Dalla
scelta del socialismo avvenuta a 18 anni in piena guerra, mentre lo
scrittore ancora studente liceale,
sino alla sua uscita nel 1927 dal movimento comunista. Si trattò
in partenza di scelta pre- ideologica, dettata soprattutto da un impeto
di ribellione contro la situazione feudale nella quale versavano i
contadini del Fucino, contro l'ipocrisia delle classi dirigenti e delle
strutture dello Stato « liberale », ma soprattutto della constatazione
di « un contrasto stridente, incomprensibile, quasi assurdo », tra la
vita privata e familiare, prevalentemente morigerata e onesta, e i
rapporti sociali, « assai spesso rozzi, odiosi, falsi ».
Al fondo della vocazione del rivoluzionario comunista, era, come si è
visto, un'angoscia e una ribellione che si proiettarono successivamente
nell'azione politica, nell'organizzazione, nella lotta contro il
fascismo in Italia e in Europa. Alla « rivoluzione » velleitaria
progettata insieme a qualche altro ragazzo nel paese del Fucino, per
uscire dal conformismo e forse dalla noia di una provincia meridionale
tra le piú misere e arretrate, si sovrappose l'ideologia razionale del
marxismo: ormai il giovane si era scelta la vocazione di « ribelle ».
Silone si domanda « per quale destino o virtú o nevrosi a una certa età
si compie la grave scelta»:
Forse nessuno
lo sa. Anche la confessione piú approfondita diventa, a un certo punto,
semplice constatazione o descrizione, non risposta. Ognuno, che abbia
seriamente riflettuto su se stesso e sugli altri, sa quanto certe
deliberazioni siano segrete, e certe vocazioni misteriose e
incontrollabili. Vi era nella n~ìa ribellione un punto in cui il
rifiuto e l'amore coincidevano: sia i fatti che giustificavano
l'indignazione, sia i motivi morali che l'esigevano, mi erano dati dalla
contrada nativa. Il passo dalla rassegnazione alla rivolta era
brevissimo: bastava applicare alla società i principi ritenuti validi
per la vita privata. Cosf mi spiego anche perché tutto quello che
finora m'è avvenuto di scrivere, e probabilmente tutto quello che
ancora scriverò, benché io abbia anche viaggiato e vissuto a lungo
all'estero, si riferisce unicamente a quella parte della contrada che
con lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui, e che non
misura piú di trenta o quaranta chilometri in un senso e nell'altro.
Se questo era stato l'itinerario di Silone verso il socialismo e il
comunismo, l'uscita dal movimento comunista mondiale venne dettata da un
disagio e da un dissidio, morale prima che politico, dall'impossibilità
di coesistere con personaggi pronti ad asservirsi al potere delle
maggioranze artificiosamente create dai sistemi di quel « centralismo
democratico » che tutto è fuorché democratico, e che può diventare,
in una società fortemente dogmatizzata, la fonte di qualunque sopruso.
Le
polemiche che seguirono la pubblicazione del saggio di Silone in un
volume che raccoglie anche altre testimonianze di ex comunisti, hanno
fatto conoscere le vicende delle famose riunioni dell'Internazionale
comunista del 1927, e lo stesso Togliatti, che aveva condiviso in un
primo tempo la posizione di Silone, passando dall'altra parte dopo la
definitiva vittoria delle tesi staliniane, ne riconobbe l'obiettività,
il che ci consente di non riportarne le fasi.
Silone è stato uno dei primi, all'interno del movimento comunista
mondiale, a rendersi conto di come la << mostruosa ambiguità del
comunismo >> rispecchiasse allora in larga misura_la diversità
dei comunisti rispetto al potere << senza legittimare la
conclusione ch'esso fosse tutto in un senso in Russia e interamente l'
opposto altrove >> e ne è la controprova il fatto che dovunque un
regime comunista sia riuscito ad impiantarsi, esso si è concretato
negli stessi modi e nelle stesse forme: la dittatura del partito unico,
al cui interno si è impadronito di tutte le leve un piccolo gruppo di
satrapi, spesso con ferocissime ed ermetiche lotte tra gli stessi suoi
componenti, dalle quali è esclusa la stessa base popolare del partito e
del paese, e che si concludono con grandi processi a carico di vecchi e
a volte gloriosi militanti; l'instaurazione di una polizia politica e di
una polizia ideologica, il controllo della cultura e dei mezzi
d'espressione, la storìa riscritta ad ogni mutamento del gruppo
dirigente e secondo le esigenze di situazioni politiche, contingenti, la
sottoposizione delle classi lavoratrici ad una politica di potenza,
anche contro gli interessi e le aspirazioni , dei lavoratori stessi.
Il merito della polemica siloniana è stato quello di aver
demistificato, assai prima dì ogni revisione ufficiale e di ogni
<<disgelo >>, la mitologia del partito infallibile e di
avere indicato i delitti, assai più che gli << errori >>,
dello stalinismo, nonché quelli sia pure minori dei suoi successori, i
deteriori risultati di una rivoluzione «
permanente » che non ha piú nulla da offrire agli uomini del nostro
tempo.
Ma soprattutto dobbiamo esser grati a Silone di aver saputo scoprire e
tradurre in termini di fantasia l'angoscia profonda che sentiamo animare
gli uomini migliori del socialismo e talvolta dello stesso comunismo di
fronte alle contraddizioni ormai storiche del marxismo tradotte in
sistema di governo.
Silone è dei pochissimi tra quelli che, usciti dal partito comunista
alla vigilia degli anni trenta, abbiano saputo tener fede alla loro
vocazione socialista e antifascista, nel senso di quell'antifascismo
perenne che non si risolve nella pura negatività, e la cui polemica non
si è mai chiusa nello schematismo di un anticomunismo programmatico.
Tra
i fondatori del PCI ben presto attivista clandestino a fianco Gramsci,
dopo una fertile esperienza giornalistica qauale direttore del
settimanale « L'Avanguardia » e redattore del « Lavoratore » di
Trieste.
Quando
tutto autorizzava a credere che la sua scelta per l'attività politica
si stesse concretizzando in una sicura carriera di militante, ecco
giungere la sua decisione
peraltro
maturata a lungo - di dimettersi dal Partito.
E questo in eslio, lontano dalla sua gente e dalla sua terra, nel
periodo in cui il regime fascista infieriva con maggiore crudezza e
violenza.
E' già stato detto e scritto da molti: uscire dal Partito Comunista non
è come allontanarsi da qualsiasi altro partito o movimento politico
come per un sacerdote abbandonare l'abito talare, sempre che la sua
vocazione iniziale sia stata autentica.
Perché nell'uno e nell'altro caso
è necessario parlare di vocazione; per questo la
condizione dell'ex comunista viene sovente accomunata a quella
dell'ex prete.
Ci si trova coinvolti in un esame di coscienza che non chiama in causa
soltanto il
significato
dell'esperienza di cui si è stati protagonisti ma anche la propria
esistenza privata, di uomo che vive in una comunità sociale, politica o
religiosa, condividendone le istanze e le aspirazioni, i propositi e le
speranze, i sacrifici ed i programmi, e che, quindi, deve rispondere del
proprio gesto agli altri oltre che a sé stesso.
Ora, Silone era ben lontano dall'aver tradito i suoi « cafoni »,
dall'aver rinunciato alla lotta in nome della causa per cui essi
continuavano a penare ed a sopravvivere, ma occorreva dimostrarlo in
qualche modo, confermare loro quella fiducia che più o meno
consapevolmente avevano riposta in lui. Ed è proprio tenendo presenti
tali esigenze essenzialmente morali, che s'accingeva a proseguire
isolatamente,come scrittore, la propria battaglia, sempre più convinto,
ormai, della inconciliabilità di certi termini e concetti quali
organizzazione e libertà, dogma e verità.
Silone dice:
La
mia fede nel socialismo ( di ciò, oso dire, testimonia tutta la mia
condotta successiva) è rimasta in me più che mai viva.
Nel suo nucleo essenziale essa è tornata a essere quella che era quando
dapprima mi rivoltai contro il vecchio ordine sociale: una negazione
della tradizione e del destino anche sotto lo pseudonimo di Storia;
un'estensione dell'esigenza eticadalla ristretta sfera individuale e
familiare a tutto il dominio dell'attività umana; un bisogno di
effettiva
fraternità; un'affermazione della superiorità della persona umana su
tutti i
meccanismi economici e sociali che l'opprimono.
Col passare degli anni vi si è aggiunto un teverente sentimento verso
ciò che nell'uomo incessantemente tende a sorpassarsi ed è alla radice
della sua inappagabile inquietudine. Ma non credo di professare in
questo modo un socialismo mio particolare. Le « verità pazze » ora
ricordate sono piú antiche del marxismo. Verso la seconda metà del
secolo scorso esse si rifugiarono nel movimento operaio partorito dal
capitalismo industriale, e continuano a restarvi una delle sue più
tenaci fonti
d'ispirazione.
Ogni sincero socialista, magari senza rendersene conto, le porta
in sé.
Ho già ripetute volte espresso il mio parere sui rapporti,
nient'affatto rigidi e immutati, tra il movimento socialista e le teorie
del socialismo.
Sono gli stessi rapporti che corrono tra le scuole filosofiche e i
grandi movimenti
storici.
Col progredire degli studi le teorie possono deperire ed essere
ripudiate, ma il movimento, contínua. Sarebbe tuttavia errato, con
riguardo al vecchio contrasto fra
dottrinari ed empirici dell'organizzazione operaia, annoverarmi tra
questi ultimi. Non concepisco la politica socialista indissolubilmente
legata ad una determinata teoria, però a una fede, si. Quanto più le
« teorie » socialiste pretendono di essere «scientifiche », tanto più
esse sono transitorie ; ma i «valori» socialisti sono permanenti. La
distinzione fra teorie e valori non è ancora abbastanza chiara nelle
menti di quelli che riflettono a questi problemi, eppure è
fondamentale.
Sopra un insieme di teorie si può costituire una scuola e una
propaganda; sopra un insieme di valori si può fondare una cultura, una
civiltà, un nuovo tipo di convivenza tra gli uomini.
<< L'uscita dal
partito comunista fu per me una data assai triste, un grave lutto, il
lutto della mia gioventù. Ed io vengo da una contrada in cui il lutto
si porta più a lungo che altrove. E se la mia povera opera letteraria
ha un senso, in ultima analisi, è proprio in ciò: ad un certo momento
scrivere ha significato per me assoluta testimonianza di testimoniare,
bisogno inderogabile di liberarmi da un'ossessione, di affermare il
senso e i limiti di una dolorosa ma definitiva rottura, e di una più
sincera fedeltà... >> |