Morte:
Erano le
4:15 del 22 agosto del 1978 quando il suo cuore smise di battere.
Com'egli aveva chiesto, accanto al suo corpo ormai privo di vita, Darina
Elisabeth Laracy, sua moglie, recitò il Pater Noster.
Si
concludeva così, nella stanza numero 52, al secondo piano della
Clinique Génerale di Ginevra, in Svizzera nella quale da cinque mesi
era ricoverato, l'avventura umana d'Ignazio Silone.
Sullo
scrittoio, accanto al suo letto, erano i fogli sui quali stava scrivendo
Severina, l'ultimo romanzo incompiuto.
Aveva
settantotto anni, tre mesi e ventidue giorni.
La crisi
celebrale che doveva condurlo alla morte era sopraggiunta
all'improvviso, quattro giorni prima, mentre il sole, lentamente, stava
tramontando all'orizzonte.
Racconterà Darina Laracy: "Ad alta voce, molto chiaramente,
scandendo le parole egli disse: Maintenant c'est fini. Tout est
fini. Je
meurs'. Poi accostò le mani alle tempie e
gemette quattro volte 'Ohh-Ohh-Ohh-Ohh'.
Quindi
chiuse gli occhi e si afflosciò nella poltrona.
Lo chiamai disperatamente ma non reagiva. Incredula, dovetti credere
alle sue parole.
Ignazio
Silone era riuscito, con uno sforzo supremo, a realizzare il suo
desiderio: morire con dignità e consapevolezza.
Che in punto di morte abbia parlato una lingua non sua fu un fenomeno,
mi disse il medico, unico nella sua esperienza".
Adempiendo ad una sua specifica richiesta, il corpo di Ignazio Silone fu
cremato prima di essere sepolto nel cimitero di Piscina, il paese della
Marsica in cui era nato, " ai piedi del vecchio campanile di San
Bernardo, con una croce di ferro appoggiata al muro e la vista del
Fucino in lontananza".
Quella che segue è la storia di Ignazio Silone, del suo amore per la
libertà, della sua passione civile, della sua fede nella Giustizia,
della sua lotta per la Verità, dei tormenti, delle sofferenze, del
travagliato tragitto che egli compì lungo tre quarti di questo nostro
secolo difficile.
Testamento:
Testamento
spirituale di Ignazio Silone può essere considerato quello ritrovato
nella sua scrivania, nell'aprile del 1977, dalla moglie Darina
( in una busta a lei indirizzata ) che lo pubblicò in appendice a Severina.
Nello scritto ( che Darina fa risalire al periodo 1963-1966 ) è
detto: " ( Credo ) Spero di
essere spoglio d'ogni rispetto umano e d'ogni altro riguardo di
opportunità, mentre dichiaro che non desidero alcuna cerimonia
religiosa, né al momento della mia morte, né dopo.
E' una decisione triste e serena, seriamente meditata.
Spero di non ferire e di non deludere alcuna persona che mi ami.
Mi pare di
avere espresso a varie riprese, con sincerità, tutto quello che sento
di dovere a Cristo e al suo insegnamento.
Riconosco
che, inizialmente, m'allontanò da lui l'egoismo in tutte le sue forme,
dalla vanità alla
sensualità. Forse la privazione precoce della famiglia, le infermità
fisiche, la fame, alcune predisposizioni naturali all'angoscia e alla
disperazione, facilitarono i miei errori.
Devo però
a Cristo e al suo insegnamento, di essermi ripreso, anche standomene
esteriormente lontano. Mi è capitato alcune volte, in circostanze
penose, di mettermi in ginocchio, nella mia stanza, semplicemente, senza
dire nulla, solo con un ( forte ) sentimento d'abbandono; un paio di
volte ho recitato il Pater noster; un paio di volte ricordo di essermi
fatto il segno della Croce.
Ma il " ritorno " non è stato possibile, neanche dopo gli
" aggiornamenti " del recente Concilio.
La
spiegazione del mancato ritorno che ne ho dato, è sincera.
Mi sembra che sulle verità cristiane essenziali si è sovrapposto nel
corso dei secoli un'elaborazione teologica e liturgica d'origine storica
che le ha rese irriconoscibili.
Il
cristianesimo ufficiale è diventato un'ideologia. Solo facendo violenza
su me stesso, potrei dichiarare di accettarlo; ma sarei in mala fede
".
Nel testamento, datato 9 giugno 1970, Silone lascia erede di ogni suo
bene la moglie Darina. Aggiunge disposizioni particolari in tre
allegati.
Nel primo
da disposizioni sulla sua sepoltura; nel secondo lascia " un
tangibile segno di ricordo " a Gabriella Maier, Antonietta Leggeri,
Romolo Tranquilli fu Pomponio, Valeria Tranquilli fu Pomponio; Luce
D'Eramo; nel terzo da disposizioni sul suo archivio e si dichiara
decisamente contrario alla pubblicazione di lettereaventi carattere
puramente personale e di manoscritti inediti o semplici note.
Funerale:
C'erano
undici persone in tutto, a Ginevra, ad assistere alla cerimonia della
cremazione: Darina con due amiche, tre giornalisti, un fotografo, il
vice console italiano, un impiegato del Consolato,un socialista svizzero
e Luigi Buzzi, vecchio militante del Psi, consigliere comunale di
Cernobbio, che con lui aveva condiviso, nel '40, le amarezze
dell'esilio.
Il vecchio Buzzi non riusciva a trattenere le lacrime.
" E' stato, diceva, uno dei migliori uomini politici che l'Italia
abbia mai avuto. Non lo hanno voluto perché era un politico vero e non
un politicante ".
Fu una cerimonia mesta. Ma la lui, probabilmente, sarebbe piaciuta
proprio così col vecchio Buzzi che non sapeva dove mettere le sue
grosse mani e si guardava intorno smarrito, ignaro di non esser più, in
quel momento, il vecchio Buzzi soltanto, ma di rappresentare una lunga
teoria di uomini e donne : la lunga teoria dei " cafoni " a
nome dei quali era venuto sin lì per rendere omaggio a Ignazio Silone.
Due giorni
dopo, alle 3.30 del mattino, accolte dal sindaco Ermete Parisse, le
ceneri arrivarono a Piscina. Un vero corteo funebre si snodò, qualche
ora dopo, sotto il sole cocente, lungo la via principale del paese,
dedicata a Poppedio Silo.
Il cimitero
era pieno di corone con in prima fila quelle di Pertini, presidente
della Repubblica ( andrà a rendergli omaggio in privato successivamente
), di Ingrao, presidente della Camera, di Fanfani, presidente del
Senato.
C'erano i gonfaloni di tutti i comuni della Marsica e dei capoluoghi
dell'Abruzzo e tanti uomini politici venuti da Roma e persino un
ambasciatore.
L'urna venne per il momento collocata nella tomba di famiglia in attesa
che l'autorizzazione delle Belle arti consentisse di dare adempimento
alla sua richiesta: " Mi piacerebbe di essere sepolto così, ai
piedi del vecchio campanile di San Berardo, a Piscina, con una croce di
ferro appoggiata al muro e la vista del Fucino in lontananza ".
Qui fu sepolto, un anno dopo, in agosto. E questa volta, a salutarlo,
non c'erano soltanto le " autorità ", ma una folla di più di
quindicimila " cafoni ".
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