MALAG >> CAUSA >> MA IL CIELO E' SEMPRE PIU' BLU by Martin

La prima cosa che tentai di fare fu capire la distanza tra me e quello che mi sembrava un cancello. Avevo perso il senso della misura, non riuscivo a capire se quel cancello fosse alto 2 metri oppure 20, forse erano solo 50 centimetri, e non riuscivo a capire quanti passi avrei dovuto fare per arrivarci, 3 o 30?
Mi sentivo in basso, quasi sottoterra, come se avessi la testa che spuntava dalla sabbia, ma sapevo che così non poteva essere perché ero sopra a un vasto spiazzo di cemento. Credo.
Mi guardavo intorno e mi sembrava di guardare attraverso un grandangolo.
Notai che non molto lontano da me, o forse non molto vicino, c'era una pianta. A momenti mi sembrava un albero e a momenti un piccolo germoglio. Avevo come una visione allucinata, anche la luce non mi era ben chiara, quanta fosse, di che tipo, era giorno, questo lo capivo, ma era l'alba o il tramonto? Mattina o pomeriggio? Pensai che finché avessi riconosciuto il buio dalla luce e quindi la notte dal giorno, ero tranquillo. Iniziavo ad abituarmi alla mia nuova condizione. Ma continuavo a guardare il cancello, e avrei voluto spostarmi, così avrei visto dove mi trovavo, in una casa o in un castello, perché quel cancello a qualcosa doveva pur servire...
Pensai a come avevo fatto a finire così.
Rividi gli ultimi momenti della mia giornata, e ricordai d'essermi addormentato presto, e infatti non avevo sonno. Sentivo che non era un sogno, ma si ha spesso questa sensazione quando si sogna, e quindi non sapevo se quello che vedevo fosse realtà o fantasia.
Io e Lia ci eravamo lasciati il giorno prima, o meglio, mi aveva detto che partiva per una settimana, doveva tornare all'appartamento a Roma, per sistemare alcune cose, e sarebbe meglio che per un po' non ci vedessimo, il che equivaleva a dirci addio, ma con qualche rimorso.
Io mi ero arrabbiato sul serio e le avevo detto a mai più.
Il giorno prima ancora avevo iniziato il nuovo lavoro. Sostanzialmente era un lavoro di ricerca, su ogni fatto di cronaca, cercavo tutto quello che poteva essere attinente, e poi lo davo in redazione. C'è un nome, nel gergo, per questo tipo di lavoro, ma nessuno me lo sapeva dire. In realtà era il mio secondo lavoro, infatti, già da un mese lavoravo in una pasticceria. Può sembrare strano che io consideri questo il mio primo lavoro, ma mi baso sul guadagno, con le torte guadagno molto di più che con la cronaca. Lavorare in pasticceria mi piaceva, me l'aveva trovato mio padre e la pasticceria era di un amico. Mi divertivo a fare quei disegni per i compleanni dei bambini, ed ero il più bravo. Sono sempre stato bravo a disegnare, fin da piccolo. Disegnavo sempre, tutti i giorni. Ho smesso di farlo quando andavo al liceo, credo, e poi all'università figuriamoci. Dopo la laurea di quest'estate avevo disegnato una volta, per un biglietto d'auguri a Lia. E ora, disegnare per lavoro, sulle torte, mi sembrava bellissimo. Non era certo quello che speravo di fare per sempre, ma ero contento, almeno per ora.
Mentre pensavo a questo, il cancello si aprì.
Non sentivo rumori, ecco un'altra cosa che notai. Arrivò decisamente più luce, e capii che era mattina, ma dove mi trovavo io la luce filtrava dai rami degli alberi, e quindi era poca. Ecco cos'erano, alberi. Capii di trovarmi in un giardino. Pensai che forse ero svenuto e mi trovavo per terra in una specie di dormiveglia, forse stavo morendo o ero già morto… E nel cancello apparve un mostro.
E' un sogno, pensai. Venne verso di me, era gigantesco e la sua ombra copriva metà dell'enorme spiazzo di cemento. Si fermò davanti e portò la sua faccia nella mia.Talmente vicino che non vedevo più niente. Poi si girò e alzò una gamba.
Un cane mi stava pisciando in faccia.
Dopo qualche minuto che l'essere mostruoso chiamato cane se n'era andato iniziai a capire. Sulla mia sinistra c'erano delle rose gialle, grandi e bellissime. Pensai alle rose che avevo regalato a Lia e pensai che erano stati soldi buttati, forse. In mezzo alle rose c'era un essere, non avrei saputo definirne le dimensioni se non fosse stato proprio tra le rose, e, a meno che quelle rose fossero anomali, giganti o minuscole, calcolai che quell'essere sghignazzante avesse circa 30 centimetri d'altezza. E mi sembrava d'essere alto 30 centimetri anch'io. Dopo le rose ce n'erano altri, di esseri. Altri 5, quindi 6 e con me 7.
Io ero un nano da giardino.
E tutti insieme eravamo i 7 nani. Quello era il giardino di Lia. Il piscio che ancora avevo in faccia era quello di Brutus, il cane di Lia. Bastardo, pensai, poi ti faccio vedere io. Ma non sapevo cosa fare, non avevo idea di come fossi finito così e soprattutto non avevo idea di come andarmene. Pensai che se fosse stato possibile gli altri nani se ne sarebbero andati da molto e pensai di comunicare con loro, ma sentivo che non potevo muovere nessun muscolo, in realtà non sentivo nessun muscolo, la faccia e basta. Provai a ruotare gli occhi, quello riuscivo a farlo, e aspettai una riposta dagli altri 6 nani. Niente. Immobili. Impassibili.
Di colpo il sole sparì, e iniziò a piovere.
Avevo freddo, molto freddo, ma mi ricordai di non avere corpo, o almeno di non sentirlo. Passò Brutus, correva come un cane che corre, e mi riempì di fango. Pensai di non essere un bello spettacolo, un nano vestito con il classico buffissimo costume, idiota, la barba bianca che di sicuro avevo, il cappello da elfo o gnomo che tutti i nani elfi e gnomi hanno, e soprattutto quel fango che pendeva... No, non dovevo essere per niente bello.
Mi sento un idiota, dissi. A chi lo dici, rispose qualcuno. Sì, uno degli altri nani aveva parlato e io l'avevo sentito, e lui sentiva me, e così anche gli altri.

- Ma non puoi fare niente per andartene da qui - disse quello che stava in mezzo alle rose.
- Voi come ci siete finiti? - chiesi.
- Noi ci conosciamo, David.
Sapeva il mio nome, mi sforzai di ricordare, ma non conoscevo nessuno con una lunga barba bianca, degli occhiali e un naso rosso.
- Sono Nicola, l'ex ragazzo di Lia. Tu sei il ragazzo di Lia, no?
L'avevo visto qualche volta, una volta ci avevo anche parlato e, Dio mio, la voce era la sua.
- Sì, a dire la verità l'ex ragazzo, - dissi tentando di sorridere, ma pensai che non potevo mutare espressione - ci siamo lasciati proprio ieri…
- Ah… E anche tu ti sei addormentato e ti sei svegliato qua. Non è vero?
- Proprio così. E gli altri? Voi come ci siete capitati?
Quello più vicino al cancello si chiamava Alex, e spiegò d'essere stato il fidanzatino di Lia all'asilo, 23 anni fa. Mi chiesi come avesse fatto a non morire di noia, era praticamente cresciuto lì, ma non gli feci nessuna domanda. Quello senza barba mi spiegò che una volta nano non avevi mai fame, mai sete, mai sonno, e il tempo sembrava scorrere lentamente, molto più lentamente del solito.
Il terrore e la curiosità scorrevano nelle mie vene, quali vene?
Tra le mille cose che avevo in testa, cappello buffo compreso, quella che più mi ossessionava era l'idea di non potermi muovere
Però si poteva parlare, questo sì - aggiunse Nicola.
Alex disse che lui all'inizio era da solo, per ben 3 anni, poi arrivò Mario, che infatti si presentò dicendo d'essere stato il ragazzo di Lia alle elementari. Gli altri erano ex fidanzati di Lia sparsi negli anni, dalle medie alle superiori, fino a Nicola e poi a me.
- Ma Biancaneve non c'è? - dissi, pensando di aver fatto la domanda più assurda della mia vita.
Risero.
- C'era - disse Nicola - poi Lia l'ha portata via, forse perché era l'unica donna…
- E chi era Biancaneve? Una sua ragazza? Lia ha avuto anche una ragazza?
- No, conoscevi sorella di Lia?
- Quella morta nell'incidente stradale?
- Esatto, Biancaneve era lei - disse Nicola con l'aria di uno felice di saperlo. In realtà, pensai, erano felici di parlare con qualcuno che fino a poche ore prima non viveva bloccato in quei pochi centimetri. Mi fecero molte domande, poi si aprì il cancello, era Lia.
Mi dissero di fare silenzio e di non parlare e di non muovermi per nessun motivo. Così feci, pensando che tanto non sapevo muovermi. Lia passò davanti a me, era grandissima. Mi guardò e disse: - Chissà come ti divertirai qui, eh? Ti divertivi a disegnare i nanetti sulle torte, vero? Ecco, divertiti.
Col piede mi lanciò un sasso, ma non mi fece male.
Che cosa diavolo succedeva? Perché ero lì? Perché erano lì gli altri? Perché Lia faceva così... cosa avevo fatto?
Andata via Lia iniziai a parlare di nuovo con Nicola, gli altri sembravano dormire. Parlammo del più e del meno, come fossimo in ascensore o in tram, era segno, questo, che mi stavo abituando sempre di più. Ci si abitua a tutte le situazioni, anche alle più estreme come questa, ma per breve tempo, poi la realtà ti si schianta in faccia e scende lentamente, come il piscio di Brutus. Che brutta metafora, pensai.
Dopo un po', però, il discorso tornò sulla nostra condizione.
- Ma com'è possibile? Com'è successo? E' una maga o cosa? - chiesi.
- Non lo so, non so dirtelo davvero. Noi abbiamo diverse ipotesi, io per un mese ero convinto di sognare, poi decisi di suicidarmi, ma è difficile.
- Impossibile, non ci si può nemmeno muovere!
- Beh… questo non è esatto.
- No?
- No. Ci vuole una grande, grandissima volontà. E puoi riuscirci. Mario una volta ci è riuscito, è arrivato quasi al cancello, ma poi non sapeva cosa fare. La sua idea era quella di finire in mezzo alla strada, così una macchina l'avrebbe investito e sarebbe morto. Ma era disperato, forse non voleva davvero morire, sebbene più volte disse che questo non era vivere, e mentre era fermo lì a pensare arrivò il padre di Lia. Si chiese come diavolo fosse finito lì quel nano e lo rimise a posto.
- Il padre di Lia non sa niente? Voglio dire, non sa chi siamo?
- No, non penso. Solo Lia ne è a conoscenza.
- La prossima volta che passa Lia voglio provare a parlarci - dissi seriamente. Infatti mi chiedevo come mai nessuno lo volesse fare. Nicola mi rispose.
- Io ci ho parlato. Mi ha messo a testa in giù per due giorni e non vedevo più nulla. Mi ha detto, guai a te se ci riprovi, devi stare zitto!
- Santo Dio…
- Ecco, non ti rimane che pregare, o cantare. Così si passa il tempo…
Le vene sarebbero di sicuro scoppiate se le avessi avute. Non potevo stare per sempre lì. Pensai ai miei amici e alla mia famiglia, ma soprattutto a me. Sarei impazzito? Quanto avrei resistito? Tanti anni come Alex? No, impossibile. Decisi di uccidermi. E iniziai i tentativi di movimento. Ero immobile. Me ne accorgevo di più ora che provavo a muovermi.

A volte mi sembrava di muovermi, ma non era vero.
Cercavo di spostare in avanti una massa corporea che non sentivo. Era come cercare di muovere una coda che non si ha.
Dopo qualche ora, che a me sembrò qualche giorno, iniziai a dondolare. Avevo imparato a muovermi. Credo passassero circa 10 minuti prima che percorressi 10 centimetri. Andavo alla velocità di 1 centimetro al minuto. Ma finalmente mi spostavo. Gli altri nani mi dicevano cose tipo vai che ce la fai, come al giro d'Italia. Mi ricordai di una corsa che avevo fatto da bambino.
Dondolando, ero arrivato davanti al cancello, ormai sapevo muovermi agilmente e non ero per niente stanco, pensai che potevo andare addirittura a fare una passeggiata prima di uccidermi. Così feci.
Salutai tutti come quando si vanno a comprare le sigarette e si torna dopo 5 minuti, e dondolando mi avviai. Pensai che non avrei più visto i miei amici nani, ma non mi dispiaceva. Sapevo benissimo dov'ero ma non sapevo dove andare. Iniziai a percorrere la strada sul marciapiede andando verso casa mia, non sapevo assolutamente cos'avrei fatto o detto, né come gli altri avrebbero reagito. E poi, chissà se ci arrivo a casa, pensavo…
Mi fermai al semaforo, aspettai il verde e passai sulle strisce come un bravo nano. Cercai di andare più veloce, altrimenti scatta il rosso e addio passeggiata, mi dissi incitandomi. Era verde, e vidi arrivare una macchina, sempre più vicina, sempre più vicina... Si fermerà, pensai, è verde! Invece no, quella non si ferma e m'investe. Bastardo, mi hai ucciso perché sei passato col rosso, dissi.
- Di chi parli?
Pensai fosse mia madre, immaginai d'essere a letto e che quello era tutto un sogno e adesso avrei detto, no, non è niente mamma. Ma invece…
- Cosa? Sono di nuovo qui? - chiesi.
- Eh sì… - risponde Nicola.
- Ma allora anche morendo si torna sempre qui? Come diavolo è possibile? Ma allora come si fa a morire?
- Non lo so, non lo sapevamo neanche noi questo.. ma avremo tempo per pensare qualche altro metodo. Noi… noi stavamo per iniziare a cantare, canti anche tu?


FINE

by Martin, 10/11/2001