La
cravatta è, di per se stessa, simbolo di una borghesia
elegante e convenzionale, perbenista e compiaciuta di sé:
come il cappello a bombetta di Magritte, il volto di Marilyn Monroe
di Warhol, gli hamburger di Oldenburg, la cravatta è un
luogo collettivo, segno di una cultura di massa che si identifica
in oggetti sbrigativi e facilmente consumabili. Una parete ricoperta
di cravatte, multicolori e per tutti i gusti, seriose e bizzarre,
raffinate e kitsch, rappresentano il lavoro di Pietro Siotto a
Casa Olla. Come una bancarella che espone le proprie mercanzie,
Siotto dispone le sue cravatte in modo pedantemente ordinato creando
un puzzle che prende l'aspetto di una grande scacchiera e, casualmente,
acquista una sua logica: una forma strutturata è diventata
installazione. La parete, come un fuoco d'artificio, attrae lo
sguardo, sgomenta il visitatore e calamita l'attenzione su di
se; ironiche e giocose le cravatte diventano un forte richiamo
visivo: lo spettatore si avvicina, le scruta e, inevitabilmente,
si interroga sulla loro presenza e sul loro significato. E questo
compare in una scritta che, a bella posta, è inserita come
un messaggio pubblicitario, in un angolo, tra le cravatte, e dice:
A.A.A. Cravatte: azienda leader nel settore politico dal 1860
- cerca in tutto il mondo - colli attaccati a teste pensanti.
Per ulteriori informazioni telefonare al n. 078435188. Se non
fosse per questa eccessiva volontà didascalica l'immagine
dello spettatore, di spalle, che guarda al muro di cravatte sarebbe,
da sola, una visione surreale e l'opera avrebbe adempiuto al suo
intento. Ma possiamo fermarla noi quell'immagine, l'istante, il
momento comunicativo e i due termini di questo rapporto opera
e spettatore si completerebbero a vicenda.
Il
lavoro di Siotto è teso, infatti, ormai da anni, a fornire
oggetti di riflessione sull'estetica del quotidiano. Anticonformista
per scelta, critico e dissacrante per necessità, Siotto
sembra incarnare ancora romanticamente il ruolo di artista ribelle,
votato al diniego, al sospetto, all'incomprensione. Se questo
atteggiamento conserva talune ingenuità o azioni ripetitive
(ne sono cariche le pagine della storia dell'arte) è anche
vero che non manca di essere comunque incisivo e sfacciatamente
affascinante e costringe dunque a prendere atto di un intervento
che, nel suo caso, è sempre operazione culturale consapevolmente
articolata tra passato e presente. I suoi lavori nascono, infatti,
da una duplice intenzionalità: afferrare il presente che
si incarna in materiali di rifiuto, di scarto, di oggetti trovati
e conservati da un contenuto storico interiorizzato che affonda
le radici nel passato (che si sposta indifferentemente da Rubens
a Bacon, da Duchamp a Rauschenberg). L'assemblaggio che ne discende
si offre con una forte ambiguità semantica, sia nella nuova
condizione fisica del relitto recuperato e ricomposto, sia nel
sotteso rimando, a volte ludico a volte di sacro richiamo alla
memoria storica dell'arte. L'operazione acquista così il
valore di un cerimoniale dove si mescolano ritualità e
progettazione, senso estetico ed esaltazione compositiva.
In
effetti, i lavori di Siotto appaiono tutti investiti da una sorta
di eccitazione interna, di euforia combinatoria o di cinico smembramento
della preda ghermita (come la sedia thonet trovata a Londra e
diventata, dopo accurata destrutturazione, simbolo sessuale nei
Sos amorausi). In realtà Siotto assume un comportamento
che ripete quello del primitivo, che accumula avidamente o distrugge
brutalmente ciò che ghermisce (Argan), ripetendo così
il comportamento stesso della società di consumi pronta
a fagocitare i suoi trofei. Ma se Siotto si pone come avido consumatore
di ciò che la società rifiuta o non riconosce come
bene, è anche vero che, in lui, finisce per prevalere la
tensione a ricostruire, a reinventare un'altra, simbolica, immagine
della realtà stessa. Le sue opere lunghe si precisano con
questa intenzionalità (e l'installazione di Casa Olla potrebbe
esserne un'ulteriore versione), cioè quella di una dilatazione
dell'oggetto stesso, o per serialità illimitata o per sua
deformata elaborazione; in tutti i casi, lo dichiara lo stessa
artista, la volontà è di collegare, mettere in relazione,
che equivale, poi, a sollecitare in ogni modo, la comunicazione
con l'ambiente e con i suoi destinatari. In questo modo i suoi
interventi vanno letti come altrettanti giudizi o prese di posizione
di tipo socio-politico e antropologico; in ogni caso mai come
neutri o semplici attestati di buona condotta.