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ATTRAVERSAMENTI 2001
una generazione di mezzo
Casa Olla [Quartu S.E.], 19 maggio, 26 giugno 2001

 
     
 
ANDREA NURCIS

La presenza di Andrea Nurcis a Casa Olla si è esercitata, prima di tutto, su Casa Olla. Ha ritrovato vecchi tavoli abbandonati e ne ha fatto una parte del proprio lavoro. Addossati alla parete sono diventati il supporto ideale delle sue opere che hanno assunto l'aspetto dell'installazione. Sugli sbiaditi tavolati Andrea Nurcis ha posto tre disegni, un dittico con foglia d'oro, una scultura in forma di idolo.
Pittura, disegno, scultura sono i territori attraversati indifferentemente, anzi con chiari propositi di invadere regioni lontane, nell'intento di una contaminazione linguistica perturbante, per offrire una sintassi estetica sottilmente perversa e sempre inaspettata.
I disegni di Nurcis nascono da lontano, prendono l'avvio senza un fine sicuro si danno come trascrizione automatica di segni che si organizzano, si ordinano, prendono forme collocabili al limite estremo tra realtà ed immaginazione fantastica. Il disegno diventa viaggio nell'immaginario, nell'inconscio o nell'indicibile ma anche consapevole manifestazione di incubi personali, archetipi collettivi, assurdità proprie e altrui. Apparizioni della mente docilmente assecondate dalla mano che consente a Nurcis di portare alla luce dimensioni oscure, visualizzare illogici percorsi associativi, comporre pagine fitte di inquietanti simbologie in antitesi dialettica tra raffinati formalismi e grottesche figurazioni. In passato, nei suoi disegni, erano ripetutamente comparsi esseri ibridi, composti di parti anatomiche bizzarre e strampalate, clownesche o deformi, prodigiose o crudelmente inumane. A Casa Olla hanno assunto la forma di strutture geometriche ripetute specularmente a partire da un centro di concentrata energia e da qui, seguendo un rituale criptico, saturano le superfici sovrabbondantemente riempite dai segni che ci conducono nel regno dello straordinario o dell'ossessione iconografica. Quasi una coazione a ripetere se è vero che anche questi lavori appartengono ad un antico progetto del 1981 quando Nurcis avviò un lungo racconto in forma visionaria: un disegno ogni notte fino a consumare la biro, logorare la carta e stremare le proprie forze. Quei fogli, conservati in bui cassetti, riemergono dal tempo e si rinnovano mediante l'inserimento, come abbiamo visto a Casa Olla, di inserti oggettuali dalle forme simboliche: un volto, un orecchio, una goccia smisuratamente allungata, che convivono come membra di quei corpi rappresentati dai fogli e diventandone, comunque, il correlativo plastico.


Nelle due tavole su superfici in oro la figurazione lascia il campo a specchiature cangianti dove, apparentemente, scompare ogni traccia segnica. Ma da quelle profondità illusorie emergono forme intraviste e dissolte che solo una pratica alchemica può fissare sulle lastre dorate. Tra quei bagliori prende consistenza visiva un'immagine insistentemente presente nel lavoro di Nurcis: un orecchio destinato a comparire come un topos persistente e maniacale se non fosse carico di senso metaforico e allusivo. L'orecchio, infatti, sede dell'equilibrio, alimenta in Nurcis una poetica sensoriale che fa di quest'organo un centro ideale del corpo umano, spostando così all'esterno il luogo vitale dell'anatomia corporea. Il feticismo intellettivo che sottende questa poetica rende l'orecchio metafora di un sentire oltre il limite accettabile, strumento dunque di una sensibilità acuita ed esasperata. Ma se la ripetuta presenza e le accresciute dimensioni, come nella scultura a metà strada tra l'antropomorfismo e il mostruoso di Casa Olla, ne esaltano la funzione magicamente sensitiva, dichiarano anche la ricerca, altrettanto esasperata, di un equilibrio che, invece, ha sede in un corpo destabilizzato. Un equilibrio che, forse, in Nurcis, la disciplina del disegno e del suo ascetico cerimoniale possono aiutare a raggiungere: così, se ci affacciamo nell'infinità degli sfondi d'oro delle sue opere potremmo ritrovare gli echi di storie ancora da raccontare ma dove la smagliante bellezza di quei riquadri trattiene dall'oltrepassare.

Nell'oscillazione dunque tra il fantastico e il mostruoso Andrea Nurcis gioca una partita dove i contendenti appaiono essere l'io e il mondo o, meglio, una individualità inconciliata con il mondo ma costantemente tentata da esso. E allora se narrare storie piene di meraviglie equivale ad esistere è sempre più vero quanto nelle Mille e una notte, Sherazade era costretta a fare: raccontare ogni notte, per non morire, una storia infinita.