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Albert King

alking03.JPG (12913 byte) "Il Blues è una Gibson Flying V chiamata Lucy" (Albert King)

"Qui si fermavano i Joads nel loro cammino verso Occidente sulla Highway 66; qui facevano rifornimento i pullman transcontinentali in tutto un ciclo di film di solitari vagabondaggi. Se nel romanzo tipico degli anni 20 l’eroe va alla stazione ferroviaria della cittadina di provincia per salire sul treno che dovrà portarlo alla metropoli piena di promesse, nel romanzo tipico degli anni ‘30 egli è lasciato solo su una strada di grande comunicazione a chiedere un passaggio per una destinazione sconosciuta. Alla fine di "U.S.A.", di Dos Passos, il giovane Vaq se ne sta, affamato e con i piedi doloranti sul ciglio di una strada, senza speranza o meta alcuna salvo quella di andare un centinaio di miglia più avanti". (1)

Il destino e la predestinazione errabonda furono tra le caratteristiche principali di molti bluesmen ed anche Albert Nelson (25 Aprile 1923-Indianola/Mississippi) segui la sorte di migliaia di afroamericani in quel periodo cruciale della storia degli Stati Uniti d’America. Quando il padre di Albert, un predicatore, abbandonò la famiglia i Nelson si trasferirono in una fattoria nei pressi di Forrest City (Arkansas) dove il giovane Albert, all’età di otto anni, cominciò a lavorare nei campi. Nella dura realtà rurale uno dei pochi momenti di autentica catarsi liberatoria dall’opprimente quotidianità era costituita dalla musica blues ed in questo caso specifico il giovane Nelson rimase affascinato dai blues del chitarrista Blind Lemon Jefferson; "ìl primo che ascoltai fu Blind Lemon Jefferson: in seguito lo ascoltai anche sui dischi ma ero solito vederlo i sabato pomeriggio nei parchi di quelle piccole cittadine attorno a Forrest City". Albert King ricorda con piacere anche le volte in cui riusciva a sbirciare l’avvenente Memphis Minnie quando si esibiva a quelle parti, di solito accompagnadosi al piano in completa solitudine. Dopo l’acquisto memorabile della sua prima chitarra acustica, comprata per un dollaro e 25 in un banco di pegni di Little Rock, gli artisti che maggiormente influenzarono furono T. Bone Walker, Sonny Boy Williamson e Lonnie Johnson.
"Li ascoltavo alla radio. Ho dimenticato il nome della stazione ora, ma trasmettevano blues e brani pop. Poi quando volevo ascoltare solo blues, mi spostavo sul canale di Nashville, alzavo il volume e ascoltavo lo show di Sonny Boy, King Biscuit Entertainers. Bene, allora cominciai a provare realmente i blues. Quando volli suonare il blues-you-know-andai a comprarmi una vera high-priced guitar" .(2)
La sua prima esperienza musicale la ebbe con un gruppo chiamato Yancey’s Band, dalle parti di Osceola (Arkansas) ed in seguito, dopo aver trovato lavoro nelle costruzioni guidatore di bulldozer, formò una band chiamata "The Groove Boys"."Cominciai con il gruppo: io alla chitarra, Odell Mitchell alla batteria e un altro ragazzo al piano. Quando iniziammo non conoscevamo che tre canzoni e le suonavamo veloce, con un tempo medio e poi lento. Più tardi mettemmo nel repertorio qualcosa di Howlin’ Wolf, del pianista Mercy Dee, ed anche T-Bone Walker e Sonny Boy Williamson. Lo sai anche tu che quei pezzi andavano forte da quelle parti". (3)
L’esperienza con questa band fu fondamentale ed il momento cruciale di svolta, per quanto riguarda gli indirizzi musicali di Nelson, fu l’affermarsi prepotente dello stile chitarristico e vocale, così innovativi per quegli anni, di un certo T-Bone Walker che con il suo hit senza tempo "Stormy Monday Blues", aprì le menti di innumerevoli musicisti in cerca di affermazione e riconoscimenti; infatti Albert si convinse che era lo stile più congeniale alle sue possibilità, e se all’inizio i risultati non furono proprio soddisfacenti la strada era, però, ormai aperta: si trattava solamente di acquisire uno stile personale e modellano sia sulla materia (lo stilema blues) sia sullo strumento. Albert King reclutò per gli "In The Groove Boys" un giovane chitarrista chiamato Walter Jefferson e gli insegnò qualcosa sul sound chitarristico che voleva ottenere e passò alla batteria: "Più tardi gli altri membri del gruppo decisero che non servivo più… Erano veramente in gamba allora sai cosa intendo? Così lasciai la band e mi spostai verso South Bend (Indiana)".
Dopo una breve esperienza con un gruppo gospel chiamato "The Harmony Kings" Albert King raggiunse Gary, sempre nell’Indiana, ed in seguito arrivò alla meta più ambita di tutti i bluesmen ovvero alla Windy City o Chicago (lllinois) come è contrassegnata sulle carte geografiche.
Negli annali del blues corre l’anno 1953 e a Gary in quel periodo si trovava uno degli artefici di quel blues strascicato, e pigramente altalenante, che aveva nella gola arsa dall’alcool di un tale chiamato Jimmy Reed le sue principali note distintive e, perché no, le sue notevoli capacità di fascinazione ed attrazione.
"Trovai lavoro come batterista con Jimmy Reed, suonavamo in minuscoli joints, ma Jimmy non riusciva a rimanere sobrio per molto tempo, così mi dissi: All’inferno farò un disco per conto mio".
Nel 1953 Albert King era a Chicago dove prese contatti con il dj Al Benson, proprietario di una piccola label indipendente chiamata Parrott Records, con la quale incise le sue prime tracce discografiche: "Quando incisi i miei primi brani non ero mai stato in studio nella mia vita  "Walking From Door To Door" e "Lonesome In My Bed". Entrambi i brani vendettero bene, circa 350.000 copie. Io ci ricavai, 14 dollari".
Sulle prime tracce discografiche di Albert King vi sono delle discordanze e forse delle vere e proprie inesattezze cronologiche nel momento in cui nell’intervista sopraccitata (vedi Guitar World /Settembre 1977) lo stesso Albert sostiene di aver registrato per primi "Bad Luck Blues" e "Be On Your Merry Way" (entrambi su A.King / O. Rush: Door To Door, Chess 1538-30/11/1953). In ogni caso, è con l’eccellente "Bad Luck Blues" per la Parrott di Al Benson, che Albert comincia a farsi conoscere, uscendo da un anonimato senza infamia ne lode. Dopo questa prima seduta discografica intraprende alcuni gigs promozionali nell’area di St. Louis (Missouri) e quindi ritorna in studio per una serie di incisioni per le etichette Bobbin e King (1959 e 1962).
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Albert con Stevie Ray Vaughan

St. Louis / Missouri
La mobilità e forse l’instabilità precaria alla quale tutti i bluesmen in cerca di fortuna si piegarono, portarono Albert Nelson nella città di St.Louis (Missouri), dove esisteva fin dagli anni ’20 una fiorente e vivace scena blues.

"Ho in mente di fare il vagabondo/Ho In mente di lasciare questa città/Se non vado a Memphis sarò in cammino per l’Alabama". ("Rambler’s Blues" 1953 / Tampa Red).

Negli anni ‘20 e ‘30 St. Louis ma anche East St. Louis avevano un’infinità di nightclub e tavern dove i bluesmen arrivati in cerca di fortuna dalle regioni del Sud, avevano la possibilità di esibirsi e farsi conoscere e se in questo periodo i nomi che andavano per la maggiore erano pianisti come Peetie Wheatstraw, Roosvelt Sykes, Henry Brown o Walter Davis anche chitarristi come Henry Townsend, Charlie Jordan, Big Joe Williams o Clifford Gibson divennero estremamente popolari nell’area di St. Louis, con le loro incisioni per gloriose etichette come Vocalion, Paramount, Decca e Bluebird (RCA Victor). (4)

Durante gli anni ‘50, a seguito di una drastica evoluzione degli stilemi musicali, arrivarono altri giovani di belle speranze come lke Turner, BiIly Gayles, Clayton Love, Jackie Brenston seguiti immediatamente dal nostro Albert, da Little Milton e da Oliver Sain ed è per mento di etichette locali come la Bobbin Records o la Stevens Records che la città di St. Louis ebbe un nuovo impulso nel campo del music-business. La Bobbin Records venne fondata nel 1958 da Bob Lyons che in seguito divenne il manager della stazione radio KATZ. In quattro anni realizzò 43 incisioni che inclusero i primi successi commerciali di talenti appunto come King e Milton Campbell ovvero Little Milton. (5)
Albert registrò per La Bobbin Records più di una dozzina di singoli tra il 1959 e il 1962 tra cui "Ooh-Ee Baby" (Bobbin 114), "Why Are You So Mean To Me" (Bobbin 114), "Need You By My Side" (Bobbin 119), "Walked All Night Long" (Bobbin 129) e l’eccellente "Don’t Jhrow Your Love On Me So Strong" (Bobbin 131). L’etichetta di St. Louis venne assorbita poco tempo dopo dalla potente King/Federal di Cincinnati che si era garantita l’opera di altri promettenti bluesmen come il texano Freddie King e il talentuoso ma sottovalutato Smokey Smothers. Anche le incisioni per la label di Cincinnati furono qualitativamente discrete e brani come "Travelin’ to California" (King 5588), "Let’s Have a Natural Ball" e "This Funny Feeling" (King 5751) dimostrano la positiva evoluzione del nostro sia a livello strumentale che vocale verso un’orizzonte stilistico più moderno e personale; "Sam Lay, che suonava la batteria nella Butterfield Band, era stato con Albert e mi diede questo disco su King intitolato ‘The Big Blues’ (ristampato come ‘Travelin’ To California’); non lo avevo mai ascoltato prima. Ne fui sconvolto, quel ragazzo era veramente favoloso alla chitarra. Il suo stile era superbo, paragonabile a Otis Rush o Buddy Guy o a qualsiasi moderno chitarrista blues". (Mike Bloomfield) (6)
Il suo stile deve molto alle innovazioni dì T. Bone Walker che aprì la strada anche a gente come Lowell Fulsom e B.B. King, e proprio quest’ultimo viene indicato da Paul Oliver come la musa ispiratrice della generazione dei vari Otis Rush, Freddie King, Magic Sam, Buddy Guy e dello stesso Albert il quale però era anagraficamente più anziano degli altri musicisti menzionati (La Storia del Blues, pag. 172). Comunque stiano le cose notiamo alcuni tratti distintivi nell’approccio strumentale che permettono ad ogni ascoltatore di rilevare le differenze peculiari che in B.B. King è il soffice mormorio del vibrato, in Albert le lunghe e sinuose frasi chitarristiche, e nel massiccio Freddie l’aggressivo e penetrante attacco di un chitarrista slide mancato.
La maturazione stilistica di Nelson non fu solo strumentale ma anche nell’impostazione del canto, in cui sfruttò abilmente "il suo baritono sugnoso, di fumo e ghiaia, modulato con un certo aplomb e con dizione agglutinata, collosa" che donerà un pathos espressivo dai toni drammatici a quasi tutti i suoi brani.
Enunciazione del bluesman che vibra, trema, urla, sospira e si lamenta giungendo all’apice della simbiosi tra voce e strumento confondendoli ed unendoli indissolubilmente fino a culmine di una purissima pulsazione di vero e proprio godimento fisico. Magico connubio che in Albert King è ricco di fascinazione alla stessa stregua dell’erotico Bobby Blue Bland con il suo canto ricco di soul, oppure nel l’inarrivabile vocalità collocata tra le sfere del sacro e del profano dei sermoni colorati di blues di Little Johnny Taylor. (7)

Stax Records/Memphis
"La Stax era una minuscola etichetta che entrò in attività nel 1960 affittando una ex sala cinematografica in un quartiere malandato che stava passando in mano ai neri". (8)
Nel 1966 Albert King firmò un contratto con la Stax di Memphis ed unanimamente questo accordo discografico è considerato fondamentale per il bluesman di Indianola, sia dal punto di vista artistico sia da quello puramente commerciale. In pochi anni di attività la Stax si stava affermando a livello internazionale con una serie impressionante di hit dei vari Carla e Rufus Thomas, Sam & Dave, Otis Redding, Booker J. & The MG’s, ecc.
Questa intraprendente label colse al volo i sintomi dei nuovi gusti musicali dei giovani neri, ma anche dei numerosissimi bianchi che si stavano avvicinando alla cultura afroamericana, e così alla metà degli anni ‘60 "assistiamo ad un’inversione nelle preferenze dei giovani che indirizzano il loro consenso verso prodotti senza dubbio più commerciali, anche se talvolta suonati con classe e buon gusto. In questo infernale magma di suoni spiccavano alcuni gruppi, quasi esclusivamente strumentali come la band del sassofonista King Curtis e quella del tastierista Booker T. Jones e i suoi MG’s che erano in testa alle classifiche di vendita". ("Il Blues" n. 35, pag. 6).
In questo frangente Albert registrerà proprio con Booker I. & Jhe MG’s quello che ancor oggi è considerato uno dei suoi lavori più riusciti: "Born Under A Bad Sign" (Stax 123) che contiene una serie impressionante di potenziali hit, quali la title track, "Crosscut Saw", "Personal Manager", "Laudromat Blues", "As The Years So Passing By", "The Hunter", ecc.. Negli anni a seguire il chitarrista di Indianola confermò alla grande il suo potenziale commerciale con una serie di singoli di successo che vanno dal l’arcinoto "I’ll Play The Blues for You, part one" abbinato alla dolce "Angel Of Mercy" (Stax 1035), passando per la declamatoria "That’s What The Blues Is All About" / "Breaking Up Somebody’s Home" (Stax 1036) fino all’hit "Born Under A Bad Sign" I "Driving Wheel" (Stax 1058). Negli scaffali polverosi è possibile ritrovare altri singoli di valore come l’abbinata natalizia di Albert con il gruppo The Emotions che ci offrono la strenna "Santa Claus Wants Some Lovin" / "What Do The Lonely Do At Christmas?" (Stax 1056), oppure "Everybody Wants to Go to Heaven" / "Can You See What You’re Doing To Me" (Stax 1055). Nel 1968 Albert compirà un ulteriore balzo in avanzi esibendosi nel prestigioso tempio del rock chiamato Fillmore West, come opening act in una serata che comprendeva anche il bluesman inglese John Mayall e un altro grande mancino chiamato Jimi Hendrix.
Il secondo LP per la Stax fu appunto il pluridecorato "Live Wire I Blues Power" (Stax 2003), contenente il famoso monologo di Albert, una specie di sermone profano rivolto al pubblico acclamante, che recita così: "When you’re playing the blues, they’re so strong, that’s the reason they call it blues power. And would you believe I invented blues power?". (9)
Il periodo Stax fu ricco di soddisfazioni commerciali e di riconoscimenti che provenivano anche dall’ambiente dorato del rock: chitarristi come Eric Clapton, Billy Gibbons, Johnny Winter, Mike Bloomfield, Dicky Betts e lo stesso Hendrix nominavano Albert King con rispetto ed ammirazione, ma una certa stasi creativa cominciava a far capolino tra i solchi incisi con metodica precisione negli studi di Memphis e di ciò sono testimoni attendibili album come "Lovejoy" (Stax 2040), "The Pinch" (Stax 3001). Nel marasma banalizzato di quegli anni la produzione discografica di King ha un sussulto con l’ottimo "I’ll Play The Blues for You" (Stax 3009) e con il precedente "Years Gone By" (Stax 2010) in cui brilla di luce propria una magistrale versione di "The Sky Is Crving" di Elmore James.
Nel catalogo Stax esistono altri album accreditati a Nelson, come quel "I Wanna Get Funky" (Stax 5505-1974) dove fra cori femminili e archi, risalta uno dei suoi brani più belli intitolato "That’s What The Blues Is All About". In questo periodo la produzione della casa discografica di Memphis rovinò moltissimi dischi di artisti che aveva sotto contratto: basti pensare a "Blues ‘n’ Soul" (Stax 5514) e "Waiting For Little Milton" (Stax 3012) di Milton Campbell oppure all’innumerevole discografia di Johnnie Taylor fra cui il famoso "Who’s Making Love" (Stax 4115). Pur con scelte a volte discutibili dal punto di vista artistico, dobbiamo dare atto e merito alla Stax di aver presentato sul mercato tre splendide raccolte che comprendono tutti gli artisti blues che aveva in catalogo e mi riferisco alla serie "The Stax Blues Masters" (Stax 7004 e 8528) e a quella compilation intitolata "Stax Blues Brothers" (Stax 8547) in cui i vari Freddie Robinson, Littie Milton, A. King, Littie Sonny, Jimmy Mc Cracklin, Pop Staples, Mighty Joe Hicks e il misconosciuto Israel Tolbert si superano a vicenda, dandoci la possibilità di ascoltare delle ottime blues-song qualche volta condite con un pizzico di soul targato Memphis.
La popolarità di King era equamente divisa fra pubblico nero e bianco alla stessa stregua della notorietà di B.B. King o di Freddie King, mentre altri artisti come Bobby Blue Bland, Little Milton, J. Taylor o Z.Z. Hill godevano quasi esclusivamente del consenso incondizionato del pubblico afroamericano, forse perché più legati stilisticamente al gospel e al soul fin dagli inizi della loro carriera. Alla metà degli anni ‘70 Albert King era un musicista arrivato e con un sostanzioso conto in banca che gli permetteva di affermare nelle innumerevoli interviste che "i bianchi sentono il blues in maniera diversa, ma mi piace suonare per loro e continuerò finché non smetterò.... Lo devi sentire per suonarlo. Troppa tecnica nel blues non funziona, lo fa diventare troppo freddo, meccanico. Mettici troppo jazz dentro e... capito? Non c’è jazz nel blues, ma blues nel jazz".

alking02.JPG (5582 byte) Utopia-Tomato Records (un periodo da dimenticare in fretta!)

I noti problemi finanziari ed il conseguente fallimento della Stax (1974) portarono il nostro uomo a firmare un nuovo contratto discografico con l’etichetta Utopia, che lo terrà vincolato fino ai 1978. Il produttore Bert de Couteaux è senza dubbio il maggior responsabile dello sfacelo artistico-musicale di opere come "Truckload 0f Lovin" (1387) e "Albert" (1731) nei cui solchi infarciti da corretti mielosi, soporiferi arrangiamenti di archi e da una pessima ritmica funky, la mitica Lucy si trova smarrita e spaesata senza neppure un guizzo di inventiva e creatività. Lo stilema blues si perde nella vacuità di produzioni superarrangiate e nelle strizzatine d’occhio verso le mode "disco" di quell’infausto periodo del musicista di Indianola e se indubbiamente questi dischi sono da dimenticare in fretta, dobbiamo sottolineare, di contro, alcune eccellenti esibizioni che che riportano Albert King agli antichi fasti e splendori di un tempo: nè sono testimonianza fondamentale il doppio album "Albert King-Live" (Tomato 2 - 7005) e quello attribuito a King e John Lee Hooker (una facciata a testa) ovvero il Tomato 2696141.  

Più avanti vi fu il contraddittorio "New Orleans Heat" (Tomato 7022), prodotto da Allen Toussaint nel 1978 e che uscì sul mercato l’anno dopo. Lo sforzo di coniugare il possente baritono di Albert con il melling-pot musicale della Crescent City, nonostante la presenza in studio di abili e smaliziati musicisti come Leo Nocentelli, George Porter, Charles Williams e Wardell Quezergue, risultò vano, anche se Albert riprenderà dei classici come "Born Under a Bad Sign" e "Angel Of Mercy". Nemmeno brani come "I Got The Blues", "We All Gonna Boogie" e "Get Out Of My Life Woman" dello stesso Toussaint riescono a risollevare le sorti del microsolco che i perderà nei meandri di un funky-blues color cioccolato, tra il vaporoso zucchero dei coretti femminili e la plastica di certi spettacoli in puro stile Tin Pan Alley.Queste incisioni per l’etichetta Utopia/Tomato annunciano una sorte disintegrazione del’ io artistico del bluesman che si evince dal doppio ruolo del musicista/bluesman: 1) produttore e 2) oggetto che contiene in se il suo valore d’uso e di scambio, riproducendosi all’infinito e riproducendo così la relazione sociale che lo avvolge senza scampo. Il musicista e di riflesso il pubblico di ascoltatori/acquirenti non desidera più la musica creata e suonata senza restrizioni di sorta, ma desidera solamente ed esclusivamente la musica che produce la relazione effetto codice-effetto spettacolo (showbiz): cerchio magico dal quale il bluesman non potrà più uscire anche a rito sacrificale concluso. (10)
A riprova della crisi, non solo artistico-musicale ma forse di identità che Albert subisce alla fine degli anni ‘70, sono le notizie che riguardano un suo presunto ritiro dalle scene musicali e la sua lunga latitanza discografica che durerà fino al 1983, quando un lucroso contratto con l’etichetta Fantasy lo porterà in sala d’incisione per quel "San Francisco ‘83" (Fantasy 9627) che segnerà l’ennesima svolta positiva per l’inossidabile ex-guidatore di bulldozer.

Il Ritorno di Re Albert

Durante gli anni della crisi, il tentativo di far assorbire ogni sorta di influenze al suo blues urbano, lo costrinse di malavoglia entro le griglie dorate di una sorta di metalinguaggio musicale a lungo andare aleatorio ed inconsistente per quanto riguarda forme e contenuti. "I’m gonna give every disc jokey the Blues accross the country. lf don’t dig this, he got a hole in his soul". (11)
Il ritorno discografico avviene dunque con la pubblicazione dell’ottimo "San Francisco ‘83" sotto la produzione dello stesso King e con l’aiuto del pianista Tony Llorens.
Il chitarrista, assecondato egregiamente da un piccolo combo in cui spicca la chitarra ritmica del promettente Larry Burton (già con Albert Collins), ci offre un pugno di blues suonati "come Dio comanda" e raggiunge il climax con le cover di "Honey Bee" (Muddy Waters) e del classico "I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town" mentre è di sua composizione il brano migliore dell’album: quel "Floodin’ in Calitornia" che alla lontana tratta le tematiche catastrofiche di un altro famoso blues di John Lee Hooker intitolato "Tupelo".
L’anno seguente uscirà sul mercato "I’m In A Phone Booth, Baby" (Fantasy 9633) che sarà il logico proseguimento tematico del precedente lavoro, e Albert King otterrà un buon successo di vendite anche grazie alla cover di Robert Cray che da il titolo all’album. I tempi di Gary (Indiana), con il consueto corollario di blues incendiari e arroventati rivolti esclusivamente ad un pubblico di neri, sono svaniti all’orizzonte e dalla vita di Albert Nelson, ma il bluesman non ha venduto completamente l’anima allo showbiz ed è riuscito a preservare, almeno in parte, la sua leggenda ed il mito di una Gibson Flying V, chiamata affettuasamente Lucy.
"E se Albert vende solo 100.000 dischi invece di 10 milioni, non importa. E’ uno dei più grandi e fottuti chitarristi viventi. Voglio dire che Albert King è una leggenda. Penso che se qualcuno salisse sul palco dopo di lui si spaventerebbe a morte nel fare blues dopo averlo ascoltato !". (Joe Walsh)
La fama del nostro si rinsalderà ulteriormente con una serie di incisioni, per lo più dal vivo che usciranno nel corso degli anni ‘80 e fra queste è doveroso segnalare "Blues At Sunrise" (Fantasy/Stax 8546), "The Lost Session" (Fantasy/Stax 8534) ed infine i due volumi intitolati rispettivamente "Wednesday Night in San Francisco" e "Thursday Night in San Francisco" (Fantasy/Stax 8556-8557).
Se il mancino Albert Nelson non possedeva il potere carismatico dei vari Muddy Waters, Lightnin’ Hopkins, Howlin' Wolf, B.B. King e John Lee Hooker, fu indubbiamente eccelso e raffinato chitarrista che prediligeva i tempi lenti e le melodie ad ampio respiro che enfatizzavano il suo corposo stile anni ‘50 unito al possente baritono che molte volte sfociava in una sorta di profano monologo che richiamava le sue ancestrali origini rurali. Albert Nelson aka Albert King muore a Mamphis il 21dicembre 1992 ed il suo epitaffio finale non fu certamente il deludente "Red House" (Essential 147/1989) ma un altro "live" uscito per i tipi della Wolf con il profetico titolo di "Rainin’ in California" {Wolt 120 500 CD) vedi la recensione sul n. 45 de "Il Blues").
La sua leggenda (12) rimarrà ancorata magneticamente agli spettacoli dal vivo, dove l’uomo della Gibson Flying V ed il blues ti correvano incontro con la potenza devastante di un Amtrak lanciato a tutta velocità sui binari della musica del diavolo.

P.S. Questo articolo è dedicato a due bluesmen recentemente scomparsi: l'amico Cooper Terry ed il grande Albert Collins.

Note

1) Cit. Dalla prefazione di "Furore" di John Steinbeck (Bompiani pp. 14/15). Si fa riferimento al ruolo sociale che svolgevano le stazioni di servizio lungo la sconfinata arteria stradale statunitense, veri punti di incontro, di ritrovo e di ristoro di una fauna umana quanto mai eterogenea e nella maggioranza dei casi disperata e senza speranza.
2) Albert King si riferisce alla sua prima chitarra da 1 dollaro e 25 centesimi. Nello spettro delle influenze musicali del giovane Nelson non sono trascurabili le Big Band di gente come Woody Herman, Count Basie e Andy Kirk.
3) Nella leggendaria band "In The Groove Boys" originaria di Osceola (Arkansas) militarono, in diversi decenni di attività, oltre ad A. King, musicisti come L.J. Javlor, Junior Anderson, L. V Parr, Benny Moore, Stevie Tucker e Bob Starr che è l'autore di un bel libro intitolato "I'm in the Groove, Man" edito per la Spinning Starr Press. Lo si può richiedere a "The Spinning Starr Press, 1965 E. Fairview Boulevard, Inglewood, California 90302.
4) Il 5 Maggio 1937 la storica incisione per Bluebird ad Aurora (Illinois) dove si formò una line-up di bluesmen residenti nell'area di St. Louis e precisamente: Robert Nighthwak, Henry Townsend, Big Joe Williams, Walter Davis e Sonny Boy Williamson.
5) La Stevens Records fu invece fondata nel 1958 da Bill e F. Stevens, e in un anno di attività licenziò 7 titoli di lke Turner, Bobby Foster, Little Cooper, J. Wright. Tra le etichette minori bisogna citare la Planet Records, la Royal American Ultrasonic Rec., l'Yvette Records e la Tune Town Records.
6) I brani incisi su Bobbin Records e i quelli su King/Federal si possono ascoltare sui seguenti LP: "The Sig Blues" (King 852) oppure sulla ristampa "Travelin' To California" (King 1060).
7) Cit. da Luciano Fedrighi "Cantare il Jazz" (Laterza) pag. 185.
8) Consultare P. Guralnick "Soul Music" pag. 91 (Arcana).
9) "Quando tu suoni i blues, sono così forti, questo è il motivo per cui lo chiamano Blues Power. E potete crederci se vi dico che ho inventato il Blues Power".
10) L'uomo comunica nella forma uou (uomo-oggetto-uomo). L'oggetto parla inizialmente a livello di scambio e come canale di comunicazione di mercato è confuso con l'esistenza di una rete relazionale.
Effetto Codice = il valore mercantile dell'oggetto Effetto di Spettacolo = l'immagine sociale dell’oggetto che contiene il suo valore d’uso.
Consultare J. Attali "Le Parole et l'Outil, PVF, Paris, 1915 pag. 181.
11) "Darò il Blues ad ogni dj della Nazione Se non gli piace, hanno un buco nell'anima".
12) Mentre Albert King influenzò una miriade di chitarristi rock, da Eric Clapton a Elvin Bishop passando per Mike Bloomfield e Billy Gibbons; fra i musicisti neri della generazione più giovane citerei Littie Jimmy King (Bullseye Records 9509), Joe Louis Walker e Bernard Allison, il figlio di Luther. Esiste anche un artista, sottovalutato dalle nostre parti, che risponde al nome di Artie Bues Boy White, il cui canto è in modo stupefacente, impostato sulla timbrica e i registri di King. Similitudine comparabile sui dischi Ichiban Records e a mo di prova d'ascolto vedi "The Best of Artie White" (Ichiban 1131).

Discografia
(a curadi Ottavio Verdobbio e Marino Grandi)

  1. Door To Door (Chess 1538) -USA- (*)
  2. The Big Blues (King 852) -USA - (**)
  3. Born Under A Bad Sign (Stax 723) -USA-
  4. King Of The Bìues Guitar (Atìantic 8213) -USA-
  5. Live Wire I Blues Power (Stax 2003) -USA-
  6. Years Gone By (Stax 2010) -USA-
  7. King Does The King’s Things (Stax 2015) - USA -
  8. Jammed Together (Stax 2020) USA- (***)
  9. Lovejoy (Stax 2040) - USA -
  10. I’ll Play The Bìues for you (Stax 3009) - USA -
  11. The Pinch (Stax 4l0l) -USA-
  12. I Wanna Get Funky (Stax 5505) -USA-
  13. Live At The Bues Festival (Parrall 202) -USA
  14. Albert Live (Utopia 2205) -USA-2LP-
  15. Truckload Of Loving (Utopia 1387) -USA-
  16. Albert (Utopia 1731) - USA-
  17. King Albert (Tomato 6002) -USA-
  18. New Orleans Heat (Tornato 7022) - USA -
  19. San Francisco ‘83 (Fantasy 9627)-USA-
  20. I’m in The Phone Booth Baby (Fantasy 9633) - USA -
  21. Blues For Elvis (Stax 87504). -USA-
  22. The Lost Session (Stax 8534) -USA-
  23. Blues At Sunrise (Stax 8546) -USA-
  24. I’ll Play The Biues Far You (Tomato 2696141) –USA- (****)
  25. Wednesday Night In San Fran cisco (Stax 8556) -USA-
  26. Thursday Night In San Francisco (Stax 8557) -USA-
  27. Red House (Fssential 147) -GB-
  28. Rainin’ In Calitornia (Wolf120.500) - A –

Antologie (parziale)

  1. The Stax Blues Brothers (Stax 8547) -USA-
  2. The Stax Blues Masters: Blues Monday (Stax 8528) - USA -
  3. Montreux Festiva (Stax 4132)
  4. The Stax Blues Masters: Walking The Back Streets And Crying (Stax 1004) -USA-
  5. Atlantic Blues Guitar (Atlantic 781695) -USA-2LP-

(*) album condivisa, un lato ciascuno, con Otis Rush.
(**) reperibile anche con il titolo "Travel in To California".
(***) con la partecipazione di Steve Cropper e Pops Staples.
(****) album dal vivo condiviso, un lato ciascuno, con John Lee Hooker.

di Ottavio Verdobbio da "Il Blues" N.46 Marzo 1994

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