La poetica
dannunziana (ma forse sarebbe più esatto parlare di poetiche, o duna poetica
composita) è lespressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti
«decadenti» europei DAnnunzio accoglie modi, forme, immagini, con una capacità
assimilatrice notevolissima; quasi sempre, però, senza approfondirli, ma usandoli come
elementi della sua arte fastosa e portata a unampia gamma di sperimentazioni. Per
questultimo aspetto lo si può avvicinare al Pascoli,
anchegli impegnato in una ricerca di nuove tematiche linguistiche.
Anche per DAnnunzio fu importante lincontro col Simbolismo europeo,
soprattutto francese, a cominciare dal Poema paradisiaco (1893; ma le liriche sono frutto
dun triennio), dove savverte la ricerca della parola suggestiva,
dellanalogia simbolistica, lansia duna poesia che evochi li «mistero»
attraverso raffinate atmosfere sentimentali e di sensibilità e oggetti ridotti a emblemi
duna realtà più profonda: il non dicibile delle cose e dellanimo, aperto
soltanto allintuizione, al presentimento, alla ricerca duna rifondazione
poetica della realtà.
E` stato spesso osservato che DAnnunzio subisce linflusso prevalentemente dei
Simbolisti «minori», e rimane fuori dalla linea Baubelaire-Verlaine-Rimbaud-Mallarmé,
quella, cioè, più ricca di futuro nella letteratura europea; e si è parlato, per lui e
per il Pascoli, duna sorta di simbolismo «indigeno», di livello, cioè
«provinciale». Ma la condanna non pare sempre giustificata, per quel che riguarda la
prima accusa - e, in effetti, non dovrebbe neppure essere una condanna, ma il segno
dun mondo poetico diverso -, e quanto al provincialismo degli atteggiamenti meno
persuasivi dei due poeti, converrebbe confrontarli con altri «provincialismi» europei.
Del DAnnunzio in particolare si può dire che egli aderì soprattutto alla tendenza
irrazionalistica e al misticismo estetico, fondevoli con la propria ispirazione
naturalistica e sensuale, ben evidente nelle sue prime raccolte poetiche e non mai
rinnegata, che potremmo schematicamente definire così:
a) rigetto della ragione come strumento
primario di conoscenza e fondazione di valori spirituali;
b) abbandono delle suggestioni del senso e
dellistinto come mezzo per porsi in diretto contatto - inteso come unica conoscenza
possibile - con le forze primigenie della natura-vita.
Nasce di qui quello che fu
detto il panismo di molta poesia dannunziana: per un verso un dissolversi dellio, un
suo farsi forma, colore, suono, un immergersi totale nelle cose, dietro la suggestione dei
sensi e dellistinto; per un altro verso, una nuova creazione della realtà in una
luce di bellezza, coincidente con limpeto inesausto della vita, con il moltiplicarsi
costante delle forme davanti alla vigile «attenzione» del poeta. La poesia diviene così
per DAnnunzio scoperta dellarmonia del mondo; il poeta a suo avviso continua e
completa lopera della natura.
E` questo, in sostanza, il nucleo primario dellispirazione dannunziana, evidente
soprattutto nella poesia, da Primo vere alle ultime raccolte; spesso sommerso
dallenfasi, quando il poeta complica il suo naturalismo istintivo col desiderio di
dire cose mai dette o di rivelare una sensibilità deccezione o di esaltare un
proprio dominio creativo sulle cose. Abbiamo allora i falsi miti del barbarico, del
primitivo, dellerotismo, del proprio io, nelle due direzioni dellestetismo o
del superumanismo. Comunque ad entrambe è lesaltazione di quella che il poeta
chiamò la sua «quadriglia imperiale» cioè lunione di voluttà e istinto,
orgoglio e volontà.
Estetismo e superumanismo rappresentano, in sostanza, due aspetti concomitanti e
complementari dellispirazione sensuale. Con questo aggettivo alludiamo non tanto al
contenuto erotico di molte opere dannunziane, ma allaccettazione della vitalità
pura e istintiva come norma suprema, con piena negazione della razionalità e della
storia.
DAnnunzio è, insieme
con il Pascoli, il poeta più rappresentativo del Decadentismo italiano; ma essi, pure
essendo quasi contemporanea - appena otto anni separano DAnnunzio (1863) dal Pascoli
(1865) - e pur muovendosi nellambito del Decadentismo, sono poeti, sotto molti
aspetti, assai differenti.
Anzitutto il Decadentismo del Pascoli fu più istintivo che consapevole, con scarse o
inesistenti sollecitazioni e influenze esterne ( ad eccezione del Poe e di Baudelaire,
infatti, non pare che il Pascoli conoscesse altri testi del Decadentismo europeo ); il
Decadentismo del DAnnunzio fu invece frutto di scelte precise, operate
nellambito delle più svariate tendenze del Decadentismo europeo, assimilate e
padroneggiate per leccezionale disponibilità del suo spirito alla più varie e
ardite esperienze di vita e di arte. Al DAnnunzio alludeva il Pascoli quando ne Il
fanciullino scriveva che « il poeta non è unartista che nielli e ceselli
loro che altri gli porga ».
E` vero che il DAnnunzio
assimilò le tendenze più appariscenti e superficiali del Decadentismo europeo, come
lestetismo, il sensualismo, il vitalismo, il panismo, lulissismo (inteso però
in senso dinamico, attivistico, come ricerca di esperienze sempre nuove ed eccezionali, e
non in senso vittimistico, di perseguitato dal destino, come quello del Foscolo), ma ne
ignorò il misticismo gnoseologico (ossia la concezione della poesia come strumento di
conoscenza del mondo ultrasensibile) ed il dramma della solitudine umana e
dellangoscia esistenziale.
Tuttavia, nonostante questo limite vistoso, egli non solo divenne parte integrante del
movimento decadente europeo, ma seppe creare un proprio stile di vita e di arte che va
sotto il nome di « dannunzianesimo », un fenomeno culturale e di costume tanto diffuso
che si può dire che allItalia largamente carducciana della seconda metà
dellOttocento, successe, tra la fine dellOttocento e i primi del Novecento, un
Italia altrettanto largamente dannunziana, nonostante laccanita polemica degli
oppositori e dei denigratori.
Gli aspetti più significativi del decadentismo dannunziano sono:
1) Lestetismo artistico - cioè a
concezione della poesia e dellarte come creazione di bellezza , in assoluta libertà
di motivi e di forme - sorto come reazione alle miserie e alle "volgarità" del
verismo;
2) lestetismo pratico, che ha un
rapporto di analogia con lestetismo artistico: anche la vita pratica deve essere
realizzata in assoluta libertà, al di fuori e al di sopra di ogni legge e di ogni freno
morale;
3) lanalisi narcisisticamente
compiaciuta delle proprie sensazione più rare, sofisticate raffinate;
4) il gusto della parola, scelta più per
il suo valore evocativo e musicale che per il suo significato logico. Esso culmina nei
capolavori dellAlcyone;
5) il panismo, ossia la tendenza ad
abbandonarsi alla vita dei sensi e dellistinto, a dissolversi e ad immedesimarsi con
le forze e gli aspetti della natura, astri, mare, fiumi, alberi; a sentirsi, cioè, parte
del Tutto, nella circolarità della vita cosmica.
Per dannunzianesimo sintende il complesso
degli atteggiamenti deteriori del DAnnunzio, che influenzarono la vita pratica,
letteraria e politica degli italiani del suo tempo.
Nella vita pratica il DAnnunzio suscitò interesse e curiosità in certa
aristocrazia e borghesia parassitaria e sfaccendata, e ne influenzò il costume con i suoi
atteggiamenti estetizzanti, narcisistici, edonistici, immorali e superomistici.
Nella vita letteraria con i suoi virtuosismi lessicali e stilistici diventò il modello di
tanti poeti del suo tempo.
Nella vita politica dapprima con la sua eloquenza fastosa di interventista e con le
imprese eroiche e leggendarie di combattente, galvanizzò, entro certi limiti
lItalia in guerra; poi con il gusto estetizzante dellavventura e della
ribellione allautorità costituita ( al tempo dellimpresa fiumana ) influenzò
il Fascismo, al quale il dannunzianesimo fornì gli schemi delle celebrazioni esteriori,
dei discorsi reboanti e vuoti, dei messaggi e dei motti ( ricordiamo il famoso Memento
audere semper ) luso del gagliardetto, la teatralità dei gesti e le pose
istrionesche del capo.
Ma il dannunzianesimo non fornì al Fascismo soltanto gli schemi esteriori, che, tutto
sommato, potevano anche rimanere innocui: gli lasciò anche eredità più nefaste e
brucianti, che vennero a far parte dellhabitus mentale fascista, come la mancanza di
senso storico il fastidio o il disprezzo per il lavoro umile, limprovvisazione, la
faciloneria, la sottovalutazione e il disprezzo degli avversari: tutti elementi che
portarono lItalia alla guerra e alla disfatta.
Anche il DAnnunzio come
il Pascoli, avvertì i limiti e la crisi del naturalismo e del Positivismo di fine secolo.
Tutti e due hanno infatti in comune la sfiducia nella ragione e nella scienza, rivelatesi
incapaci, nonostante la conclamata onnipotenza, di dare una spiegazione sicura e
definitiva della vita e del mondo.
«Lesperimento è compiuto - scriveva DAnnunzio nel 1893 - La scienza è
incapace di ripopolare il «deserto cielo, di rendere la felicità alle anime in cui ella
ha distrutto lingenua pace... Non vogliamo più la «verità. Dateci il sogno.
Riposo non avremo, se non nelle ombre dellignoto».
Circa negli stessi anni Giovanni Pascoli scriveva un pensiero analogo: «La scienza ha
perfezionato, oltre ogni aspettativa, la tecnica, ma non ha saputo, né saprà mai
liberare gli uomini dal dolore e dalla morte, e solo ha tolto le illusioni della fede, che
lo compensavano del male del vivere, dellatrocità del morire».
Dalla comune
sfiducia nella ragione i due poeti derivarono il senso della solitudine delluomo; ma
da questo momento il loro pensiero diverge e approda a due diverse concezioni della vita,
muovendosi il Pascoli nellambito del vittimismo romantico con sgomenti e ansie
decadenti, il DAnnunzio nellambito dellestetismo e del superomismo
nicciano.
Il Pascoli, di temperamento sensitivo e fragile, ha una percezione ombrosa e trepida della
solitudine, che lo spinge a cercare e a predicare la solidarietà con gli altri, perché
gli uomini, se si uniscono, possono meglio sopportare il loro destino di dolore.
Il DAnnunzio ha invece un temperamento sensuale, e perciò ha una percezione
egoistica, orgogliosa e arrogante della solitudine, derivata dalla consapevolezza della
eccezionalità della propria persona, che lo spinge ad affermare la propria supremazia
sugli altri, a conquistare il dominio del mondo. O mondo, sei mio! / Ti coglierò come un
pomo, / ti spremerò alla mia sete / alla mia sete perenne (Maia).
La poesia del DAnnunzio rispecchia la sensualità del suo temperamento, intesa come
abbandono gioioso alla vita dei sensi e dellistinto, per scoprire lessenza
profonda e segreta dellio (che è poi quella stessa della natura).
Si rinnova così nel DAnnunzio il dramma romantico della ricerca dellassoluto.
Ma mentre i romantici cercavano di raggiungerlo con lestasi dello spirito davanti
allinfinito, il DAnnunzio, invece, lo cerca con lestasi panica, cioè
con limmergersi nella natura delle cose, fino a sentire in bocca il sapore del
mondo, come egli dice.
Nel sensualismo e nel
naturalismo panico è lespressione più genuina e più valida della poesia del
DAnnunzio. Tutte le volte che egli forza la sua natura di poeta visivo e sensuale,
rivestendola di elementi dottrinali e intellettualistici - come lestetismo, il
superomismo, o il profetismo del poeta-vate - cade nellartificio e nella retorica;
una retorica fastosa, opulenta e abbacinante, che fa di lui un Marino o un Monti redivivo,
ancora più sbrigliato e imaginifico.
Perciò anche la poesia del DAnnunzio è, come quella del Pascoli, senza svolgimento
e progressivo arricchimento. Le successive aggregazioni di motivi hanno solo il potere di
deformare e fuorviare la vera natura di poeta della laus vitae, intesa come gioia dei
sensi, come godimento oblioso dei "frutti terrestri".
La poesia autentica del DAnnunzio pertanto ha carattere frammentario, antologico;
raggiunge il suo culmine in alcuni capolavori dellAlcyone, come La sera fiesolana,
La tenzone, La pioggia nel pineto, Londa, Undulna, Le stirpi canore, I pastori, e
nella prosa asciutta e intima del Notturno. Non a caso, per giudizio concorde della
critica, è proprio il DAnnunzio «alcionio» e «notturno» quello che resterà
nella storia della poesia: il resto della sua vasta produzione letteraria di novelliere di
romanziere e di drammaturgo, di poeta civile e patriottico, interessa solo la storia della
cultura, non quella della poesia.
Per concludere, DAnnunzio non ebbe una poetica ben definita, perché, data la sua
straordinaria abilità a captare i gusti e le tendenze delle letterature europee
contemporanee, ne riecheggiò i motivi e le forme mutando continuamente la poetica.
Il Binni ha individuato i diversi aspetti della poetica dannunziana: ora - egli dice - è
poetica dellorafo, cioè delleleganza e della raffinatezza parnassiana,
nellIsotteo e nella Chimera; ora è poetica del convalescente, cioè si sente
estenuato e deluso dalla vita dei sensi e aspira alla purezza e alla bontà, nel Poema
paradisiaco; ora è poetica del superuomo nei romanzi e nelle tragedie; ora è poetica
della profezia del poeta-vate, nelle Canzoni delle gesta oltremare; ora è poetica
naturalistica nellAlcyone.
Di tutte queste la più congeniale, come abbiamo detto, è la poetica naturalistica
dellAlcyone, il III libro delle Laudi, che contiene le poesie più suggestive del
DAnnunzio.