FAMIGLIA -  MATRIMONIO - OBBLIGHI DEI CONIUGI - SEPARAZIONE

ADDEBITO - FATTISPECIE

(Cassazione - Sezione Prima Civile - Sent. n. 9472/99 - Presidente A. Rocchi - Relatore F. Forte)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Ravenna pronunciava la separazione dei coniugi Angelo A. e Anna T. e rigettava le reciproche domande d'addebito, assegnando l'abitazione alla moglie in funzione sostitutiva del contributo per il mantenimento di lei a carico del marito, proprietario esclusivo della casa e compensando le spese di giudizio; l'addebito alla donna era escluso, per non essere provati con certezza né la violazione da parte di lei degli obblighi di fedeltà al marito, per aver tentato d'iniziare una relazione con un altro uomo senza riuscirvi, né il nesso di causalità tra tale condotta e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi. Avverso tale sentenza proponeva appello l'A., che insisteva per l'addebito alla moglie, in quanto era restrittiva la visione dei doveri di fedeltà coniugale da parte del Tribunale, che aveva escluso fossero violati dalle pressanti profferte amorose della donna verso un altro uomo, non sfociate in rapporti sessuali ma tanto insistenti da indurre quello a rivolgersi ai Carabinieri e allo stesso marito di lei per non essere più molestato, attribuendo la separazione a frizioni tra i coniugi diverse e non meglio precisate. Con il gravame l'A. chiedeva l'assegnazione della casa coniugale non essendovi figli conviventi con la donna che giustificassero la conservazione per lei dell'abitazione familiare e dovendosi denegare che l'uso della casa potesse valere come contributo economico a carico del coniuge proprietario per il mantenimento dell'altro, anche perchè nel caso alla moglie nulla competeva per l'addebito a suo carico. Costituitasi, la donna si opponeva al gravame del marito, chiedendone il rigetto; la sentenza della Corte d'appello di Bologna di cui in epigrafe, riteneva che non avesse determinato la separazione la condotta della T., violativa dei doveri di fedeltà nascenti dal matrimonio, perché anche se non s'era concretata in una relazione sessuale con altro uomo e consistette solo in approcci rimasti senza effetto, come dimostravano biglietti anonimi e telefonate continue e la presenza assidua della donna nell'autobus condotto dall'uomo, essa integrava comunque comportamenti lesivi della dignità del marito per la pubblicità delle condotte stesse ingiuriose verso l'A.; era però escluso che da tale condotta fosse derivata la intollerabilità della prosecuzione della convivenza, come risultava chiaro dalla deposizione della figlia maggiore dei coniugi che aveva evidenziato l'esistenza di una crisi dei loro rapporti prima della accuse di infedeltà derivate dalle azioni di cui sopra. In ordine all'abitazione coniugale di proprietà dell'A., non essendovi figli conviventi non autosufficienti, l'assegnazione alla T. non era giustificata dal suo diritto al mantenimento in deroga al principio di disponibilità del bene per il proprietario; la Corte quindi revocava l'assegnazione disposta in primo grado e sostituiva tale beneficio con un contributo a carico dell'A. e a favore della donna di L. 450.000 mensili a decorrere dal rilascio della casa, compensando le spese di causa.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l'A. per tre motivi, illustrati da successiva memoria e la T. resiste con controricorso, seguito anch'esso da memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I tre motivi di ricorso lamentano violazione dell' art. 151, 2^ co. c.c., in relazione all'art. 143, 2^ co. c.c., dell'art. 343 c.p.c. e dell'art. 91 c.p.c., per erronea applicazione dalla Corte territoriale in primis delle norme sull'addebito e sul nesso eziologico tra i comportamenti della donna idonei a ledere la dignità del ricorrente e la separazione; inoltre con il secondo motivo si lamenta l'ultrapetizione della sentenza impugnata che, decisa la revoca dell'assegnazione dell'abitazione alla T., aveva sostituito questo diritto con un contributo a carico dell'A., può in difetto di appello incidentale della donna e con il terzo motivo si deduce la errata conseguente disciplina delle spese di causa. La sentenza impugnata, pur affermando esattamente che l'obbligo di fedeltà coincide con la lealtà e con l'impegno di dedizione fisica e spirituale verso il coniuge (in tal senso la citata Cass. 18 settembre 1997 n. 9287) e considerando censurabili e criticabili le azioni della T., aveva poi negato che esse avessero causato la separazione, senza considerare che non è necessario che le violazioni degli obblighi derivanti dal matrimonio siano la causa unica dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza ai fini dell'addebito, essendo sufficiente che abbiano concorso a deteriorare i rapporti tra i coniugi. Per il ricorrente, la Corte territoriale, ritenute non provate con certezza le altre cause di dissidio tra i coniugi, aveva escluso illogicamente che i tentativi della donna di avere una relazione con un terzo fossero stati tra le situazioni da cui era dipesa l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, non rilevando che la stessa ammissione di controparte in comparsa di risposta che la decisione dell'A. di chiedere la separazione dipendeva da infondati sospetti sulla fedeltà di lei, provava il riconoscimento da parte sua dell'addebito domandato a suo carico dal marito. L'affermazione della figlia, sentita quale teste, di una pregressa incompatibilità di carattere tra i coniugi, era generica e immotivata e costituiva piuttosto un'opinione che un fatto, avendo inoltre la deposizione testimoniale dell'uomo corteggiato dalla T. in ordine alle confidenze di questa sulla crisi del matrimonio effetti irrilevanti per dimostrare che l'intollerabilità a proseguire la convivenza tra le parti fosse derivata da altri fattori e non dall'azione ingiuriosa della donna, che, già esternando il suo innamoramento verso un terzo con il quale si tratteneva a lungo in autobus, rendeva plausibile e pubblica una relazione apparentemente adulterina come tale causativa della separazione, avendo in ogni caso le violazioni di doveri che nascono dal matrimonio anche se non manifestate a terzi rilievo per l'addebito al coniuge che le pone in essere. Con il controricorso la T. deduce che tale motivo in quanto introduce valutazioni di fatto, è inammissibile e rileva che esistevano varie cause, soprattutto di interesse che determinarono intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

1.1 L'A. deduce in effetti l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di merito, esattamente fondata sull'affermazione della violazione dei doveri di fedeltà da parte della T., per il fatto che detta violazione non avrebbe causato 1'intollerabilità della prosecuzione della convivenza. In realtà i giudici d'appello hanno ritenuto sicuramente accolto l'ampio concetto d'obbligo di fedeltà di cui all'art. 143 c.c. elaborato dalla giurisprudenza ma hanno poi affermato che "la mera prova di censurabili comportamenti idonei ad ingenerare il giustificato dubbio sulla fedeltà dell'altro coniuge e quindi la rottura della fiducia tra i coniugi, ove svincolata dalla prova della sua efficienza causale in ordine alla crisi coniugale (anzi in presenza di elementi probatori sintomatici di suoi preesistenti affioramenti) e da una valutazione globale dei reciproci atteggiamenti, non appare da sola sufficiente ad una pronuncia di addebito della separazione (in tal senso di recente Cass. 30.01.1992 n. 961)". I giudici di merito hanno di conseguenza affermato che alla T. "non fosse addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio" (art.151 c. c.), derivando la fine della vita comune tra le parti da altre cause; ad avviso del ricorrente tale statuizione non è motivata nell'escludere che la rottura dei rapporti coniugali sia avvenuta anche per effetto o in considerazione della violazione dei doveri di lealtà e fedeltà coniugale da parte della T. riscontrata nella stessa sentenza. Rileva questa Corte che l'addebito alla moglie si è escluso dalla sentenza di merito con argomentazioni, da cui non emergono in modo esaustivo i motivi per i quali l'azione ingiuriosa della moglie verso l'A. non avrebbe determinato la separazione e sul piano "cronologico" e su quello "logico". Per il profilo temporale, non risultano entità e cause di precedenti crisi coniugali tra le parti, tali da essere state esse le fonti dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, indipendentemente quindi dalla successiva violazione dei doveri di fedeltà da parte della T., come emersa dall'istruttoria espletata; la figlia maggiore della coppia, nella sua deposizione riportata nella stessa sentenza impugnata, afferma che la crisi tra i genitori si era "aggravati per carenza di dialogo e per i risentimenti insorti a seguito delle accuse di tradimento" e dallo svolgimento del processo della sentenza di merito risulta che la donna in sede di costituzione in appello, pur affermando l'esistenza di vari temi di conflitto tra le parti, prima che ella cercasse aiuto e confidenza nell'uomo da lei "corteggiato", sembra riconoscere che tale sua condotta abbia aggiunto un altro fronte di crisi tra lei e il marito. Solo la prova di un'intollerabilità già in atto della prosecuzione della convivenza tra i coniugi precedente agli approcci amorosi della T. verso l'altro uomo, sul piano cronologico, esclude che 1' accertata violazione dei doveri coniugali da parte di lei ha concorso a provocare la separazione. La Corte territoriale, pur se accenna alla "presenza di elementi probatori sintomatici di preesistenti affioramenti" di una crisi coniugale, non ne indica cause ed entità né ne precisa i tempi, così impedendo ogni valutazione della mancanza o sussistenza di soluzioni di continuità tra le predette tensioni e le altre a base del ricorso per separazione proposto dall'A.. Inoltre dal punto di vista "logico" non emerge chiaro dai motivi la causa dell'esclusione di ogni nesso eziologico tra le azioni della T. e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, attraverso la dimostrazione di altra causa esclusiva e assorbente o comunque tale da evidenziare l'irrilevanza o inadeguatezza dell'apparente infedeltà della donna al marito a provocare la rottura della vita in comune. Su tale insufficiente valutazione dei fatti in ordine al nesso causale tra condotta ingiuriosa della T. verso l'A. e separazione, sui due indicati piani "cronologico" e "logico", il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve cassarsi con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d'appello di Bologna perché riesamini la questione dell'addebito e del nesso eziologico tra le accertate violazioni di doveri di fedeltà coniugale della T. e la sopravvenuta intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi.

2. Il secondo motivo deduce l'ultrapetizione dei giudici d'appello, che, pur mancando il gravame incidentale della T., accogliendo l'impugnazione dell'A. sull'assegnazione della casa familiare, hanno revocato tale assegnazione sostituendola con un contributo di L. 450.000 al mese in favore della donna; che nulla aveva domandato non proponendo appello; il motivo resta assorbito dall'accoglimento dell'impugnazione in ordine all'accertamento dell'addebito chiesto dall'A., perché solo all'esito di tale valutazione si chiarirà l'esistenza del diritto al mantenimento o ai soli alimenti per la T. e di conseguenza potrà affrontarsi anche il profilo processuale di una pretesa ultrapetizione per essersi comunque mantenuto un contributo in favore della donna dopo avere escluso che l'assegnazione della casa familiare possa sostituire il mantenimento stesso, può in assenza di appello incidentale sul punto. Altrettanto è a dirsi per il terzo motivo di ricorso, che lamenta l'erronea compensazione delle spese di causa, sulle quali, comprese quelle del presente giudizio di cassazione, dovrà naturalmente pronunciarsi la stessa Corte d'appello in sede di rinvio.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Bologna (altra sezione) anche per le spese. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 giugno 1999.




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