Eloquente
esempio di una creatività giocata tra poesia e ironia è
il lavoro di Gianni Nieddu, infaticabile visitatore di un mondo
dimesso e infinitesimale, chiuso, solitamente, nei cassetti delle
cartolerie o abbandonato negli scaffali di negozi polverosi e
oscuri, nei cui odori acri e pungenti ama cercare i segni di una
quotidianità inghiottita da gesti ripetitivi. Quegli oggetti
dall'invisibilità scontata, al di là del bello e
del brutto, sono reinventati in una nuova dignità che li
rifunzionalizza e li riscatta dall'umiltà di una condizione
negata come vita propria. Sono etichette adesive, spilli, punte
metalliche, fili insignificanti e, ora, piccole trappole per topi
e piccoli topi per piccole trappole. Se la poetica che sottende
questi lavori è quella di una straniante visione della
realtà, il processo che la crea è, prima di tutto,
quello del riconoscimento. Riconoscere nella semplice banalità
del dato oggettivo (sia un gancino o un gessetto, una cimosa o
un feltrino) la sua "natura altra", cioè la sua
versatile mutevolezza, è l'atto che fonda il percorso operativo.
L'atto seguente è il suo assemblaggio, la sua contestualizzazione
in un insieme dove a prevalere è, senza dubbio, l'estetica
compositiva che può nascere solo dal gusto educato al rigore
e all'eleganza formale. I tre pannelli neri che recano infissi
una miriade di spilli lasciano pendere piccole etichette su cui
sono stilizzate teste di gatti in versione nera e in contrasto
bianco. L'opera così composta richiede una doppia possibilità
di lettura: a distanza, dove s'impone la razionalità strutturale
dell'impaginazione equilibrata e simmetrica, gli scarti cromatici
del nero-cupo e del bianco-luce, l'armonia tra pieni e vuoti,
che ricrea un'operazione "classica" nel linguaggio della
contemporaneità. Ravvicinata, l'opera scopre il suo intento
ironicamente votato all'illusionismo e fortemente attraente nel
richiamo visivo: le piccole tessere oscillano nel breve spazio
a disposizione, rivelano la loro inconsistenza e sorridono dei
segni raffigurati che, nell'impercettibile moto, pongono in vibrazione
la superficie dichiarando l'effimero realismo della propria esistenza.
Gli
oggetti senza identità di Gianni Nieddu sono dunque, nella
smaterializzazione dell'opera, nella leggerezza dei volumi e dei
pesi, una sorta di gioco segreto dove vigono regole e casualità,
ambiguità percettive e disarmante naturalezza ma dove l'amorevole
e preziosa cura nella composizione trasforma i materiali poveri
e discreti in piaceri visivi continuamente rinnovati.
La sua personale mitologia si arricchisce, a Casa Olla, di un
nuovo personaggio: topini di peluche intrappolati in infernali
meccanismi, semplici in apparenza, micidiali nella presa.
Si dispongono sulla parete come fuggiti da una tana e bloccati
nella folle corsa dallo scatto senza scampo della trappola. All'immagine
drammatica ed enfatizzata del topo intrappolato non corrisponde
un contenuto altrettanto tragico; semmai, ancora una volta, Gianni
Nieddu ironicamente rivela, nel gioco compositivo, sottili inquietudini
o segrete sensazioni che l'artificio dell'arte
annulla e controlla nell'estetica della soluzione scelta. E, ancora
una volta, l'opera manifesta la sua duplicità semantica
di oggetto inerme e sprovvisto di un significato estetico e di
elegante decorativismo nell'arabesca ombra di forme fissate e
liberate sul muro.
È chiaro, comunque, in entrambi i lavori e, in genere nella
sua intera produzione, che l'utilizzo ripetitivo dell'oggetto
scelto diviene segno simbolico e l'accumulazione di forme intensamente
reiterate non può non generare livelli di significato che
trascendono l'oggetto stesso per porsi come dato di una particolare
condizione esistenziale. Così, se negli scuri pannelli
è la vita segreta delle cose che prende forma, nell'immagine
dei piccoli ratti intrappolati si proietta l'immaginario collettivo
di una realtà che ci appartiene ma su cui vale la pena
comunque sorridere perché a quella realtà tanto