"Il ruolo dei Servizi
Segreti nel contrasto al terrorismo internazionale normativa vigente e prospettive di
riforma" A livello di opinione
pubblica, ma anche nei settori dell'Amministrazione, si ritiene comunemente che il ruolo
di un Servizio di Sicurezza, nel contrasto alle varie forme di terrorismo, dovrebbe
esprimersi ed esaurirsi essenzialmente nell'attività di prevenzione e, quindi, in un
costante supporto alla comune attività investigative. Un ruolo parallelo, quindi
a quello degli organi di Polizia, sviluppato, paradossalmente, senza gli strumenti
operativi di cui dispongono le Forze dell'Ordine. Infatti ai Servizi, con la legislazione
vigente, non sono consentite attività quali le intercettazioni telefoniche o ambientali,
i colloqui investigativi ed ogni altra forma di attività cognitiva che possa violare in
qualche modo la privacy. Oggi, quindi, un Servizio
in Italia può affrontare il terrorismo solo ed esclusivamente con l'uso di fonti umane.
Per fare un esempio pratico, se un operatore viene a conoscenza di una riunione che si
tiene in un determinato locale nella quale un gruppo clandestino potrebbe decidere di
pianificare iniziative, al momento non note, ma potenzialmente pericolose, si può
soltanto tentare di reclutare per tempo uno dei partecipanti al convegno, per farsi poi
riferire il contenuto dei colloqui. L'alternativa è quella di dare
la notizia "grezza" alle Forze di Polizia lasciando a loro l'onere di
verificarne fondatezza e consistenza. Questultima prassi, comporta ampi margini
d'imprecisione e di aleatorietà e costituisce il principale aspetto del non sempre facile
e fruttuoso rapporto tra le Forze di polizia e Servizi. Dico questo non per mettere
le mani avanti e giustificare a priori un'efficacia dell'azione di intelligence in chiave
antiterrorismo, ma per definire con chiarezza i confini angusti di questa azione, confini
che, auspico, il legislatore voglia ampliare, per rendere più realisticamente incisiva
l'azione di tutela della sicurezza. Per tornare alla prima
parte del tema propostomi e, cioè, quale ruolo hanno oggi i Servizi nel contrasto al
terrorismo internazionale, a rischio di apparire didascalico, vorrei ricordare il reale
significato - quale e ormai accettato da tutta la comunità internazionale - del
neologismo anglosassone, "intelligence". Con questo termine si intendono
"la raccolta e l'analisi di informazioni utili al processo decisionale dell'Esecutivo
in materia di sicurezza nazionale"; é questa una definizione da tenere presente se
si vuole comprendere il reale ambito di attività dei Servizi (ambito ora definito dalla
L. 801/77). Il compito fondamentale di questi organismi è, cioè, quello di fungere da "braccio informativo ed
analitico" del Governo in merito a tutti i problemi che interessino, in atto o in
potenza, la sicurezza. Si tratta di un ruolo esclusivo che non si sovrappone all'attività
investigativa delle Forze di Polizia con le quali è prevista, invece, una "dialettica informativa". D'altronde, la legge 801 ha
ben inquadrato questo profilo quando ha stabilito il vincolo diretto di SISDe e SISMi,
rispettivamente, dai Ministri dell'Interno e della Difesa, sotto la direzione e la
responsabilità del Presidente del Consiglio dei Ministri. La dipendenza gerarchica e
funzionale nei confronti di precisi interlocutori istituzionali, chiarisce quale sia
quindi l'obiettivo prioritario dell'azione degli organismi d'intelligence : quello di
tener costantemente aggiornato l'Esecutivo in tema di sicurezza, al fine di consentirgli
di adottare le misure più efficaci nella tutela della collettività. Oggi per terrorismo
internazionale intendiamo quasi esclusivamente le forme di terrorismo di matrice islamica
che, in Italia fanno riferimento a varie formazioni di diversa origine regionale
(algerini, tunisini, egiziani, etc.) e alla più recente e pericolosa variante
transnazionale : Al Quaeda. Questi gruppi, pur divisi
tra loro per motivi religiosi (sciiti contro sanniti) o politici (fondamentalisti contro
"fratelli mussulmani", ovvero laici secondo gli schemi occidentali), sono
accomunati da due profonde motivazioni - l'odio
verso i valori e i simboli dell'occidente; - la
volontà di sollevare le masse arabe contro i paesi occidentali. I Servizi devono affrontare
il fenomeno con i loro strumenti mirando al fine essenziale : quello di consentire
all'esecutivo nazionale ed ai governi alleati di comprendere la reale portata del
pericolo, evitando sconsiderate sottovalutazioni del problema, ma scongiurando ancor più
pericolose generalizzazioni potenzialmente in grado di creare le basi di uno scontro di
religione. Oggi sappiamo che ogni
centro islamico e ogni Moschea hanno una composizione socio-politico-religiosa che
potremmo definire a "scatole cinesi". All'esterno vi è la
stragrande maggioranza dei tiepidi, cioè credenti che si raccolgono nelle comunità anche
per motivi sociali e culturali, mentre via via che si procede verso l'interno si arriva al
nucleo più profondo, composto da un numero sicuramente esiguo, ma non per questo meno
pericoloso, di "jihadisti", cioè di militanti duri, pronti ad entrare in azione
alla prima favorevole occasione. Il nostro compito é quello
di monitorare tutte le varie comunità non già perché le consideriamo in toto
potenzialmente eversive, ma per individuare e discriminare soltanto il "nocciolo
duro" e, nel contempo, tenere costantemente aggiornate le autorità sulla reale
portata dei pericoli, ma anche sulle possibilità, che ci sono, di stabilire un dialogo
costruttivo con le componenti moderate, per favorire i modi di una migliore integrazione e
convivenza della componente mussulmana. Non voglio proseguire
nell'approfondimento di una tematica che mi sembra chiara. Voglio solo precisare che
1'intelligence é uno strumento sofisticato di sostegno all'azione di governo nei problemi
della sicurezza e, parallelamente, di eventuale supporto informativo nei confronti delle
Forze di Polizia. Ridurre la funzione d'intelligence soltanto a quest'ultimo aspetto,
significherebbe ridurre il ruolo di un Servizio a quello di una "polizia
segreta", un organismo che non trova collocazione in un sistema democratico. Insomma, e lo dice un
"vecchio investigatore", l'intelligence non fa indagini in senso classico, ma
lavora per conoscere, analizzare ed informare i propri interlocutori istituzionali di cui
fanno parte anche, ma non solo, le Forze dell'Ordine. Qualsiasi governo - per
decidere - deve, prima, conoscere. Ogni notizia, di fonte aperta o clandestina,
contestualizzata in modo appropriato e realistico e correttamente inserita in un quadro
revisionale, é importante nello sviluppo di un processo decisionale che, per quel che
riguarda la sicurezza nazionale, é di importanza vitale per il Paese. Voglio sottolineare
"ogni notizia". Gaetano Salvemini ha scritto che se Mussolini avesse visto
l'elenco del telefono della città di New York del 1940, forse avrebbe evitato di
dichiarare guerra agli Stati Uniti. Gli abbonati di New York, infatti, erano già raccolti
all'epoca in due consistenti volumi, quando per quelli di Roma bastava un modesto
quadernetto. E' un paradosso, naturalmente, che ritengo
però sia utile per sottolineare la tesi dell'importanza dell'informazione come strumento
di supporto "tecnico" al processo decisionale. A questo punto si pone alla attenzione la terza
parte del tema assegnato : la legislazione vigente sui Servizi di Informazione e Sicurezza
contiene tutti gli strumenti idonei a garantire efficienza e funzionalità all'azione di
intelligence? Ho già premesso che i confini di operatività
dei Servizi stabiliti dalla normativa in vigore sono, a mio avviso, troppo angusti
rispetto alla portata dei problemi che attualmente si prospettano. La legge 801 del 1977, che in questi giorni é
oggetto di discussione ai fini di una riforma, non é una "cattiva" legge; essa
contiene infatti alcuni principi che restano solidamente attuali. -
il primo é quello che fa
risalire al Presidente del Consiglio dei Ministri la responsabilità e l'alta direzione
della politica informativa e della sicurezza nazionale; -
il secondo é quello che
individua nei Ministri (e non nei Ministeri) dell'Interno e della Difesa, i due centri di
gravità della sicurezza; -
il terzo é la netta
distinzione tra le funzioni di polizia e quelle d'intelligence; -
il quarto, infine, é quello
che sancisce la possibilità di controllo sull'attività dei Servizi da parte del
Parlamento, attraverso un'apposita Commissione presieduta, per prassi ormai consolidata,
da un esponente della opposizione. Peraltro, se si tiene conto
che la legge 801 fu varata nel 1977, si può senz'altro affermare che da allora in Italia
e nel mondo molto è cambiato e che le esigenze di sicurezza dei singoli e delle
collettività sono sicuramente aumentate ovunque. A ciò si aggiunga che già all'epoca la
legge aveva lasciato irrisolti alcuni problemi che l'esperienza ha evidenziato
puntualmente. La 801/77, infatti, ha
suddiviso le competenze operative dei servizi "secondo materia", invece che
percorrere la strada seguita da tutti i paesi "avanzati" nel settore
dell'intelligence (da Israele alla Gran Bretagna, dalla Germania agli Stati Uniti e più
recentemente alla Russia) che hanno suddiviso le competenze di attività su base
geografica (interno/estero) e sotto il profilo di una diversa filosofia d'impiego dei
Servizi (sicurezza/ricerca). Da noi si ritenne di affidare a concetti suggestivi, ma poco
pratici, quali la "sicurezza democratica" e la "sicurezza militare",
la suddivisione dei compiti tra SISMi e SISDe. Questo ha generato problemi
interpretativi che hanno comportato sovrapposizioni operative e "conflitti di
competenza" che sono risultati spesso fonte di sprechi, di interferenze e di
inefficienze. Progressivamente, comunque,
SISDe e SISMi si sono, quasi autonomamente, orientati secondo più realistici indirizzi
d'impiego : - il
SISDE si è concentrato sulla sicurezza interna (anche se in teoria
la"sicurezza democratica" italiana potrebbe essere minacciata anche da
iniziative estere); - il
SISMi ha accentuato la propria proiezione esterna; una presa d'atto di questa realtà
fattuale sarebbe, a mio avviso, auspicabile e produttiva. Un altro problema che
origina dalla 801 e che ha una sua incidenza nella lotta al terrorismo internazionale per
l'accertata sponsorizzazione di alcuni gruppi terroristici da parte di governi stranieri,
é quello derivante dall'assegnazione al SISMi di tutte le competenze in tema di
controspionaggio. Si è trattato, a
suo tempo, di una scelta dettata anche dalle problematiche imposte dalla "guerra
fredda" e dalla scontata maggiore rilevanza del profilo militare dello spionaggio
rispetto a quelli politico, economico, industriale e tecnologico. Tale scelta però ha
comportato, come conseguenza, che l'Italia sia ancora l'unica nazione europea e
occidentale nella quale, al responsabile politico della Sicurezza nazionale, il Ministro
dell'Interno, venga sottratta la competenza in tema di contrasto delle attività ostili
verso il paese. L'evoluzione del contesto
storico nazionale e internazionale suggerisce l'opportunità di ovviare a tale
inconveniente assegnando al Servizio "interno" la competenza del
controspionaggio sul territorio nazionale e riservando al Servizio "esterno" i
compiti di controspionaggio all'estero. D'altronde l'attività di controspionaggio è del tutto
coerente con la filosofia di impiego di un organismo di sicurezza interna, che privilegia
la "difensive intelligence", a differenza di quello per le informazioni estere,
che privilegia la ricerca o "positive intelligence". Ho già accennato in
premessa al problema di una operatività che, per quel che concerne il SISDe, appare quasi
esclusivamente confinata nel reclutamento e nella gestione di fonti umane. La human
intelligence, in gergo "Humint", è una delle
principali risorse disponibili (al punto che alla CIA e all'FBI viene ora formulata
l'accusa di averla completamente trascurata in favore di quella tecnica); essa, tuttavia,
non può essere l'unico strumento operativo di un Servizio moderno che voglia confrontarsi
con una minaccia portata da organizzazioni sofisticate ed aggressive che sanno ben
filtrare tra le maglie di sistemi democratici e garantisti. Spero, quindi, che la
riforma in discussione sia in grado di dotare i Servizi - e quindi il sistema complessivo
di difesa del Paese - di strumenti, anche coraggiosi, di tutela della sicurezza
collettiva, tra i quali emerge quello delle garanzie funzionali. Le garanzie funzionali
non sono un'autorizzazione a delinquere: Esse dovrebbero soltanto consentire di
individuare un meccanismo lineare ed inequivoco di autorizzazioni a copertura di
operazioni non convenzionali, fissando in una valutazione a priori, la legittimità delle
operazioni proposte e la loro coerenza con gli interessi generali e prevalenti per la
sicurezza dello Stato. In altre parole, attività, come l'ascolto, la sorveglianza
elettronica, l'uso di documenti di copertura, l'intrusione all'interno di obiettivi
sensibili, se iscritte nell'ambito di un "progetto d'intelligence" coerente con
un preciso obiettivo di sicurezza, potrebbero essere legittimate, con le doverose
limitazioni, dall'Autorità politica e garantite con la tutela degli operatori delle fonti
e del complesso dell'operazione. A completamento del
ventaglio di possibilità funzionali occorrerebbe, a mio avviso, sancire l'obbligo per
tutti gli enti pubblici o di diritto pubblico di fornire risposte positive alle richieste
di informazione dei Servizi. In tal modo si sanerebbe una situazione
"patologica" che vede oggi SISMi e SISDe ricorrere a strumenti non sempre
ortodossi nell'acquisizione di elementi di conoscenza indispensabili all'espletamento
delle quotidiane attività istituzionali. Vorrei concludere dicendo
che l' 11 settembre del 2001 ha segnato l'inizio di una nuova fase della congiuntura
internazionale, caratterizzata da dinamiche conflittuali che possono sfociare in conflitti
di non valutabile portata. Osservo che in questa serie di conflitti asimmetrici nei quali
un terrorista con un corpetto esplosivo può sfidare una grande potenza, il ruolo dei
Servizi sia ancora più importante, per contribuire ad evitare risposte e reazioni
eccessive, minimali o improprie. Ritengo che come si è avviato un
processo di modernizzazione di tutti gli strumenti difensivi a disposizione dei governi
dell'occidente anche nel campo dei Servizi sia giunto il momento di individuare sicuri e
puntuali meccanismi di adeguamento alla portata dell'attuale minaccia. Spero che, anche con
l'apporto dei contributi che possono venire da una delle forze in prima linea nella lotta
contro ogni forma di terrorismo, e cioè la Magistratura, i nostri legislatori siano in
grado di dotare il Paese di un moderno sistema di intelligence e sicurezza. Mario Mori Direttore del SISDe. |