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Studio Avv. Mario Marzorati - Milano

CORRUZIONE DI MINORENNI - NOZIONE DI ATTI SESSUALI O ATTI DI LIBIDINE - FATTISPECIE DI MATERIALE PORNOGRAFICO MOSTRATO A MINORI

(Cassazione - Sezione III Penale sent. n. 4264/99 - Presidente Tridico G. - Relatore Seluttino O.)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trento sezione distaccata di Bolzano, ha confermato la sentenza del Pretore di Merano del 22-7-1994, appellata dall'imputato P. F., con la quale costui era stato condannato, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva e con la continuazione, alla pena di un anno di reclusione, per il reato di cui agli artt. 56 e 530 c.p., così modificata l'originaria imputazione ( artt. 81 cpv. e 530 c.p., "per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indotto persone minori degli anni sedici a commettere atti di libidine; in particolare, per avere mostrato giornali e videocassette a contenuto pornografico a M. M. ed U. ( rispettivamente di anni 15 e 12), nonché a N. M., F. e H., inducendo le predette persone minori alla commissione di atti di libidine. In Scena (BZ), nel marzo-aprile 1992. Con la recidiva".

Ricorre il Procuratore Generale presso la sezione distaccata della Corte di appello di Trento con sede in Bolzano per l'annullamento della sentenza, deducendo:

Violazione dell 'art.491 co. 2 c.p.p., per l'abusivo inserimento nel fascicolo del dibattimento dell'informativa di reato dei Carabinieri (ved.ff.13-14), con conseguente danno per l'imputato a causa della ''descrizione estremamente negativa di lui, contenuta nell'informativa medesima, sulla quale, peraltro, non è stato sentito neppure il rapportante Rizzo G..

Violazione dell'art.15 co. 4 D.P.R. 574/88 e dell art.109 co. 2 e 3 cp.p., per mancato avviso ai testi di madrelingua tedesca della facoltà di usare nel rendere la testimonianza, la lingua tedesca, per la mancata nomina dell'interprete e per l'omessa doppia verbalizzazione, prevista a pena di nullità.

Violazione dell'art.56 c.p., per avere, la Corte di appello, ritenuto erroneamente realizzato, nella fattispecie, il tentativo di corruzione di minorenni, che, essendo reato di pericolo, non ammette la figura del tentativo, quanto meno nella realtà dei fatti accertati nel caso concreto.

Violazione dell'art. 192 co. 1 e 2 cp.p. e art. 120 c.p..

Con tale motivo il ricorrente denuncia, in buona sostanza, il vizio di cui all'art.606 co. 1 lett.e) c.p.p. (e, se mal non si comprende, anche quello di cui alla lettera c), per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, sia con riguardo alla ritenuta ed affermata responsabilità dell'imputato, nonostante la carenza di prove a suo carico, sia in relazione alla errata configurazione del reato in ordine al quale lo stesso è stato, poi, condannato, nonché alla procedibilità dell'azione penale, indicando dettagliatamente gli elementi e le circostanze di fatto e le emergenze processuali da cui dovrebbe dedursi l'esistenza del vizio denunciato ( o dei vizi denunciati).

Violazione dell'art 606 quinquies c.p., per avere, la Corte territoriale, pronunciato la condanna dell'imputato sull' errato presupposto che fossero stati da lui compiuti "atti sessuali" o, meglio, atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere atti sessuali, mentre tutto ciò non è risultato assolutamente provato; come parimenti è rimasto del tutto indimostrato il fine, richiesto dalla legge per la realizzazione del reato in questione, di fare assistere i minori di anni quattordici a tali pretesi atti.

"I motivi esposti dimostrano - secondo il ricorrente - che la sentenza de qua dev'essere cassata, al fine di consentire una rilettura più corretta e ponderata delle risultanze probatorie e con esclusione di tutto ciò che è stato illegalmente acquisito o non risulta coperto dal capo di accusa".

Ricorre anche l'imputato, deducendo:

1) Violazione dell'art. 606 lett. c) ed e) c.p.p., con riferimento agli artt.521 e 522 c.p.p., per violazione della regola della correlazione tra sentenza ed accusa, essendo stata pronunciata condanna per fatti ritenuti in sentenza diversi da quelli contestati (ved. capo d'imputazione).

2) Violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p., in riferimento agli artt. l 92 e l 95 c.p.p., per manifesta illogicità della motivazione e travisamento del fatto risultanti dal testo della sentenza, in relazione alle circostanze, date per provate in sentenza, ma non riferite da alcun teste, che il P. avrebbe mostrato ai minori giornali e riviste pornografiche o avrebbe commesso atti qualificabili come atti di libidine; e, inoltre, per la ritenuta attendibilità delle testimonianze de relato, piuttosto che di quelle dirette, che escludevano la sussistenza dei fatti addebitati al prevenuto.

3) Violazione dell'art. 606 lett.b) ed e) c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 530-609 quinquies e 56 c.p. nonché per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione,. in relazione alla errata valutazione dei fatti ed all'altrettanto erroneo convincimento, espresso dai giudici in sentenza, che gli stessi integrassero la violazione di legge contestata, sia secondo la previsione dell'abrogato art. 530 sia per il vigente art. 609 quinquies c.p., ed in relazione, altresì, alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato, consistente, per il disposto di tale ultima norma, nel dolo specifico per cui gli atti sessuali devono essere compiuti " al fine di far assistere i minori", che nel caso in esame è del tutto assente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La fondatezza dei motivi di merito dei ricorsi del P.G. e dell'imputato, che conducono all'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, consente, da un lato, la trattazione unitaria degli stessi e dispensa, dall'altro, questa Corte dall'esame dei residui motivi, con i quali si è prospettata, soprattutto dal P.G., violazione di norme processuali, non comportanti, peraltro, nullità di atti del giudizio capace di riverberarsi sulle sentenze.

Ciò premesso, si osserva che, stando ai fatti addebitati all'imputato quali si leggono nel capo d'imputazione più sopra integralmente trascritto, deve escludersi che i fatti stessi integrino il reato contestato, neppure sub specie di tentativo, come ritenuto dai giudici di merito; e ciò con riferimento sia all'art. 530 c.p., all'epoca vigente, che all'art. 609 quinquies c.p., introdotto dall'art. 6 L. 15-2-1996 n. 66.

La Corte di appello, per pervenire alla conclusione che il fatto contestato all'imputato, vigente l'art. 530 c.p., potesse essere ricondotto sotto la previsione della nuova norma (art. 609 quinquies c.p. ora citato) che punisce la corruzione di minorenni, e per affermare, quindi, la responsabilità del soggetto alla stregua del disposto di siffatta norma - in ordine, peraltro, al reato tentato -, ha interpretato la stessa, nel senso che " gli atti sessuali" che si compiono in presenza della persona minore al fine di farla assistere possono identificarsi anche in quelli comunque "attinenti alla sfera sessuale"; inferendone, quindi, che gli atti compiuti dal P. rientrano in tale categoria e possono, in definitiva, essere qualificati "atti sessuali", con la conseguenza che, nella fattispecie, essi sono stati idonei, secondo quei giudici "a risvegliare nei minori desideri dei sensi ancora quiescenti, determinando negli stessi un turbamento psichico, mostrando ai minori fotografie di parti del corpo che essi già consideravano, sia pure inconsciamente con un senso di pudore e riservatezza", tutto ciò facendo ''al fine fine di eccitare la bramosia sessuale". E, pur non concretando, gli atti predetti, sempre secondo quei giudici, alcun gesto di concupiscenza sul corpo proprio o altrui, "tuttavia avevano certamente in sè l'inequivoca idoneità a creare le premesse di quello stato di pericolo che viene preso in considerazione quale elemento essenziale della punibilità dei fatti sopra elencati". "Giustamente è stata ritenuta la sussistenza del tentativo, conclude la sentenza impugnata.

A questo punto deve precisarsi, innanzitutto, che i fatti che la Corte di appello avrebbe dovuto valutare per trarne le conseguenze sul piano della loro eventuale sussunzione sotto la previsione dell'art. 609 quinquies c.p. e decidere, poi, in merito alla fondatezza dell'accusa, dovevano essere necessariamente, per il rispetto delle regole stabilite dagli artt. 521 e 522 c.p.p., quelli descritti nel capo d'imputazione, e non i fatti diversi, emersi dalle risultanze istruttorie e indicati a pag. 6 della sentenza, sui quali sembra invece, quei giudici si siano effettivamente pronunciati.

Ciò precisato, deve escludersi che i fatti medesimi, cioè quelli enunciati nel capo d'imputazione, possano integrare gli estremi del reato, anche soltanto tentato, nella configurazione che ne dà ora l'art. 609 quinquies c.p., di corruzione di minorenni (e neppure, è il caso di dire, nella configurazione che ne dava l'abrogato art. 530 c.p.), non ritenendosi che con l'attività attribuita al prevenuto, "di avere mostrato giornali e videocassette a contenuto pornografico ai minori", egli abbia compiuto "atti sessuali", (o atti di libidine, ex art. 530 abrog.), e ciò allo scopo di farvi assistere questi ultimi.

Esula, infatti, la predetta condotta dal concetto e dal significato di "atto sessuale", che deve necessariamente concretizzarsi in un'attività fisica che coinvolga in qualche modo direttamente gli organi sessuali, maschile o femminile, con il proposito, nell'ipotesi di reato che qui interessa, di farvi assistere i minori per suscitare in loro eccitazione dei sensi ed insane - per la loro età - voglie, che essi, proprio a causa della non ancora raggiunta maturità fisica e psichica, non sono in grado di controllare e dominare. E deve escludersi anche - per quel che può ancora qui interessare, posto che la Corte di appello, a quanto pare, ha esaminato e valutato i fatti ai fini del loro eventuale inquadramento nella nuova figura di reato come delineata dall'art. 609 quinquies c.p. - che con la medesima condotta il prevenuto abbia compiuto atti di libidine su persona o in presenza di persona minore degli anni sedici, che erano richiesti dall'abrogato art. 530 c.p., perché potesse realizzarsi la corruzione di minorenni, atteso che, secondo la giurisprudenza formatasi in proposito, era pur sempre necessario, a tal fine, che fosse compiuto un "atto sessuale", intendendosi per tale qualunque atto diverso dalla congiunzione carnale, suscettivo di dare sfogo alla concupiscenza, anche in modo non completo, e di durata brevissima ed idoneo, inoltre, ad essere percepito dal minore con un senso di turbamento psichico e con la consapevolezza, anche se vaga e indistinta che esso interessava la sfera intima del sesso e del pudore (Cass. Sez.III, 19-1-1984 n. 515; 12-3-1985 n. 2358).

Deve concludersi, pertanto, che ferma restando la contestazione come riportata nel capo d'imputazione - ma la conclusione non cambierebbe, anche se i fatti addebitabili al prevenuto fossero, quelli emersi dalle risultanze istruttorie e riferiti in sentenza, che parimenti non potrebbero essere qualificati come "atti sessuali", nell'accezione più sopra chiarita -, la condotta del P. non ha integrato il reato addebitatogli - non essendo stata fornita, tra l'altro, alcuna motivazione circa la ricorrenza dell'elemento psicologico proprio del reato in questione, che si qualifica come dolo specifico -, e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte annulla senza rinvio la sentenza imputata perché il fatto non costituisce reato.




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