

Pensa che dopo le sue dimissioni dalla presidenza dell’Anm, da parte del governo ci sia stata disponibilità al dialogo?

Nei due anni successivi la disponibilità al dialogo non c’è più stata. E questa mancata disponibilità è stata motivata con la precedente “chiusura” da parte dei magistrati. C’è stata un’apertura formale - incontri con l’Associazione - ma recepire indicazioni dell’Anm, no. Le ultime che ricordo risalgono a quando ero presidente, allorché effettivamente devo dare atto che vi fu da parte del Governo la volontà di ricercare punti di incontro. Dopo di allora, però, hanno solo peggiorato il testo.

Se la Camera approva la legge così com’è, un’altra intervista non potremo più farla.

Non credo che non potremo rifare l’intervista, credo però che qualcuno al quale quest’intervista possa dare fastidio potrebbe provare a creare problemi a me, e le nuove norme potrebbero portare ad abusi nella loro interpretazione. Sicuramente ci sarà una limitazione della manifestazione del pensiero. Sono io il primo a sostenere che un magistrato non deve fare politica, ma in materia di diritti fondamentali della persona non credo che si possano porre limiti ulteriori a quelli strettamente previsti dalla Costituzione.

Il nuovo testo restringe le possibilità di interpretare le leggi.

Credo che, nella migliore delle ipotesi, quella che si vuole introdurre sia una norma inutile perché già oggi, in base alla giurisprudenza disciplinare dello stesso Csm, è illegittimo e costituisce illecito disciplinare, per un magistrato, applicare la legge in maniera palesemente sbagliata: l’errore di fatto o di diritto, determinato da negligenza inescusabile, è causa di responsabilità disciplinare. Io stesso, quando sono stato giudice disciplinare, ho scritto più di una sentenza che affermava questo principio, oltre il quale non è possibile andare a pena di contrarre illecitamente la libertà di giudizio del giudice. Pertanto non c’era alcun bisogno di introdurre formulazioni ulteriori e diverse. Il fatto di aver voluto introdurre formulazioni ulteriori comporta il rischio che esse vengano applicate, in futuro, in maniera distorta.

Fermo restando ciò che ha detto, questa legge velocizza i procedimenti? Al cittadino interessa un processo celere.

Qui ci sono meccanismi, legati ai trasferimenti, ad esempio, molto più lunghi e costosi di prima. Se un magistrato va via da una sede la procedura per sostituirlo è più lunga e complicata dell’attuale e la scopertura di organico rimarrà, presumibilmente, ancora più a lungo di quanto non sia adesso. Se poi prendiamo i magistrati che devono studiare per un concorso, è facile che non siano concentrati sul lavoro. Non più di adesso, comunque. Per cui, nella migliore delle ipotesi, non cambia nulla. È da escludere che questa legge possa fare risparmiare anche un solo minuto di tempo alla giustizia. Se la giustizia va male bisognerebbe intervenire sulle norme di procedura, sulle strutture; invece si è ritenuto che la cosa più importante da fare fosse cambiare le regole della carriera dei giudici, come se la colpa della giustizia lenta fosse dei giudici. Verrà dimostrato, se passerà questa legge, che questo tipo di intervento, a quel fine, non serviva a nulla.