Bianco
come un sogno, bianco come la luce abbagliante di certi luoghi,
bianco come la spiritualità, il rigore dell'anima.
Nel bianco si sono intessuti gli interventi di Enrico Corte a
Casa Olla. Due i lavori in mostra: "Demone psichico"
del 1988 e "Culla" del 2001. Il primo appartiene ad
un ciclo che, negli anni '80, Corte, giovanissimo, ha realizzato
in Sardegna e che oggi, a distanza di anni, ripropone con ulteriori
interventi, a verificare, nel tempo, la tenuta di un'opera intensa,
complessa, carica di simbologie magiche ed esoteriche. Il grande
rettangolo bianco sospeso nella stanza appare ordito in una trama
scabra che si dispone sulla superficie liscia e compatta del fondo
a creare un ricamo discreto ed appena percettibile di materia
sabbiosa e vibrante. Il contrasto tra il rilievo e la superficie
anima l'opera di leggeri chiaroscuri, di trapassi sottili, di
raffinati intrecci ed appare, in lontananza, come una mappa elegantemente
stilizzata.
Ma se lo sguardo si sofferma a leggere ogni increspatura di quei
rilievi, l'apparente astrazione della forma si compone in una
sorta di volto impresso nella materia granulosa e, piccolissime,
infinitesimali, compaiono, tra le concavità sabbiose, testine
preziosamente incastonate. Come in una filigrana forgiata con
pazienza l'opera manifesta gradatamente le sue diverse possibilità
di lettura, entro cui si compie, solo in ultima analisi, la riconoscibilità
del soggetto (uno, mille, infiniti volti).
L'opera
si presta così alla percezione illusoria di un lenzuolo
che, nell'impronta indelebile, diventa sudario, dolore sublimato.
Le ruvidità della superficie, come una geografia della
vita psichica, si fanno percorsi introspettivi, ferite incancellabili
o, come le chiama Matteo Basilé, tatuaggi dell'anima.
Il significato del lavoro è infatti spostato sul processo
percettivo operato dall'osservatore che, nell'ambiguità
luminosa del bianco-luce, può mettere in atto l'annullamento
dell'immagine e cogliere il decorativismo sapiente e ridondante
o, viceversa, individuarne la figuratività accortamente
mascherata. Ma può compiere un passo ulteriore e scoprire
l'altra faccia del rettangolo bianco: il retro è dato per
essere recepito come un'altra dimensione visiva, solo che qui,
al candore del verso, risponde un retro dalla forte colorazione
rosso-cupo, ottenuto dall'applicazione di una carta stropicciata,
addensata e composta fino a formare un altro volto, mimetizzato
nelle rughe trasparenti della materia. Non c'è bisogno
di chiedersi se le fisionomie svelate appartengano a qualcuno,
se siano autoritratti o fantasmi evocati dalla materia stessa;
certo è che i demoni debbono abitare questi spazi se, da
anni, Enrico Corte ne insegue le presenze sotto forma di spettri,
larve, ossessioni insomma di un vissuto psichico tormentato e
fortemente concettualizzato. Forse è questa la via che
l'artista ha scelto per sondare le profondità della coscienza
in una strenua ricerca della propria identità.
Prende
così valore in questo senso Culla, l'opera-scultura concepita
per Casa Olla nella doppia intenzionalità di un oggetto
appartenente alla casa, evocativo di un mondo che tra quelle mura
si è consumato, un retaggio familiare, domestico, dove
qualcuno ha dormito o cullato dolci sonni. Ma l'opera, da oggetto-funzione,
si trasforma a vista in simbolo autoreferenziale e riecheggia
un'infanzia cercata in un'isola che ha l'aspetto di una culla.
La struttura di questa piccola panca (tale è l'oggetto
reale) è stato interamente rivestito da Corte con una leggera,
impalpabile, carta-velina che candidamente avvolge e trasfigura
la forma sottostante: una corda di fili la circonda e la lega
mentre su un morbido cuscino un ricamo crea arabescate simbologie.
L'operazione di avvolgimento, cucitura, legatura, mentre rimanda
ad un'attività così intimamente legata alla tradizione
culturale sarda ne accentua il valore di alterità e sovrappone
al tema originario (l'oggetto familiare), quello, metaforico,
di nascita, di radici, di identità dunque. Il bianco assoluto
esalta le sagome, smaterializza le forme, decanta le emozioni
e traduce i soggetti in visioni mentali. Sono opere seducenti
di luce ma anche frutto di una capacità manuale che trova,
nella pratica del lavoro, la possibilità di placare demoni
e fantasmi, ricordi e ossessioni.
L'arte è, ancora, una via di salvezza.