Nascita del partito socialista

 

Dopo l'unificazione d'Italia, il movimento socialista si sviluppò sul terreno delle società operaie di mutuo soccorso, fondate da esponenti della borghesia illuminata e filantropica. Allora gli ideali mazziniani avevano additato il programma di una "democrazia sociale" nella quale l'educazione etico-politica dei cittadini si sarebbe raggiunta con il lavoro, la cooperazione, l'istruzione elementare e l'esercizio dei diritti politici estesi a tutti. Da simili premesse risulta chiaro perché il movimento operaio italiano mantenne a lungo i connotati di un movimento fondamentalmente aclassista. Negli anni Settanta e Ottanta avvennero i primi passi verso una visione di lotta operaia dichiaratamente classista e antiborghese, soprattutto in Lombardia, dove cominciò a circolare il settimanale "La plebe" di Lodi e dove nacque il P.O.I. (Partito Operaio Italiano). Il marxismo, tuttavia, rimaneva poco e male conosciuto. A diffonderne la conoscenza nelle aule universitarie cominciò poco più tardi Antonio Labriola; mentre la rivista "Critica sociale" sorta nel 1891 e diretta da F. Turati, iniziava a penetrare tra gli intellettuali più aperti e nelle frange più evolute e istruite del movimento operaio. Il movimento si diffuse soprattutto fra i contadini della Pianura Padana emiliana, in Toscana e fra gli operai delle città industrializzate del nord. Con l'estensione del diritto di voto, furono sempre più numerosi i deputati socialisti presenti in Parlamento, anto che Giolitti dovette venire a espliciti accordi con essi, nel tentativo di collegarli alla sua politica riformatrice. Le organizzazioni popolari socialiste radicarono sempre più la loro presenza nel tessuto sociale soprattutto delle regioni del centro-nord, costituendo cooperative amministrando città grandi e piccole. Al loro interno i socialisti si trovarono divisi in riformisti, favorevoli alla collaborazione parlamentare e interessati alla trasformazione graduale della società mediante riforme graduali, e rivoluzionari sostenitori della rivoluzione proletaria quale unica alternativa al degrado e alle ingiustizie sociali. Netta fu la posizione neutralista dei socialisti italiani in occasione della prima guerra mondiale, quando cacciarono dal partito Mussolini sostenitore dell'intervento italiano nel conflitto. Nel dopoguerra ebbero un largo successo elettorale nelle elezioni del 1919 ma trovarono serie difficoltà a gestire il successivo periodo di agitazioni e rivolte popolari. Nel 1921 subirono la scissione da sinistra del Partito comunista sostenitore della rivoluzione sovietica di Lenin. La vittoria del fascismo e la sua trasformazione in regime dittatoriale mise fuori legge il partito socialista, che si mantenne vitale fra i fuoriusciti all'estero. Direttamente impegnato nella Resistenza, durante la seconda guerra mondiale il Partito Socialista fu tra i maggiori sostenitori della nascente repubblica italiana. Fu alleato del Partito Comunista nel Fronte Popolare, durante gli anni dei governi centristi, fino a che nel 1956, con l'invasione dell'Ungheria da parte dei carri armati sovietici, non si staccò dal P.C.I. Negli anni '60 Nenni intraprese una politica di avvicinamento alla D.C., che portò i suoi frutti nella stagione del centro-sinistra