LACCERTAMENTO GIUDIZIARIO: PROBLEMI NORMATIVI E PROBATORI 1) Prima
di affrontare il tema specifico della relazione, è utile un inquadramento seppur
molto sintetico del fenomeno del terrorismo politico, quale negli ultimi tempi
si è manifestato in Italia. Sul fronte del terrorismo interno, è certa la presenza
di una struttura eversiva delle Brigate rosse, responsabili degli attentati contro il
prof. Massimo DAntona e il prof. Marco Biagi. Il recente tragico episodio, avvenuto nei pressi di Arezzo, costato la vita ad un
sottufficiale della Polizia di Stato, ha consentito lidentificazione
sicura di due militanti regolari delle nuove Brigate rosse. Pur con il drammatico peso della morte di un poliziotto, la vicenda può consentire
per la prima volta dopo molto tempo di
svolgere indagini partendo da un dato inequivoco di identificazione di terroristi. E come
immediata riflessione mi vien da sottolineare che, al di
là di dibattiti talora anche un po
oziosi sul carattere nuovo o vecchio delle attuali brigate rosse,
la scelta di clandestinità terroristica muove sempre da lontano, cioè da attività di
militanza politica radicalmente antagonista,
caratterizzata almeno in una prima fase da connotati di non segretezza. I
due terroristi identificati, Mario Galesi e Nadia Lioce, sono nomi già noti in anni ormai lontani, seppur in un contesto non direttamente
riconducibile al gruppo eversivo. Ciò significa allora (e lovvietà della
considerazione nulla toglie, a mio parere,
alla sua fondatezza) che terreno importantissimo
delle investigazioni dovrà essere orientato a ricostruire i percorsi di quelle persone
che, già sfiorate da indagini per reati di natura eversiva, non abbiano più dato segni
della loro presenza in nel territorio, nel
quale si era resa palese la loro militanza. Quanto allarea anarchico-eversiva, si tratta di
realtà sufficientemente conosciuta agli organi
investigativi ed alla magistratura inquirente. Per dirla, ancora una volta, in maniera molto sintetica, la prospettiva dal punto di vista degli apparati di risposta dello
Stato è, in questo campo, rovesciata rispetto a quella che caratterizza le inchieste sul brigatismo rosso. Gli esponenti più significativi
dellanarco-insurrezionalismo italiano sono noti, così come lo è la rete di
relazioni internazionali che li unisce ad altri soggetti
in diversi Paesi europei. Il punto più
delicato riguarda, piuttosto, lacquisizione di elementi probatoriamente utili per un
inquadramento giuridico penale dellattività
di queste persone in termini di associazione illegale armata. Val la pena di ricordare che, di recente, la Corte dAssise
dAppello di Roma ha riconosciuto la sussistenza del reato associativo con
riferimento allazione di alcuni militanti dellarea anarchica: tale pronuncia
segna un forte momento di novità rispetto a
numerose precedenti sentenze le quali, pur contenendo condanna per i singoli reati
specifici, avevano escluso la qualificazione come banda armata od associazione sovversiva
dellattività complessivamente intesa del gruppo. Quanto al terrorismo sovranazionale di matrice fondamentalista, è possibile constatare
che lItalia non ha mai costituito sino ad oggi obiettivo diretto di
attentati. Il nostro territorio è stato invece,
teatro di attività logistiche, funzionali a garantire a militanti dei
vari gruppi di matrice fondamentalista un
luogo sicuro di ospitalità temporanea, ovvero
ad assicurare la fornitura di documenti falsi, od il transito di armi, o la raccolta di sovvenzioni finanziarie: attività
spesso accompagnate da unazione di proselitismo, volta a reclutare persone
disponibili a partecipare ad azioni armate in altre parti del mondo. Delineate queste premesse, intendo approfondire le
tematiche oggetto della mia relazione con particolare riguardo ai procedimenti per reati
riconducibili al terrorismo sovranazionale, trattandosi di argomento di solito meno analizzato. 2) Parlare
dei problemi normativi significa,
principalmente, valutare il decreto legge 18
ottobre 2001 n. 374, come convertito con modifiche dalla legge 15 dicembre 2001 n. 438. Si tratta di un provvedimento il cui contenuto merita,
nel suo complesso, apprezzamento, perchè ha saputo cogliere taluni profili di criticità
nella risposta dello Stato al terrorismo, specie quello di natura sovranazionale, fornendo
agli operatori strumenti più adeguati. Mi riferisco, ad esempio, alla nuova formulazione dellart.
270 bis c.p. che considera sussistente, ai fini delle legge penale, la finalità di
terrorismo anche quando gli atti di violenza siano rivolti contro uno Stato estero, unistituzione e un
organismo internazionale (3° comma). In tal modo si potrà dare nel futuro la giusta
qualificazione giuridica allattività illegale di soggetti che, sul nostro
territorio, contribuiscano ad organizzare e mantenere in vita gruppi armati, che si pongono come obiettivo non di colpire direttamente
il nostro Paese, ma gli ordinamenti
costituzionali di altri Stati. Riprendo una considerazione
già esposta nel paragrafo precedente: il
testo previgente dellart. 27° bis c.p.
non permetteva di attribuire rilevanza penale, sul piano
del reato associativo, a condotte di sostegno e di aiuto
logistico per il funzionamento di un gruppo armato a carattere
sovranazionale, tanto è vero che il solo possibile termine di imputazione poteva essere quello ex art. 416 c.p.:
soluzione palesemente inadeguata ai reali connotati di simili attività. La nuova formulazione dellart. 270 bis c.p. è
valsa, quindi. a colmare un vuoto normativo e
ad aumentare conseguentemente il livello della potenziale risposta repressiva a gravi
fenomeni criminosi. Giudizio altrettanto
positivo meritano le
disposizioni, contenute nella legge 438/01, in materia di
intercettazioni, perchè consentono alla polizia giudiziaria ed alla
magistratura nella fase delle indagini preliminari
di utilizzare, in modo più
efficace, questo fondamentale strumento di acquisizione di indizi. In specie, laver
previsto come termine di durata dellintercettazione un periodo di quaranta giorni,
rinnovabile di volta in volta per altri venti, costituisce segno di intelligente
attenzione da parte del legislatore alle difficoltà proprie di una investigazione in materia di terrorismo politico. Anche la possibilità di effettuare intercettazioni in via
preventiva, su richiesta dellAutorità di polizia giudiziaria, può risultare un
percorso utile per questo genere di indagini. Con una precisazione, peraltro, che mi sento di formulare sulla base
della mia diretta esperienza professionale: è meglio rinunciare, oggi, ad unintercettazione
preventiva se vi sono elementi che consentano di prevedere, con un qualche fondamento, che
nel breve periodo possano emergere dagli accertamenti di
polizia giudiziaria dati
sufficienti per chiedere unintercettazione, telefonica o ambientale ordinaria.
Il limite dellinutilizzabilità processuale delle risultanze di unintercettazione preventiva va, infatti,
sempre tenuto ben presente sia dallAutorità
di P.G. che chiede lintercettazione, sia dallufficio di Procura che deve
disporla. Lintercettazione preventiva è strumento appropriato quando si tratti di
acquisire informazioni in qualche modo iniziali,
utili a fornire un quadro di conoscenza generale di un certo ambiente, che può essere
sensibile e disponibile a compiere atti di eversione politica. In altre
parole, quando si tratti di monitorare soggetti rispetto ai quali non sussistono segnali
sufficientemente chiari di un loro possibile
coinvolgimento nellattività di gruppi clandestini. Ma quando sussiste un indizio in
tal senso, sarebbe grave errore orientare lattività
investigativa sul terreno puro e semplice dellinvestigazione di polizia, sganciata da un lavoro di indagine
direttamente utilizzabile anche in una fase di indagini preliminare dellA.G. Ritengo, ancora, ben orientata la norma che attribuisce
una competenza funzionale per i reati di natura terroristica agli uffici di Procura della Repubblica capoluogo del
distretto giudiziario. In tal modo, infatti,
si può realizzare lobiettivo di una
concentrazione, distretto per distretto, delle
indagini giudiziarie in questo campo, evitando i rischi di uneccessiva
frammentazione sul territorio dei vari procedimenti,
salvaguardando al tempo stesso lesigenza di mantenere uno stretto rapporto di lavoro
tra uffici giudiziari e organi specializzati di polizia
giudiziaria operanti in un determinato contesto territoriale. Questo argomento richiama, inevitabilmente, un altro
problema, tuttora aperto, sullopportunità o meno
di prevedere a livello centrale un ufficio di Procura nazionale competente per i reati di
terrorismo, sul modello della Direzione
Nazionale Antimafia. Non sviluppo lesame di tale questione nel mio intervento,
perchè ciò costituirà oggetto specifico
della relazione del Procuratore nazionale Antimafia. Mi limito, semplicemente, a dire che
personalmente non nutro alcuna contrarietà pregiudiziale ad un futuro eventuale
ampliamento delle competenze della Direzione Nazionale Antimafia anche ai processi per i
delitti di eversione politica, nazionale e sovranazionale. Tali competenze possono
risultare, in concreto, preziose se valgono a
garantire un miglior coordinamento nelle indagini tra le diverse Procure distrettuali, una
più rapida e completa circolazione di notizie nel circuito
investigativo, una più stretta e tempestiva cooperazione con le omologhe
Autorità straniere. Sin da ora però mi permetto di fare due considerazioni,
che traggo ancora una volta dalla mia diretta esperienza professionale. Nessuna norma processuale, nessun ufficio centrale di
coordinamento potrà risolvere i problemi della collaborazione tra i diversi uffici
giudiziari, direttamente interessati a trattare determinati procedimenti per reati
terroristici, se lesigenza di cooperazione non è realmente avvertita dai magistrati che si
occupano di quella certa vicenda giudiziaria. E un problema di
sensibilità e di cultura professionale, prima ancora che di ossequio a norme giuridiche. In secondo luogo,
quando si dovessero istituire, sul modello dei procedimenti
per delitti di mafia, varie Direzioni
distrettuali e una Direzione nazionale per i
processi relativi a reati terroristici, occorrerebbe rivedere la normativa contenuta nelle
circolari del CSM sui limiti di permanenza dei pubblici ministeri in tali strutture. Sarebbe privo di senso, infatti, imporre che alla
scadenza di un certo termine un pubblico ministero,
portatore di consolidata esperienza nella trattazione di questi procedimenti, fosse costretto ad abbandonare il
campo di specializzazione professionale, con il
rischio di disperdere un patrimonio di conoscenze e qualità non facilmente riproducibile. 3) Quanto
ai problemi connessi allaccertamento probatorio, ritengo di dover segnalare alcuni punti critici che
emergono dalla trattazione di procedimenti per reati di terrorismo sovranazionale. Chi ha esperienza in questo ambito sa bene che la prima
difficoltà deriva dallestrema circospezione con la quale si muovono le persone che appaiono anche solo simpatizzanti
di gruppi terroristici con matrice di fondamentalismo religioso. Vi è in costoro unestrema diffidenza nellintrattenere
rapporti con altri soggetti, si tratti di contatti diretti o di conversazioni telefoniche.
Risulta evidente, in molti servizi di osservazione e di
intercettazione operati dagli organi investigativi, che tali persone agiscono sempre con il sospetto (per vero non infondato!)
di essere seguite ed intercettate. Di conseguenza, molte volte tali servizi non riescono a
fornire agli inquirenti un materiale
probatorio significativo quanto ad esiti processualmente utilizzabili. Più di una volta, un lavoro, anche molto attento e
prolungato della polizia giudiziaria, riesce a confermare la fondatezza dei sospetti iniziali, ma non è sufficiente a far acquisire
dati utili a fornire la prova di una
partecipazione del soggetto controllato allorganizzazione eversiva. Unaltra difficoltà, tanto ovvia quanto evidente, per il lavoro investigativo
e per la conseguente sua traduzione in risultati probatoriamente significativi deriva dallestrema
difficoltà per gli uffici di polizia di
acquisire direttamente dagli ambienti sensibili informazioni idonee ad
identificare gli autori di reati riconducibili alla fattispecie dellart. 270 bis
c.p. o dellart. 306 c.p. In altri termini e più esplicitamente
quello che rappresenta un canale molto fruttuoso di raccolta di notizie per i reati di
criminalità organizzata, cioè il confidente
e linfiltrato, rappresenta invece, in questo specifico campo, unopzione assai
difficilmente concretizzabile, per evidenti motivi. Ulteriore problema è rappresentato dalla difficoltà di
fornire una prova solida del collegamento fra attività comunque illecite ed operatività
di un gruppo eversivo. Lesempio più immediato riguarda il capitolo della falsificazione
di documenti di identità. Di frequente, si raggiunge la prova di un traffico di documenti falsi, frutto di integrale
falsificazione materiale o di utilizzo di stampati originali rubati. Molte volte le indagini permettono di identificare gli autori di questi reati, ma è
molto più arduo provare il collegamento tra il giro dei documenti rubati e
falsificati e la loro destinazione a persone inserite in gruppi terroristici. Negli ultimi
tempi, e soprattutto in coincidenza con lintervento militare in Afghanistan, si è acquisita la prova di attività di proselitismo e reclutamento,
specialmente in alcune grandi città italiane. Ma, sul piano della rilevanza penale, ci si è scontrati con un dato normativo che non ha
permesso di valorizzare, nellambito delle indagini
giudiziarie, questo esito investigativo.
Infatti, la legge 12 maggio 1995 n. 210, con la
quale si è data ratifica ed esecuzione alla convenzione internazionale contro il reclutamento di
mercenari, contiene una previsione molto specifica, che non consente lapplicazione della legge stessa per
il reclutamento di militanti da destinare ad
attività armate di gruppi definibili come terroristici (ad esempio Al Qaeda). Lart.
3 della citata legge limita la rilevanza penale alle condotte di chi recluta persone in vista di conflitti in territorio
estero, previo pagamento o promessa di pagamento
- di un corrispettivo economico. Appare quindi
evidente linapplicabilità di una tale fattispecie di reato (e conseguentemente la
non utilizzabilità sul piano probatorio degli elementi acquisiti) ai casi di soggetti reclutati per andare a
combattere in Cecenia o in Afghanistan o in Iraq, essendo chiaro che in tali casi manca il
necessario connotato della controprestazione economica rispetto allattività
compiuta o da compiere durante quella guerra. Più in generale, e come considerazione conclusiva, la
maggiore difficoltà che si incontra nel corso
delle indagini preliminari per reati di terrorismo sovranazionale di matrice fondamentalista ruota attorno allequivocità probatoria di condotte che fondatamente si
sospettano essere funzionali allazione di gruppi terroristici, ma che possono anche
trovare una loro spiegazione in termini di atti di illegalità comune, strettamente
correlati anche allo status di clandestinità degli individui
oggetto di investigazione.
Maurizio
LAUDI Procuratore aggiunto di Torino
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