PREVENZIONE

( ultimo aggiornamento di questa pagina 7/12/01 )


 

Indice

 

Premessa

Il carcinoma mammario si colloca al primo posto in ordine di incidenza e di mortalità fra i tumori maligni che colpiscono la popolazione femminile dei paesi industrializzati.

L’unica prevenzione possibile per questo tipo di tumore sembra attualmente solo quella secondaria, che si basa sull’effettuazione periodica della mammografia, esame in grado di diagnosticare carcinomi ancora in fase preclinica. Una diagnosi precoce permette il trattamento della malattia in uno stadio con una migliore prognosi e l’applicazione di terapie chirurgiche e mediche meno aggressive e meno invalidanti.

I programmi di screening mammografico, nati con l’intento di ridurre la mortalità per tumore al seno, prevedono l’esecuzione di mammografie periodiche. L’ampiezza della popolazione invitata, in termini di fascia di età, e l’età minima delle donne variano nei diversi programmi, così come la cadenza dei controlli mammografici. L’Health Insurance Plan e lo studio svedese delle due Contee, i primi programmi avviati, hanno dimostrato una riduzione della mortalità nella popolazione esaminata del 30% circa ed un rapporto costo/beneficio positivo anche in termini economici, dati che sono stati confermati da studi successivi.

Poiché l'esame mammografico utilizza radiazioni ionizzanti, bisogna considerare il rischio di tumore mammario radioindotto, tenendo conto che la mammografia viene effettuata su una popolazione sana e per un lungo arco di tempo.

Gli studi finora condotti hanno dimostrato come tale rischio sia trascurabile. Anche nell’eventualità di un carcinoma radioindotto, mediante la mammografia sarebbe possibile una diagnosi precoce ed una cura tempestiva.

Tali risultati non esimono, comunque, dal condurre l’esame mammografico con la migliore tecnica possibile e con apparecchiature dedicate e sottoposte ai controlli di qualità previsti dalla legge.

 


Storia dello screening mammografico

Per screening si intende l’impiego sistematico e periodico di un esame su una popolazione definita allo scopo di identificare tempestivamente i possibili portatori di una patologia rilevante. Gli studi condotti a partire dagli anni ’60 hanno cercato di stabilire se la mammografia, impiegata come esame di screening, potesse rilevare tumori mammari potenzialmente letali con un anticipo tale da permettere una riduzione della mortalità nella popolazione.

Health Insurance Plan

Il primo studio sullo screening mammografico è stato l’Health Insurance Plan (HIP), iniziato a New York nel 1963. Il gruppo di studio e quello di controllo erano formati ciascuno da circa 31.000 donne con età compresa fra 40 e 64 anni. Le donne del primo gruppo venivano invitate ogni anno, e per quattro anni consecutivi, per una mammografia in due proiezioni, mentre quelle del gruppo di controllo erano sottoposte solo ad un esame clinico. L’adesione al primo invito da parte delle donne del gruppo di studio fu del 65%, mentre l’88 % di esse si sottopose ad almeno un esame nei quattro anni.

Lo studio HIP dimostrò, dopo 18 anni di follow-up, una riduzione della mortalità per tumore mammario in tutte le donne sottoposte a screening mammografico del 23 %. Tale percentuale era maggiore nelle donne con età superiore ai 50 anni.

Breast Cancer Detection Demonstration Project

Il Breast Cancer Detection Demonstration Project (BCDDP) è uno studio svolto in diverse città degli Stati Uniti a partire dal 1973 a cui hanno partecipato più di 280.000 volontarie. In questo studio manca il gruppo di controllo dal momento che si è basato solo sull’adesione spontanea. Mammografia in due proiezioni ed esame clinico sono stati effettuati ad intervallo annuale per cinque anni e successivamente le pazienti sono state seguite per ulteriori cinque anni. Le donne avevano un’età compresa fra i 35 ed i 74 anni; più della metà si sottopose a tutti i cinque controlli. E’ stata dimostrata una riduzione della mortalità nelle pazienti che avevano aderito al programma anche se alcuni parametri erano più difficili da calcolare ed altri mancavano, dal momento che non si trattava di uno studio randomizzato

Studi svedesi

In Svezia sono stati condotti diversi studi a partire dagli anni ’70: Stoccolma, Malmö, Gothemberg, Kopparberg e Ostergotland (Studio delle Due Contee).

Ogni trial ha adottato un protocollo differente: in alcuni è stata eseguita una sola proiezione mammografica, in altri due, l’intervallo tra le mammografie varia da 18 a 24 mesi, l’età minima delle pazienti va da 40 a 45 anni, la massima da 59 a 74 anni.

In totale sono state esaminate 282.777 donne, con un follow-up di 13 anni. La percentuale di riduzione di mortalità su tutte le donne invitate allo studio è stata del 24%, del 29 %, invece, nella fascia di età da 50 a 69 anni.

Studio di Edimburgo

Dal 1978 al 1981 circa 23.000 donne, di età compresa fra 45 e 64 anni, sono state sottoposte a mammografia in due proiezioni ed esame clinico con intervallo variabile da 12 a 24 mesi. Il follow-up è stato di sette anni. Il gruppo di controllo era formato dallo stesso numero di donne. 

La riduzione della mortalità è stata variabile dal 14 al 21%, ma lo studio è stato criticato sia per la mancanza di una significatività statistica, che per il metodo di reclutamento delle donne

Canadian National Breast Screening Study

Si tratta di uno studio randomizzato su donne con età da 50 a 59 anni sottoposte a mammografia in due proiezioni ed esame clinico annuale. Nel 1992 erano state invitate più di 39.000 donne con un follow-up di 8.3 anni, con un tasso di partecipazione dell’85%. Numerose critiche sono state mosse allo studio canadese, le cui conclusioni erano discordanti con gli altri studi in quanto non si rilevava nessun beneficio, in termini di diminuzione di mortalità, dall’esecuzione di mammografia. Il mancato successo del programma è riferibile principalmente al follow-up troppo breve per molte pazienti, alla scelta di queste ultime ed alla qualità, giudicata scadente, delle mammografie eseguite.

Studi italiani

Il primo studio condotto in Italia a partire dal 1970 è stato quello della provincia di Firenze. Sono state invitate donne dai 40 ai 70 anni, con un’adesione al primo invito del 52%. L’intervallo medio fra una mammografia, eseguita in due proiezioni, e l’altra è stato in media di 30 mesi. La diminuzione della mortalità in termini di odds ratio è stata di 0,51 nel gruppo di età 50-59 anni e di 0,63 nel gruppo di età 40-49 anni.

Alla fine del 1990 è partito il Programma di screening della città di Firenze, che invita, per una mammografia in due proiezioni ogni due anni, donne con età dai 50 ai 69 anni. La fine del programma è prevista per il 2019: considerando un’adesione del 70 % si stima per quell’epoca una diminuzione della mortalità del 13 % in tutte le donne che hanno partecipato al programma. Se l’adesione sarà solo del 55 % la diminuzione della mortalità sarà del 10 %.

Altre città italiane hanno avviato nuovi programmi di screening mammografico a partire dal 1986. Nel 1992 è stato attivato il primo centro di screening a Torino con il programma Prevenzione Serena.

Torino - Prevenzione Serena

Nella città di Torino è attivo, dal 1992, un programma di prevenzione dei carcinomi della mammella e del collo dell’utero; il programma è denominato “Prevenzione Serena”. Il programma è gratuito ed è rivolto alle donne residenti nel Comune di Torino. E’ in corso di attuazione l’estensione del programma all’intera Regione Piemonte. La prevenzione del tumore del collo dell’utero viene attuata mediante pap-test periodico nella fascia di età dai 25 ai 69 anni. La prevenzione del tumore della mammella viene attuata mediante mammografia periodica, ogni due anni, nella fascia di età dai 50 ai 69 anni. Sono attivi a Torino tre centri di screening mammografico: il centro della ASL 1, il centro dell’Ospedale S.Anna ed il centro dell’Ospedale Molinette.

 


Lo screening: l'importanza della diagnosi precoce

Nonostante i numerosi studi in corso a livello di prevenzione primaria, in particolare per quanto riguarda abitudini di vita, genetica e chemioprevenzione, attualmente le possibilità di sopravvivenza dei soggetti colpiti sono in gran parte legate alla diagnosi precoce. Il razionale di questa affermazione è basato sulle conoscenze a disposizione sulla evoluzione naturale della malattia: oggi sappiamo che il cancro nasce come patologia locale, limitata alla mammella, ma con il tempo può diventare sistemica, diffusa a tutto l’organismo. Se la malattia viene scoperta in una fase iniziale, quando le dimensioni del tumore sono ridotte, le probabilità di guarigione sono molto alte: in caso di una piccola lesione, inferiore ad un centimetro di diametro, la sopravvivenza a 15 anni è superiore al 90%. Se invece il tumore viene diagnosticato quando ha già raggiunto notevoli dimensioni, le possibilità di sopravvivenza a distanza si riducono considerevolmente.

La diagnosi precoce comporta anche grandi vantaggi dal punto di vista terapeutico. Infatti, in caso di tumore iniziale, i trattamenti necessari sono spesso più semplici e comportano, nella maggior parte dei casi, un intervento chirurgico di tipo conservativo, cioè con asportazione solo del nodulo o comunque di una piccola parte della mammella, con indubbi vantaggi clinici, estetici e psicologici. In caso di tumore avanzato, invece, sono quasi sempre necessarie terapie aggressive, con interventi chirurgici ampiamente demolitivi e successivi trattamenti di radioterapia e chemioterapia.

Anche per la collettività i vantaggi della diagnosi precoce sono considerevoli: il trattamento delle forme avanzate di tumore comporta, infatti, costi economici e sociali elevatissimi, con enormi difficoltà nell’organizzazione e gestione delle risorse.

 


La dose di radiazioni in mammografia

Cenni storici di dosimetria in mammografia

Le prime immagini mammografiche furono eseguite su pezzo operatorio nel 1913 da Albert Salomon, mentre solo nel 1930 Stafford L. Warren sottopose una paziente a mammografia “in vivo”.

L’interesse per la senologia crebbe a partire dagli anni ’60, insieme agli studi volti al miglioramento della diagnostica per immagini in questo campo.

Nel 1960, infatti, Egan propose una tecnica mammografica che prevedeva l’utilizzo di kV bassi, mA elevati, pellicole industriali a grana fine e l’esecuzione di tre proiezioni per mammella (cranio-caudale, obliqua medio-laterale e latero-laterale a 90°). Il primo mammografo fu ideato e fatto costruire da Gros qualche anno più tardi, nel 1967.

Lo stesso Egan nel 1962 pubblicò uno studio sulla dose ricevuta dalla cute e da un punto considerato centrale all’interno della mammella, utilizzando sia il fantoccio Mix D che tessuto mammario congelato e tagliato dopo autopsia. I valori di dose per la cute oscillavano da 2 a 10 rad (pari a 20-100 mGy), mentre i valori a 3 cm di profondità variavano da 4,8 a 6,4 rad (40-64 mGy) per esposizione, a seconda della grandezza della mammella e del tipo di proiezione.

Pur non esistendo ancora un modello di mammografo dedicato si iniziò a studiare l’influenza sulla dose da parte di diversi tipi di finestre di tubi radiogeni abbinate o meno a filtri in alluminio di vario spessore.

In uno studio dosimetrico “in vivo” effettuato nel 1970 vengono riportati valori medi di dose cutanea superiori rispetto allo studio precedente, ma bisogna anche considerare che i dosimetri rimangono applicati alla cute della paziente durante l’esecuzione di tutte le sei proiezioni.

Con l’introduzione di mammografi dedicati si iniziano a studiare anche nuove possibilità di utilizzo di anodi in Molibdeno oltre che in Tungsteno accoppiabili con filtri in diversi metalli.

Alla fine degli anni ’70 una analisi americana eseguita sui dati riportati dai centri che avevano aderito al Breast Cancer Detection Demonstration Project calcolava una dose ghiandolare media (DGM) per due proiezioni, di 0,081 rad (0,81 mGy). Questi dati si riferivano ad una mammella standard di 6 cm di spessore e ad un sistema di rivelazione schermo-pellicola (mentre per la xeromammografia la dose saliva a 0,74 rad).

I mammografi di nuova generazione utilizzano, oltre agli anodi tradizionali, anche anodi e filtri in Rodio che permettono una minor dose di esposizione anche per mammelle di spessore maggiore alla media. La selezione dell’anodo e del filtro è diventata automatica, così come la selezione dei kV più adatti al miglior compromesso fra dose e contrasto.

Nonostante la proposta di misure diverse dalla DGM, ancora oggi viene utilizzata quest’ultima.

Uno studio francese del 1990, eseguito “in vivo” mediante dosimetri a termoluminescenza (TLD) applicati sia nelle proiezioni C-C, che L-L a 90°, riporta valori di DGM variabili da 0,7 a 4,8 mGy.

Gentry nel 1996, sempre con misurazioni “in vivo”, ha ottenuto una DGM media per una mammella di 4,5 cm di spessore di 1,5-1,8 mGy, e di 3,0 mGy per una mammella di 8 cm. Questi valori si riferiscono soltanto alla proiezione C-C.

I dati ricavati sia da misurazioni su fantoccio in plexiglas, che dai valori dell’ESAK sulle pazienti non si discostano molto da quelli calcolati “in vivo”.

Faulkner nel 1994 riporta valori oscillanti da 1,03 a 1,30 mGy (derivati dai dati delle pazienti) e da 1,15 a 1,35 (misurazioni su blocco di plexiglas).

Heggie nel 1996 in Australia calcola una DGM media di 2,26 mGy per pellicola; Klein in Germania nel 1997 riporta valori medi di 1,59 mGy in un gruppo di pazienti e di 2,07 nel secondo gruppo; Burch nel Regno Unito nel 1998 riferisce una DGM media per pellicola di 1,7 mGy per la proiezione obliqua e di 1,4 mGy per la C-C.

Controllo della dose in mammografia

Le Linee Guida europee per il controllo di qualità nella mammografia di screening prevedono diversi approcci dosimetrici: la misura della dose di ingresso in aria (ESAK: Entrance Surface Air Kerma), che può essere misurata mediante dosimetri a termoluminescenza sia sulla paziente che sul fantoccio in plexiglas o derivata indirettamente dal rendimento del tubo, oppure la determinazione della dose ghiandolare media (DGM o AGD, average glandular dose), che viene calcolata dall’ESAK utilizzando un fattore di conversione g in funzione dello strato emivalente (SEV) secondo la formula:

DGM = ESAK x g.

Questa formula si riferisce ad una mammella standard ovvero di spessore complessivo di 5 cm e composta per il 50 % da tessuto ghiandolare e per il 50 % da tessuto adiposo. Per mammelle di spessore o composizione diversa vengono utilizzati ulteriori fattori di conversione.

La dose ghiandolare media è la misura di dose assorbita che maggiormente fornisce un’indicazione del rischio di carcinogenesi in quanto fra i tessuti che compongono la mammella (cute, ghiandola e grasso) è la porzione ghiandolare quella più predisposta allo sviluppo di un tumore. Sono stati proposti anche altri parametri per la valutazione della dose, come la dose ghiandolare massima e l’energia somministrata, che tuttavia non vengono utilizzati nella pratica quotidiana

Secondo il protocollo ISTISAN la dose di ingresso in aria a 4,5 cm dal piano d’appoggio deve essere inferiore o uguale a 12 mGy e la dose ghiandolare media inferiore o uguale a 3 mGy per esposizione con uso di griglia; il test per il controllo delle dosi viene effettuato annualmente.

Dose di radiazioni e rischio di tumore radioindotto in screening mammografico

Ogni esame radiologico, secondo le leggi della radioprotezionistica, deve essere giustificato ed ottimizzato: ciò significa che il beneficio che deriva al paziente dall’esecuzione dell’esame stesso deve superare il rischio correlato all’esposizione a radiazioni ionizzanti.

Per quanto riguarda la mammografia, per garantire una buona immagine radiografica (e quindi informazione diagnostica), contenendo il più possibile la dose somministrata alla paziente, sono previsti adeguati programmi per il controllo di qualità, suddivisi in tre livelli. I test vengono effettuati su ogni componente del sistema che contribuisce alla formazione dell’immagine dal tubo radiogeno al recettore, al trattamento della pellicola ed anche sulle condizioni di osservazione e sulla qualità dell’immagine.

Non è mai stato dimostrato alcun tumore insorto in seguito all’esecuzione di mammografia, anche se ripetuta nel tempo ed anche considerando dosi superiori a quelle attualmente raggiunte. Negli ultimi anni, infatti, grazie all’evoluzione tecnologica sia delle apparecchiature mammografiche che delle sviluppatrici e delle pellicole è migliorata la qualità delle immagini, che vengono ottenute con dosi minori.

Nonostante queste considerazioni il rischio di tumore mammario radioindotto esiste ed influenza in parte l’accettazione dello screening mammografico da parte delle pazienti e talvolta anche dei medici curanti.

Gli studi sulla stima di rischio di tumore mammario radioindotto, basati sulle osservazioni sui sopravvissuti giapponesi alle bombe atomiche, sulle pazienti canadesi sottoposte a fluoroscopia e sulle pazienti radiotrattate per mastite o per Linfoma di Hodgkin, si sono avvalsi di due modelli. Il modello di rischio assoluto prevede un numero costante di tumori in eccesso negli anni seguenti al periodo di latenza; secondo il modello di rischio relativo, invece, tale numero cresce ogni anno, dal momento che rappresenta una percentuale costante dell’incidenza del tumore mammario spontaneo, che quindi cresce all’aumentare dell’età. I recenti studi di Miller sui sanatori canadesi suggeriscono che in realtà i due modelli siano più complessi di quanto descritto e che, per entrambi i modelli, il rischio sia variabile nel corso della vita dell’individuo.

Per l’analisi del rapporto costo/beneficio dei programmi di screening mammografico sono stati proposti alcuni modelli come il MISCAN, il modello di Pelikan e Moskowitz ed un modello computerizzato dell’Istituto Goustave Roussy. Più recentemente alcuni Autori hanno sviluppato un modello computerizzato (MBS) per l’analisi del rapporto rischio-beneficio nei programmi di screening mammografico, i cui risultati sono in linea con lo studio svedese delle due contee.

Questo modello dimostra che non solo i benefici superano i rischi negli attuali programmi di screening sulle pazienti di età compresa fra 50 e 69 anni, ma che tali programmi dovrebbero essere applicati a partire dai 40 anni, senza un significativo rischio di tumore mammario radioindotto. Nello studio di Feig il rischio in un milione di donne di età fra i 40 ed i 49 anni che eseguono un’unica mammografia in una proiezione con una DGM di 1 mGy è stimato in 4 tumori mammari in eccesso ovvero 2 morti per tumore mammario nei 34 anni di vita medi successivi alla mammografia di queste donne. Tale rischio di morte è considerato uguale a quello corso percorrendo 2500 miglia in aereo (da New York a Los Angeles), 1500 miglia in treno (da New York a Miami) o 220 miglia in automobile (da New York a Boston), oppure fumando 1,5 sigarette.

 


Le informazioni qui contenute possono essere utilizzate unicamente a fini educativi. In nessun caso possono essere impiegate in sostituzione o in alternativa ad una diagnosi/terapia espressa da un medico.


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