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Il coordinamento delle indagini giudiziarie per i delitti di terrorismo.

 

La L. 15.12.2001, n. 438, nel convertire, con modificazioni, il D.L. 18.10.2001, n. 374, ha aggiunto, all’art. 51 cpp, il co. 3 quater, in virtù del quale, quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati per finalità di terrorismo, alle indagini è legittimato l’ufficio del p.m. presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

            In tal modo è stato, almeno in parte, posto rimedio al fenomeno della ineluttabile frammentazione e frantumazione delle indagini su tale tipologia di reati derivante dalla legittimazione a svolgerle, secondo la precedente normativa, almeno in via astratta, dalle 166 procure della Repubblica che operano in Italia.

            Il parametro e modello legislativo di riferimento del nuovo co. 3 quater è stato quello offerto dal comma 3 bis dell’art. 51 cpp che, introdotto dal D.L. 367/1991, analogamente disponeva per i c.d. delitti di mafia. Per tali reati, l’art. 70 bis dell’Ord. Giud. prevede, in più, che senza far luogo alla creazione di rigidi strutture, ma tramite un mero modulo organizzativo interno, il procuratore distrettuale costituisca, nell’ambito del proprio ufficio, una direzione distrettuale antimafia.

            Se, dunque, l’introduzione del co. 3 quater ha assolto il positivo scopo di evitare una eccessiva frammentazione e frantumazione delle indagini con negative ricadute sulla loro efficacia e completezza, tuttavia tale fine non è stato compiutamente perseguito per la mancanza di una altrettante necessaria disciplina del coordinamento interdistrettuale delle investigazioni, come invece avvenne quando si regolò tale materia per i delitti di mafia con la creazione della DNA.

            E ciò nonostante tale esigenza fosse avvertita, tanto che, nel corso dei lavori parlamentari per la conversione in legge del D.L. 374/2001, il relatore presentò un ordine del giorno che impegnava il Governo ad istituire un organo nazionale di coordinamento delle indagini dell’autorità giudiziaria in ordine ai reati per fine di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico.

            Attualmente, invece, il sistema è ancora incentrato sui Procuratori Generali e sulle previsioni dell’art. 118-bis disp. att. c.p.p..

            Tale impianto è, tuttavia, ampiamente inadeguato rispetto all’esigenza di un effettivo coordinamento quale è richiesto dalla natura stessa dei delitti terroristici, così come avviene, invece, per quelli di mafia il cui catalogo, proprio in base a quell’esigenza, si è ampliato con la previsione del delitto di associazione contrabbandiera ed è, attendibilmente, destinato ancora ad implementarsi con riferimento al delitto di tratta di esseri umani: delitti – l’uno e l’altro – connotati dalla transnazionalità così come l’associazione per trafficare stupefacenti.

            L’inadeguatezza del sistema attuale per il coordinamento delle indagini sui delitti con finalità di terrorismo, deriva non sono dalla mancanza di vocazione al coordinamento – dovuta anche al difetto delle strutture utili allo scopo – degli uffici delle procure generali, ma dallo stesso impianto normativo.

            Infatti se più indagini si svolgono in distretti diversi, l’effettività del coordinamento resta affidata alla mera possibilità di promuovere (attraverso le comunicazioni e le eventuali riunioni previste dall’art. 118-bis disp. att. c.p.p.) intese spontanee fra le Procure interessate.

            Né, in caso di perduranti ineffettività di coordinamento, i Procuratori Generali possono superarle ricorrendo allo strumento dell’avocazione, poiché potendo tale strumento esercitarsi da ciascuno di essi soltanto in relazione all’indagine che si svolge nel singolo distretto, ne consegue la pura e semplice riproduzione di organi di indagine, senza un coordinamento a livello nazionale.

            Che questo, invece, sia necessario ed indilazionabile emerge, anzitutto, come si notava, dalla natura stessa dei delitti di terrorismo. Questi, così come i delitti di mafia, sono riconducibili ad associazioni strutturate che li realizzano sulla base di un programma, di una strategia previamente elaborata, di modo che, in qualunque parte del territorio nazionale –od anche oltre i confini di questo – vengano realizzati, essi hanno – quasi sempre, direi costantemente – nessi, connessioni, elementi di collegamento l’uno con l’altro, di guisa che solo raccogliendoli, analizzandoli e “leggendoli” a livello centrale, con la ricaduta di tale attività sugli organi delle indagini, può avvenire che questi non solo sappiano “tutto di tutto”, in modo da poter orientare le investigazioni ad un medesimo fine senza reciproci intralci, ma possano anche prevenire o risolvere, all’esito di apposite riunioni con l’organo di coordinamento, possibili contrasti che tanto negativamente incidono sulle investigazioni e sulla pubblica opinione.

            Il compianto professor Bachelet, in anni ormai lontani, quando ancora il concetto di coordinamento non era assunto a fondamento dell’azione delle Forze di polizia e dei Magistrati del P.M., scriveva che quella parola aveva avuto una larga diffusione nel linguaggio comune anche in relazione al necessario riassetto organico da dare ai pubblici poteri per evitare conflitti, contraddizioni, interventi a fini contrastanti. Ed in effetti, aggiungeva, il coordinare è in certo senso manifestazione tipica di una società democratica e pluralista che intende ottenere l’armonico orientamento di individui, gruppi, istituzioni verso fini determinati, senza però annullare la libertà o l’iniziativa di tali individui, gruppi o istituzioni.

            E notava, ancora, che il coordinamento viene in rilievo quando ci si trova di fronte ad una pluralità di attività e di soggetti (o di figure soggettive) di cui l’ordinamento riconosce l’autonoma individualità, pur disponendone l’armonizzazione ed eventualmente la cospirazione a fini determinati e che l’attività di coordinamento si esplica con raccolta, documentazione, elaborazione di dati, informazioni, consultazioni, suggerimenti, direttive.

            La necessità del coordinamento, affidato ad un organo centrale, è rilevante non solo con riferimento alle indagini sul c.d. terrorismo interno, ma anche per quello internazionale, nel quale sono impegnati gruppi che operano in diversi Stati. In mancanza si possono offrire, alle autorità degli altri Stati, una molteplicità di interlocutori in continua e potenzialmente irrimediabile contrapposizione fra loro, con intuibili effetti negativi sulla fluidità dei rapporti di collaborazione e sulla stessa credibilità del nostro sistema giudiziario, oltre che sulla efficacia complessiva della concertazione internazionale degli sforzi repressivi.

            Detto ciò ritengo che la funzione di coordinamento delle indagini giudiziarie sui delitti con finalità di terrorismo debba essere attribuita alla Direzione Nazionale Antimafia per le seguenti considerazioni:

la DNA è una struttura del P.M., istituita nell’ambito della Procura Generale della Corte di Cassazione, che opera da oltre un decennio, durante il quale ha maturato una considerevole e positiva esperienza in tema di coordinamento di indagini sui reati che sono riconducibili ad associazioni strutturate che operano per programmi, come quelle che agiscono nel settore del terrorismo;

la DNA, in forza del D.L. 12.10.2001 n. 369, conv. con mod., dalla L. 431/2001, fa parte del Comitato di sicurezza finanziaria istituito al fine di contrasto del finanziamento del terrorismo internazionale ed è inoltre destinataria, in base alla normativa antiriciclaggio, delle segnalazioni delle operazioni finanziarie sospette riferibili alla criminalità organizzata;

la DNA è punto di contatto della Rete Giudiziaria Europea per quanto concerne la criminalità organizzata ed ha, inoltre, instaurato rapporti, per scambio di informazioni, sottoscrivendo verbali di intesa, con numerose Procure Generali di Paesi che non fanno parte dell’Unione;

la DNA dispone di un aggiornato sistema informatico che collega la Banca Dati Nazionale con quella delle 26 procure distrettuali, di guisa che, senza oneri finanziari, può procedere alla raccolta, analisi ed elaborazione dei dati e delle informazioni sui delitti di terrorismo al fine di coordinare le indagini delle procure distrettuali ed offrire ad esse elementi che volgano alla completezza e tempestività delle investigazioni;

la recente legislazione “antiterrorismo” ha introdotto, per contrastare tale fenomeno, istituti pensati ed attuati per la repressione delle attività mafiose.

            Vi è poi da considerare che anche le organizzazioni mafiose possono avere una valenza terroristico eversiva.

            Ciò è comprovato, in fatto:

dal rilievo che gli appartenenti a Cosa Nostra che realizzarono le stragi nel continente nel 1993 (maggio: Roma, via Fano; Firenze, via dei Georgofili; luglio: Roma, Chiesa di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro; Milano, Museo Nazionale d’Arte Moderna; ottobre: Roma, Stadio Olimpico) sono stati condannati per tali delitti ritenuti aggravati dall’aver agito per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine costituzionale (art. 1 D.L. 625/1979, conv. in L. 15/1980);

dalla notazione che formazioni terroristiche hanno compiuto delitti oggi qualificati “di mafia” dall’art. 51 co. 3 bis c.p.p. (es. sequestro di persona a scopo di estorsione in danno di COSTA, realizzato dalle B.R.; sequestri estorsivi compiuti da Prima Linea; sequestro estorsivo in danno di Mariano compiuto da elementi di Ordine Nuovo).

            Sotto il profilo tecnico giuridico è poi da rilevare che:

l’associazione di tipo mafioso, a seguito di modifiche introdotte, nel 1992, all’originario testo dell’art. 416 bis c.p., ha assunto, essa stessa, una valenza eversiva in quanto fra le sue finalità è stata inserita quella di “impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. Si tratta, come si vede, della aggressione al principale strumento di democrazia diretta che è connotata da valenza eversiva;

l’art. 2 co. 1 D.L. 345/1991, conv. in L. 410/1991, afferma che “…spetta al SISDE ed al SISMI, rispettivamente per l’area interna e quella esterna, svolgere attività informativa e di sicurezza da ogni pericolo o forma di eversione dei gruppi di criminalità organizzata che minacciano le istituzioni e lo sviluppo della civile convivenza”, con ciò riconoscendo valenza eversiva anche alle cosche mafiose;

le ultime leggi che hanno istituito le Commissioni Parlamentari Antimafia hanno espressamente affermato che il segreto di Stato non è opponibile nei procedimenti relativi a fatti di mafia, camorra e organizzazioni similari essendo essi fatti eversivi dell’ordine costituzionale.

            E’ da considerare, ancora, che:

il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, al punto 4 della Risoluzione del 28/9/01 n. 1373 ha testualmente affermato che “osserva con preoccupazione la stretta connessione fra il terrorismo internazionale e la criminalità organizzata transnazionale, il traffico illecito di droga, il riciclaggio di denaro sporco, il traffico illegale di armi”;

assume particolare rilievo quanto ha formato oggetto della Raccomandazione G8 sul terrorismo approvata il 13 giugno 2002 dal Ministri degli Esteri. In particolare, alla Sezione 7, dedicata al “Coordinamento interno contro il terrorismo” si legge: “Ci impegniamo e sollecitiamo gli altri Stati a rafforzare la cooperazione interna tra le varie agenzie ed i Servizi nazionali che si occupano di diversi aspetti del contrasto al terrorismo”. Alla Sezione 9, relativa ai “Legami tra il terrorismo e la criminalità transnazionale” si legge: “Ci impegniamo e sollecitiamo gli altri Stati a:

garantire la realizzazione di una struttura efficace per la lotta ai crimini transnazionali che sostengono od agevolano l’attività terroristica, quale quella prevista dalla Raccomandazione del G8 sul crimine transnazionale (2002);

esaminare e scambiare informazioni per accertare la natura dei legami tra il terrorismo ed il crimine internazionale ed in particolare il modo in cui le organizzazioni terroristiche sostengono le proprie attività con la commissione di altri delitti; ove necessario, sviluppare strategie, per consentire una azione concentrata per smantellare ed indebolire tali attività”.

            Quanto sopra esposto mi induce, dunque, a ritenere la necessità di un coordinamento nazionale delle indagini sui delitti con finalità di terrorismo e che tale funzione debba essere attribuita alla DNA che ha sempre agito, e si propone di agire anche in questo settore, come “struttura di servizio” e non certo di potere, nei riguardi delle procure legittimate alle indagini.

            Nel contempo, date le connessioni, rilevate anche nel corso di recenti investigazioni e segnalate da Organi internazionali, fra la criminalità terroristica e quella organizzata, con particolare riferimento ai delitti c.d. di mafia, ritengo implausibile (oltre che onerosa e attuabile solo con tempi di lunga durata) la creazione di un diverso organo nazionale di coordinamento. Si moltiplicherebbero, fra l’altro, nel caso di connessione fra delitti di terrorismo e delitti di mafia, i contrasti fra gli organi delle indagini e, addirittura, fra quelli di coordinamento.

            In questa prospettiva va ricordato il “Risultato delle consultazioni condotte dal gruppo di lavoro sul progetto di dichiarazione ministeriale comune e della consultazione avvenuta durante la quarantaseiesima sessione della Commissione degli stupefacenti” in base alla quale i Ministri e Rappresentanti governativi hanno dichiarato, nello scorso mese di aprile: “Nous sommes profondément préoccupés par les graves problèmes et la lourde menace que constituent  les liens persistants entre le trafic des drogues illicites et le terrorisme et d’autres activités criminelles nationales et transnationales…”.

            Né basta. Infatti con la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU 52/220 e già dal 1997 veniva istituita la “Terrorism Prevention Branch” presso l’Ufficio per il Controllo Droga e Prevenzione Crimine (ODCCP) di Vienna, mentre, fino a quel momento, erano solo le Nazioni Unite di New York ad interessarsi dei fenomeni di terrorismo.

            A seguito dei fatti dell’11 settembre 2001, l’Assemblea Generale dell’ONU, con la Risoluzione 56/253, ha richiesto al Segretario Generale di presentare un Rapporto con la proposta di rafforzare la Terrorism Prevention Branch. Il   Rapporto evidenzia i collegamenti fra crimine organizzato ed il terrorismo ed afferma che doveva rafforzarsi il ruolo di prevenzione del CICP (Centro Prevenzione Crimine) che costituisce una delle due branche dell’ODCCP all’interno della quale è inserita la Terrorism Prevention Branch. Tale proposta è stata accolta dall’Assemblea Generale. Anche nel Progetto di Risoluzione che Italia, Francia, Austria ed USA hanno presentato in questi giorni si afferma la necessità di rafforzare la TPB dati i collegamenti fra il terrorismo e la criminalità organizzata.

            Da ultimo va ricordato che EUROJUST (v. decisione del Consiglio 28 febbraio 2002 e, per quanto riguarda le competenze attribuite a tale organo con riferimento a quelle conferite ad EUROPOL, la Convenzione 26 luglio 1995, ratificata con L. 93/1998), svolge funzioni di coordinamento sia con riferimento alla criminalità organizzata che a quella terroristica; di guisa che sarebbe veramente singolare che la Direzione Nazionale Antimafia, che ha costituito il parametro sul quale è stato modellato EUROJUST e che svolge, rispetto alle 26 procure distrettuali, le stesse funzioni che sono attribuite ad EUROJUST in ordine alle indagini che interessano i paesi dell’Unione, non fruisse di attribuzioni concernenti le stesse materie sulle quali opera EUROJUST.

            Né mi sembra percorribile, per intuibili ragioni teoriche e pratiche, la via della creazione di un unico organo nazionale del P.M. legittimato a svolgere indagini sui delitti di terrorismo.

            Bisogna, infine, rendersi conto che poiché il coordinamento, anche per le indagini sui delitti per finalità di terrorismo, è una necessità, se esso non sarà svolto da organo del P.M. – quale è la DNA - la supplenza, in un così delicato settore, sarà esercitata dalle Forze di Polizia, peraltro anch’esse non sempre coordinate fra loro.

 

            Piero Luigi Vigna

            Procuratore Nazionale Antimafia