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Pubblichiamo qui di seguito senza alcun commento il testo delle relazioni di maggioranza (sen. Bobbio) e di minoranza (sen. Fassone) senza alcun commento.

Sono stati soppressi solo alcuni passaggi di entrambe le relazioni ritenuti poco significativi.

La discussione, sospesa due volte per mancanza del numero legale, riprenderà il 2 dicembre.

Stando ad una dichiarazione dell’on. Pecorella il testo potrebbe essere approvato entro il 2004.

 

LE RELAZIONE DI MAGGIORANZA (Sen. BOBBIO) E DI MINORANZA (Sen. FASSONE) SUL DISEGNO DI LEGGE DI RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

 

Seduta del 25 novembre 2003 mattina

 

BOBBIO Luigi, relatore. Signor Presidente, signor Sottosegretario, signori rappresentanti del Governo, colleghi, il disegno di legge n. 1296 e quelli ad esso collegati rappresentano un importante sforzo per giungere alla tanto auspicata e, fino ad oggi, mai realizzata riforma dell’ordinamento giudiziario italiano.

Un punto va chiarito subito a mio avviso: le riforme proposte non mettono in discussione, né direttamente, né indirettamente, i princìpi di indipendenza e autonomia della magistratura, che sono e restano imprescindibili conquiste della Costituzione italiana e di oltre cinquant’anni di storia repubblicana e che rappresentano un patrimonio collettivo la cui titolarità, peraltro, non è in capo ai singoli magistrati, ma a tutti i cittadini, il cui precipuo interesse sono destinati a realizzare.

Negli ultimi anni si è avvertita sempre più impellente, fino a divenire improcrastinabile, la necessità di riorganizzare il sistema giudiziario italiano, e certamente non nel senso di un suo smantellamento o di volontà di ingerenza del potere politico in quello giudiziario, come si evince chiaramente, del resto, dalla lettera del disegno di legge in esame.

(omissis)

In questo senso, è opinione comune che sia venuto il momento di voltare pagina. Le riforme contenute nel disegno di legge n. 1296, tanto urgenti quanto indefettibili, sono così animate, innanzi tutto, dalla volontà di intervenire organicamente al fine di giungere ad un miglioramento della macchina giudiziaria e, inevitabilmente, del rapporto cittadino-giustizia. Ciò anche in considerazione delle critiche avanzate a livello nazionale e comunitario nei confronti del sistema giudiziario italiano per la sua lentezza, la sua farraginosità e per i numerosi casi di cosiddetta malagiustizia.

Non è peraltro possibile tacere o ignorare il fatto che buona parte delle gravi difficoltà dell’apparato di amministrazione della giustizia civile e penale nasce da problemi e carenze processuali. Allo stesso modo, è bene evidenziare che anche l’attuale insoddisfacente assetto dell’apparato giudiziario condiziona in maniera pesantemente negativa la situazione.

Questo punto è estremamente delicato e destinato ad acquisire una sempre maggiore centralità. Non bisogna infatti dimenticare che, volenti o nolenti, ci si avvia inevitabilmente verso un comune spazio giuridico europeo. Pertanto, in attesa e prima che il processo di integrazione si sviluppi ulteriormente, è opportuna la riorganizzazione della macchina della giustizia in Italia. Una riorganizzazione che intende muoversi su diverse linee, innanzi tutto puntando ad una decisa e sistematica riqualificazione professionale dei magistrati.

Il tema dell’aggiornamento professionale dei magistrati è estremamente sentito dal Governo, dalla maggioranza e, credo di poter dire, da tutto il Parlamento che, oltre ad investire al riguardo ingenti risorse, intende far sviluppare un meccanismo virtuoso, e soprattutto senza qualsivoglia tipo di ingerenza, finalizzato a far emergere e valorizzare i magistrati che dimostrino effettivamente particolari meriti come laboriosità, produttività, qualità del lavoro svolto e preparazione.

Si intende di fatto dar vita ad un meccanismo in cui gli automatismi di carriera, che sono e restano un naturale disincentivo dei migliori elementi della magistratura, cessino e siano sostituiti da un’effettiva meritocrazia.

Da un punto di vista - mi si permetta - più tecnico, l’ormai perdurante e annosa crisi della giustizia possiamo certamente dire presenti due aspetti, uno strutturale ed uno funzionale. L’aspetto strutturale riguarda il momento ordinamentale della magistratura e quindi, in particolare, riguarda, come è ovvio, la tematica dell’ordinamento giudiziario ed in special modo i temi dell’accesso alla carriera, della progressione in carriera, della professionalità dei magistrati e tutto ciò che, in qualche maniera, è collegabile a questi temi.

L’aspetto funzionale, invece, riguarda il momento di applicazione pratica del sistema giudiziario ed è legato al momento procedurale, sia civile che penale, e al diritto sostanziale.

La riforma dell’ordinamento giudiziario cerca di dare una risposta all’aspetto strutturale della crisi dell’amministrazione della giustizia, cioè al nodo legato in senso ampio alla professionalità dei magistrati italiani ed alla migliore utilizzazione di tale risorsa dello Stato.

Si tratta di riformare i criteri che regolano l’ingresso in carriera, la separazione delle funzioni, la professionalità dei magistrati e la loro progressione in carriera. Occorre quindi rimodulare la normativa vigente e giungere ad un recupero di efficienza e di professionalità dei magistrati italiani.

Per troppo tempo ci si è adagiati sul falso mito che l’assoluta uguaglianza e l’assoluto automatismo dell’avanzamento in carriera potessero essere la forma migliore di garanzia dell’imparzialità dei magistrati. Poche scelte si sono rivelate, invece, più falsate e più dannose di queste.

Come in tutti i settori della vita professionale, e lavorativa in genere, anche la magistratura ha assoluto bisogno, invece, di un recupero di professionalità anche attraverso la creazione di stimoli e di occasioni di aggiornamento professionale che in qualche modo impongano di continuare la formazione culturale e professionale anche nel corso dell’attività e come condizione per la progressione in carriera. A questo scopo, il disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario prevede forme di verifica interna all’ordine giudiziario per la progressione in carriera; ciò avverrà attraverso passaggi quasi obbligatori di verifica professionale a scadenze temporali prefissate.

Nel disegno di legge si prevedono inoltre concorsi, esami e valutazioni affinché si possa passare da un ufficio ad un altro e da un livello di carriera all’altro nella ricerca del mezzo per fare in modo che l’automatismo fino ad oggi vigente per la progressione in carriera non si consolidi come alibi per una sostanziale indifferenza nei confronti dell’aggiornamento professionale.

Certo, non ci si nasconde che lo schema concorsuale proposto presenta una certa qual complessità, ma esso appare, per vero, l’unico strumento possibile per assicurare il conseguimento del risultato.

Lo schema nuovo che il disegno di legge delinea per le modalità di accesso al concorso è poi uno schema che tende a valorizzare, da un lato, il serbatoio cui attingere per la selezione dei concorrenti, più qualificato di quello attuale, dall’altro, l’obiettivo della riduzione del numero ormai insostenibile di coloro che intendono affrontare il concorso in magistratura.

Ma con il presente disegno di legge, chiaramente improntato al recupero in senso ampio della professionalità dei magistrati italiani, si cerca anche di sciogliere un altro nodo della crisi della giustizia, ossia quello della complessiva perdita di credibilità del sistema giudiziario agli occhi dei cittadini.

(omissis)

È infatti necessario, perché il sistema giudiziario torni ad essere credibile, che non si verifichino più casi, oggi continuamente all’ordine del giorno, di magistrati che veicolino con l’esercizio della funzione giudiziaria le più varie convinzioni e le più varie valutazioni anche di tipo ideologico, tali da indurli troppo spesso, nel valutare il caso concreto, a riscrivere la norma di cui (giova ribadirlo) dovrebbero fare solo - e non è poco - concreta applicazione.

In questo contesto si è così giunti al momento in cui si deve intervenire sulle modalità di progressione delle carriere, nel rispetto della trasparenza assoluta e della premialità per i magistrati migliori. Per raggiungere tali obiettivi, il disegno di legge n. 1296 (e provvedimenti collegati) non solo agisce sui meccanismi di valutazione interna, migliorandoli e potenziandoli, ma tende a valorizzare ruoli e funzioni dei consigli giudiziari, destinati a svolgere compiti di sempre maggiore supporto (senza dare vita a sovrapposizioni) al Consiglio superiore della magistratura.

La valutazione del magistrato, di fatto, dovrà partire in piena autonomia dal territorio ove lo stesso ha svolto la propria attività; un sistema, questo, tale da garantire un giudizio in loco sereno e soprattutto corrispondente ai dati emersi a livello locale, dati che non sempre traspaiono nella loro integrità quando le decisioni sono prese solo a livello centrale.

Ma il disegno di legge affronta e risolve, ancor prima, un’altra questione: quella della disciplina dell’accesso al concorso in magistratura, che richiede l’introduzione di meccanismi nuovi, più snelli e che soprattutto permettano l’immissione in magistratura di personale con una valida esperienza giuridica maturata, per così dire, sul campo, ovviando finalmente al problema, sempre più grave, dell’immissione in carriera di giovani magistrati ricchi di nozioni tecniche, ma del tutto privi di esperienze pratiche, in una condizione che, peraltro, li espone a pericolosi meccanismi di autoreferenzialità e di strumentalizzazione formativa anche nel corso dell’uditorato.

(omissis)

Nel disegno di legge n. 1296 si è scelta la strada di una preselezione di fatto dei concorrenti. Limitare la partecipazione al concorso (lo dico a titolo di mero esempio, visto che le categorie sono certamente più di una) a coloro che abbiano già superato l’esame di abilitazione per la professione di avvocato meglio si adatta ai parametri italiani e, oltre a snellire le lungaggini concorsuali ed i tempi tecnici di correzione e svolgimento delle prove, permetterà di individuare ab initio elementi di salda preparazione e valore, già dotati di esperienza professionale.

Questa scelta inoltre va anche nella direzione della metabolizzazione definitiva del rito penale di tipo accusatorio che solitamente si accompagna al concetto di serbatoio professionale unico ed a quello di osmosi tra le carriere giudiziaria e forense.

Lo stesso criterio, quello meritocratico, viene previsto in tema di accesso alle funzioni di legittimità per il quale sono previsti criteri nuovi. In particolare, per il conferimento delle funzioni di magistrato di Cassazione si prevede che il 75 per cento dei posti annualmente disponibili sia assegnato mediante apposito concorso per titoli ed esami a magistrati ordinari selezionati attraverso diversi meccanismi individuati dal testo normativo, ultimo dei quali la clausola residuale di essere stati immessi nelle funzioni da almeno 15 anni.

Si tratta di una scelta che vuole fare affluire nell’organico della Suprema Corte forze "giovani", particolarmente qualificate e in grado di apportare un contributo scientifico e giuridico di alto profilo.

La Suprema Corte sta infatti subendo da anni - è doloroso dirlo - un duplice processo involutivo: da un lato sono stati e sono sempre più frequenti atecnicismi, contraddizioni fra sentenze, derive "di merito" o, addirittura, l’adozione di vere e proprie decisioni "normative"; dall’altro, l’approdo alla Cassazione viene spesso visto come semplice momento di progressione nella carriera da parte di magistrati stanchi o delusi da altre scelte professionali.

Negli intenti del disegno di legge n. 1296 la Cassazione deve tornare ad essere un luogo centrale del meccanismo giustizia in Italia. Per ottenere questo importantissimo e, sotto molti aspetti, strategico risultato si intende operare in molteplici direzioni: in primis, quella di restituire alla Cassazione il ruolo di giudice "di legittimità", nel senso più pieno del termine e, quindi, anche la dignità di luogo in cui si svolge una reale attività giuridica e scientifica. Di qui l’esigenza di immettere nell’organico, con una graduale progressione, magistrati anche giovani anagraficamente ma che abbiano dato prova di capacità e di alta professionalità.

Ulteriore tema affrontato nel disegno di legge è anche quello dell’aggiornamento professionale dei magistrati. È evidente la natura estremamente delicata di questo tema. Il sistema normativo italiano è in continua mutazione; costantemente si registrano interventi e provvedimenti comunitari che incidono - e sono destinati sempre più ad incidere - sull’ordinamento interno; esistono inoltre nuovi segmenti del diritto da studiare, da approfondire e da applicare in una visione dinamica ed internazionale (basti pensare, a titolo di esempio, a tutte le problematiche giuridiche connesse alla materia di Internet).

Si comprende così perché diventi necessaria, per non dire indispensabile, la creazione di un polo destinato funzionalmente all’aggiornamento professionale dei magistrati. In questo senso si è pensato alla creazione della Scuola superiore per la formazione dei magistrati e non c’è dubbio che a tutt’oggi sul tema si è consolidata nel sistema di formazione professionale dei magistrati una forma di autoreferenzialità all’interno della magistratura in quanto, nel silenzio della legge, il Consiglio superiore della magistratura, assumendo interamente su di sé la materia della formazione professionale dei magistrati, è andato ad occupare uno spazio da affidare ormai ad un soggetto ad hoc.

Infatti, il tema della formazione non può e non deve continuare ad essere un momento di affermazione e di esaltazione di autoreferenzialità da parte dell’organo di autogoverno dei magistrati cui la Costituzione assegna cinque funzioni ben precise che rappresentano, nell’interesse generale del sistema, un elenco tassativo.

Il disegno di legge sull’ordinamento giudiziario prevede quindi che il momento della formazione recuperi tutta intera, nell’interesse dei cittadini, la sua neutralità, affidandola ad una scuola che nascerà nelle forme di un soggetto dotato di autonomia giuridica, funzionale ed organizzativa, riportando la nostra Nazione in linea con gli altri Paesi europei di migliore tradizione giuridica.

In particolare, alla Scuola verranno affidati non solo il momento di formazione degli uditori, cioè di coloro che hanno superato il concorso, ma anche i momenti di formazione dei magistrati in carriera.

Tra gli elementi di forte innovazione previsti dal disegno di legge n. 1296 vi sono poi le nuove funzioni che verranno ad essere attribuite ai consigli giudiziari. Sul punto vanno fatte solo alcune riflessioni che sgombrino preliminarmente il campo da equivoci e da interpretazioni distorte. Rafforzare i consigli giudiziari non significa in alcun modo voler sminuire ruolo e funzioni del Consiglio superiore della magistratura ma, al contrario, rafforzarne l’operatività grazie ad un lavoro di filtraggio e di intervento su base territoriale.

Si è resa necessaria anche la revisione della composizione dei consigli giudiziari che vengono ad essere integrati dalla presenza di figure esterne alla magistratura, altamente esperte di diritto, e comunque in grado di dare significativi apporti cui andranno ad aggiungersi anche i componenti designati dalle Regioni.

Su quest'ultimo punto va subito chiarito che non si rischia in alcun modo di provocare ingerenze da parte del mondo politico a livello locale. I membri designati dai Consigli regionali e gli avvocati, infatti, potranno prendere parte solo ed esclusivamente a riunioni, discussioni e deliberazioni relative alla vigilanza sull'andamento degli uffici giudiziari nel distretto e alla formulazione di proposte e pareri sull'organizzazione e sul funzionamento degli uffici del giudice di pace.

(omissis).

In questa stessa prospettiva si è anche prevista l'istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione che avrà funzioni analoghe a quelle dei consigli giudiziari.

Altro argomento delicato è quello della riforma della struttura e del funzionamento delle procure, condensata nella previsione dell'articolo 5 del disegno di legge. La scelta operata è stata quella di imprimere una decisa svolta in senso gerarchico agli uffici inquirenti per realizzare un duplice obiettivo: per un verso il recupero di unità e di efficienza investigativa anche nell'ambito della creazione di un sistema di individuazione delle priorità nell'esercizio dell'azione penale; per altro verso, l'accentuazione come contraltare all'innegabile aumento di potere gestionale del momento di responsabilità per i capi degli uffici inquirenti.

Il disegno di legge affronta e risolve anche il delicato tema del rapporto tra funzione giudicante e requirente. La separazione delle funzioni, al di là della scelta definitoria e terminologica e dell'impropria espressione comunemente usata fino ad oggi per farvi riferimento, in base alla quale la materia del testo attuale veniva indicata come "separazione delle carriere", è infatti una doverosa forma di adeguamento dell'ordinamento giudiziario non solo ai sistemi europei ma anche allo stesso codice di procedura penale, che è stato concepito e strutturato prevedendo da un lato la rigida terzietà del giudicante e dall'altro la natura di parte del requirente.

Tale impostazione è stata del resto consacrata nel nuovo testo dell'articolo 111 della Costituzione e per altro una netta distinzione dei ruoli si impone oggi anche in attuazione dei principi di autonomia e di indipendenza della magistratura. Questi ultimi, infatti, sono valori costituzionali di garanzia dettati a tutela dei cittadini; i magistrati sono i meri recettori funzionali di tali valori affinché svolgano il loro lavoro, per l'appunto, in modo autonomo e indipendente, a suprema garanzia dei cittadini stessi.

La separazione delle funzioni si iscrive così in un sistema che vede in fatto e in diritto l'inquirente parziale rispetto al giudicante imparziale, con la connessa esigenza che entrambi si propongano al pubblico e alla collettività con immagini e ruoli chiari, non soggetti, per quel che concerne il giudicante, neanche al benché minimo sospetto di propensione culturale per una parte e/o di sovrapposizione ad essa.

Proprio a tali finalità risponde il disegno di legge in argomento che si incentra sui punti della netta differenziazione già all'atto dell'accesso in carriera - cosiddetto concorso a doppia commissione - della qualificazione professionale finalizzata al conseguimento di un livello tecnico e di una cultura confacenti alla nuova e diversa funzione che si intende ricoprire, della periodicità di tale adeguamento professionale, nonché dello scardinamento territoriale dal luogo nel quale si è svolta la precedente funzione, nel caso si voglia mutare funzione, con un ulteriore e ben preciso limite temporale per il ritorno allo stesso distretto.

È chiaro, per altro, che la funzione inquirente mantiene tutta intera la sua natura magistratuale e che pertanto inquirenti e giudicanti costituiscono la giurisdizione. La scelta di separazione funzionale così operata fa certamente giustizia di svariati luoghi comuni sui quali domina per tutti quello secondo il quale per essere un buon magistrato si dovrebbe aver fatto la sommatoria di tutte le esperienze giudiziarie.

(omissis) ………nel disegno di legge si afferma il principio secondo il quale in un'epoca che va fortemente nella direzione della specializzazione, in un contesto processuale di tipo accusatorio che vede la netta distinzione tra giudicante ed inquirente, l'unica scelta coerente, tecnica, accettabile dal punto di vista normativo è ormai solo quella della netta distinzione della professionalità dell'inquirente rispetto alla professionalità del giudicante, e solo la frequenza di un apposito corso di formazione ed il superamento di un momento di nuova verifica attitudinale potranno consentire il passaggio da una funzione ad un'altra.

Nel disegno di legge si tiene fermo il principio secondo il quale il pubblico ministero deve comunque essere un magistrato, che abbia quindi un approccio giurisdizionale al suo lavoro, continuando ad essere soggetto partecipe della cultura giudiziaria.

Del resto, va anche detto che il tema della separazione delle funzioni è tanto più importante se solo si considera che esso, prima ancora del tema della collocazione del pubblico ministero, riguarda quello della definizione dell'immagine del magistrato giudicante. I cittadini hanno infatti il diritto costituzionalmente garantito, varcando la soglia di un'aula di tribunale, di sapere che si troveranno, per essere giudicati, dinanzi ad un magistrato formalmente e sostanzialmente altro rispetto alle due parti processuali.

Per far sì che il magistrato giudicante recuperi agli occhi dei cittadini immagine e sostanza di imparzialità rispetto al pubblico ministero, il disegno di legge di riforma ha operato la scelta di una netta separazione funzionale, tale da recidere il comune sentiero culturale, professionale e di carriera fino ad oggi esistente per inquirenti e giudicanti.

Il disegno di legge poi affronta il delicato tema della riforma dell'illecito disciplinare. Essa nasce dalla necessità di fare applicazione, anche in materia disciplinare, del principio di tassatività delle fattispecie di illecito e costituisce una necessità imposta dalle stagioni che le sezioni disciplinari del CSM hanno vissuto negli ultimi anni, in cui si è assistito al progressivo scadimento della funzione disciplinare.

Quest'ultima infatti è risultata, con il passare del tempo, sempre più legata a valutazioni correntizie, e quindi latu senso politiche, che hanno di fatto costituito il principale punto di scollamento del sistema costituzionale, che vorrebbe in primo luogo il CSM organo di controllo attraverso l'azione disciplinare per rispetto dei limiti che la Costituzione impone ai singoli magistrati, nell'esercizio delle loro funzioni in relazione al potere legislativo ed al potere esecutivo.

Se è ben vero infatti che il CSM viene concepito dalla Costituzione come soggetto di autogoverno dei magistrati, titolare del delicatissimo potere disciplinare attraverso il quale il CSM stesso è chiamato a regolare il corretto andamento della funzione giudiziaria, mantenendone l'equilibrio con gli altri poteri dello Stato, in concreto tale ruolo è stato largamente disatteso.

L'attuale struttura dell'ordinamento giudiziario in materia disciplinare, con la sostanziale mancanza di tipicità degli illeciti disciplinari, e quindi, con la connessa, eccessiva discrezionalità dell'organo di autogoverno in materia, ha invero consentito per troppo tempo allo stesso organo di autogoverno di gestire in maniera assolutamente insoddisfacente la propria funzione di cerniera tra i poteri costituzionali, consentendo di fatto l'instaurarsi di una prassi degenerativa sotto il profilo costituzionale, con il non sanzionare con provvedimenti disciplinari quei comportamenti concretamente eccentrici dal sistema costituzionale della separazione dei poteri di quei singoli magistrati che con provvedimenti, esternazioni e comportamenti di varia natura hanno reiteratamente violato il principio costituzionale della separazione dei poteri.

Il disegno di legge oggi all'esame dell'Assemblea, con una decisa svolta verso la tipizzazione degli illeciti disciplinari, tende ad evitare che nel futuro possa perpetuarsi tale situazione, in particolare modo per ciò che concerne forme di esercizio di prerogative riservate ad altri poteri costituzionali o manifestazioni comunque tali da pregiudicare l'apparenza oltre che la sostanza di imparzialità di ogni singolo magistrato. (Applausi dai Gruppi AN e FI).

FASSONE, relatore di minoranza. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, la riforma dell'ordinamento giudiziario potrebbe ben dirsi (se l'espressione non accennasse a diventare abusata e logora) la madre di tutte le riforme nella materia della giustizia. È dunque necessario essere consapevoli, profondamente consapevoli, del significato e dell'importanza della legge che ci accingiamo a discutere e a varare.

La riforma dell'ordinamento giudiziario non è una legge qualsiasi; è più importante di qualsiasi legge ordinaria in materia di giustizia, più importante addirittura del varo di un nuovo codice, perché rappresenta la costituzione della magistratura, lo statuto dei giudici e dei pubblici ministeri, il modo in cui intendiamo regolare un potere dello Stato.

Una riforma di questa portata, che è attesa da cinquantatré anni, esige competenza e ampiezza di vedute; pretende di non essere dettata da finalità particolari e tanto meno da finalità reattive; pretende di non essere una riforma per mettere in riga la magistratura.

Questa riforma deve essere figlia di un progetto complessivo, avere la capacità e la forza di toccare tutte le problematiche della giustizia e non solo alcune, deve essere frutto dell’apporto di tutti gli operatori e di tutte le forze politiche e non il prodotto di un atteggiamento - come è stato definito dal Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura - rancoroso.

Questo è in parte avvenuto nel corso dei lavori di Commissione, che sono durati circa un anno e mezzo, e sono lieto di darne atto al Presidente della Commissione, al rappresentate del Governo e al relatore. Ma su certi punti, e sono quelli nodali della riforma, questo atteggiamento di dialogo non c’è stato e mi auguro ci sia in futuro.

Ricordiamo che la VII Disposizione transitoria e finale della Costituzione è quella che ci impone da tempo di intervenire. Essa dispone che: "Fino a quando non sia emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell’ordinamento vigente", segno che quello non è conforme alla Costituzione e quello che ci accingiamo a varare invece deve esserlo e, su taluni punti, signor Presidente, non lo è.

L’ordinamento del 1941, in questi sessanta e più anni, ha subìto modifiche di eccezionale rilevanza. Sono scomparse figure tradizionali (omissis)…. Altre sono emerse, (omissis) Altre figure sono affiorate e subito dopo sparite, omissis)

Quasi tutto il quadro è cambiato. Problemi giganteschi si sono nel frattempo accumulati. Basta ricordare la definizione dei nuovi compiti dei dirigenti, essendo nel frattempo maturata la consapevolezza che la magistratura deve farsi portatrice anche di una cultura dell’organizzazione.

È emersa la necessità di un robusto codice deontologico, condiviso ed osservato, quale antidoto alla forte crescita del senso di autonomia individuale dei magistrati. Il ruolo del Consiglio superiore della magistratura è stato dilatato proprio a causa dell’assenza di una legislazione esauriente e ha quindi prodotto di fatto un’ampia normativa secondaria che necessita di sistemazione. La magistratura onoraria ha assunto dimensioni ormai pari, se non superiori numericamente, alla magistratura togata ed è in urgente attesa di una disciplina del suo stato peculiare.

Si è fatta stringente la necessità di disciplinare la progressione nella carriera, superando i limiti delle cosiddette leggi Breganze, ma conservando e tesaurizzando i loro pregi.

Si è imposta la necessità di regolare la strutturazione interna delle procure della Repubblica e la stessa funzione della Cassazione continua ad essere in bilico tra una nozione di "Corte suprema" (come la definisce l’articolo 65 dell’ordinamento vigente, che la vede come un supremo regolatore delle questioni generali di diritto) e una nozione di terza istanza di giudizio, quale l’ha modellata la pressione empirica della prassi. Mille altri sono i temi di cui un ordinamento giudiziario deve occuparsi, non esclusi il tribunale militare ed altre forme nuove o comunque esigenti una nuova ottica nel quadro della giustizia. Tutto questo non è avvenuto.

(omissis)

Cosa ci dice questa riforma? Essa contiene alcune parti positive. Non sono così fazioso da disconoscerlo e quindi, come sempre, riconosco che una legge ad ampio spettro come questa non può non avere alcuni capitoli che vanno apprezzati. In particolare, la regolamentazione nuova e diversa dell'accesso al concorso per la magistratura, anche se è un'obiezione insuperabile da parte nostra la previsione di concorsi distinti per giudici e pubblici ministeri.

È positiva l'opzione relativa al tirocinio e alla Scuola superiore della magistratura, anche se lo sganciamento totale dal Consiglio superiore rischia di farne semplicemente un lezionificio. È positiva la temporaneità degli incarichi direttivi, anche se è negativa l'estensione della medesima agli uffici semidirettivi. È positiva la tipizzazione degli illeciti disciplinari anche se gli emendamenti dell'ultima ora hanno introdotto punti di assoluta inaccettabilità.

Ma, accanto a questi elementi positivi che non fatico a riconoscere, ve ne sono alcuni che non possono non incontrare la nostra opposizione ferma e assoluta. Torniamo indietro per un attimo. Che cos'è l'ordinamento giudiziario? È la legge dalla quale scaturisce il modello di giudice; è la legge che plasma il magistrato. Senza dirlo espressamente, ma attraverso la connotazione del suo statuto, della sua carriera, delle sue aspettative, si plasma il modello di magistrato. E qual è il modello di giudice dal quale noi vorremmo essere giudicati? E qual è, per converso, il modello di giudice che esce da questa riforma?

Il modello non è facilmente descrivibile, ma lo possiamo ricavare facilmente se ascoltiamo i desideri elementari che noi stessi abbiamo nel profondo quando ipotizziamo di dover comparire davanti ad un magistrato. Il giudice che noi sogniamo - credo tutti - dovrebbe essere: laborioso, ma non attento solo a fare statistica; tecnicamente preparato, ma non fanatico del combinato disposto; capace di ascoltare, più che esprimere subito le sue convinzioni; portatore di opinioni anche ferme, ma disposto a cambiarle dopo avere ascoltato; osservante del codice deontologico, non meno che dei quattro codici; prudente nel discostarsi da ciò che è consolidato, ma coraggioso nel sottoporre a verifica ciò che è pacifico; consapevole che ogni fascicolo non è una pratica, ma un destino umano; paziente nell'approfondire, indipendente nel giudicare, rispettoso nel trattare.

Forse questo modello è poco realistico, forse è soltanto un sogno, ma noi dobbiamo quanto meno cercare di far sì che i magistrati tendano ad essere vicini a questo modello. Che cosa fa, invece, la riforma in questione? Ci propone un modello tutt'affatto diverso, il modello che scaturisce da quella che possiamo definire la concorsualità permanente.

Noi siamo del tutto consapevoli che è necessario intervenire su quella che il relatore ha chiamato la progressione automatica nella carriera; siamo consapevoli che le "leggi Breganze" del 1966 e del 1973 rispondevano alle esigenze di quel periodo, e giustamente lo superarono; siamo consapevoli che il loro uso concreto esige oggi un nuovo intervento, alla luce delle esperienze e del nuovo costume maturati in questi trent'anni. Lo abbiamo proposto con determinazione nella scorsa legislatura, attraverso quel disegno di legge noto come "le pagelle dei giudici", e torniamo a proporlo anche ora.

Non ha alcun senso logico, né giuridico, né pratico, egregi colleghi, la previsione di una serie ininterrotta di concorsi per titoli ed esami. Il concorso per esami - riflettiamo un momento - significa accertare il sapere del giudice; ma questo sapere è stato verificato al momento dell'ingresso e non c'è alcun bisogno di verificare ancora oggi se egli conosca le categorie e le fattispecie che gli furono chieste quando entrò in magistratura.

Oggi, a carriera in corso, è necessario verificare non quel che sa il giudice, ma come fa il magistrato: è necessario accertare la solerzia nel depositare i provvedimenti, il tratto con gli avvocati, i testimoni e gli imputati, la disponibilità alle esigenze dell'ufficio, la preparazione tecnica nel suo specifico ambito.

Questo è necessario accertare e per questo invito fortemente ad abbandonare questo infelice ritorno ai concorsi, che furono dichiarati negativi da tutta la dottrina e da tutte le forze politiche a cavallo degli anni Settanta, per tornare invece ad una serie di valutazioni di professionalità accurate e molteplici.

Noi abbiamo formulato delle proposte che illustreremo ancora più chiaramente in sede emendativa e che sono concordi con quelle della maggioranza nella pretesa di una rigorosa ed attenta verifica di professionalità. Ma siamo contrari ad una prospettiva concorsuale per titoli ed esami che produrrà fatalmente due inconvenienti non negabili.

Il primo è che il concorso per titoli determinerà, appunto, la ricerca dei titoli, la ricerca di quei mestieri di magistrato in cui si possono formare i titoli preziosi, levigati e dotti e l’abbandono, quindi, di quegli uffici nei quali i titoli non si formano: l’esecuzione, i decreti penali, la sorveglianza, la magistratura minorile, persino gli uffici GIP; questi uffici saranno fortemente disertati e saranno quindi a rischio, mentre saranno ricercati, invece, gli uffici che permettono le pronunce levigate e il magistrato dedicherà molto tempo a questa levigatezza, molta cura a questa ricercatezza e dottrina, sottraendo tempo prezioso alle esigenze dell’ufficio.

Il secondo inconveniente, che difficilmente potete negarmi, è quello di una magistratura conformista, perché il magistrato che sa che le sue sentenze saranno scrutinate e vagliate, qualunque passo in carriera intenda compiere (sia per una promozione, sia per un passaggio di funzioni, sia per un trasferimento), se non ha una saldissima struttura etico-morale, sarà inevitabilmente portato a compiacere il pensiero di coloro che domani saranno i suoi giudici. E noi di tutto abbiamo bisogno fuorché di una magistratura conformista.

Questo quindi è il punto sul quale mi auguro vi sia una congrua riflessione e una disponibilità a dialogare con l’opposizione, che non è affatto attestata su un no pregiudiziale, ma ha offerto delle precise, analitiche, specifiche e incisive proposte.

L’altro aspetto che ci inquieta profondamente, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, è quello dei concorsi separati per l’accesso alla magistratura. Il relatore ne ha illustrati i pregi, consentite a me di illustrarne i difetti.

Innanzitutto, un difetto consiste nella assai probabile incostituzionalità della normativa: l’articolo 106 della Costituzione, sotto il Titolo concernente la magistratura, stabilisce che alla magistratura si accede per concorso e il concorso quindi abilita e legittima a svolgere tutti i mestieri di magistrato e non soltanto qualcuno.

Non solo, ma i cultori del diritto dovranno spiegarmi com’è possibile una parcellizzazione del diritto per cui a taluno si chiedano certe materie e a talaltro materie diverse. Dovranno dirmi quali sono le materie che un giudice può ignorare, perché sono di esclusiva competenza del pubblico ministero e viceversa. Dovranno spiegarmi quali benefici credono di ricavare da questa separazione delle carriere in senso debole, perché tale è questa: la distinzione delle funzioni è un pleonasmo, in quanto le funzioni sono già distinte, nel nostro processo non c’è un solo attimo in cui una funzione possa sovrapporsi all’altra nel corso del medesimo procedimento.

Quindi, questa è la separazione delle carriere in senso debole. Forse è un punto di mediazione, come è stato detto; forse è l’unico punto di equilibrio possibile tra opposte tensioni, ma come mediazione è un punto che raccoglie non i pregi degli opposti, bensì soltanto i difetti, tanto più se combinato con quella struttura fortemente gerarchica dell’ufficio del pubblico ministero.

Anche su questo punto noi non ci limitiamo a dire dei no. Siamo consapevoli che l’ufficio di procura della Repubblica esige un profondo ripensamento a fronte del principio di autonomia diffusa che è penetrato profondamente nel costume della magistratura; siamo consapevoli che l’ufficio di procura, a differenza del tribunale, ha esigenze di una sua linea, di una sua uniformità di condotte, di linee guida che non possono non far capo al dirigente dell’ufficio, ma lo strumento apprestato dall’articolo 5 di questa delega è pesante e di infelice memoria.

Tra l’altro, mi direte perché, se non per quel motivo rancoroso di cui dicevo all’inizio, la delega iniziale non prevedeva affatto tutto questo e si limitava a chiedere quello che nella sostanza chiediamo anche noi oggi, cioè che il transito dall’una all’altra funzione sia preceduto da un corso di formazione, da una valutazione attitudinale seria e rigorosa e sia accompagnato dalla migrazione territoriale (noi sosteniamo in altro circondario, il Governo allora sosteneva in altro distretto: non è su questo che ci si può scontrare a fondo, ma questa era l’impostazione corretta).

Questa era l’impostazione corretta, alla quale ne aggiungiamo un’altra: che il pubblico ministero, prima di assumere le funzioni requirenti, transiti obbligatoriamente, per un certo periodo, attraverso l’esperienza giudicante. Ci sembra necessario per avere un pubblico ministero un po’ meno pubblico ministero, mentre con questa riforma avremo - se così posso esprimermi - un pubblico ministero al quadrato, e non sarà un vantaggio per i cittadini.

Ma non sarà un vantaggio nemmeno il passo successivo che, volendolo o no, dovrà essere fatto quando, a fronte di un corpo di 2.400 magistrati altamente professionalizzato, fornito di grandissimi poteri sulla polizia giudiziaria, nascerà l’esigenza, non tanto latente e nascosta, di assoggettarlo al controllo del potere esecutivo. Non è un processo alle intenzioni: è semplicemente la previsione di una sequenza ineluttabile.

(omissis)

Qui conviene procedere soltanto per scorci, indicando i punti più significativi, a partire dallo svuotamento profondo del ruolo del Consiglio superiore della magistratura attraverso l’attribuzione della grandissima parte delle sue competenze a commissioni esaminatrici che, per quanto da esso nominate, non sono la stessa cosa. Al Consiglio superiore della magistratura la Costituzione assegna una serie di funzioni direttamente ex articolo 105 e non mediatamente, come la delega si accinge a prevedere.

Ancora, ci sembra altamente criticabile la temporaneità applicata anche agli uffici semidirettivi, che sono oltre 700, e che quindi produrrà, cumulandosi con la temporaneità degli uffici direttivi, un vortice di spostamenti che né il Consiglio superiore della magistratura potrà gestire tempestivamente, né il pacchetto di disponibilità di posti permetterà di offrire ai magistrati costretti a spostarsi.

Vi è tutta una serie di altri aspetti tecnici che esigerà una profonda riflessione, ma a noi preme soprattutto affacciare l’ultima e definitiva considerazione. Leggo sui giornali che autorevolissimi esponenti di partiti della maggioranza auspicano una convergenza dell’opposizione su questa riforma. Noi siamo pronti a fornirla, ma convergenza vuol dire disponibilità hic et inde ad ascoltarsi.

Ripeto: i problemi che questo disegno di legge affronta sono da noi percepiti come reali ed effettivi. Su ciascuno di essi non ci limitiamo a dire dei no: abbiamo affacciato delle controproposte, alcune delle quali sono così poco eccentriche che furono le stesse avanzate dal Governo all’origine di questo percorso parlamentare. Noi le richiamiamo e chiediamo che l’iter che seguirà dopo la discussione abbia cadenze non frettolose e ci consenta quindi la ricerca di un’ulteriore convergenza di vedute.

In difetto, il testo così com’è, di cui ho cercato spassionatamente di illustrare pregi e difetti, è fortemente infelice. (omissis)

(omissis)

Forse voi volete sottomettere la magistratura: siate consapevoli che renderete più poveri i cittadini.