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ATTRAVERSAMENTI 2001
una generazione di mezzo
Casa Olla [Quartu S.E.], 19 maggio, 26 giugno 2001

 
     
 
GIULIA SALE

Come nei racconti di Raymond Carver, nelle foto di interni di Giulia Sale non succede assolutamente nulla. Non sono gli eventi ad essere importanti ma gli ambienti domestici, familiari, picccolo-borghesi, dove si consuma un'esistenza anonima e banale; ogni storia è simile a mille altre storie, ogni stanza è uguale a tante altre infinite stanze. Ma se lo sguardo di Carver è cinico, spietato, freddo documentatore dell'America d'oggi, quello di Giulia Sale è tenero, carico di affettività, accondiscendente, e i suoi interni si fanno sorprendentemente dolci. Fra tanta arte cattiva, sprezzante, disgustosa, così come dilaga nelle gallerie contemporanee, le visioni rassicuranti di Giulia Sale acquistano il sapore di una pausa, di uno zucchero non stucchevole né caramelloso, che riconcilia con la vita. Proviamo ad entrare dentro queste stanze così silenziose, dall'atmosfera sospesa, nel vuoto di ogni ambiente da cui manca la presenza umana ma i cui segni sono presenti in ogni angolo della camera da letto dai vecchi consunti mobili dozzinali o nel salotto buono con i divani in pelle e i vasi di cristallo. La cucina-soggiorno dell'arredo ricercato, moderno e funzionale, il tinello con i mobili d'epoca, la stanza spoglia dal letto gigantesco, l'angolo in penombra dove la brezza del crepuscolo smuove le pesanti tende: dalle gozzaniane buone cose di pessimo gusto all'ordine in forme del modesto designer contemporaneo. Un archivio di luoghi, un repertorio di situazioni, una serie di scatti ci consegnano brandelli di vita altrui. Questi scenari non preparati, non manipolati, colti sul loro accadere, sorpresi in una versione attuale da neorealismo, rendono sospetta la loro semplicità. Questo frugare in casa d'altri, rivelando l'intimità degli sconosciuti abitatori, intrufolandosi in luoghi apparentemente insignificanti, sembra avere l'unico intento di una ricognizione nell'ordinario, nella familiarità domestica.

Ogni scatto fissa l'ambiente in un'angolazione diversa e la prospettiva scelta rivela, accentua o dissipa gli indizi di un'assenza solo temporanea. E ogni scatto colora gli interni solitari di una tonalità dominante - dal rosa, all'ocra al seppia al grigio fumo - che dilaga sulle cose, assecondando le luminosità diffuse, ricalcando le oscurità di angoli indistinti, trasfigurando in ogni caso la placida tranquillità. Le immagini così ottenute sono affidate a piccoli formati che sono stati dispersi nei grandi ambienti di Casa Olla per essere ritrovati, quasi per caso, da altrettanti sconosciuti visitatori. Queste cartoline piene di atmosfere colorate hanno creato una continua, piacevole sorpresa, un gioco emozionante di scatole cinesi. Ordinate sulla parete appena perdono del gusto sottilmente ironico ma sicuramente fissano l'intento narrativo da cui sono ispirate. Ciò che si avverte, prepotente, a guardarle in sequenza è, in prima istanza, un forte sentimento di perdita, una sorta di abbandono, qualcosa che sfugge e che niente sembra poter restituire. D'altra parte Giulia Sale ci ha già condotto su questa strada con precedenti lavori, come i bellissimi plotter di Nuoro (Divieto di sosta) e, a Casa Olla, ritorna con una poetica d'interni, dove si consuma, tra nostalgia e malinconico sentimento del tempo, un breve inventario dell'esistenza umana, propria e altrui.

Se ora proviamo a spingere la metafora dolciaria all'estremo potremmo arrivare alle madeleines, ai biscotti che la zia premurosa offre a Marcel adulto e il sapore della focaccina inzuppata nella tazza di thé scatena il meccanismo della memoria involontaria. È come in quel gioco in cui i giapponesi si divertono a immergere in una scodella di porcellana piena d'acqua dei pezzetti di carta fino allora indistinti che, appena immersi, si distendono, prendono contorno, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e i suoi dintorni, tutto questo che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini dalla mia tazza di thé.

Le stanze dolci di Giulia Sale sono come altrettante tazze di thé dove spuntano ricordi, risuonano voci, evocano fantasmi e si riconoscono oggetti, suppellettili, affetti. Dentro quelle stanze ci siamo già stati, le abbiamo abitate, appartengono al nostro vissuto, quello vero e quello immaginario, quello che abbiamo toccato con mano e quello che abbiamo introiettato dalla letteratura o dalla poesia. Non importa da dove ci provengano quelle immagini, sono nostre, sono come le proustiane intermittenze del cuore che, per un'analogia neanche così sicura, fanno risorgere, rivelandocelo a pieno un frammento del nostro tempo perduto.