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ATTRAVERSAMENTI 2001
una generazione di mezzo
Casa Olla [Quartu S.E.], 19 maggio, 26 giugno 2001

 
     
 
ENRICO CORTE

Bianco come un sogno, bianco come la luce abbagliante di certi luoghi, bianco come la spiritualità, il rigore dell'anima.
Nel bianco si sono intessuti gli interventi di Enrico Corte a Casa Olla. Due i lavori in mostra: "Demone psichico" del 1988 e "Culla" del 2001. Il primo appartiene ad un ciclo che, negli anni '80, Corte, giovanissimo, ha realizzato in Sardegna e che oggi, a distanza di anni, ripropone con ulteriori interventi, a verificare, nel tempo, la tenuta di un'opera intensa, complessa, carica di simbologie magiche ed esoteriche. Il grande rettangolo bianco sospeso nella stanza appare ordito in una trama scabra che si dispone sulla superficie liscia e compatta del fondo a creare un ricamo discreto ed appena percettibile di materia sabbiosa e vibrante. Il contrasto tra il rilievo e la superficie anima l'opera di leggeri chiaroscuri, di trapassi sottili, di raffinati intrecci ed appare, in lontananza, come una mappa elegantemente stilizzata.
Ma se lo sguardo si sofferma a leggere ogni increspatura di quei rilievi, l'apparente astrazione della forma si compone in una sorta di volto impresso nella materia granulosa e, piccolissime, infinitesimali, compaiono, tra le concavità sabbiose, testine preziosamente incastonate. Come in una filigrana forgiata con pazienza l'opera manifesta gradatamente le sue diverse possibilità di lettura, entro cui si compie, solo in ultima analisi, la riconoscibilità del soggetto (uno, mille, infiniti volti).


L'opera si presta così alla percezione illusoria di un lenzuolo che, nell'impronta indelebile, diventa sudario, dolore sublimato. Le ruvidità della superficie, come una geografia della vita psichica, si fanno percorsi introspettivi, ferite incancellabili o, come le chiama Matteo Basilé, tatuaggi dell'anima.
Il significato del lavoro è infatti spostato sul processo percettivo operato dall'osservatore che, nell'ambiguità luminosa del bianco-luce, può mettere in atto l'annullamento dell'immagine e cogliere il decorativismo sapiente e ridondante o, viceversa, individuarne la figuratività accortamente mascherata. Ma può compiere un passo ulteriore e scoprire l'altra faccia del rettangolo bianco: il retro è dato per essere recepito come un'altra dimensione visiva, solo che qui, al candore del verso, risponde un retro dalla forte colorazione rosso-cupo, ottenuto dall'applicazione di una carta stropicciata, addensata e composta fino a formare un altro volto, mimetizzato nelle rughe trasparenti della materia. Non c'è bisogno di chiedersi se le fisionomie svelate appartengano a qualcuno, se siano autoritratti o fantasmi evocati dalla materia stessa; certo è che i demoni debbono abitare questi spazi se, da anni, Enrico Corte ne insegue le presenze sotto forma di spettri, larve, ossessioni insomma di un vissuto psichico tormentato e fortemente concettualizzato. Forse è questa la via che l'artista ha scelto per sondare le profondità della coscienza in una strenua ricerca della propria identità.


Prende così valore in questo senso Culla, l'opera-scultura concepita per Casa Olla nella doppia intenzionalità di un oggetto appartenente alla casa, evocativo di un mondo che tra quelle mura si è consumato, un retaggio familiare, domestico, dove qualcuno ha dormito o cullato dolci sonni. Ma l'opera, da oggetto-funzione, si trasforma a vista in simbolo autoreferenziale e riecheggia un'infanzia cercata in un'isola che ha l'aspetto di una culla. La struttura di questa piccola panca (tale è l'oggetto reale) è stato interamente rivestito da Corte con una leggera, impalpabile, carta-velina che candidamente avvolge e trasfigura la forma sottostante: una corda di fili la circonda e la lega mentre su un morbido cuscino un ricamo crea arabescate simbologie. L'operazione di avvolgimento, cucitura, legatura, mentre rimanda ad un'attività così intimamente legata alla tradizione culturale sarda ne accentua il valore di alterità e sovrappone al tema originario (l'oggetto familiare), quello, metaforico, di nascita, di radici, di identità dunque. Il bianco assoluto esalta le sagome, smaterializza le forme, decanta le emozioni e traduce i soggetti in visioni mentali. Sono opere seducenti di luce ma anche frutto di una capacità manuale che trova, nella pratica del lavoro, la possibilità di placare demoni e fantasmi, ricordi e ossessioni.
L'arte è, ancora, una via di salvezza.