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 MAGISTRATURA INDIPENDENTE

A tutti i colleghi

 

  All’esito del Congresso di Venezia l’Associazione Nazionale Magistrati ha proclamato tre giorni di agitazione, articolati con differenti modalità, ai quali ha aderito anche Magistratura Indipendente; desidero spiegarne il perché, anche in relazione alla diversa scelta che fu operata da Magistratura Indipendente in occasione dello sciopero del giugno 2002.

  Circa due anni fa il Governo presentò un disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, che fu valutato negativamente da tutta la magistratura. Fu proclamato uno sciopero contro di esso, e nel contempo la giunta dell’ANM, che allora presiedevo, iniziò un tavolo di confronto con il Ministro della giustizia, all’esito del quale quest’ultimo fece pervenire un impegno scritto a modificare il testo presentato, specificando in quali termini. Tale impegno, con tutta evidenza, era collegato alla volontà di evitare la celebrazione dello sciopero dei magistrati.  Nello stesso contesto di tempo il Capo dello Stato aveva più volte invitato sia i magistrati che il Governo a cercare il modo di evitare l’esasperazione del conflitto istituzionale in corso.

  Nonostante ciò l’A.N.M. decise di non sospendere la data dello sciopero in attesa di verificare la realizzazione dell’impegno assunto ufficialmente dal Ministro, ritenendo sia che non fossero soddisfacenti le modifiche preannunciate, sia che non vi fossero sufficienti garanzie circa la loro concreta messa in opera.

  Successivamente il Ministro, pur ritenendo di non essere più tenuto a farlo, presentò ugualmente la maggior parte degli emendamenti che aveva preannunciato, ma in seguito il contenuto del disegno di legge fu modificato ulteriormente, e molto significativamente in senso contrario a quanto ritenuto giusto dai magistrati, dal cosiddetto “maxiemendamento” e da altri emendamenti nel corso della trattazione dinanzi al Senato, che ha poi approvato il testo oggi in discussione alla Camera dei deputati.

  Questa lettera vuole dar conto delle determinazioni che la mia corrente ed io abbiamo assunto in relazione agli eventi appena ricordati.

  Magistratura Indipendente non condivise la decisione di non sospendere lo sciopero del giugno 2002, ed anzi tale decisione determinò la sua uscita dalla giunta e, conseguentemente, le mie dimissioni dall’incarico di presidente dell’A. N. M..

  Ho condiviso integralmente le ragioni e le responsabilità di quella scelta, che fu determinata dai seguenti motivi:

-          il testo della riforma dell’ordinamento giudiziario che sarebbe derivato dalla realizzazione dell’impegno scritto assunto dal Ministro all’esito del confronto con l’A. N. M., pur non essendo condivisibile in tutti i suoi aspetti, appariva sostanzialmente privo di soluzioni oggettivamente così criticabili da determinare una legittima preoccupazione per i profili essenziali dell’indipendenza della magistratura, ovvero per l’accentuazione di inconvenienti significativi in termini di efficienza. Esso, infatti, era incentrato principalmente sulla costituzione di una scuola di formazione e aggiornamento dei magistrati indipendente (e non, come nella versione originaria, collocata sotto il controllo della Corte di Cassazione), istituiva una commissione di esperti – magistrati e professori - solo consultiva per l’accesso alle funzioni di legittimità nominata liberamente dal C.S.M. (non più nell’ambito di una rosa di candidati indicata dal Ministro, come era nella versione originaria), prevedeva la realizzazione della cosiddetta “separazione delle funzioni” mediante la forma dell’incompatibilità distrettuale (che il Ministro si era impegnato a mitigare rendendola temporanea e non definitiva come risultava dal testo originario), presentava un’unica ipotesi di concorso per esami solo per una quota dei posti disponibili per l’esercizio delle funzioni di legittimità (senza peraltro che da ciò derivasse alcun beneficio sul piano stipendiale per coloro che ne fossero risultati vincitori), ampliava i compiti dei Consigli giudiziari, proponeva una tipizzazione degli illeciti disciplinari in base alla consolidata giurisprudenza già formatasi in materia, e prospettava infine la possibilità che l’indennità di funzione prevista nel testo originario per i magistrati di legittimità fosse tramutata in indennità di trasferta riservata soltanto a coloro, tra essi, che fossero residenti fuori Roma (come poi avvenuto con successivo emendamento). Nel testo che ne sarebbe risultato, pertanto, non vi era traccia di doppio concorso iniziale per l’accesso alle funzioni giudicanti o requirenti, né di concorsi per esami per l’accesso alle funzioni di merito di secondo grado o per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente o viceversa, non vi era alcuna ipotesi di accelerazione del livello retributivo in conseguenza del solo accesso alle funzioni di grado superiore, non vi era alcuna norma che prevedesse la riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero secondo criteri di più accentuata gerarchia, non era prevista la soppressione delle funzioni semidirettive inquirenti, non vi era alcuna disposizione inerente a sanzioni disciplinari ricollegate all’attività di interpretazione del diritto o all’esercizio di diritti politici riservati a tutti i cittadini;

-          le fasi del confronto tra l’A.N.M. e il Ministro erano state scandite dalla continua attenzione del Capo dello Stato, così da far ritenere che, se pur ovviamente possibile, sarebbe stato comunque difficile sul piano politico per il Governo e per la maggioranza che lo sosteneva violare in seguito gli impegni assunti.       

  La situazione odierna è del tutto diversa.

  Il testo del disegno di legge già approvato dal Senato e già in discussione alla Camera è incomparabilmente peggiore, rispetto a quanto ritenuto giusto dai magistrati, di quello prima illustrato. Esso, infatti, oggi prevede un doppio concorso iniziale per l’accesso alle funzioni giudicanti o requirenti, concorsi per esami scritti e orali per l’accesso alle funzioni di appello o di cassazione, livelli retributivi sostanzialmente differenziati in conseguenza dell’accesso alle funzioni di grado superiore, norme di riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero secondo criteri di esasperata gerarchia, la soppressione delle funzioni di procuratore aggiunto, sanzioni disciplinari ricollegate all’attività di interpretazione del diritto o all’esercizio di diritti politici riservati a tutti i cittadini.

  Si è detto, ed anche con ragione, che ciò è stato in parte favorito da errori strategici e da atteggiamenti esasperati e strumentalizzabili talvolta assunti dalla magistratura associata o da singoli magistrati, ma ciò non può comunque far ritenere la magistratura associata o singoli magistrati responsabili delle scelte politiche assunte da chi ha il potere di farle, né può indurre i magistrati ad accettarle passivamente quasi a titolo di espiazione di eventuali colpe individuali o di categoria; una cattiva legge rimane quel che è, una cattiva legge, qualunque sia stata l’occasione o il pretesto per approvarla, e la responsabilità politica di essa è unicamente di chi si sia determinato a realizzarla.

  Per questi motivi, per cercare di evitare che sia approvata una riforma dell’ordinamento giudiziario sotto molti aspetti tanto sbagliata da essere foriera di sicure ulteriori inefficienze nell’amministrazione della giustizia, in questa occasione Magistratura Indipendente, che grazie alla sua libertà da vincoli ideologici pregiudiziali si orienta nelle sue determinazioni di volta in volta soltanto in base a ciò che è giusto fare, ha ritenuto di aderire alle manifestazioni di protesta decise per il prossimo mese di marzo. Per questi motivi, in occasione delle manifestazioni anzidette e nei momenti preparatori di esse, ritengo che sia opportuno esprimere in tutte le sedi possibili, con il metodo della fermezza e della compostezza insieme, le nostre ragioni. L’auspicio, come è ovvio, è che così facendo si riapra la possibilità di un confronto corretto tra le istituzioni, e che si cominci finalmente a fare ciò che finora non è mai stato fatto: ragionare sulle vere cause del malfunzionamento della giustizia, e innanzitutto sull’abnorme durata dei processi, e ricercare i rimedi veramente efficaci.     

 

Il Segretario Generale

Antonio Patrono