LE INDAGINI DELLA
POLIZIA GIUDIZIARIA.
Il terrorismo
italiano delle c.d. nuove Brigate rosse affonda le sue radici nel passato, anche se si
propone con logiche e strategie adeguate ai mutati scenari politici, economici e sociali.
I comunicati di
rivendicazione degli omicidi DAntona e Biagi richiamano le linee programmatiche dellala
militare delle Brigate rosse. Lanalisi dei documenti ha
consentito di indirizzare le indagini verso quei soggetti già evidenziatisi nellambito
delle inchieste sui Nuclei Comunisti Combattenti e verso quei militanti che, nel rendersi
irreperibili, avevano fatto ipotizzare un loro coinvolgimento nelle azioni omicidiarie
rivendicate dalle Brigate rosse, anche in considerazione della loro forte determinazione a
non rinunciare alla propria identità politica. Daltra parte già in precedenza
erano stati individuati e arrestati latitanti di spicco delle BR, come Paolo Persichetti,
Leonardo Bertulazzi e Nicola Bortone, questultimo dichiaratosi militante
rivoluzionario.
Lazione di
contrasto si avvale oltre che dei tradizionali strumenti informativi ed investigativi,
anche degli istituti introdotti con la normativa antiterrorismo dellautunno del
2001, con riferimento, in particolare, alle intercettazioni preventive ed alla attività
sottocopertura.
Le indagini sono
nella quasi generalità contrassegnate da percorsi tecnici ben collaudati specialmente per
quanto riguarda lanalisi dei flussi di
traffico telefonico. Infatti, come è ampiamente noto, con il supporto di software
informatici si riesce ad analizzare un numero indefinito di dati telefonici e quindi ad
esaltare quelli ricorrenti. Questi dati ricorrenti, sulla base di
processi deduttivi logici e di processi investigativi, consentono di incentrare lattenzione
su determinate utenze. Vorrei soffermarmi su alcuni casi di
positive operazioni basate sui flussi di traffico telefonico.
Il primo è larresto
del latitante brigatista rosso Nicola Bortone, avvenuto in Svizzera nel marzo dello scorso
anno.
Già arrestato
in Francia nel settembre 1989 per associazione per
delinquere e detenzione di armi e munizioni, nellambito di una operazione che aveva
disarticolato in Italia lala militarista delle Brigate rosse, il Bortone fu
condannato dal Tribunale di Parigi alla pena di 3 anni di reclusione con obbligo di
soggiorno per i successivi anni 3. Rimesso in libertà nellottobre del 1992, fece
perdere le proprie tracce.
Allindomani
dellomicidio del professor DAntona, commesso nel maggio 1999 e rivendicato
dalle Brigate rosse Partito Comunista Combattente, le indagini furono subito
indirizzate anche verso i latitanti storici dellorganizzazione.
In tale ambito,
nellautunno del 2001 furono attivati, su decreto dellA.G. di Roma, servizi
investigativi diretti al rintraccio del Bortone e di altri militanti da tempo
irreperibili.
In particolare,
per quanto riguarda il Bortone, furono avviate numerose intercettazioni telefoniche a
carico dei familiari e di altri soggetti contigui al latitante che non dettero, però,
risultati positivi. Successivamente, nel corso di perquisizioni domiciliari di alcuni
familiari, residenti nel casertano, furono sequestrate alcune fotografie che raffiguravano
il Bortone (riconoscibile nonostante gli anni passati) con una donna e due bambini ripresi
in alcune località lacustri. Nella ragionevole supposizione che si trattasse di località
straniere, fu chiesta la collaborazione delle polizie francese e svizzera e dopo non poca
fatica si raggiunse la quasi certezza che la località delle fotografie fosse Zurigo. Fu
allora richiesto alla Svizzera tutto il flusso del traffico telefonico degli ultimi tre
anni da Zurigo in entrata nelle località del casertano ove dimoravano i familiari. Il
complesso dei dati, benché enorme, fu monitorato e furono estrapolate le telefonate
ricorrenti verso lo stesso numero contattato più volte da cabine telefoniche pubbliche di
Zurigo. Furono altresì anche individuate le telefonate c.d. gemelle, ossia quelle
pervenute allo stesso numero a breve distanza di tempo: la prima di brevissima durata, di
una decina di secondi (verosimilmente per fissare lappuntamento); quella successiva
molto più lunga (alcuni minuti). Fu allora (siamo nel gennaio 2002) messo sotto
intercettazione il numero ricorrente e avendo nel frattempo accertato che le telefonate
provenivano da telefoni pubblici differenti, sebbene concentrati in una zona
sufficientemente definita (in proposito furono individuate 11 postazioni telefoniche), la
Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione acquisì lintera mappa della
telefonia pubblica di Zurigo, onde predisporre dintesa con la polizia svizzera, un
piano operativo. Finalmente, grazie a un piccolo colpo
di fortuna, si venne a conoscenza di un appuntamento telefonico fissato per la domenica
del 10 marzo dello scorso anno.
Con la piena
disponibilità e collaborazione della polizia svizzera federale e cantonale, coadiuvata da
personale dellUCIGOS e della Digos di Roma recatosi a Zurigo, vennero piantonate al
momento opportuno le 11 postazioni telefoniche precedentemente individuate.
Allora
x la telefonata avvenne, ma da una postazione diversa da quella piantonata.
Grazie alla mappa della telefonia pubblica di cui disponeva lUCIGOS, venne
individuata in poco meno di tre minuti la postazione utilizzata dal Bortone che, ancora
fortunatamente, quella volta si stava dilungando nel colloquio col suo interlocutore.
Il tempo per un
equipaggio già pronto di poliziotti di giungere nel luogo di interesse ed il Bortone fu
catturato con la cornetta in mano, ancora il volto incredulo
Il Bortone, come
si sa, si dichiarò immediatamente militante rivoluzionario e ancora oggi continua a
mantenere irriducibilmente le sue posizioni.
Altra vicenda
che vorrei ricordare è quella dellutilizzo per la prima volta di una speciale
tecnica nellambito dellinchiesta dellavv. DAntona, allorché,
acquisiti i tabulati dei centralini dei giornali ove erano giunte le telefonate di
rivendicazione da parte delle Brigate rosse - PCC, furono individuate le cabine pubbliche
delle telefonate in partenza, dove potevano essere utilizzate solo schede prepagate. Con
un nuovo e interessante processo tecnico messo in atto dalla Telecom sfruttando i sistemi programmatici a fini contabili
e commerciali, furono individuate due schede telefoniche, utilizzate dai presunti
brigatisti. Su queste schede, estrapolate pazientemente tutte le telefonate a cavallo di
quelle di interesse, rintracciate e interrogate le varie persone che le avevano fatte, è
stato possibile ricostruire un percorso investigativo lungo e tortuoso, ma logico, che ha
consentito di mettere da parte numerosi elementi indiziari riferibili a persone definite.
La stessa
tecnica è stata utilizzata dalla Digos di Roma nellindagine che ha portato allindividuazione
ed allarresto di tre elementi dei Nuclei Armati per il Comunismo, a cavallo fra lestate
del 2001 e la primavera del 2002, responsabili degli attentati commessi nel 1999 a sedi
dei DS (Democratici di sinistra) de La Rustica, di Villa Gordiani e di via Sprovieri nellambito
della campagna contro lintervento della NATO nei Balcani e contro la posizione dellItalia
nel contesto bellico di quella zona.
Gli attentati
furono tutti rivendicati a nome di differenti sigle con telefonate ad organi di stampa e
con volantini di chiara matrice eversiva e di esaltazione degli attentati allavv. DAntona,
alla sede IAI di via Brunetti e ad una società di lavoro interinale di Ostia.
In queste
indagini, una volta individuate le utenze pubbliche dalle quali furono effettuate le
telefonate di rivendicazione, è stato acquisito tutto il traffico telefonico originato
dalle singole schede prepagate. Seguendo procedure tecniche, accompagnate nella fase di
ricostruzione del traffico telefonico da analisi di natura investigativa, è stato
possibile individuare i possessori delle diverse schede telefoniche utilizzate per
effettuare le telefonate di rivendicazione e, quindi, una serie di soggetti ad essi
collegati.
In altre
indagini si è fatto uso dellanalisi dei flussi telematici, come in quella
concernente la rivendicazione dellattentato fatto nel giugno 2000 alla sede della
CISL di Milano, da parte dei Nuclei Proletari Rivoluzionari. In questo caso sono state
sperimentate tecniche di intercettazione parametrica, utilizzando frasi, concetti e
linguaggio di macchina (ossia il tipo di strumento utilizzato) allinterno dei flussi
di comunicazione transitanti dai provider della rete Internet. Si sono però evidenziate
molte perplessità su tali tecniche che tuttavia si ritiene possano riservare in futuro
riscontri certi.
Daltra
parte sappiano che Internet è divenuto strumento abituale per la diffusione di messaggi
eversivi; linformatica è ormai un modo di organizzarsi e di esprimersi delle
formazioni terroristiche, così come lutilizzo dei covi telematici e,
purtroppo, della loro impenetrabilità, come stiamo sperimentando adesso con le indagini
in corso. Per quanto concerne le indagini sul
terrorismo internazionale, è ancora presto per trarre un bilancio definitivo delloperazione
condotta dalla Digos e dal ROS di Milano, in collaborazione con il Sisde, operazione che
ha portato allarresto di 8 stranieri a Milano, Cremona, Parma e Reggio Emilia poco
più di un mese fa, stranieri legati ad organizzazioni che operano sotto lombrello
di Al Qaeda. Dallinchiesta, infatti, potrebbero scaturire nuovi importanti sviluppi.
Questi arresti
si profilano come i più importanti fra tutti quelli operati finora dal 1995 in poi nel
contesto del radicalismo islamico. Le operazioni svolte a partire dalla seconda metà
degli anni 90 voglio ricordare loperazione Minareto di Napoli contro
elementi del FIS algerino (Fronte islamico di salvezza); loperazione Sfinge di
Milano contro esponenti del Jamaa Al Islamija egiziana; la Shabka di Torino, con larresto
di algerini del GIA (Gruppo islamico armato); e poi ancora Bologna, Cremona e nuovamente
Torino nel 1998 con larresto di altre cellule della Jihad islamica egiziana: tutte
queste operazioni sono state tutte connotate prevalentemente dalla falsificazione di
documenti, di valuta e dal possesso di documentazione concernente la fabbricazione e luso
di armi ed esplosivi; ossia quelle forme di comportamento costituenti reato che ci fanno
sempre portare a considerare come prevalente se non esclusivo il cosiddetto supporto
logistico ai combattenti veri (solo nelloperazione di Torino contro la Jihad
islamica egiziana si procedette al sequestro di armi).
Nelle operazioni
condotte nel 2001 subito prima e dopo lattacco delle torri gemelle, invece, ci
troviamo di fronte ad uno scenario diverso che dà maggiore spessore alle investigazioni;
scopriamo, cioè, lesistenza di reti di reclutamento di combattenti da inviare ai
campi di addestramento,per prepararsi alla chiamata della guerra santa.
Reclutamento che presuppone lesistenza di un apparato organizzativo situato in più
città (finora lo abbiamo scoperto prevalentemente nel Nord Italia e nel Centro-Nord) teso
allindividuazione, alla scelta, alla selezione e infine al reclutamento degli
elementi più idonei, per lo più già inseriti in contesti lavorativi e familiari. Le
intercettazioni ci svelano i criteri per la scelta
. no quello non è idoneo
.,
meglio quellaltro, e chi è chiamato non dice no, forse non ne ha il coraggio
anche se volesse, oppure si sente prescelto perché il richiamo è forte e proviene da
qualcosa che è al di fuori e al di sopra di coloro stessi che chiamano. Il forte richiamo
allideologia ed il fanatismo rappresentano dei moltiplicatori di aggregazione dellintegralismo
islamico, cosicché le denunce e gli arresti non rappresentano di per sé un elemento di
deterrenza, come sempre constatiamo nelle indagini antiterrorismo. Ed il sistema ha
funzionato: molti, non sappiamo quanti, sono andati in Afganistan nei campi di Derunta e
di Khaldun per addestrarsi alluso delle armi e alle tecniche terroristiche. Dopo laddestramento alcuni sono tornati in Italia,
per poi ripartire verso i luoghi di combattimento. Altri sono stati inviati a dar man
forte ai sostenitori dei Talebani nelle operazioni belliche condotte dalle forze
statunitensi allindomani dellattentato alle torri di New York. Mentre gli organizzatori ed i
reclutatori venivano arrestati dagli inquirenti milanesi, alcuni dei prescelti venivano
intercettati e catturati in Afganistan dallesercito USA e inviati nella base di
Guantanamo. Appena sapemmo che laggiù nellisola di Cuba, fra i prigionieri, vera
anche qualche italiano, come ci venne riferito per indicare elementi islamici
che avevano risieduto in Italia, ci siamo dati da fare e la Direzione che io dirigo ha
avuto il privilegio e la fortuna di essere autorizzata ad una missione speciale a
Guantanamo. Due coraggiosi agenti speciali, districandosi fra le mille barriere interposte
dai militari USA, hanno vissuto per 20 giorni fra i prigionieri a Guantanamo,
intervistandoli e scoprendone ben nove (in gran parte tunisini) che avevano un passato
recente in Italia, ove erano stati appunto prescelti per combattere.
Queste realtà
ci danno la dimensione del fenomeno che non siamo ancora in grado di quantificare: quanti
sono veramente gli stranieri che sono stati reclutati in Italia per combattere nelle file
di Al Qaeda?
Loperazione
di Milano dei giorni scorsi, come dicevo, ha se possibile uno spessore ancora maggiore: è
venuto fuori che gli organizzatori del reclutamento, o meglio i nuovi organizzatori, che
nel frattempo avevano preso il posto di quelli arrestati, incuranti del rischio cui
andavano incontro, tanto forte è il richiamo, avevano un contatto diretto con i
responsabili dei campi di addestramento gestiti dallorganizzazione fondamentalista
Ansar Al Islam, legata ad Al Qaeda. Tali campi sono situati (erano situati)
nella provincia di Soulemaniya, nellIraq nord-orientale, da tempo sottratta al
controllo del regime di Saddam Hussein e ora restituita, subito dopo linizio dellattività
bellica in Iraq, al controllo dei combattenti dellUnione patriottica del Kurdistan
(UPK), i peshmerga.
Loperazione
è scattata nel momento in cui gli investigatori della Digos di Milano hanno avuto
riscontro dellimminente intenzione di due degli indagati di abbandonare in tutta
fretta lItalia per sottrarsi al controllo delle forze dellordine. Nei
confronti dei predetti, un egiziano ed un somalo, e di altri due stranieri di etnia
curdo-irakena il GIP del Tribunale di Milano, aderendo alla richiesta formulata dalla
Procura della Repubblica di Milano, ha applicato la misura della custodia cautelare in
carcere con laccusa, tra laltro, di associazione finalizzata al terrorismo
internazionale, ai sensi della nuova legge
antiterrorismo dellautunno del 2001.
Con richiesta
della stessa A.G. sono stati poi arrestati dai Carabinieri a Cremona in due distinte fasi,
tre tunisini risultati in contatto con i predetti. La contestuale attività di raccordo
internazionale operata dallUCIGOS ha permesso poi di far emergere importanti
evidenze investigative circa il ruolo svolto da un marocchino residente a Reggio Emilia,
Daki Mohammed, anchegli arrestato. Infatti la polizia tedesca, il BKA, ha fatto
sapere che costui aveva dimorato ad Amburgo ed era stato ivi indagato nellindagine
fatta allindomani dell11 settembre 2001 sulla cellula di estremisti islamici
di orgine maghrebina e mediorientale guidata dal noto Mohammed Atta, lalgerino
ritenuto a capo del commando operativo responsabile dei tragici attentati dell11
settembre.
Ma cè di
più: è risultata di enorme importanza nellindagine la circostanza che lindirizzo
di Amburgo del Daki veniva utilizzato dallo yemenita Ramzi
Binalshibh, riconosciuto come responsabile del coordinamento, dei
finanziamenti e della logistica per gli attacchi dell11
settembre, arrestato lo scorso anno, in agosto, in Pakistan. Nello stesso periodo fu
arrestato negli USA il cittadino francese, di origine algerina Zakarias Moussawi, in
sicuro contatto con il Ramzi, che secondo le indagini USA avrebbe dovuto integrare il
commando degli attentatori.
Certamente le
offensive militari e le indagini svolte in numerosi paesi hanno fortemente inciso sulle
capacità operative di Al Qaeda, ma non hanno neutralizzato la minaccia promanante dalle
organizzazioni islamiche. Le potenzialità offensive si ritiene siano ancora notevoli
nonostante la guerra, perché i recenti sanguinosi attentati di Bali (Indonesia) e di
Mombasa (Kenia) dimostrano lesistenza di strategie terroristiche di grosso profilo.
Ma quale è il
filo che lega tutte le problematiche del terrorismo islamico?
Forse sono due i
fili: uno è strettamente geografico, identificabile con lAfghanistan, che ha
rappresentato il momento centrale per la nascita e la crescita della cultura mujahedin,
cioè del combattente islamista che sente lobbligo di partecipare attivamente alla
difesa dei principi dellIslam e quindi alla difesa dei fratelli aggrediti.
Laltro è
temporale: si può infatti ben dire che il 1992 costituisce una data chiave per la
comprensione della diffusione del fenomeno islamista nellultimo decennio, e ciò per
quattro ordini di motivi: i mujaheddin conquistano Kabul; in Algeria il Fronte Islamico di
Salvezza viene estromesso dalla vittoria alle elezioni; in Egitto esplode la guerra
santa del gruppo salafita Jamaa Al Islamiyia; -
in Yugoslavia inizia la
crisi, con la conseguente frammentazione del territorio della confederazione, la nascita
di diverse repubbliche autonome e lemergere del problema della maggioranza musulmana
in Bosnia Erzegovina. Finisce la guerra in Afghanistan: che
fine fanno i mujaheddin reduci dal conflitto afgano?
Alcuni tornano
nei loro paesi dorigine; tantissimi nei paesi del Maghreb, specie lAlgeria ed
in Egitto; altri in zone che offrono loro una sorta di rifugio, come il Sudan; altri
ancora si spostano in Europa dove, grazie ad una legislazione permissiva in tema di
ingresso e di soggiorno, si installano cominciando a diffondere la cultura mujahedin.
In Afghanistan
dopo il termine del conflitto, continuano ad essere attive diverse strutture addestrative
presso le quali i volontari arabi e maghrebini frequentano un corso basico, più o meno
della durata di 6 mesi, in cui, oltre allindottrinamento teologico nelle scuole
coraniche, vengono addestrati alluso di armi leggere e pesanti, nonché di
esplosivi.
E la
trafila seguita da migliaia e migliaia di combattenti che, finito il corso, ritornano
nelle rispettive aree di provenienza o nelle nazioni di appartenenza.
Sempre nel 1992
in Algeria il Fis viene estromesso dal potere dai militari e dal Fronte di Liberazione
Nazionale, la formazione politica che aveva guidato la rivolta algerina contro i francesi.
Il Fronte
Islamico di Salvezza, con la conquista di numerose amministrazioni locali, era riuscito a
coniugare il malessere delle fasce più deboli della popolazione con le aspirazioni della
borghesia religiosa. Riuscendo ad unire queste differenti istanze aveva rilanciato il
progetto di applicare la legge islamica in Algeria attraverso le elezioni. Fallito il tentativo del FIS di
prendere il potere in maniera legale, con larresto dei due capi carismatici del FIS
(Abassi Madani e Ali Ben Hadji, questultimo ancora detenuto), si genera lestremizzazione
e la nascita di una pluralità di fazioni combattenti che poi si coaguleranno nei G.I.A.
(Gruppi Islamici Armati).
Decisivo, nello
sviluppo di questa crisi, il ritorno in Algeria di molti mujahedin afgani, protagonisti
della conquista di Kabul, che portano con sé la mentalità combattente e la
consapevolezza che, come già accaduto in Afghanistan, la Jihad può affermarsi e
trionfare ovunque.
I GIA, fino al
1994-1995, hanno sviluppato una attività di bassa intensità sotto il profilo delle
atrocità commesse. Solo dal 1995, con lavvento alla direzione dei GIA di Djamel
Zitouni, comincia la politica dei massacri e dellesportazione della problematica
algerina al di là dei confini nazionali e quindi il grande salto: dallAlgeria in
Europa, soprattutto in Francia.
Nel 1995 a
Parigi vengono messi a segno numerosi attentati perpetrati con ordigni rudimentali che
provocano numerose vittime.
Gli islamisti
identificano il nemico non solo nelle forze al potere in Algeria, colpevole di aver
represso le speranze di affermazione della legge islamica attraverso mezzi legali
cancellando i risultati delle elezioni politiche, ma anche nello straniero oppressore,
nella Francia: in breve, tutto ciò che è francese e francofono viene attaccato per
essere distrutto.
I massacri in
Algeria e gli attentati in Francia hanno tolto quel po di consenso che pure i GIA avevano coagulato intorno
alla loro lotta, considerata fino a quel momento una reazione quasi legittima allespropriazione
del risultato elettorale.
A Londra, dove
si era insediata una delle più popolose colonie islamiste, viene fondata la rivista AL
ANSAR (i partigiani), che diffonde, condividendone i contenuti, i comunicati
dei GIA. La rivista fornisce una giustificazione dottrinale alle azioni del GIA tentando
di dare ad essi uno spessore internazionale.
Responsabile di
AL ANSAR è il palestinese Abu Qatada, arrestato dagli inglesi lo scorso anno, che per
lungo tempo aveva trovato asilo in Inghilterra (come la maggior parte degli islamisti
cacciati dalle loro terre) sia per la lunga tradizione libertaria inglese, sia per una
sorta di patto non scritto con il quale si salvaguardava il territorio inglese da
attentati come quelli portati a temine in Francia.
E
importante sottolineare che i personaggi che animavano la rivista AL ANSAR, Abu Qatada e
Abu Musab Al Siri, li ritroviamo ancora oggi nelle indagini condotte sul terrorismo di
matrice fondamentalista islamica.
Questa sorta di
copertura politica viene a mancare con i massacri della popolazione civile in Algeria e
con gli attentati in Francia, i cui responsabili sono stati individuati e puniti.
Il 1992 è anche
lanno in cui inizia in Egitto lattività terroristica promanata dal gruppo
islamista Jamaa Al Islamiyia, nato in seguito alla dura repressione scaturita nel 1981
dallassassinio del presidente Sadat e grazie al rientro dallAfghanistan dei
mujaeddin egiziani dopo la riconquista di Kabul. La guerra della Jamaa Al
Islamiyia durerà diversi anni e culminerà nella strage degli oltre 60 turisti a Luxor
nel 1997, dopo lassassinio al Cairo di numerosi funzionari statali, rappresentanti
di organizzazioni straniere e turisti. Sempre nel 1992, infine, in Bosnia si
assiste allaccorrere di volontari islamici contro laggressore serbo che
attacca la comunità musulmana residente in Bosnia Erzegovina.
Il mondo
islamico, che fino ad allora aveva per lo più ignorato lesistenza della Bosnia,
reagisce con entusiasmo alla notizia della nascita di uno stato musulmano nel cuore dellEuropa
e dà una lettura di tipo confessionale allaggressione serba e alla pulizia etnica:
si tratta di una specie di crociata dettata da motivi esclusivamente religiosi che fa
scattare tra i musulmani diverse forme di solidarietà con i correligionari ritrovati nei
Balcani.
Inizialmente si
tratta di un afflusso che consiste principalmente nella prestazione di aiuti umanitari:
prolifera nella ex-Yugoslavia lattivismo di organizzazioni umanitarie islamiche come
lIslam International Relief Organization (I.I.R.O.) e di altre charities incaricate
di portare sostegno alle popolazioni musulmane aggredite dai serbi.
Ben presto,
tuttavia, la comunità dei combattenti arabi trasmigrati verso la Bosnia diviene tanto
numerosa da imporre al leader bosniaco Alija Izetbegovic il suo inquadramento in una
specifica unità militare, la 7^ Brigata mujaeddin, divenuta celebre per le atrocità
commesse durante il conflitto.
Il governo
bosniaco si trova a dover gestire il problema dei mujaeddin insediatisi sul loro
territorio: alcuni di essi vengono fatti sposare con donne bosniache, ad altri viene
fornito il passaporto, la cittadinanza bosniaca, la possibilità di cambiare nome.
Nel dicembre del
1995 gli accordi di Dayton mettono fine al conflitto interetnico jugoslavo imponendo, con
la regolazione dei confini tra Serbia, Bosnia e Croazia, tuttoggi in vigore, una pax
americana difficile da accettare per la comunità dei combattenti per la Jihad. Ancora una volta si pone il problema
dellesfiltrazione, della diaspora dei mujaeddin, vero e proprio filo che lega tutte
le problematiche del terrorismo islamico. Sono problemi attuali che molto verosimilmente
la recente guerra in Irak non ha risolto e con i quali dovremo ancora confrontarci. Carlo
De Stefano Direttore
centrale della Polizia di Prevenzione |