Pensai
a come avevo fatto a finire così.
Rividi gli ultimi momenti della mia giornata, e ricordai d'essermi
addormentato presto, e infatti non avevo sonno. Sentivo che non era
un sogno, ma si ha spesso questa sensazione quando si sogna, e quindi
non sapevo se quello che vedevo fosse realtà o fantasia.
Io e Lia ci eravamo lasciati il giorno prima, o meglio, mi aveva detto
che partiva per una settimana, doveva tornare all'appartamento a Roma,
per sistemare alcune cose, e sarebbe meglio che per un po' non ci
vedessimo, il che equivaleva a dirci addio, ma con qualche rimorso.
Io mi ero arrabbiato sul serio e le avevo detto a mai più.
Il giorno prima ancora avevo iniziato il nuovo lavoro. Sostanzialmente
era un lavoro di ricerca, su ogni fatto di cronaca, cercavo tutto
quello che poteva essere attinente, e poi lo davo in redazione. C'è
un nome, nel gergo, per questo tipo di lavoro, ma nessuno me lo sapeva
dire. In realtà era il mio secondo lavoro, infatti, già
da un mese lavoravo in una pasticceria. Può sembrare strano
che io consideri questo il mio primo lavoro, ma mi baso sul guadagno,
con le torte guadagno molto di più che con la cronaca. Lavorare
in pasticceria mi piaceva, me l'aveva trovato mio padre e la pasticceria
era di un amico. Mi divertivo a fare quei disegni per i compleanni
dei bambini, ed ero il più bravo. Sono sempre stato bravo a
disegnare, fin da piccolo. Disegnavo sempre, tutti i giorni. Ho smesso
di farlo quando andavo al liceo, credo, e poi all'università
figuriamoci. Dopo la laurea di quest'estate avevo disegnato una volta,
per un biglietto d'auguri a Lia. E ora, disegnare per lavoro, sulle
torte, mi sembrava bellissimo. Non era certo quello che speravo di
fare per sempre, ma ero contento, almeno per ora.
Mentre pensavo a questo, il cancello si aprì.
Non sentivo rumori, ecco un'altra cosa che notai. Arrivò decisamente
più luce, e capii che era mattina, ma dove mi trovavo io la
luce filtrava dai rami degli alberi, e quindi era poca. Ecco cos'erano,
alberi. Capii di trovarmi in un giardino. Pensai che forse ero svenuto
e mi trovavo per terra in una specie di dormiveglia, forse stavo morendo
o ero già morto
E nel cancello apparve un mostro.
E' un sogno, pensai. Venne verso di me, era gigantesco e la sua ombra
copriva metà dell'enorme spiazzo di cemento. Si fermò
davanti e portò la sua faccia nella mia.Talmente vicino che
non vedevo più niente. Poi si girò e alzò una
gamba.
Un cane mi stava pisciando in faccia.
Dopo qualche minuto che l'essere mostruoso chiamato cane se n'era
andato iniziai a capire. Sulla mia sinistra c'erano delle rose gialle,
grandi e bellissime. Pensai alle rose che avevo regalato a Lia e pensai
che erano stati soldi buttati, forse. In mezzo alle rose c'era un
essere, non avrei saputo definirne le dimensioni se non fosse stato
proprio tra le rose, e, a meno che quelle rose fossero anomali, giganti
o minuscole, calcolai che quell'essere sghignazzante avesse circa
30 centimetri d'altezza. E mi sembrava d'essere alto 30 centimetri
anch'io. Dopo le rose ce n'erano altri, di esseri. Altri 5, quindi
6 e con me 7.
Io ero un nano da giardino.
E tutti insieme eravamo i 7 nani. Quello era il giardino di Lia. Il
piscio che ancora avevo in faccia era quello di Brutus, il cane di
Lia. Bastardo, pensai, poi ti faccio vedere io. Ma non sapevo cosa
fare, non avevo idea di come fossi finito così e soprattutto
non avevo idea di come andarmene. Pensai che se fosse stato possibile
gli altri nani se ne sarebbero andati da molto e pensai di comunicare
con loro, ma sentivo che non potevo muovere nessun muscolo, in realtà
non sentivo nessun muscolo, la faccia e basta. Provai a ruotare gli
occhi, quello riuscivo a farlo, e aspettai una riposta dagli altri
6 nani. Niente. Immobili. Impassibili.
Di colpo il sole sparì, e iniziò a piovere.
Avevo freddo, molto freddo, ma mi ricordai di non avere corpo, o almeno
di non sentirlo. Passò Brutus, correva come un cane che corre,
e mi riempì di fango. Pensai di non essere un bello spettacolo,
un nano vestito con il classico buffissimo costume, idiota, la barba
bianca che di sicuro avevo, il cappello da elfo o gnomo che tutti
i nani elfi e gnomi hanno, e soprattutto quel fango che pendeva...
No, non dovevo essere per niente bello.
Mi sento un idiota, dissi. A chi lo dici, rispose qualcuno. Sì,
uno degli altri nani aveva parlato e io l'avevo sentito, e lui sentiva
me, e così anche gli altri.
- Ma
non puoi fare niente per andartene da qui - disse quello che stava
in mezzo alle rose.
- Voi come ci siete finiti? - chiesi.
- Noi ci conosciamo, David.
Sapeva il mio nome, mi sforzai di ricordare, ma non conoscevo nessuno
con una lunga barba bianca, degli occhiali e un naso rosso.
- Sono Nicola, l'ex ragazzo di Lia. Tu sei il ragazzo di Lia, no?
L'avevo visto qualche volta, una volta ci avevo anche parlato e,
Dio mio, la voce era la sua.
- Sì, a dire la verità l'ex ragazzo, - dissi tentando
di sorridere, ma pensai che non potevo mutare espressione - ci siamo
lasciati proprio ieri
- Ah
E anche tu ti sei addormentato e ti sei svegliato qua.
Non è vero?
- Proprio così. E gli altri? Voi come ci siete capitati?
Quello più vicino al cancello si chiamava Alex, e spiegò
d'essere stato il fidanzatino di Lia all'asilo, 23 anni fa. Mi chiesi
come avesse fatto a non morire di noia, era praticamente cresciuto
lì, ma non gli feci nessuna domanda. Quello senza barba mi
spiegò che una volta nano non avevi mai fame, mai sete, mai
sonno, e il tempo sembrava scorrere lentamente, molto più
lentamente del solito.
Il terrore e la curiosità scorrevano nelle mie vene, quali
vene?
Tra le mille cose che avevo in testa, cappello buffo compreso, quella
che più mi ossessionava era l'idea di non potermi muovere
Però si poteva parlare, questo sì - aggiunse Nicola.
Alex disse che lui all'inizio era da solo, per ben 3 anni, poi arrivò
Mario, che infatti si presentò dicendo d'essere stato il
ragazzo di Lia alle elementari. Gli altri erano ex fidanzati di
Lia sparsi negli anni, dalle medie alle superiori, fino a Nicola
e poi a me.
- Ma Biancaneve non c'è? - dissi, pensando di aver fatto
la domanda più assurda della mia vita.
Risero.
- C'era - disse Nicola - poi Lia l'ha portata via, forse perché
era l'unica donna
- E chi era Biancaneve? Una sua ragazza? Lia ha avuto anche una
ragazza?
- No, conoscevi sorella di Lia?
- Quella morta nell'incidente stradale?
- Esatto, Biancaneve era lei - disse Nicola con l'aria di uno felice
di saperlo. In realtà, pensai, erano felici di parlare con
qualcuno che fino a poche ore prima non viveva bloccato in quei
pochi centimetri. Mi fecero molte domande, poi si aprì il
cancello, era Lia.
Mi dissero di fare silenzio e di non parlare e di non muovermi per
nessun motivo. Così feci, pensando che tanto non sapevo muovermi.
Lia passò davanti a me, era grandissima. Mi guardò
e disse: - Chissà come ti divertirai qui, eh? Ti divertivi
a disegnare i nanetti sulle torte, vero? Ecco, divertiti.
Col piede mi lanciò un sasso, ma non mi fece male.
Che cosa diavolo succedeva? Perché ero lì? Perché
erano lì gli altri? Perché Lia faceva così...
cosa avevo fatto?
Andata via Lia iniziai a parlare di nuovo con Nicola, gli altri
sembravano dormire. Parlammo del più e del meno, come fossimo
in ascensore o in tram, era segno, questo, che mi stavo abituando
sempre di più. Ci si abitua a tutte le situazioni, anche
alle più estreme come questa, ma per breve tempo, poi la
realtà ti si schianta in faccia e scende lentamente, come
il piscio di Brutus. Che brutta metafora, pensai.
Dopo un po', però, il discorso tornò sulla nostra
condizione.
- Ma com'è possibile? Com'è successo? E' una maga
o cosa? - chiesi.
- Non lo so, non so dirtelo davvero. Noi abbiamo diverse ipotesi,
io per un mese ero convinto di sognare, poi decisi di suicidarmi,
ma è difficile.
- Impossibile, non ci si può nemmeno muovere!
- Beh
questo non è esatto.
- No?
- No. Ci vuole una grande, grandissima volontà. E puoi riuscirci.
Mario una volta ci è riuscito, è arrivato quasi al
cancello, ma poi non sapeva cosa fare. La sua idea era quella di
finire in mezzo alla strada, così una macchina l'avrebbe
investito e sarebbe morto. Ma era disperato, forse non voleva davvero
morire, sebbene più volte disse che questo non era vivere,
e mentre era fermo lì a pensare arrivò il padre di
Lia. Si chiese come diavolo fosse finito lì quel nano e lo
rimise a posto.
- Il padre di Lia non sa niente? Voglio dire, non sa chi siamo?
- No, non penso. Solo Lia ne è a conoscenza.
- La prossima volta che passa Lia voglio provare a parlarci - dissi
seriamente. Infatti mi chiedevo come mai nessuno lo volesse fare.
Nicola mi rispose.
- Io ci ho parlato. Mi ha messo a testa in giù per due giorni
e non vedevo più nulla. Mi ha detto, guai a te se ci riprovi,
devi stare zitto!
- Santo Dio
- Ecco, non ti rimane che pregare, o cantare. Così si passa
il tempo
Le vene sarebbero di sicuro scoppiate se le avessi avute. Non potevo
stare per sempre lì. Pensai ai miei amici e alla mia famiglia,
ma soprattutto a me. Sarei impazzito? Quanto avrei resistito? Tanti
anni come Alex? No, impossibile. Decisi di uccidermi. E iniziai
i tentativi di movimento. Ero immobile. Me ne accorgevo di più
ora che provavo a muovermi.
A volte
mi sembrava di muovermi, ma non era vero.
Cercavo di spostare in avanti una massa corporea che non sentivo.
Era come cercare di muovere una coda che non si ha.
Dopo qualche ora, che a me sembrò qualche giorno, iniziai
a dondolare. Avevo imparato a muovermi. Credo passassero circa 10
minuti prima che percorressi 10 centimetri. Andavo alla velocità
di 1 centimetro al minuto. Ma finalmente mi spostavo. Gli altri
nani mi dicevano cose tipo vai che ce la fai, come al giro d'Italia.
Mi ricordai di una corsa che avevo fatto da bambino.
Dondolando, ero arrivato davanti al cancello, ormai sapevo muovermi
agilmente e non ero per niente stanco, pensai che potevo andare
addirittura a fare una passeggiata prima di uccidermi. Così
feci.
Salutai tutti come quando si vanno a comprare le sigarette e si
torna dopo 5 minuti, e dondolando mi avviai. Pensai che non avrei
più visto i miei amici nani, ma non mi dispiaceva. Sapevo
benissimo dov'ero ma non sapevo dove andare. Iniziai a percorrere
la strada sul marciapiede andando verso casa mia, non sapevo assolutamente
cos'avrei fatto o detto, né come gli altri avrebbero reagito.
E poi, chissà se ci arrivo a casa, pensavo
Mi fermai al semaforo, aspettai il verde e passai sulle strisce
come un bravo nano. Cercai di andare più veloce, altrimenti
scatta il rosso e addio passeggiata, mi dissi incitandomi. Era verde,
e vidi arrivare una macchina, sempre più vicina, sempre più
vicina... Si fermerà, pensai, è verde! Invece no,
quella non si ferma e m'investe. Bastardo, mi hai ucciso perché
sei passato col rosso, dissi.
- Di chi parli?
Pensai fosse mia madre, immaginai d'essere a letto e che quello
era tutto un sogno e adesso avrei detto, no, non è niente
mamma. Ma invece
- Cosa? Sono di nuovo qui? - chiesi.
- Eh sì
- risponde Nicola.
- Ma allora anche morendo si torna sempre qui? Come diavolo è
possibile? Ma allora come si fa a morire?
- Non lo so, non lo sapevamo neanche noi questo.. ma avremo tempo
per pensare qualche altro metodo. Noi
noi stavamo per iniziare
a cantare, canti anche tu?
FINE
by
Martin,
10/11/2001
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