TRIBUNALE DI MILANO UFFICIO DEL
GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI SENTENZA 1 MARZO 2002 Gup Saresella
procedimento penale Ferrari + 1
Svolgimento del processo e
motivi della decisione A seguito di richiesta ritualmente effettuata ai sensi dellarticolo
438 Cpp e della conseguente ordinanza con la quale ha disposto il giudizio abbreviato, allesito
dello svolgimento del giudizio nei modi di cui allarticolo 441 Cpp, le parti
concludevano come da verbale dudienza. Il Giudice si avvale degli atti
legittimamente acquisiti nel fascicolo del Pm, e comunque di quelli richiamati dallarticolo
442, comma 1bis, Cpp. Orbene, risulta dalla
comunicazione di notizia di reato 7 settembre 1999 di Calvani Ottavio Livio, coniuge di
Crema Monica Maria, che a parere di questi, il decesso della moglie, avvenuto il 6
settembre 1999, era stato causato da situazioni pregiudizievoli per lo stato di salute
delle stessa: «nella specie, negli ultimi mesi, operava in luoghi insalubri, saturi di
fumo di sigaretta, mentre precedentemente la defunta operava in locali più idonei
(ufficio del personale) nello stesso stabile della società Paribas». Il Calvani sosteneva che i primi uffici dove lavorava la coniuge
erano areati ed idonei allo stato di salute della stessa, mentre la condizione generale
era degenerata con il cambiamento del luogo di lavoro, fatto che era stato evidenziato
direttamente ai superiori, ma con esito negativo. Lo stato precario di salute della Crerma era dovuto al fatto che la
stessa soffriva sin dalla nascita di asma bronchiale allergica, condizione di salute che
si era aggravata nellottobre 1991 a seguito di una trombosi venosa cerebrale con
connesso stato di coma per circa quattro giorni e conseguente riconoscimento di
invalidità civile al 46 per cento. [Omissis] Larticolo 41 del codice penale, infatti, sotto la rubrica
concorso di cause, testualmente recita che il concorso di cause preeesistenti
o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dallazione o dallomissione
del colpevole, non esclude il rapporto di concausalità fra lazione od omisione e levento. Nè è possibile ritenere che la preesistenza di fattori diversi dal
fumo passivo, quali le poliallergie delle quali soffriva la signora Crema, fossero tali da
determinare da sole levento. Infatti, è pur vero che la difesa degli imputati alludienza
del 3.12.2001 produceva vasta documentazione attestante i fattori di rischio allergico ai
quali era esposta Monica, luso di creme a base di erbe, la presenza di notevoli
quantità proprio in quei giorni ( dal 30 agosto 1999 al 6 settembre 1999 ) di pollini di
ambrosia in Milano, e tentava di ridurre i tempi ed i modi di esposizione al fumo passivo
della signora Crema effettuando una mappatura dei fumatori e dei non fumatori nei luoghi
di lavoro vicini a quello della predetta, ma resta sempre da considerare la situazione
descritta nellimminenza dei fatti dai primi testi sentiti, che confermano la
sofferenza di Monica a fronte dellesposizione a fumo di altri soggetti che
stazionavano incuranti delle sue condizioni di salute nei suoi pressi, nonchè delle
persone informate dei fatti e sentite dalla difesa della parte civile costituita, le quali
tutte mettono in evidenza i disturbi lamentati da Monica per esposizione a fumo passivo,
nonchè le recriminazioni di questa per le incomprensioni dei capi per i sui problema di
salute. Si ribadiscono infatti sul punto due dichiarazioni rese nellimminenza
degli eventi alla PG, in data 10.9.1999, dichiarazioni particolarmente apprezzabili in
quanto date in costanza dei fatti, da Norzi Mirta che confermava che durante lintero
orario di lavoro si soffermavano molti colleghi a fumare e Monica si lamentava con
qualcuno di loro, soprattutto con quelli con i quali era maggiormente in confidenza. Molto
spesso, dopo che la teste era ritornata da altri uffici, Monica le comunicava che aveva
mandato via gente che fumava. Casali Lucia, inoltre, che soccorse Monica nel momento accessuale dal
quale derivò la morte della stessa, raccontava alla PG che la stessa Monica, il giorno
6.9.1999, aveva avuto una crisi di asma, aveva inalato lo spray e ricordava che si era
spesso lamentata con Fadini e Ferrari del fatto che dove lavorava non vi erano finestre e
molta gente si fermava a fumare: la stessa, al suo rientro dalle ferie, le aveva detto che
durante le vacanze era stata bene e che subito dopo aver ripreso a lavorare, a causa del
fumo, la sua asma era peggiorata. Rammenta il Giudice che, valorizzando tali considerazioni, Monica
Crema morì a seguito di crisi asmatica sorta sul luogo di lavoro il giorno 6.9.1999 ad
ore 15,20. A questo punto è necessario ricostruire il quadro normativo che
costituisce il presupposto della contestazione del PM nei confronti di Ferrari Graziano,
direttore della sede della Paribas di Milano, piazza San Fedele n 2, definito, ai fini
della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, come dirigente nonchè nei confronti
di Fadini Elios, capo ufficio della Crema, qualificato a tali fini come preposto. Queste premesse permettono di prendere in considerazione un aspetto
molto importante, in relazione al modello organizzativo dellazienda in senso lato, e
cioè laspetto delle deleghe di potere. A partire dai DPR degli anni 50 ( cfr
DPR 547/55, DPR 164/56, DPR 303/56 ecc. ), il legislatore ha individuato il datore di
lavoro, il dirigente ed il preposto, come i soggetti forniti di determinati poteri allinterno
dellazienda. Il datore di lavoro ( prima del D.Lgs. 626/94 come modificato dal D.Lgs
242/96 ) veniva allocato, in modo univoco dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione,
al vertice dellazienda, come soggetto che andava ad integrare la figura dell
imprenditore ( vedi art 2086 CC ); il dirigente era ed è lalter ego del
datore di lavoro, colui cioè che a nome e per conto suo sovrintende un determinato plesso
organizzato. La giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto che il dirigente ai fini
della sicurezza fosse, ad esempio, il direttore di uno stabilimento, di un supermercato,
di un grande magazzino, di un cantiere con autonomia organizzativa, di un ufficio pubblico
e privato, della sede secondaria dellazienda. Il preposto è stato considerato, poi,
il soggetto con il potere ed il dovere di dare attuazione alle norme di legge ed a quelle
che in tema di sicurezza sono elaborate dal vertice aziendale nonchè di controllarne il
rispetto. Da questo modello normativo dobbiamo trarre una conseguenza: il soggetto
responsabile allinterno di un'azienda non è solo il datore di lavoro, ma vi sono
anche altri responsabili, e cioè il dirigente ed il preposto, per quanto a loro compete
per legge ed in virtù di un atto di delega. Occorre considerare, però, che il perno attorno al quale ruota tale
sistema è costituito dalla valutazione dei rischi. Infatti, lart. 4 del
D.Lgs.626/94, così come aggiornato dal D.Lgs.242/96, sancisce: il datore di lavoro, in
relazione alla natura dellattività dellazienda ovvero dellunità
produttiva valuta, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei
preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per
la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari. Il secondo comma distingue fra valutazione e
documento, evidenziando che trattasi di due concetti diversi, e così recita: allesito
della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento
contenente...... Non deve, dunque, essere concettualmente confusa la sostanza con la
forma: il documento è, infatti, il contenitore di una valutazione che deve
sussistere come presupposto.. Latto documentale deve contenere una relazione sulla
valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, nella quale siano
specificati i criteri in base ai quali è stata effettuata la valutazione ( art 4, comma
secondo lett. A ). Si richiede poi lindividuazione delle misure di prevenzione e
protezione ( lett B ). Inoltre è importante precisare che lart.4, secondo comma,
lettera c, del D.Lgs.626/94 richiede il Programma delle misure ritenute opportune per
garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza. Lo stesso art. 4, poi,
indicando il datore di lavoro, ne parla come dellunico destinatario dellobbligo
della valutazione del rischio, tenuto conto che tale incombenza non può essere delegata a
nessun altro soggetto, come recita espressamente larticolo 1, comma quattro ter (
nellambito degli adempimenti previsti dal presente decreto, il datore di
lavoro non può delegare quelli previsti dallart.4, commi 1, 2, 4, lettera a, e 11,
primo periodo ). E necessario comprendere la ragione per la quale il legislatore
effettua questa scelta: si tratta di individuare un soggetto che deve garantire gli
obiettivi individuati nella suddetta lettera c) dellart.4, secondo comma, e cioè limpegno
sulla progettualità in tema di sicurezza con la conseguente necessità di destinare
risorse al ciclo produttivo finalizzati ad ottenere i miglioramenti richiesti dalla legge
. Nonostante lampia definizione data dal legislatore italiano
agli obblghi valutativi del rischio in tema di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro,
si deve rammentare che recentemente, con la sentenza della Corte di Giustizia Comunitaria
15 novembre 2001, lItalia ha subito una condanna per inesatto recepimento della
direttiva 89/391/CEE e successive modifiche, recepita nel titolo primo del D.Leg 626/94,
in quanto si è ritenuto dal giudice comunitario, tra laltro, che la valutazione del
rischio come trasposta nellarticolo 4 del D Leg 626/94 sia riduttiva rispetto alla
definizione data dalla direttiva comunitaria, con conseguente violazione del divieto di
recepimento in peius ( cfr art 118 A Trattao di Roma del 1957 ). Prescindendo dal fatto che la sentenza citata non appare
immediatamente esplicativa di effetti sulla normazione nazionale vigente, ma si limita ad
impegnare il legislatore ad una modifica normativa coerente con la direttiva comunitaria,
la stessa risulta però chiara nel pretendere uninterpetazione estensiva dei fattori
di rischio, fra i quali rientra sicuramente anche lesposizione dei singoli
lavoratori al fumo passivo. Sul punto, in verità, già la dottrina più avanzata e la
medicina del lavoro evidenziavano la sussistenza del rischio, in modo coerente con le
problematiche medico legali sopra ricostruite, e quindi lesposizione a fumo passivo
era già uno dei rischi oggetto di valutazione del datore di lavoro più accorto,
confortato in ciò dal medico competente ( art 17 D.Leg 626/94 ). Conferma di ciò si ha nella consulenza tecnica del PM, laddove si
legge testualmente: almeno nellultimo decennio, levoluzione della
normativa in merito alla sicurezza nei luoghi di lavoro, ha chiaramente indicato come non
devono essere presi in considerazione solo ed esclusivamente i fattori di rischio tabellati
(ad es. DPR 303/56, ecc.), ma anche tutti quei fattori di tipo fisico, chimico e
biologico, che riguardano più in generale lo stato di benessere psico-fisico
del lavoratore nel proprio posto di lavoro. E il posto di lavoro che deve quindi risultare idoneo
a ricevere un lavoratore idoneo a quella mansione specifica. Inoltre, le patologie che stanno assumendo un ruolo primario negli
ultimi decenni sono patologie correlate al lavoro, ma in cui il lavoro non
gioca un ruolo esclusivo, essendo spesso patologie multifattoriali in cui anche la vita
extralavorativa assume un ruolo concausale importante. Il giudice condivide tali considerazioni e conclusioni, ritenendo che
lattività valutativa del luogo di lavoro deve essere svolta ad ampio raggio ed in
relazione alla specificità di ogni singolo lavoratore beneficiato della sorveglianza
sanitaria ( art 16 D.Leg 626/94 ). Del resto, come in più occasioni si è rilevato, il contenuto della
valutazione del rischio si compendia dei fattori della prevedibilità e della
prevenibilità dellevento lesivo - infortunio e/o malattia professionale - ( cfr art
4, comma 2, lett a-b, Leg 626/94 ), in relazione ai quali notevole importanza hanno le
considerazioni mediche attuali al momento della valutazione e le corrette prassi di
organizzazione aziendale. A ciò si deve poi aggiungere che il contenuto di prevedibilità
medica e di prevenibilità della valutazione del rischio giustifica lipotesi di
colpa specifica nei reati colposi di cui agli articoli 589 e 590 CP. Conferma del fatto che lorganizzazione aziendale della Paribas
avesse consapevolezza della situazione ambientale sta nelle parole degli stessi imputati,
i quali tesimoniano di circolari ed ordini di servizio interni che regolamentavano le aree
a disposizione dei fumatori, nonchè di ordini dati verbalmente ( ma in modo del tutto
formale ) da loro stessi di non fermarsi a fumare nei pressi del luogo di lavoro di Monica
Crema, soggetto del quale i vertici aziendali sapevano delle precarie condizioni di salute
per avere ricevuto certificati medici: si vedano sul punto tutte le dichiarazioni rese dai
testi e dagli stessi imputati. Se,dunque, una sostanziale valutazione del rischio relativo allesposizione
a fumo passivo era stata effettuata in azienda, e tale attività spettava ad un vertice
aziendale ( datore di lavoro ) sovraordinato agli imputati, resta comunque il fatto che il
Ferrari, in quanto dirigente, ed il Fadini, nella sua mansione di preposto, dovevano dare
attuazione in modo concreto e rigoroso, per quanto di loro rispettiva competenza, agli
obblighi di protezione nei confronti della salute della Monica Crema, soggetto che gli
stessi sapevano essere in condizioni di precarietà. Appare persino tuzioristico precisare che una organizzazione
aziendale si compendia di vari livelli operativi e decisionali, finalizzati a dare
esecuzione alle strategie elaborate dal vertice e che passano attraverso lindividuazione
da parte del datore di lavoro dei dirigenti e preposti; dispone infatti larticolo 1,
comma 4 bis D.Leg 626/94, come modificato dal D.Leg 242/96, che il datore di lavoro
esercita le sue prerogative previste dalla legge e nellambito delle
rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti ed i preposti che dirigono o
sovraintendono le stesse attività, sono tenuti allosservanza delle disposizioni
del Decreto Legislativo, nonchè agli ordini che, in tema di sicurezza ed igiene sui
luoghi di lavoro, provengono dai vertici aziendali. Orbene, a Ferrari Graziano viene contestato il comportamento lesivo
in quanto dirigente, essendo direttore di sede della Paribas, ed a Fadini Elios quello di
preposto, essendo capo ufficio nel quale operava Monica Crema. Ai due soggetti, dunque, non vengono imputati fatti di carattere
progettuale, valutativo o strategico che competevano a figure a loro sovraordinate (
datore di lavoro ), bensì rispettivamente comportamenti di direzione e sovraintendimento. Orbene, in data 24.9.2001, in sede di interrogatorio richiesto da
Ferrari Graziano nella fase delludienza preliminare, questi ammetteva che nel giugno
1999 egli veniva a conoscenza, proclamandosi addirittura datore di lavoro, che la signora
Crema si era lamentata per lesposizione a fumo passivo ma, ciò nonostante, aveva
rinviato il problema a settembre. Dichiarava che fu fatta una nota di servizio nella quale
si vietava il fumo negli open space e ammetteva che la direttiva aziendale era comunque di
non fumare. A domanda del PM rispondeva che in azienda vi era una organizzazione del
lavoro che, tramite un preposto, controllava lattuazione delle direttive
aziendali...ma non vi era una persona specifica che girasse per gli uffici a controllare.
Il Fadini era preposto a tale attività. Ammetteva che non gli constavano provvedimenti
disciplinari a carico di singoli lavoratori tabagisti, ma esistevano aree nelle quali era
più frequente fumare, come al terzo piano davanti alla macchinette del caffè. Confermava
che più riunioni erano avvenute nel suo ufficio ed avevano ad oggetto il fumo passivo al
quale la Crema era esposta. Limputato, nella sostanza, descriveva una situazione che è
possibile così riassumere: il fumo passivo era considerato un fattore di rischio; il
vertice aziendale aveva mostrato una attenzione al problema; dal punto di vista attuativo,
però, non si era creata una organizzazione coerente per la gestione del fattore di
rischio, ma ci si era limitati a suggerimenti privi di contenuti specifici ai quali,
quindi, non conseguiva alcuna attività vincolante; ciò accadeva nonostate le reiterate
proteste e richieste di aiuto di Monica Crema. Tali elusioni degli obblighi di tutela delle condizioni di lavoro
stavano inequivocabilmente compresi nelle mansioni e nei poteri dirigenziali di Ferrari
Graziano. In data 7.11.2001, in sede di interrogatorio richiesto da Fadini
Elios nelludienza preliminare, questi ammetteva di sapere dei problemi di salute di
Monica Crema e di aver saputo dal signor Carullo che la predetta si lamentava, tra le
altre cose, per lesposizione al fumo passivo presente nel suo luogo di lavoro.
Confermava che il Ferrari gli aveva detto che solo a settembre avrebbe provveduto a
trovare una nuova collocazione alla Crema. Precisava che erano consapevoli, lui ed
Ferrari, che la direttiva aziendale era di divieto di fumo negli spazi comuni, ma lambiente
era gestito bene ed in modo salubre, vi era un corretto impianto dellaria.
Consapevole a posteriori della gravità del problema, dichiarava testualmente, quasi come
scusa non richiesta, se la signora Crema mi avsse evidenziato che aveva dsiturbi a
causa del fumo passivo lavremmo trasferita immediatamente. Orbene, da tali affermazioni emerge la negligenza dellimputato,
in relazione alle sue mansioni di preposto, nella gestione degli aspetti operativi
connessi con i fumo in ambiente lavorativo. Le dichiarazioni rese da entrambi gli imputati, poi, che dicevano di
non avere ricevuto certificati medici relativi al rischio di esposizione a fumo passivo
della signora Crema, nel contesto della problematica sopra ricostruita, sono ancora più
emblematiche della disattenzione e della sufficienza dimostrata dagli stessi nellaffrontare
il fatto. La minimizzazione dei fatti operata dai predetti emerge, infine, non
solo dalle dichiarazioni rese da Norzi Mirta il 10.9.1999 e sopra riportate, ma anche
dalle deposizioni dei conoscenti della Crema, raccolte dalla difesa della PO, che
testimoniano della sofferenza di questa per lesposizione a fumo di sigarette fumate
da altri nei pressi del suo nuovo luogo di lavoro. Alla luce di quanto detto, risulta provato dunque il rapporto
etiologico in quanto cofattore, se non altro sotto il profilo della rilevante probabilità
scientifica, fra esposizione a fumo passivo e morte di Monica Crema; la morte fu cagionata
da comportamenti attribuibili alla negligenza, imprudenza, imperizia ed alla violazione di
specifiche norme in tema di salute sui luoghi di lavoro degli imputati, e ciò in
relazione a compiti per legge e per disposizione aziendale attribuiti al loro rispettivo
ruolo di dirigente e di preposto; la prevedibilità dellevento era nella
disponibilità degli stessi, se è vero che la medicina del lavoro aveva in più occasioni
evidenziato i rischi di esposizione a fumo passivo di soggetti asmatici; la prevenibilità
del fatto stava nella disonibilità degli imputati, i quali avevano i poteri di
intervento, essendo il Ferrari direttore della filiale Paribas di Milano ed il Fadini il
diretto capo ufficio di Monica Crema. Per quanto sopra evidenziato, va ritenuta la penale responsabilità
degli imputati stessi in relazione a quanto loro rispettivamente contestato. Ne consegue
che, valutati i criteri di cui allarticolo 133 CP, concesse le circostanze
attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, tenuto conto del
comportamento processuale dei predetti nonchè della loro incensuratezza, pena equa per
entrambi i reati rispettivamente attributi agli imputati appare essere quella di mesi 6 di
reclusione; tenuto conto che ad entrambi vanno concesse le attenuanti generiche prevalenti
sulla contestata aggravante, la pena va ridotta a mesi 4, giorni 15 di reclusione; si deve
quindi applicare la riduzione di un terzo per il rito e quindi gli imputati vanno
condannati ad una pena in concreto di mesi tre di reclusione. Alla condanna segue il
pagamento delle spese processuali. Ai predetti, persone che soggettivamente possono goderne, ed essendo
possibile presumere che si asterranno dal commettere ulteriori reati, vanno concessi i
benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. I comportamenti contestati costituiscono violazione degli obblighi
che regolano il rapporto di lavoro ( art 2087 CC ) e comunque integrano un fatto illecito
colposo ( art 2043 CC ) che ha cagionato la morte di Monica Crema, con la conseguenza che
gli imputati vanno anche condannati al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e morali
( e non già di quelli alla salute non essendo gli stessi oggetto della richiesta da parte
della parte civile ) per i quali, non essendo agevole la liquidazione, vanno rimessi gli
atti al giudice civile sul quantum. Ai sensi dellarticolo 539, comma secondo, CPP, vista la
richiesta della parte civile, gli imputati sono condannati in solido al pagamento di una
provvisionale che, nei limiti di una valutazione equitativa, si indica nella misura di
euro 50.000, a fronte dalla somma richiesta dalla parte civile, tenuto conto della valenza
percentuale della concausa posta in essere dagli imputati. Visto larticolo 541 CPP, si condannano gli imputati al
pagamento in favore della parte civile della somma di lire 8.100 per le spese processuali
da questa sostenute, vista la nota spese depositata dal difensore e considerata la stessa
congrua e commisurata alla difficoltà della presente causa. Il Giudice, PQM Visti gli artt.438 segg. e 533 segg. c.p.p. Dichiara Ferrari Graziano e Fadini Elios responsabili del reato a loro
rispettivamente ascritto e pertanto li condanna concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate
aggravanti, concessa la riduzione di un terzo della pena ex art 442, comma 3, Cpp, alla
pena di mesi tre di reclusione; concede agli stessi i benefici della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna nel casellario giudiziale; li condanna al pagamento delle spese processuali relative ai reati cui la
condanna si riferisce; dichiara gli stessi civilmente responsabili in solido dei danni cagionati alla
parte civile e, pertanto, li condanna in solido al risarcimento degli stessi, rimettendo le parti davanti
al Giudice civile per la liquidazione dei danni; li condanna al pagamento di una
provvisionale che determina in euro 50.000; li condanna altresì al pagamento delle spese
processuali sostenute dalla parte civile, che liquida in euro 8.100. |