Studio Avv. Mario Marzorati - Milano


Divorzio, niente assegno ai figli fannulloni
(Cassazione 9109/99)

L’obbligo dei genitori di provvedere alle necessità dei figli non cessa automaticamente con il compimento del diciottesimo anno di età e può protrarsi ben oltre il raggiungimento della maggiore età, ma non può protrarsi "oltre ogni ragionevole limite", dovendo cessare quando "il figlio versa in colpa per non essere stato in grado di rendersi autosufficiente". Questo, in sostanza, il principio sancito dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di una signora contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli che, pronunciandosi sulla separazione, aveva rigettato la richiesta di un contributo per il mantenimento dei due figli maggiorenni con lei conviventi nella casa assegnatale. Secondo la ricorrente la Corte di merito non aveva tenuto conto che il padre non aveva fatto tutto il necessario per favorire l’inserimento sociale e lavorativo del figlio trentacinquenne che, dopo 15 anni, non era stato in grado di completare gli studi di medicina. La Suprema Corte - dopo aver ribadito che l’obbligo di mantenimento può protrarsi ben oltre il raggiungimento della maggiore età "per consentire il completamento degli studi o a causa delle note difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro" – afferma che tale obbligo "non può protrarsi oltre ogni ragionevole limite" ma cessa quando tale limite viene superato a causa della condotta colposa del figlio. Pertanto, correttamente i giudici di merito hanno assolto il padre dall’obbligo di contribuzione, ritenendo superato "il limite di tollerabilità" del mantenimento del figlio, che "per colpevole trascuratezza o libera ma discutibile scelta" non ha portato (ed era ben lontano dal portare) a compimento i suoi studi.

 

Sentenza della Corte di Cassazione n. 9109/99

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

Sezione I Civile

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F. L., elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie, 22 presso l’avv. E. Annunziata, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Settembre giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

F. C. A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Veneto 96, presso l’avvocato C. Galdo, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Cretella, Francesco Del Vecchio, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza 2517/96 della Corte di Appello di Napoli;

udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Pasquale Reale il 23.03.99;

Udito il P. G. in persona del Dr. Alessandro Carnevali, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dei 12.11.94 il Tribunale di Napoli pronunciava la separazione dei coniugi A. F. e L. F. con addebito al F.. Assegnava alla F. ed ai figli con lei conviventi P. P. e G., maggiorenni ma non autosufficienti, la casa familiare; poneva a carico dei F. l'obbligo di corrispondere mensilmente un assegno dì lire 1.000.000 a titolo di contributo per il mantenimento dei due figli.

Il F. proponeva appello sostenendo che la separazione doveva essere addebitata esclusivamente alla F.; chiedeva anche la revoca dei provvedimenti con i quali era stata disposta l'assegnazione alla moglie della casa familiare di sua esclusiva proprietà e l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli.

La F. chiedeva il rigetto dell'appello; proponeva impugnazione incidentale per ottenere un aumento dei contributo per il mantenimento dei figli ed un assegno di mantenimento per sé, in relazione al più elevato reddito del coniuge.

La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 23.10.96, pronunciava la separazione dei coniugi senza addebito; condannava il F. a corrispondere alla moglie un assegno mensile di lire 500.000 a titolo di contributo per il suo mantenimento; revocava l'assegno per il mantenimento dei figli. Osservava che le risultanze probatorie rivelavano che la separazione era dovuta alla reciproca incompatibilità caratteriale e ai conseguenti rispettivi atti di intolleranza che, nel loro insieme, avevano generato un clima di perenne conflittualità; che tali episodi non erano di gravità tale da giustificare una pronuncia di addebito a carico dell'uno o dell'altro coniuge. Giudicava fondata la richiesta di un assegno di mantenimento proposta dalla F. che determinava in lire 500.000 mensili. Rigettava infine, la richiesta di un contributo per il mantenimento dei due figli maggiorenni rilevando:

(a) che G., laureata ed economicamente indipendente, abitava altrove;

(b) che P. P., di anni trentacinque, non era stato in grado di completare, dopo oltre quindici anni, il corso di medicina; giudicava, pertanto, superato il limite cronologico di tollerabilità da parte dei genitori del carico economico per il rilievo che l'obbligo in questione è subordinato oltre che alla mancanza di indipendenza economica anche alla incolpevolezza del figlio nella specie da escludersi. In conseguenza di tali ultime statuizioni revocava anche il provvedimento di assegnazione alla F. della casa familiare.

Propone ricorso per cassazione la F..

Resiste con controricorso il F..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 151 c.2°, 143, 147, 148 c.c. in relazione all'art. 360 n.3 c.p.c., nonché omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.), la F. sostiene che la Corte:

(a) ha del tutto apoditticamente giustificato le gravi violazioni dei doveri .. che derivano dal matrimonio perpetrate dal F.;

(b) ha esaminato solo parzialmente, attenuandola, la portata delle singole deposizioni;

(c) ha ignorato anche il principio che in materia di separazione è indispensabile una valutazione complessiva della prova da cui possa desumersi l'incidenza dei singoli comportamenti in relazione alla violazione di quei doveri che derivano dal matrimonio.

Il motivo di ricorso non è fondato.

I giudici del gravame, esaminando con particolare attenzione la vicenda coniugale, hanno valutato tutti gli episodi denunziati dalla F. e sono giunti alla conclusione che i fatti accertati, ancorché censurabili non potevano, tuttavia, ritenersi sintomatici di un'abituale e sistematica condotta violenta, irrispettosa e prevaricatrice che, inoltre, altri e più consistenti addebiti dalla F. mossi al F. erano stati ridimensionati dalle testimonianze. La corte di merito non si è, poi, sottratta al compito di eseguire una valutazione globale e comparativa dei comportamenti di ciascun coniuge. Ha, infatti, rilevato che i testi avevano riferito circostanze tali da far ritenere giustificate le doglianze del F. circa le violenze fisiche subite in famiglia, conclusivamente affermando che la separazione era dovuta alla reciproca incompatibilità caratteriale dei coniugi ed ai conseguenti rispettivi atti di intolleranza.

La decisione, sorretta da congrua ed appagante motivazione, non merita censura. Spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di verificare l'attendibilità delle prove acquisite privilegiando quelle più idonee alla ricostruzione della vicenda. La ricorrente - richiamando gli episodi che giudica sintomatici di un comportamento riprovevole del marito e che sono stati attentamente considerati dai giudici dei gravame - propone una diversa lettura delle risultanze probatorie così reclamando un riesame dei merito non consentito in sede di legittimità.

Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 155 c.2° e 4° nonché dell'art. 6 L.898/70 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. la ricorrente sostiene che per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e conviventi con la madre è previsto il beneficio dell'uso dell'abitazione e di un contributo al mantenimento.

Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n.3 c.p.c. nonché omessa ed insufficiente motivazione, la ricorrente si duole che la corte di merito abbia omesso ogni indispensabile e doverosa indagine sul compimento da parte dell'appellante F. di tutto quanto fosse stato necessario sulle circostanze che avevano determinato il ritardo all'inserimento sociale e lavorativo del figlio Pier Paolo.

I due motivi di ricorso, che per la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.

L'obbligo dei genitore di provvedere alle necessità dei figli (art. 30 Cost. e 147 c.c.) non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età ma permane fino a quando essi non conseguano un reddito che li renda economicamente autosufficienti. L'obbligo di mantenere i figli - correlato all'obbligo di istruire e educare (C. Cost. 121/74) - può protrarsi ben oltre il raggiungimento della maggiore età per consentire il completamento degli studi o a causa delle note difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, sempre in relazione alle possibilità economiche dei genitori. Il genitore interessato dovrà provare che il figlio sia diventato autosufficiente oppure che, pur messo nelle condizioni di procurarsi un reddito, non abbia voluto approfittarne per qualunque motivo. Tuttavia, pur se non è possibile prefissare quando termina l'obbligo di mantenimento, è indiscutibile che esso non può protrarsi oltre ogni ragionevole limite, ma dovrà alfine cessare per eventualmente riproporsi quale obbligo alimentare fondato su presupposti diversi. Al prudente apprezzamento dei giudice di merito è riservato il compito di individuare, caso per caso, quando tale limite debba considerarsi superato e quando il figlio versi in colpa per non essere stato in grado di rendersi autosufficiente.

A questi consolidati principi, più volte enunciati da questa Corte (Cass.2392/98, 7990/96, 6215/94, 13126/92, 3709/77), si è attenuta la corte napoletana che ha ritenuto superato il limite di tollerabilità del mantenimento del figlio Pier Paolo assolvendo il F. dall'obbligo di contribuire, con conseguente cessazione dei diritto del coniuge, non più affidatario di figli conviventi non autosufficienti, all'assegnazione in uso della casa d'abitazione.

La Corte ha rilevato che Pier Paolo, trentacinquenne all'epoca della decisione d'appello, era ben lontano dal conseguimento della laurea in medicina nonostante frequentasse l'università da quindici anni; che tale negligente comportamento non era stato determinato o influenzato dalla presenza paterna dal momento che era trascorso un periodo pressoché pari alla durata del corso di laurea da quando il F. aveva cessato di convivere con moglie e figli.

Il predetto figlio maggiore non ha raggiunto l'autosufficienza economica nonostante i genitori gli abbiano assicurato le condizioni necessarie per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo indispensabile per avviarsi alla professione auspicata. Correttamente, pertanto, la corte napoletana - valutato con cura il comportamento di Pier Paolo che, per colpevole trascuratezza o libera ma discutibile scelta, non ha tratto profitto dalle concrete opportunità offertegli - ha ritenuto che l'obbligo di mantenimento fosse ormai concluso e che a detto figlio, ricorrendone le condizioni, potesse solo spettare, ove direttamente richiesta, la prestazione alimentare nei ristretti limiti fissati dagli artt. 433 e segg. c.c.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate fra le parti le spese dei giudizio di cassazione.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Deciso in Roma il 23 marzo 1999.

Depositata in Cancelleria il 30 agosto 1999.