Quale
è, o quale ritieni possa essere, oggi, la funzione di uno scrittore
rispetto alla società e alla vita politica dei nostro tempo? Ritieni
che uno scrittore debba trovarsi « Impegnato » nel limiti di
un'ideologia o in quelli di una determinata politica sociale?
Il primo dovere di uno scrittore è la sincerità. E il primo dovere di
una società verso i suoi artisti e scrittori è di rispettarne la
sincerità. Sono pertanto lontanissimo da ogni velleità di far
prevalere tra gli scrittori una mia particolare concezione delle
relazioni tra letteratura e politica. Personalmente io mi sono sempre
sentito « impegnato », nel senso più rigoroso del termine: «
impegnato », direi quasi nel senso che il termine ha nel gergo del
Monte di Pietà o Monte dei Pegni. Ma sono assolutamente avverso a farne
una norma o una misura di valore. Non credo raccomandabile indurre altri
scrittori, che spontaneamente non se la sentono, ad attenersi al
medesimo criterio. Ogni scrittore deve esprimersi con la sua voce: non
deve parlare o cantare in falsetto. Ho sempre riprovato nel concetto
d'impegno di Sartre e dei comunisti l'errore di farne una norma
e un giudizio di valore. Si è visto a quali disastrose conseguenze
conduce una tale aberrazione, quando tale norma diventa legge dello
Stato, com'è avvenuto nei paesi d'oltrecortina.
Ritieni
che uno scrittore debba prendere posizione direttamente o indirettamente
sui grandi temi del mondo contemporaneo, come quelli della minaccia
nucleare, della pace mondiale, della povertà, dei paesi
sottosviluppati, dell'espansionismo del comunismo, dei pericolo
costituito tutt'oggi da dittature di destra o di sinistra presenti o
future?
Uno scrittore, come ogni altro cittadino, avrebbe il dovere morale di
conoscere i problemi della propria epoca e di farsene un'opinione. Ma,
ovviamente, non può essere costretto. E' da sperare che lo scrittore
convinto di una qualche necessità sociale, la esprima anche in
dibattiti pubblici e polemiche. E' utile che lo studio e la trattazione
dei temi maggiori della nostra generazione non siano lasciati ai
professionisti della politica. Ma uno scrittore decade subito nel rango
di propagandista appena si fa il portavoce e il propagatore di parole
d'ordine elaborate da altri per questioni da lui personalmente non
studiate. E' un malcostume ora abbastanza diffuso che getta il ridicolo
su molti appelli e dichiarazioni di intellettuali. Anche a questo
riguardo, dunque, sorge il richiamo alla sincerità. Gli scrittori hanno
non l'obbligo, ma il dovere morale di contribuire ad illuminare
l'opinione pubblica sulle questioni da essi studiate e approfondite. Si
comportano però da autentici imbecilli quegli intellettuali o artisti
che firmano qualunque appello o protesta su argomenti di cui non hanno
la minima nozione, obbedendo a motivi di vanità o dì opportunismo.
Questo malcostume purtroppo ha come risultato di gettare il discredito
anche sulle iniziative più serie.
Come
pensi possa essere inquadrata la tua narrativa nell'attuale situazione e
nelle linee di sviluppo della letteratura Italiana d'oggi?
A quale altro scrittore pensi di essere più vicino ed affine?
Non so come possa essere inquadrata la mia narrativa nella nostra storia
letteraria contemporanea. Sinceramente non lo so e non mi preoccupa,
poiché non ritengo che sia compito mio di stabilirlo. Mi pare che gli
accostamenti suggeriti finora dai critici
siano inconsistenti. Poiché nei miei racconti ha una certa parte la
politica, qualcuno in un primo momento ricordò Domenico Guerrazzi;
poiché il paesaggio è rustico un altro accennò a Renato Fucini; poiché
vi figurano dei preti e vi si parla di religione, qualche altro ha
tirato in ballo…Fogazzaro; infine, ma non in fine, vari hanno
naturalmente scomodato Verga. Mi pare che nessuna di queste varie
presunte parentele regga alla riflessione. Vediamo un po'… i miei romanzi non sono politici, ma antipolitici; in essi è
rappresentata la condizione dell'uomo nell'ingranaggio della politica
contemporanea, ed è evidente che l'autore è dalla parte dell'uomo e
non dell'ingranaggio. In quanto al paesaggio, esso vi è accennato
appena, come proiezione dell'animo dei personaggi. Il religioso o il
sacro è quello terrestre della tradizione libertaria meridionale, che
non ha nulla in comune con quello intellettuale dei modernisti. E ì
contadini non sono incatenati nella loro tragica pena; dalle sofferenze
di Fontamara, malgrado tutto, sprizza un barlume di coscienza. Mi pare
sia un elemento essenziale, una « conclusione » che dà carattere a
tutto quello che precede. L'oratore non è più marxista, ma non è
passato invano per il marxismo.
La
tua crisi di militante e di dirigente comunista, il tuo distacco dal
partito comunista nel lontano 1927, è stata la causa determinante dei
tuo « passaggio » alla letteratura, o esisteva in te, prima di
quell'evento, una vocazione letteraria, sia pure insicura o repressa?
Vi è una forma dì rivolta esistenziale che contiene il germe di
sviluppi assai diversi, politici ideologici morali estetici. Sono le
circostanze della vita, e anche gli impulsi imprevedibili dello spirito,
a favorire più tardi uno sviluppo piuttosto che un altro. Posso dunque
affermare che le vicende interne dei comunismo facilitarono il mio
distacco dall'azione politica e la mia concentrazione nel lavoro
letterario, ma il bisogno di riflettere e di raccontare lo avevo avuto
da sempre . E' anche fuori dubbio che il senso della vita e dell'uomo,
che era all'origine di quel bisogno, contribuì non poco alla rottura
con una politica che ne era la negazione. Questo non significa che, di
punto in bianco, io diventassi indifferente alla politica. Rimasi
antifascista quanto o più di prima. Tutto quello che ho scritto in
seguito mi pare che stia a dimostrarlo.
C'erano
stati prima di Fontamara tuoi tentativi letterari, magari non portati a
termine a causa di altri impegni politici o intellettuali? L'esigenza di
raccontare si manifestò In te come una continuazione e magari come un
vero e proprio Ersatz dell'azione politica, o essa non passò in primo
piano come una vocazione in certo senso primaria della tua vita?
Devo dire che un certo gusto del « bello scrivere » l'avevo fin da
ragazzo ed esso fu incoraggiato in senso deleterio dal genere
d'insegnamento letterario che ricevetti nei collegi di preti da me
frequentati. Quando mi accinsi a scrivere Fontamara la prima precauzione
che dovetti prendere fu appunto di dimenticare il bello scrivere appreso
in collegio. Francamente non avevo modelli letterari a cui ispirarmi.
Fui sorpreso non poco, nel leggere le prime recensioni apparse dopo le
edizioni in tedesco e in inglese, di trovarvi menzionati nomi di autori
tedeschi inglesi e americani, a me ignoti, che, secondo i critici, mi
avrebbero ispirato. Se mi è lecito menzionare un antecedente non
letterario, direi che il lavoro di scrittura di Fontamara poteva
ricordarmi, in qualche momento, la redazione dei rapporti interni di
partito, con in più quello che nei rapporti mancava. Devo aggiungere
che le osservazioni che mi sono state mosse sullo stile e la forma, non
mi hanno fatto né caldo né freddo, perché mi ricordano appunto
l'insegnamento ricevuto in collegio da cui mi sono liberato. La vita è
troppo breve per tornare a discutere ancora di forma e contenuto.
I
tuoi romanzi rispecchiano, sia pure in una loro particolare prospettiva
fantastica, lirica e autobiografica, una certa realtà Italiana, la
realtà regionale di un mondo contadino che per la prima volta nella
storia letteraria Italiana uno scrittore tratta immedesimandosi in esso
e immedesimando in esso una sua visione storica ed ideologica e la sua
polemica contro la società. Ritieni che quel mondo e quella società
siano oggi diverse dall'epoca della tua esperienza giovanile e dei tuoi
primi libri? Possono essi continuare ad ispirare la tua opera di
narratore?
La
condizione sociale dei contadini meridionali è in una fase di rapida
trasformazione, come, d'altronde, la società italiana in genere. Sono
naturalmente soddisfatto di avere contribuito in modo particolare all'espropriazione del Fucino. Vari giornali la
chiamarono la « Rivoluzione di Fontamara ». Non direi però che la
nuova situazione sia quella del Regno di Dio sulla terra. Anche se uno
scrittore si applica a rappresentare la sorte di un ceto sociale che poi
si trasforma, non si può dire che la sua visione
della vita si esaurisca. Non vi sono riforme che possano
modificare sostanzialmente il carattere problematico dell'essere umano,
il
contrasto dell'individuo col collettivo, della società con lo stato,
lo
squilibrio tra la ricerca della felicità e il dolore. E' giusto lottare
per il benessere, ma non c'è da illudersi che esso risolva tutto:
risolverà i problemi della miseria e sarà molto. Le incognite più
essenzialmente umane risulteranno esasperate. Nel mio libro
Uscita
di sicurezza, mi occupo largamente di questo. Ma per me non è un tema
nuovo, è solo un aspetto dell'unico tema di cui mi sia sempre occupato,
la condizione dell'uomo nella società. Mancherei di
rispetto verso me stesso se, per cupidigia di successo, mi mettessi
anch'io a scrivere d'incesto e prostituzione, secondo
la moda. La moda non m'interessa, che, se moda,
passerà. |