cariche.jpg (7757 bytes)

MAGISTRATURA INDIPENDENTE

GRUPPO NAPOLETANO

UN FUTURO PER M.I.

 

  1. PREMESSA

Le  recenti elezioni per il rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura hanno segnato una forte prevalenza della componente di sinistra della magistratura associata, con ben otto candidati eletti facenti capo a Magistratura Democratica e Movimenti Riuniti e una buona parte degli eletti di Unicost rappresentanti l’area di sinistra di questa corrente. Magistratura Indipendente, invece, che da sempre si identifica nella magistratura moderata, ha perduto ben due consiglieri, scendendo a solo due unità su un numero complessivo di 16 componenti togati, con un rilevante scarto proporzionale rispetto alla precedente consiliatura, la cui componente togata era per 1/5 (4 su 20) costituita da esponenti di M.I.; ed anche in termini di voti complessivi, ad eccezione di un buon risultato per la Cassazione, i risultati negativi per la nostra corrente sono innegabili.

Occorre a questo punto interrogarsi sulle ragioni di questa sconfitta, cercare di capire i motivi di questo nuovo assetto rappresentativo della magistratura, anche e soprattutto al fine di stabilire se si tratti di un trend inarrestabile, indice di un rinnovamento di idee e di persone all’interno dell’ordine giudiziario, ovvero sia il frutto di condizionamenti “ambientali” e spinte esterne alla magistratura, oppure più semplicemente il risultato di errori politici del nostro gruppo.

Trovare una risposta adeguata a queste domande è di fondamentale importanza per comprendere in primo luogo se M.I. ha un futuro e poi se M.I. ha ancora oggi un ruolo fondamentale nell’A.N.M.

E’ nostra convinzione che si possa e si debba dare una risposta positiva ad entrambe le domande.

2.                                         ANALISI DELLA SITUAZIONE ASSOCIATIVA

Da più parti si parla di un costante processo di “radicalizzazione ideologica” della magistratura, sempre più di sinistra, sempre più portata a svolgere un ruolo politico, in contrapposizione con gli altri poteri dello Stato. Al riguardo è opportuna una distinzione: vi sono casi limitati in cui è evidente il fine “politico” dell’azione, svolta per contrastare scelte dei partiti, del Parlamento, del Governo; tuttavia, a ben vedere, anche in M.D. e nei Movimenti solo una minoranza può essere accusata di vera e propria militanza “politica” nel senso sopra citato, mentre prevale un’altra visione “politica”, questa volta ristretta al ruolo del giudice, il quale, in aggiunta – anzi, a dispetto – delle sue prerogative costituzionali di mero garante della legge, viene investito di una specifica “funzione sociale”, quella di tutore di interessi particolari, siccome riferibili a specifiche categorie di cittadini.

Ecco che viene in gioco il giudice che deve interpretare la legge secondo le esigenze dei consumatori, ovvero tutelare indiscriminatamente i lavoratori e gli immigrati, da proteggere a prescindere dalle circostanze del caso concreto e dai princìpi normativi esistenti.

E’ evidente che si tratta di due visioni non in linea col dettato costituzionale, che vuole il magistrato soggetto solo alla legge, e quindi tenuto esclusivamente a rispettare la stessa e i valori espressi della Carta fondamentale, ma è altresì evidente che, se non vi è alcuna possibilità di salvare la contaminazione, anzi l’identificazione, tra attività giudiziaria ed attività politica, l’idea di un magistrato investito di uno specifico ruolo debba essere quantomeno approfondita e discussa; non si tratta di condividerla, perchè la laicità e neutralità del magistrato sono valori posti a tutela della stessa autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, ma si tratta di trovare un progetto alternativo a questa visione, alla fine parziale e ristretta, della funzione giurisdizionale.

L’idea di un “ruolo sociale” del giudice indubbiamente affascina e può avere l’effetto positivo di una continua sollecitazione nel lavoro, e questa forse è la principale ragione della nascita e sedimentazione all’interno della magistratura di correnti quali M.D. e Movimenti riuniti; e questo, a nostro avviso, è uno dei motivi (insieme ad altri di cui si parlerà dopo) dei recenti risultati elettorali, favorevoli a tali correnti proprio perchè, sull’onda di un giustificato timore per le iniziative legislative e governative in materia di giustizia, gran parte dei giudici italiani, giovani ma anche meno giovani, hanno inteso intravedere in quel “ruolo sociale” così fortemente proclamato un solido strumento di difesa delle proprie prerogative istituzionali,  minacciate dagli altri poteri dello Stato.

A ciò va aggiunta la peculiarità di un gruppo associativo come quello di Unicost il quale, benché dilaniato da guerre intestine e dal conflitto permanente tra due o tre anime al suo interno, riesce sempre nei momenti topici a conservare una non indifferente parte dei consensi dei magistrati italiani.

Ebbene Unicost riesce nel contempo a coniugare le ragioni del malessere dei magistrati con uno strisciante collateralismo governativo.

Di qui la possibilità di ritrovare la funzione e il ruolo di M.I. che rappresenta e deve continuare a rappresentare i magistrati autonomi e terzi rispettosi solo della legge.

M.I., dunque, non può che essere entità autonoma e indipendente da ogni area di potere rifuggendo le chimere del bipolarismo politico.

 

3.                             IL NOSTRO PROGETTO

La forzatura della visione della funzione del giudice come prospettata da MD e Verdi è evidente ed incontestabile, perchè resta sempre il vizio di fondo di un giudice non laico e non neutrale, ma non si può negare che, in questa contingenza storica, non ci si può limitare a rivendicare l’asetticità del giudice e la necessità che lo stesso non interferisca nell’attività degli altri poteri dello Stato.

Se si vuole davvero fare una nobile e al contempo fruttuosa politica sindacale, nella duplice prospettiva di una effettiva crescita culturale della magistratura e di un ampliamento della base elettorale di M.I., bisogna combattere questo modello di giudice delineato dalle correnti di sinistra proponendo un altro modello altrettanto forte, che, pur se rispettoso dei limiti costituzionali, possa davvero affascinare e rassicurare i magistrati italiani, soprattutto quelli più giovani, più spaventati ed attoniti dalle pressioni “esterne”.    

E questo nuovo modello di giudice non può che essere quello di un giudice che non ha modelli precostituiti, che è veramente libero nell’interpretazione della legge, unico e solo punto di riferimento nell’esercizio della iurisdictio. Si potrebbe obiettare che si tratta di un progetto non nuovo, che sta a base della stessa creazione di M.I., ma qui occorre spiegarsi: la novità non sta tanto nell’idea di fondo, che si rinviene nello stesso principio costituzionale della “soggezione del giudice solo alla legge” (art. 101 comma 2 Cost.), ma nella “modernizzazione” di tale idea alla luce del nuovo rapporto che intercorre tra il giudice e la legge, rapporto modificato e messo in crisi dall’alluvione legislativa degli ultimi anni, dalla costante “internazionalizzazione” ed “europeizzazione” del diritto, oltre che dalla indubbia difficoltà della Suprema Corte nello svolgimento della funzione nomofilattica (a causa dell’aumento del contenzioso e della difficoltà di risolvere i contrasti interpretativi tra le sezioni semplici, nonchè della strisciante trasformazione della Corte da giudice di legittimità a giudice di terzo grado).

In tale difficile contesto, che rende sempre più difficile il lavoro del giudice, è ovvio che questi deve cercare nuovi e solidi punti di riferimento, rappresentati dalla consapevolezza dell’esistenza di diritti e valori universalmente riconosciuti, della crescente centralità del diritto comunitario, dell’esigenza di interpretare le norme secondo i parametri fondamentali dettati dalla Costituzione; in questo senso, il giudice deve avere una rinnovata “sensibilità politica”, intendendo quest’ultima - in un’ottica positiva, sempre agganciata all’art. 101 comma 1 Cost - come capacità di comprendere il nuovo assetto normativo e modellarlo secondo i valori e diritti inviolabili riconosciuti a livello internazionale e dalla stessa Carta Costituzionale, secondo una lettura che, per forza di cose, non può prescindere da un delicato e costante giudizio di bilanciamento di interessi e valori, che tenga conto anche della realtà sociale ed economica del momento e dei mutamenti intervenuti.

Ecco che appare, in tutta la sua forza, la novità concettuale di un giudice “impegnato”, tuttavia non portatore di interessi di parte ma piuttosto motivato a perseguire l’interesse generale ad un corretto esercizio della iurisdictio, da svolgersi nella piena consapevolezza della crescente difficoltà del ruolo, del mutato quadro normativo internazionale ed interno, dell’esigenza di rapportare il diritto alla nuova realtà sociale-economica.

Si tratta di una nuova figura di giudice che, seppur “impegnato” e non più distante dalla società, è comunque “autonomo ed indipendente”, in quanto sempre rispettoso della legge e dei suoi valori fondamentali.

Resta quindi salva l’impostazione originaria voluta dalla Costituzione e sempre tutelata da M.I., ma il tutto in un’ottica nuova, appunto più impegnata e consapevole, funzionale ad ovviare a quel pericolo di distacco dalla società che finisce per far venir meno lo stesso senso profondo della giurisdizione e può condurre a quella solitudine, a quella demotivazione che, come detto, sembrano essere state le prime cause dello spostamento di voti verso le correnti di sinistra.

E si tratta di un modello “appetibile”, nel quale si può riconoscere la generalità dei magistrati, desiderosi di non pervenire ad applicazioni finalizzate della legge ma piuttosto di garantire l’osservanza uniforme del diritto in posizione di neutralità, sollecitati però dall’esigenza di modernizzazione e dalla necessità di rinvenire valori di riferimento inoppugnabili nell’ambito di un assetto legislativo sempre più complesso e di portata transnazionale.

Si è detto in precedenza della novità di un messaggio così impostato, nel quale i principi di autonomia ed indipendenza e la soggezione del giudice solo alla legge trovano una nuova linfa e una nuova causa giustificatrice, senza correre il rischio di visioni parziali e ideologizzate che confliggono con la stessa idea dell’attività giurisdizionale. Ed è necessario un grande sforzo in proposito da parte di Magistratura Indipendente, dai simpatizzanti al gruppo dirigente, senza che si possa replicare che si tratta di un progetto già attuato o in via di attuazione, perchè in questa ottica il concetto di “giudice moderato”, che ha sempre ispirato l’azione di M.I., si colora in un modo diverso, più incisivo, più operativo, in definitiva più moderno.         

Altro problema rilevante, che merita grandissima attenzione, è quello delle modalità di diffusione di queste nuove idee sul ruolo e la collocazione del giudice, e anche sul punto occorre una consistente spinta propulsiva, al fine di consentire una più ampia possibile circolazione del modello alternativo rispetto a quello propugnato dalle correnti di sinistra. Però di queste ultime bisogna seguire l’esempio, nel senso che si devono utilizzare i medesimi canali usati da tempo (purtroppo con successo) da tali correnti: organizzazione costante di convegni, tavole rotonde e/o riunioni informali; istituzioni di commissioni di studio a livello centrale e locale – a tal fine occorre dare piena ed effettiva attuazione all’art. 15 dello Statuto sull’Ufficio studi -, al fine di discutere delle prassi processuali, dei rami di contenzioso più rilevanti, dei progetti di riforma, delle novità legislative; continuo contatto con gli uffici giudiziari, soprattutto quelli più piccoli; potenziamento del sito informatico che sia effettivo luogo di confronto e diffusione di idee e sia il più possibile pubblicizzato; attiva partecipazione e coinvolgimento nell’attività di formazione, centrale e decentrata, organizzata dal Consiglio Superiore della Magistratura; in tutte queste sedi, occorre sempre evidenziare la centralità del ruolo del giudice nella prospettiva sopra evidenziata del giudice al tempo stesso “laico” ed “impegnato”, “neutrale” e “sensibile” ai mutamenti sociali ed economici.

Ed ancora occorre potenziare i contatti con le altre componenti della giustizia come gli avvocati ed i magistrati onorari ed impegnarsi nella proposizione o riproposizione di quelle soluzioni più condivise dai giudici come ad es. l’attuazione del cd. Ufficio del giudice.

Il dato dal quale partire, dunque, è quello di un profondo impegno di tutti gli aderenti e simpatizzanti a M.I., che devono essere gli “ambasciatori” di questo nuovo modello, e ciò quotidianamente all’interno del proprio ufficio, oltre che in occasioni ufficiali per convegni di natura tecnica o di natura politico-sindacale; ed è chiaro che a questo impegno della base deve corrisponderne uno, ancora più incisivo, del gruppo dirigente, che deve stimolare ogni e qualsiasi iniziativa utile a sollecitare il dibattito; già questo potrà portare a proficui risultati, perchè, in realtà, qualsiasi iniziativa che non sia improntata ad una visione ideologica e parziale quale quella proveniente dalla c.d. sinistra giudiziaria diventa momento di sviluppo del modello (non modello) di giudice neutrale in quella diversa prospettiva più volte evidenziata; in altre parole, il giudice che operi senza pregiudizi politico-sociali ha già in sé il germe del giudice di cui M.I. deve farsi oggi portavoce.

 Le pressioni sulla magistratura, per altro verso, impongono una scelta chiara ed univoca: la necessità di restare nell’ambito dell’A.N.M., garantendo a quest’ultima la rappresentatività dell’intera magistratura e mostrando all’esterno un’unità sindacale che non può che portare a positivi risultati nell’ottica del confronto istituzionale sui vari progetti di riforma, ivi compresi quelli dell’ordine giudiziario.

4. RAPPORTI CON ALTRE ISTITUZIONI   

Si è già in precedenza accennato alle pressioni esterne alla magistratura, provenienti dagli altri poteri dello Stato, e sarebbe intellettualmente scorretto negarne l’esistenza, quasi a voler affermare che la situazione in cui versa oggi l’Italia sia una situazione normale, in cui il potere giudiziario ha assicurate le sue garanzie e gode del prestigio dovuto ad uno dei fondamentali poteri di uno Stato di diritto. Certamente, però, il mezzo di contrasto non è – come anticipato all’inizio - una contrapposizione politica, quasi a volere configurare la magistratura come un soggetto politico, abilitato a scendere nell’arena del dibattito politico; ciò nuoce gravemente alla magistratura, facendole perdere quel ruolo di neutralità voluta dal legislatore costituzionale e invidiatoci da molti paesi democratici. Tuttavia, questo non vuol dire atteggiamento acritico nei confronti del potere politico, allorchè i suoi progetti contrastino gli interessi allo stesso efficace esercizio della giurisdizione e ledano i fondamentali valori dell’autonomia ed indipendenza della magistratura; in questi casi il nostro intervento deve essere forte e deciso nei contenuti, sempre preservando quella moderazione nei toni più volte sollecitata dal Presidente della Repubblica e che rappresenta una barriera a tutela del prestigio e della stessa legittimazione dell’ordine giudiziario.

Se è doveroso da parte del magistrato rispettare il principio della “non interferenza”, limitandosi alla dialettica costruttiva con gli altri poteri dello Stato, e quindi soprattutto con quello legislativo ed il Ministro della Giustizia, va altresì ricordato che, nel recente passato, singoli – ma importantissimi –  esponenti del mondo politico hanno continuamente delegittimato l’operato della magistratura, tanto da giustificare più volte l’intervento del C.S.M. a tutela della categoria, la cui credibilità veniva intaccata dinanzi all’opinione pubblica. Tali attacchi sono quasi sempre avvenuti parallelamente alla celebrazione di procedimenti penali di grande eco ed amplificati dai mass-media, e quindi con danno sempre notevole per il rapporto fiduciario che i magistrati devono avere con i cittadini.

Né va omesso che nelle ultime due legislature, numerose leggi (che certamente i magistrati osservano ed applicano) hanno limitato l’efficienza della giurisdizione ed in parte ulteriormente ritardato i tempi della giustizia, problema al quale non si è mai posto rimedio, malgrado gli appelli di tutti gli operatori del diritto. Basta ricordare, nel quinquennio 1996-2001, la riforma costituzionale dell’art. 111 (che pur contiene spunti positivi), e la c.d. legge Pinto. Nell’attuale legislatura, la legge sulle rogatorie contiene alcune norme che non appaiono coerenti con principi generali del diritto, e la riforma degli illeciti in tema di diritto societario – che pur ha analiticamente  individuato e distinto le varie ipotesi di reato – ha contenuto i massimi della pena in misure non proporzionali all’importanza della correttezza e lealtà dei rapporti fra imprese ed all’interno delle stesse in un sistema economico ormai quasi esclusivamente privatistico. Infine, i disegni di legge sulle riforme delle norme in tema di legittimo sospetto, e, soprattutto, dell’ordinamento giudiziario destano non poche preoccupazioni sulla funzionalità della giurisdizione.

                           

5.                                                         CONCLUSIONI

Il futuro di Magistratura Indipendente è dunque strettamente legato alla “modernizzazione” della nostra concezione del ruolo e della funzione del giudice, alla riscoperta e valorizzazione della nostra identità e del senso di appartenenza, elementi questi che devono sempre caratterizzare una comunità come la nostra.

Riaffermazione dell’autonomia e terzietà del giudice.

Riaffermazione della magistratura quale unico titolare del potere giurisdizionale in una posizione di indipendenza dagli altri poteri.

Modernizzazione dell’organizzazione e delle strutture.

Ecco le sfide che dobbiamo raccogliere per uscire dalla situazione di crisi nella quale versiamo.       

 

                                             LA SEGRETERIA DISTRETTUALE