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Percorsi dello Spirito

di Giannella Demuro

 

Il multiforme svolgimento dei processi estetici di questi ultimi anni ­ coincidente, forse non a caso, con la fine del millennio ­ molto spesso si consuma nelle ansie di un corpo fisico dilaniato nella sua identità, contaminato e violato dalle seduzioni ambigue di un sentire nuovo, definito in senso biotecnologico e mediale.

Altre volte, invece, il riconoscimento dell'io non è sentire che si risolve nelle radicalizzazioni di una fisicità corporea quanto piuttosto riflessione che si compie lungo le tracce silenziose lasciate dal tempo, attività del pensiero che intuisce e intreccia intorno a sé immagini e segni: frammenti di memoria e di storia. Non traduzione mimetica del reale ma operazione alchemica che dal reale distilla un sentire cosmico, universale.

In quest'ottica, che annulla le pur evidenti distanze generazionali e culturali, sono dunque da leggersi le opere in mostra, opere che appartengono ai percorsi dello spirito.

Dalle trame del tempo ­ quello della storia e del sacro ­ Aldo Contini recupera la preziosità dell'oro e i valori architettonici dei suggestivi retablo, i polittici della tradizione catalana del XIV e XV secolo. E' il ciclo del Magnificat. Opere lignee, tavole sagomate a formare delle croci. Superfici vestite non dal colore ma dai bagliori caldi e metallici dell'oro e dell'argento, sulle quali con il metallo stesso l'artista crea geometrie dalle prospettive improbabili o scritture ­ citazioni, date, firme di artisti del passato.

Ma nei lavori di Contini il metallo prezioso cessa di essere puro riferimento ad una sacralità religiosa. L'artista gioca infatti con la caducità dei materiali: all'oro "vero" ­ che inattaccabile non cede all'usura del tempo ­ oppone quello "falso" incapace di mantenere a lungo il primitivo splendore. All'argento "vero", facilmente ossidabile, avvicina quello "falso" che resiste inalterato. Così l'oro, affascinante e insolito custode del tempo, è chiamato a rappresentare una sacralità laica, la tensione dissonante ma potente della coscienza che scruta se stessa, capace, come l'oro, di resistere al tempo.

Non sempre visibile ma in un certo qual modo comunque sottilmente percepibile, è l'affinità che l'arte stessa crea tra coloro che la esercitano. Non sorprende allora scoprire che l'ambiguità proposta da Contini nell'accostamento di oro vero e oro falso è intesa e realizzata nei medesimi termini da Satoshi Hirose, artista che proprio nelle problematiche dell'ambiguità e della transitorietà del reale ha individuato le linee della sua ricerca concettuale.

Sono forme dell'effimero, le opere di Hirose, costruzioni minime e in equilibrio precario, spesso affidate a percezioni sensoriali ­ profumi, sapori, luci ­ fisicamente intense, che mettono in gioco l'esperienza del fruitore richiamandogli alla mente impressioni, immagini, ricordi. Non solo.

La fisicità della percezione sottolinea la presenza dello spazio ­ vuoto, leggero, instabile ­ con cui l'opera si trova ad interagire. Spazio che diventa luogo di passaggio e di scambio tra l'opera e chi la fruisce, ma anche tra il Sé e l'Altro, tra il corpo e la mente. Sul concetto di inter-ness, (traducibile come idea dello "stare tra") si basa l'opera realizzata per la Cittadella dei Musei. Le zanzariere impalpabili che ricoprono, senza tuttavia celarli, letti minimali destinati ad un transitorio riposo ma anche e soprattutto alla riflessione, segnano il limite/passaggio tra lo spazio esterno, pubblico, e quello interno, privato, ambiguamente visibile e attraversabile, ma comunque distinto.

Per Arturo Lindsay lo spazio della ricerca è la terra dei suoi avi e il tempo è quello di una ritualità ancestrale, che l'artista esplora risalendo alle radici della fede e dell'identità collettiva. Figlio della Diaspora Nera, Lindsay sente l'appartenenza a realtà culturali distinte ed in questa confusa mescolanza (e ricerca) di identità egli fonda vita, fede, arte. Le simbologie arcaiche di una cultura primitiva, come quella della "Santeria", sono per Lindsay ­ come già lo furono per artisti quali Picasso, Klee, Nolde o Moore ­ segno di una profonda pulsione spirituale e quindi stimolo e varco per accedere all'assoluto. Santeria diventa quindi il nome dato ad un ciclo di opere dalla valenza fortemente sacrale ­ sorta di altari addobbati con statuine, candele e altri piccoli oggetti della tradizione votiva ­ cui fa riferimento anche Middle Passage Memorial 2. In quest'opera l'altare è sostituito da due cassette bianche rialzate da terra ­ le 'cajas de anima', urne dell'anima, destinate a contenere l'anima dei defunti ­ circondate da una barriera (in forma di barca) di cocci di vetri, sintesi simbolica del corpo e della sua fragilità. Metafora di viaggio, del 'passaggio' dei neri dall'Africa all'America ma anche di un'umanità la cui emanazione sopravvive nello spirito e nell'arte.

Una riflessione sullo spirito è anche quella di Wanda Nazzari, condotta con procedure per certi versi affini a quelle di Arturo Lindsay. La ricerca della Nazzari si orienta, particolarmente negli ultimi anni, verso una pratica di approfondimento introspettivo che guarda direttamente alle fonti della fede, alle Sacre Scritture.

Una meditazione che avviene nei luoghi dell'anima: dalla dimensione esistenziale dei Nidi, opere in cui l'artista affronta il tema della sofferenza umana, alla Croce immagine del dolore supremo, alle grandi Ali simbolo della fede, fino alla recente Riconciliazione.

Testo semantico dai molteplici rimandi simbolici, Riconciliazione è un'opera che crea uno spazio mistico di intensa suggestione, nel quale si percepisce l'epifania dell'Invisibile. Bende lacerate di tela grezza ricoprono i legni della contrizione e del perdono, manufatti d'uso che l'artista ha sottratto alla pratica liturgica, mentre le parole ebraiche dei Sacri Testi ­ ombre incise con cura meticolosa ­ appaiono sulle pagine bianche, che introducono e sostengono il cammino della riconciliazione. Nel silenzio dei simboli e nel confronto con il reale l'artista interpreta l'ansia del divino. Ai percorsi indicati dalle opere esposte se ne aggiunge infine un altro, non visibile ma sensibilmente percepibile: è il percorso tracciato dalle costruzioni sonore di Alessandro Olla, una riflessione che come quella proposta dagli altri artisti presenti in mostra, penetra lo spirito col peso leggero del pensiero.

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