La
presenza di Andrea Nurcis a Casa Olla si è esercitata,
prima di tutto, su Casa Olla. Ha ritrovato vecchi tavoli abbandonati
e ne ha fatto una parte del proprio lavoro. Addossati alla parete
sono diventati il supporto ideale delle sue opere che hanno assunto
l'aspetto dell'installazione. Sugli sbiaditi tavolati Andrea Nurcis
ha posto tre disegni, un dittico con foglia d'oro, una scultura
in forma di idolo.
Pittura, disegno, scultura sono i territori attraversati indifferentemente,
anzi con chiari propositi di invadere regioni lontane, nell'intento
di una contaminazione linguistica perturbante, per offrire una
sintassi estetica sottilmente perversa e sempre inaspettata.
I disegni di Nurcis nascono da lontano, prendono l'avvio senza
un fine sicuro si danno come trascrizione automatica di segni
che si organizzano, si ordinano, prendono forme collocabili al
limite estremo tra realtà ed immaginazione fantastica.
Il disegno diventa viaggio nell'immaginario, nell'inconscio o
nell'indicibile ma anche consapevole manifestazione di incubi
personali, archetipi collettivi, assurdità proprie e altrui.
Apparizioni della mente docilmente assecondate dalla mano che
consente a Nurcis di portare alla luce dimensioni oscure, visualizzare
illogici percorsi associativi, comporre pagine fitte di inquietanti
simbologie in antitesi dialettica tra raffinati formalismi e grottesche
figurazioni. In passato, nei suoi disegni, erano ripetutamente
comparsi esseri ibridi, composti di parti anatomiche bizzarre
e strampalate, clownesche o deformi, prodigiose o crudelmente
inumane. A Casa Olla hanno assunto la forma di strutture geometriche
ripetute specularmente a partire da un centro di concentrata energia
e da qui, seguendo un rituale criptico, saturano le superfici
sovrabbondantemente riempite dai segni che ci conducono nel regno
dello straordinario o dell'ossessione iconografica. Quasi una
coazione a ripetere se è vero che anche questi lavori appartengono
ad un antico progetto del 1981 quando Nurcis avviò un lungo
racconto in forma visionaria: un disegno ogni notte fino a consumare
la biro, logorare la carta e stremare le proprie forze. Quei fogli,
conservati in bui cassetti, riemergono dal tempo e si rinnovano
mediante l'inserimento, come abbiamo visto a Casa Olla, di inserti
oggettuali dalle forme simboliche: un volto, un orecchio, una
goccia smisuratamente allungata, che convivono come membra di
quei corpi rappresentati dai fogli e diventandone, comunque, il
correlativo plastico.
Nelle
due tavole su superfici in oro la figurazione lascia il campo
a specchiature cangianti dove, apparentemente, scompare ogni traccia
segnica. Ma da quelle profondità illusorie emergono forme
intraviste e dissolte che solo una pratica alchemica può
fissare sulle lastre dorate. Tra quei bagliori prende consistenza
visiva un'immagine insistentemente presente nel lavoro di Nurcis:
un orecchio destinato a comparire come un topos persistente e
maniacale se non fosse carico di senso metaforico e allusivo.
L'orecchio, infatti, sede dell'equilibrio, alimenta in Nurcis
una poetica sensoriale che fa di quest'organo un centro ideale
del corpo umano, spostando così all'esterno il luogo vitale
dell'anatomia corporea. Il feticismo intellettivo che sottende
questa poetica rende l'orecchio metafora di un sentire oltre il
limite accettabile, strumento dunque di una sensibilità
acuita ed esasperata. Ma se la ripetuta presenza e le accresciute
dimensioni, come nella scultura a metà strada tra l'antropomorfismo
e il mostruoso di Casa Olla, ne esaltano la funzione magicamente
sensitiva, dichiarano anche la ricerca, altrettanto esasperata,
di un equilibrio che, invece, ha sede in un corpo destabilizzato.
Un equilibrio che, forse, in Nurcis, la disciplina del disegno
e del suo ascetico cerimoniale possono aiutare a raggiungere:
così, se ci affacciamo nell'infinità degli sfondi
d'oro delle sue opere potremmo ritrovare gli echi di storie ancora
da raccontare ma dove la smagliante bellezza di quei riquadri
trattiene dall'oltrepassare.
Nell'oscillazione
dunque tra il fantastico e il mostruoso Andrea Nurcis gioca una
partita dove i contendenti appaiono essere l'io e il mondo o,
meglio, una individualità inconciliata con il mondo ma
costantemente tentata da esso. E allora se narrare storie piene
di meraviglie equivale ad esistere è sempre più
vero quanto nelle Mille e una notte, Sherazade era costretta a
fare: raccontare ogni notte, per non morire, una storia infinita.