Hamara

PERIODICO MARESE DI CULTURA E INFORMAZIONE

EDITRICE

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NUOVA REALTA

MARACALAGONIS  (CA) ITALY


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CENNI STORICI SU MARACALAGONIS

 

        Il territorio di Maracalagonis, comune a circa 17 Km. da Cagliari, conta presenze antropiche fin da periodi remotissimi; infatti il suo territorio, ricadente in gran parte nell’ambito del Parco naturale regionale “Sette Fratelli - Monte Genis”, affacciandosi nella parte orientale del golfo degli Angeli, si estende per circa  101  Kmq. verso l’interno. È normale che un tale territorio, abbastanza vario dal punto di vista delle risorse economiche ed assai accogliente per i colonizzatori che arrivavano dal mare, abbia da sempre attirato la presenza dell’uomo.

        La presenza di comunità umane è attestata già nel periodo eneolitico, con il rinvenimento di tombe a camera in località Cuccuru Craboni a pochi passi dall’abitato; questa necropoli ha portato alla luce resti ascrivibili alla cultura di Monte Claro (età del rame) e di Bonnannaro (età del bronzo), testimoniando poi anche frequentazioni successive, fino al periodo fenicio.

        Pure la civiltà nuragica, nelle sue varie fasi, ha lasciato ampie tracce nel territorio ed a testimoniarla restano i ruderi del nuraghe Genn’ ‘e Mari a Torre delle Stelle, a poca distanza del quale vi era  il villaggio nuragico di Cannesisa, privo di nuraghe; altri nuraghi sono quelli di: Beduzzu, Sa Mardini, Sirigraxiu (con forno fusorio), Su Reu, etc....

        Forte fu invece la presenza fenicia e successivamente punica. A Carroi infatti furono rinvenute tracce di un tempio punico, costruito con grossi blocchi squadrati, e due statue del Dio Bes (II-I a.C.), oggi conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Dal fenicio-punico Hamara = palude, stagno di acqua salmastra e “Chalaca” = luogo fertile, si vuole che derivi il nome del nostro paese; l’appellativo Mara, con il significato di stagno di acqua salmastra si trova spesso contrapposto a Pauli, stagno di acqua dolce, come, ad esempio avviene per Maracalagonis contrapposto a Pauli (Monserrato), o a Villamar (Mara Arbarei) contrapposta a Pauli Arbarei. Altri sporadici rinvenimenti fenicio-punici furono effettuati a Riu Su Staini e a Cuccuru Crobu.

        Come in tutto il resto delle pianure della Sardegna i punici impiantarono in Sardegna la monocoltura cerealicola, che da questo momento in poi caratterizzerà l’economia isolana; la Sardegna fu considerata come un prezioso granaio per rifornire le città dei centri dominanti, che organizzarono nella maniera più razionale possibile le campagne sarde affinché la produzione di grano e orzo non venisse mai meno. Anche il nostro territorio non sfuggì a questa situazione e gli effetti dell’organizzazione delle campagne in piccoli centri rurali, dove risiedevano i coloni e gli agricoltori legati alla terra che dovevano coltivare, fece sentire i suoi effetti durante il dominio dei romani, che perfezionarono questo sistema, e per tutto l’arco del medioevo.

        Anche la presenza romana risulta fortemente attestata dai numerosi rinvenimenti, provenienti soprattutto da alcune necropoli: una moneta dell’epoca dei Filippi (244-49 d.C.) trovata nelle locali campagne assieme a numerosi vasetti e ad una preziosa fibia, per cui l’illustre storico ottocentesco Giovanni Spano riteneva che qui vi fosse un importante oppido romano del III sec. sopo Cristo. Tutte queste attestazioni testimoniano il forte interesse romano al controllo di queste zone, al fine, come abbiamo già accennato, di garantire a Roma il prezioso rifornimento di prodotti della terra, soprattutto cereali. Le campagne dovevano essere divise in grandi latifondi, coltivati da contadini che vivevano in piccolissimi villaggi, di poche famiglie, sparsi per le campagne; il latifondo era dominato dalla grande villa rustica padronale, con i suoi depositi, le terme, come sporadici ritrovamenti hanno testimoniato in tutto il Campidano.

        Nell’agro di Maracalagonis e dei centri vicini doveva anche essere importante la raccolta di minerali, se è vero che nei pressi dell’attuale SS. 125, al 25° Km. circa, lungo la strada romana che da Karales si dirigeva a Olbia, sorgeva il centro romano Ferraria, come testimonia l’Itinerarium Antonini; doveva trattarsi certamente di un centro con varie funzioni: raccolta e smistamento dei minerali verso i porti; stazione militare contro le popolazioni dell’interno; mansio (stazione) lungo una strada così importante.

        Fra i rinvenimenti della tarda epoca romana è importante ricordare un frammento di iscrizione del III-IV sec d.C. relativo al restauro delle terme Rufiaone, che appartenevano ad una villa rustica della zona; sul retro di questa vi è un’altra iscrizione senza data riguardante un certo Johannes presb (Giovanni presbitero, sacerdote); l’iscrizione dimostra che, all’inizio della diffusione della religione cristiana, nel nostro territorio esisteva una chiesa con importanti compiti di evangelizzazione delle plebi rurali, ancora pagane. Infatti già nei primi secoli dell’era volgare si diffuse in Sardegna il cristianesimo, soprattutto nelle pianure colonizzate; purtroppo, però, poche attestazioni ci aiutano a circoscrivere meglio il fenomeno; certo, quando, sotto il re vandalo Trasamondo, nel 496 d.C., a Cagliari furono esiliati i vescovi ed i monaci del nord Africa, nel cagliaritano la cristianizzazione doveva essere assai profonda: esisteva un clero già saldamente organizzato, che aveva persino dato due papi a Roma, Ilario (461-68) e Simmaco (498-514); i vescovi di Cagliari e della Sardegna rivestivano un ruolo importante nelle gerarchie ecclesiastiche; esistevano sicuramente monasteri in vari luoghi di eremitaggio, e luoghi di culto nei vari centri del Campidano.

        I bizantini, dopo la conquista della Sardegna ai danni dei Vandali (533 d.C.), introdussero nell’isola vari Santi del menologio orientale, ed il nostro territorio conferma questa svolta culturale; San Gregorio e San Basilio -centri a pochi Km. ad est dell’abitato, lungo la SS 125, in direzione del Parco “Sette Fratelli - Monte Genis”- dovevano essere antichi luoghi di eremitaggio, meta di pellegrini, tanto da perpetuare il culto dei due Santi; nelle campagne di Maracalagonis persistono toponimi che richiamano culti orientali come San Giorgio, in sardo campidanese Santu Iorgiu -è sintomatico che, presso il luogo indicato dal toponimo, siano presenti ruderi di un edificio forse chiesastico, con frammenti di ceramica databili al V-VI sec., e un colle detto Bruncu Senzu = colle dell’assenzio, erba medica e aromatica introdotta e coltivata in Sardegna dai monaci bizantini-, San Cesareo (Santu Sesulu), Santa Amata (Santa Matta), Santo Stefano (Santu Stevini), etc...  In tutti i siti sopra ricordati sono attestati resti archeologici che farebbero pensare a piccoli centri abitati con le rispettive chiese.

        Questa importante fase bizantina è documentata dal diverso materiale di spoglio utilizzato sia nella fabbrica romanica (XIII sec.) della parrocchiale Beata Vergine degli Angeli, sia nella chiesa dedicata a Nostra Signora d’Itria. Nella parrocchiale sono ascrivibili ad edifici di epoca tardo-bizantina due plutei con raffigurazioni zoo-fitomorfe assai curate (un leone ed una leonessa) e forse di atrefici o influenza barbarica rilevabile nella tendenza anticlassica ad indicare gli organi genitali anche negli animali irreali o simbolici, una corta colonna ed altri pezzi, sistemati all’interno della chiesa. All’esterno, inseriti nella struttuta muraria del lato destro della parrocchiale, si rileva un bassorilievo ormai assai abraso, con una figura maschile tunicata, un’iscrizione sepolcrale, un piccolo pilastrino lavorato con figurazioni floreali, appartenuto forse ad un altare, e due grossi massi lavorati che farebbero pensare a basi d’altare. Nella chiesa di Nostra Signora d’Itria sono state utilizzate nella fabbrica romanica parecchie colonne e capitelli di spoglio. Tutti questi materiali, ai quali dovremmo aggiungere pure parecchio pezzi di cui ormai si è persa traccia, sono attribuiti dalla tradizione popolare alla basilica dedicata a Santo Stefano, nell’antico centro bizantino di Calagonis, che può essere individuato laddove ancora persiste il toponimo (Santu Stevini), cioé a qualche centinaio di metri a sud ovest dell’attuale abitato; i contadini, nei normali lavori agricoli, hanno sempre rinvenuto nella zona, del materiale archeologico, individuando pure strutture che farebbero pensare alle basi di una chiesa.

        Nel periodo giudicale l’agro dell’attuale comune di Maracalagonis ricadeva nella curadorìa di Campidano, “circoscrizione amministrativa” del Giudicato o Regno di Càlari (900-1258). I pochi documenti relativi a tutto l’arco dell’epoca giudicale finora pervenuti attestano che nel nostro territorio insistevano una serie di villaggi di piccole dimensioni, abitati in media da qualche decina di famiglie; essi erano: Mara, Calagonis, Corongiu, Geremeas, Massargia, Misa o Nisa, Nuscedda, San Pietro e Santa Maria di Paradiso, Separassiu, Sicci, Sirigargiu, Solanas, Villa Nova Santu Basili.

        Per ovviare alla partenza dei monaci bizantini (dopo lo scisma del 1054), che avevano dato un forte impulso all’agricoltura con la loro opera di organizzazione delle campagne ed avevano permesso un forte incremento demografico che verosimilmente aveva reso possibile la nascita di questi aggregati rurali, i sovrani del Regno di Càlari si rivolsero, con ampie donazioni di chiese, terre e servi, sia all’ordine benedettino dei Vittorini di Marsiglia, sia ai comuni di Pisa e Genova, attraverso le loro chiese cattedrali. Queste scelte risultarono assai felici, perché i vittorini favorirono una ripresa delle attività agricole ed i pisani garantirono quell’indispensabile sbocco commerciale per i prodotti della terra. Anche il nostro territorio fu interessato da queste colonizzazioni e i vittorini possedettero varie pertinenze nelle ville di Mara, Calagonis e Sicci; a solo titolo di esempio ricordiamo, per Mara, le domestìe (case coloniche autosufficenti) di San Lussorio e di Silly; per Calagonis, la domestìa di Safa; per Sicci, l’orto de Sabuina.

        La grave recessione economica dovuta ai disagi delle guerre di conquista aragonese (dal 1323) e l’oppressivo sistema fiscale, introdotto dai feudatari iberici, portò allo spopolamento delle campagne ed al conseguente abbandono di numerosi insediamenti; nel nostro territorio sopravvisse solo Mara, dove si rifugiarono anche gli abitanti di Calagonis -che risulta abbandonata nella prima metà del XIV sec.- i quali mantennero forte la loro identità etnica, tanto da conservare il nome in quello del nuovo villaggio, Mara Calagonis, ed il Santo patrono, Santo Stefano.

        Gli abitati di Mara, Calagonis, e Sicci nel 1355 furono infeudati a Don Enrico Oulomar, cavaliere iberico che aveva aiutato il re Giacomo II d’Aragona a realizzare il Regno di Sardegna.

        Gli Oulomar vendettero il  feudo al terribile Berengario Carroz, feudatario di Quirra, per 5500 fiorini. Nel 1504 il feudo passò alla famosa Donna Violante Carroz, e, nel 1520, ai Centelles.

        Il villaggio attraversò un periodo felice nel Cinquecento, quando vi nacquero prima i fratelli Giovanni ed Andrea Sanna, che diventati vescovi di Ales ed Inquisitori Generali del Regno di Sardegna, poi il famoso Padre Salvatore Vidal (1581-1647), autore di varie opere di storiografìa, agiografìa ed erudizione, nonché ambasciatore del re di Spaga e di Sardegna Filippo III.

        Di feudatario in feudatario, arriviamo fino al periodo sabaudo, quando, nel 1793, la villa di Mara Calagonis era nelle mani degli Osorio de la Cueva; nel 1839 fu riscattata dal Regno di Sardegna, che nel 1861 si trasformò in Regno d’Italia.

 

Dott. SERRELI Gianni

(Studioso ed esperto in Storia della Sardegna)

 

 

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