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MAGISTRATURA INDIPENDENTE

Al Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati   

 

  Caro Edmondo, in previsione dell’audizione dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati alla quale la Giunta Esecutiva Centrale dell’A.N.M. è stata invitata per il 19 febbraio p.v., ti trasmetto le seguenti considerazioni relative ai punti che mi appaiono più controversi del disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, che prospettano soluzioni a mio giudizio compatibili con le proposte già avanzate e le posizioni comunemente espresse dall’A.N.M..

  Ti prego, pertanto, di sottoporre tali proposte di soluzioni alla giunta per verificare se siano condivisibili, e comunque di rappresentarle al Presidente della Commissione Giustizia della Camera in occasione della predetta audizione.  

 

1)       Concorsi per l’accesso alle funzioni superiori e per il passaggio ad altra funzione.

In sostituzione del concorso per esami, del tutto inidoneo ad accertare equilibrio, attitudine e professionalità in concreto del magistrato, una soluzione opportuna può essere costituita dalla nomina di commissioni permanenti   ( composte da magistrati e professori, nominate dal C.S.M. e differenziate a seconda che si abbia riferimento al conferimento di funzioni giudicanti, inquirenti, di legittimità e direttive), con compiti consultivi, ed addette specificamente ad esprimersi sui profili di professionalità emergenti dall’attività giudiziaria svolta dai candidati e dagli altri titoli di cui costoro siano in possesso. Tale parere opportunamente integrerebbe quello dei Consigli Giudiziari, che meglio potrebbero verificare invece doti diverse da quelle della preparazione teorica, desunte dal comportamento del magistrato in udienza e dal rispetto di tutti i doveri su di lui incombenti in generale. Oltre a ciò, sarebbe necessario prevedere che ogni scatto retributivo sia condizionato ad un giudizio positivo del C. S. M., anche tenuto conto del parere delle commissioni consultive permanenti di cui sopra, cadenzando gli scatti retributivi in modo tale da consentire un osservatorio costantemente e sufficientemente aggiornato sulla professionalità di ogni singolo magistrato (ad esempio, ogni quattro anni). Al fine di personalizzare sempre più le valutazioni secondo criteri che consentano di verificare in concreto i livelli di professionalità, oltre che più in generale  per disporre di elementi effettivi di conoscenza al fine di razionalizzare l’attività giudiziaria, sarebbe opportuno anche istituire idonei  uffici di monitoraggio dell’esito dei procedimenti in tutte le fasi e gradi del giudizio, che permettano di verificare nel tempo l’eventuale sussistenza di abnormi livelli, ad esempio, di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva manifestata con l’esercizio dell’azione penale, ovvero di decisioni annullate per difetti di motivazione, ovvero di altre situazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze professionali individuali o di difetti organizzativi generali. 

Positiva è l’abolizione delle qualifiche astratte avulse dall’esercizio effettivo delle funzioni, così come l’accorciamento rispetto alla normativa attuale del periodo di tempo necessario per l’accesso alle funzioni di secondo grado e di legittimità, mentre assolutamente da escludere è la previsione di trattamenti economici differenziati in dipendenza dell’esercizio dell’una o dell’altra funzione, che non trovano giustificazione nella dinamica dell’attività giudiziaria così come delineata dalla Costituzione e riscontrata dalla esperienza.

Inconferente con la problematica dell’incompatibilità territoriale in caso di passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle inquirenti e viceversa, affrontata dal disegno di legge, è la previsione del doppio concorso iniziale di accesso alla magistratura, che è oltretutto strumento inidoneo a verificare alcun tipo di attitudine particolare in considerazione del suo carattere meramente teorico.

 

 

2) Riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero.

L’organizzazione degli uffici del pubblico ministero risente oggi da un lato di un non corretto adeguamento alle esigenze apportate dalla modifica in chiave accusatoria del processo penale, dall’altro da una delimitazione problematica del rapporto effettivo tra i magistrati a tali uffici preposti e i sostituti procuratori.

Il primo problema emerge direttamente dalla asistematicità di un sistema complessivo che, pur essendo ormai fondato sul principio del contraddittorio nella formazione della prova, affida però l’esito ultimo del processo di merito ad un giudice (la corte d’appello) e ad un pubblico ministero (il sostituto procuratore generale presso quella Corte) che a tale formazione non hanno preso parte. La conferma di ciò è data dall’ampia diffusione in alcune sedi dell’istituto di cui all’articolo 570, terzo comma c. p. p., che consente in determinati casi alla stesso p.m. di primo grado di sostenere l’accusa anche nel giudizio di appello. L’esigenza di una consapevolezza assoluta dell’oggetto del processo e di una conduzione coerente e unitaria dello stesso è, per altro verso, dimostrata anche dalla sempre maggiore diffusione di moduli organizzativi che garantiscano l’applicazione dell’art. 3 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che comporta che lo stesso p.m. che ha condotto le indagini debba tendenzialmente sostenere l’accusa in giudizio.

Il secondo problema è evidenziato dalla necessità di contemperare nel miglior modo possibile l’autonomia di giudizio dei sostituti procuratori con esigenze, egualmente rilevanti, di coerenza ed efficacia dell’azione giudiziaria. In particolare appare opportuno ricercare moduli organizzativi che, senza degenerare nell’adozione di criteri basati sulla pura affermazione di autorità, consentano però da un lato di prevenire errori o decisioni sbagliate, dall’altro di assicurare ad una comunità insediata in un determinato territorio che, perlomeno a livello di quel territorio, l’azione giudiziaria inquirente si manifesti secondo criteri di omogeneità razionale.  

Poste tali premesse, si propongono le seguenti soluzioni:

-          istituzione di un ufficio unitario del pubblico ministero a livello distrettuale, che consenta che ogni procedimento sia trattato dallo stesso magistrato a partire dalla notizia di reato fino alla proposizione degli eventuali motivi di ricorso in cassazione. Sul piano strutturale tale ufficio potrebbe essere organizzato in sezioni territorialmente più circoscritte, eventualmente (ma non necessariamente) corrispondenti ai circondari di tribunale, alle quali in via tabellare dovrebbero essere addetti diversi sostituti. A tali sezioni potrebbero essere preposti dirigenti intermedi, ovviamente nominati dal C. S. M., così come altri dirigenti intermedi, anch’essi nominati dal C.S.M., dovrebbero essere preposti a particolari settori di attività all’interno delle sezioni territoriali di maggiori dimensioni;

-          il dirigente dell’ufficio e i dirigenti intermedi dovrebbero dettare criteri operativi   di massima da applicare  in situazioni, di fatto o di diritto, tendenzialmente omogenee;    

-          possibilità del dirigente o dei dirigenti intermedi di ritirare la designazione ai sostituti in caso di divergenze circa attività giudiziarie da svolgere o decisioni da assumere, con obbligo per il dirigente di motivarne per iscritto le ragioni e di trasmetterle d’ufficio al C.S.M.; valutazione del C.S.M. in ogni caso di ritiro della designazione ai sostituti; inserimento nel fascicolo personale del dirigente e del sostituto di ogni valutazione del C.S.M. relativa ai casi di ritiro della designazione, ai fini delle successive valutazioni di professionalità.

 

3) Fattispecie disciplinari.

La fattispecie disciplinare prevista dal comma 1, lettera c) n. 9 dell’articolo 7, nel sanzionare  “l’adozione di atti e provvedimenti il cui contenuto palesemente e inequivocabilmente sia contro la lettera e la volontà della legge..” non fa altro che illustrare una situazione di errore macroscopico di diritto che già oggi costituisce pacificamente illecito disciplinare in virtù di consolidata giurisprudenza e che trova già espressa sanzione in altra previsione della stessa norma proposta, precisamente al numero 3 della stessa lettera c), che sanziona “la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile”, oltre che “il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia”. Non è dato comprendere, pertanto, la necessità di tale ipotesi, il cui ambito di applicazione è già interamente ricompreso nella disposizione per ultimo citata, e la cui esclusione è estremamente opportuna per tacitare dannose polemiche.

Con riferimento alla previsione di cui alla lettera d) n.7, nulla è da eccepire circa il divieto di iscrizione ai partiti politici, mentre ragionevoli perplessità suscitano invece le ulteriori ipotesi previste, soprattutto in considerazione della problematica compatibilità di esse con i principi costituzionali in materia di diritti fondamentali dei cittadini (diritto di manifestazione del pensiero, di libera associazione) che possono essere compressi per determinare categorie, ma solo nei limiti ( per materia da intendere di stretta interpretazione)  previsti dalla stessa Costituzione. Una soluzione praticabile per rafforzare l’obbligo di imparzialità dei magistrati senza comprimere ingiustamente diritti fondamentali loro spettanti in qualità di cittadini consisterebbe nell’integrare il contenuto della norma con ulteriori specificazioni di fattispecie che la riempiano di concretezza e ne delineino un disvalore oggettivo, sull’esempio del secondo comma dell’articolo 8 del codice etico dei magistrati elaborato dall’Associazione Nazionale Magistrati che stabilisce che il magistrato “evita qualsiasi coinvolgimento in centri di potere partitici o affaristici che possano condizionare l’esercizio delle sue funzioni o comunque appannarne l’immagine”, previsione che certamente non potrebbe mai riguardare la partecipazione ad attività puramente ideali (ad esempio il sostegno ad una causa socialmente apprezzabile) che pur possano avere riflessi in sede politica, ma altrettanto certamente colpirebbe attività quali il sostegno ad una campagna elettorale o simili, queste sì idonee a screditare l’immagine di imparzialità del magistrato.   

                   

      Roma, 18 febbraio 2004               

  

Il Segretario Generale

Antonio Patrono