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ATTRAVERSAMENTI 2001
una generazione di mezzo
Casa Olla [Quartu S.E.], 19 maggio, 26 giugno 2001

 
     
 
PIETRO SIOTTO

La cravatta è, di per se stessa, simbolo di una borghesia elegante e convenzionale, perbenista e compiaciuta di sé: come il cappello a bombetta di Magritte, il volto di Marilyn Monroe di Warhol, gli hamburger di Oldenburg, la cravatta è un luogo collettivo, segno di una cultura di massa che si identifica in oggetti sbrigativi e facilmente consumabili. Una parete ricoperta di cravatte, multicolori e per tutti i gusti, seriose e bizzarre, raffinate e kitsch, rappresentano il lavoro di Pietro Siotto a Casa Olla. Come una bancarella che espone le proprie mercanzie, Siotto dispone le sue cravatte in modo pedantemente ordinato creando un puzzle che prende l'aspetto di una grande scacchiera e, casualmente, acquista una sua logica: una forma strutturata è diventata installazione. La parete, come un fuoco d'artificio, attrae lo sguardo, sgomenta il visitatore e calamita l'attenzione su di se; ironiche e giocose le cravatte diventano un forte richiamo visivo: lo spettatore si avvicina, le scruta e, inevitabilmente, si interroga sulla loro presenza e sul loro significato. E questo compare in una scritta che, a bella posta, è inserita come un messaggio pubblicitario, in un angolo, tra le cravatte, e dice: A.A.A. Cravatte: azienda leader nel settore politico dal 1860 - cerca in tutto il mondo - colli attaccati a teste pensanti. Per ulteriori informazioni telefonare al n. 078435188. Se non fosse per questa eccessiva volontà didascalica l'immagine dello spettatore, di spalle, che guarda al muro di cravatte sarebbe, da sola, una visione surreale e l'opera avrebbe adempiuto al suo intento. Ma possiamo fermarla noi quell'immagine, l'istante, il momento comunicativo e i due termini di questo rapporto opera e spettatore si completerebbero a vicenda.

Il lavoro di Siotto è teso, infatti, ormai da anni, a fornire oggetti di riflessione sull'estetica del quotidiano. Anticonformista per scelta, critico e dissacrante per necessità, Siotto sembra incarnare ancora romanticamente il ruolo di artista ribelle, votato al diniego, al sospetto, all'incomprensione. Se questo atteggiamento conserva talune ingenuità o azioni ripetitive (ne sono cariche le pagine della storia dell'arte) è anche vero che non manca di essere comunque incisivo e sfacciatamente affascinante e costringe dunque a prendere atto di un intervento che, nel suo caso, è sempre operazione culturale consapevolmente articolata tra passato e presente. I suoi lavori nascono, infatti, da una duplice intenzionalità: afferrare il presente che si incarna in materiali di rifiuto, di scarto, di oggetti trovati e conservati da un contenuto storico interiorizzato che affonda le radici nel passato (che si sposta indifferentemente da Rubens a Bacon, da Duchamp a Rauschenberg). L'assemblaggio che ne discende si offre con una forte ambiguità semantica, sia nella nuova condizione fisica del relitto recuperato e ricomposto, sia nel sotteso rimando, a volte ludico a volte di sacro richiamo alla memoria storica dell'arte. L'operazione acquista così il valore di un cerimoniale dove si mescolano ritualità e progettazione, senso estetico ed esaltazione compositiva.

In effetti, i lavori di Siotto appaiono tutti investiti da una sorta di eccitazione interna, di euforia combinatoria o di cinico smembramento della preda ghermita (come la sedia thonet trovata a Londra e diventata, dopo accurata destrutturazione, simbolo sessuale nei Sos amorausi). In realtà Siotto assume un comportamento che ripete quello del primitivo, che accumula avidamente o distrugge brutalmente ciò che ghermisce (Argan), ripetendo così il comportamento stesso della società di consumi pronta a fagocitare i suoi trofei. Ma se Siotto si pone come avido consumatore di ciò che la società rifiuta o non riconosce come bene, è anche vero che, in lui, finisce per prevalere la tensione a ricostruire, a reinventare un'altra, simbolica, immagine della realtà stessa. Le sue opere lunghe si precisano con questa intenzionalità (e l'installazione di Casa Olla potrebbe esserne un'ulteriore versione), cioè quella di una dilatazione dell'oggetto stesso, o per serialità illimitata o per sua deformata elaborazione; in tutti i casi, lo dichiara lo stessa artista, la volontà è di collegare, mettere in relazione, che equivale, poi, a sollecitare in ogni modo, la comunicazione con l'ambiente e con i suoi destinatari. In questo modo i suoi interventi vanno letti come altrettanti giudizi o prese di posizione di tipo socio-politico e antropologico; in ogni caso mai come neutri o semplici attestati di buona condotta.