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Studio Avv. Mario Marzorati - Milano
REVISIONE DELL'ASSEGNO DIVORZILE -
RILEVANO I MUTAMENTI DELLA CONDIZIONE ECONOMICA DEL CONIUGE ONERATO CHE RISULTINO
PREVEDIBILI E RICOLLEGABILI AD ASPETTATIVE GIA' ESISTENTI NEL CORSO DEL MATRIMONIO.
Cassazione - Sezione Prima Civile - Sent.
n. 958/2000
Presidente M. Delli Priscoli - Relatore F. Felicetti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. R. C. con ricorso al Tribunale di Roma
in data 2 novembre 1995, esponeva che detto Tribunale, con sentenza n. 5587 del 1980,
passata in giudicato, aveva dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio da lei
contratto con F.G. in data 3 maggio 1958, attribuendole un assegno divorzile di lire
100.000 mensili. Deduceva che, non prevedendo la sentenza alcuna rivalutazione automatica,
l'assegno era divenuto del tutto inadeguato, tenuto anche conto della mutata situazione
economica degli ex coniugi, che aveva accentuato la disparità di reddito fra di loro. La
C. chiedeva, pertanto, che l'assegno fosse aumentato a lire 1.000.000 mensili,
rivalutabili automaticamente.
Il F. si costituì, opponendosi
alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale la soppressione dell'assegno.
Il Tribunale, con decreto in data
26 giugno 1996, aumentò l'assegno a lire 450.000 mensili, rivalutabili dal giugno 1997.
Il F. propose gravame, insistendo nel chiedere la soppressione dell'assegno e, in
subordine, la reiezione della domanda ovvero, in ulteriore subordine, l'aumento
dell'assegno a lire 158.990, pari a quello risultante dagli aumenti ISTAT. La C. chiese la
conferma dell'assegno nella misura determinata dal Tribunale.
La Corte di appello di Roma, con
decreto in data 23 febbraio l998, rideterminò l'assegno in lire 300.000 mensili a
decorrere dalla domanda, rivalutabili annualmente.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso a questa Corte la C.,
formulando due motivi di gravame. Il F. resiste con controricorso e due motivi di ricorso
incidentale, ai quali la C. replica a sua volta con controricorso. Il F. ha anche
depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi
unitariamente ai sensi dell'art. 335 c. p. c., riguardando il medesimo provvedimento.
2. Con il primo motivo del ricorso principale si
denuncia la violazione dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, in correlazione con l'art.
5, come modificato dalla legge n. 74 del 1987.
Si deduce specificamente che dalla succinta motivazione del
provvedimento impugnato emerge il dato pacifico del consistente divario
fra le situazioni economiche degli interessati, godendo il
F. di un reddito annuo di lire 270.000.000 e la C. di lire 40.000.000. Si
deduce che, muovendo da tale accertamento di fatto, la Corte di appello ha
ritenuto di ridurre l'assegno, quantificato dal Tribunale in lire 450.000, a lire
300.000 mensili, in base alla mera affermazione del principio secondo il quale il
ragguardevole divario fra le rispettive situazioni economiche dei coniugi, non legittima
di per se l'adeguamento dell'assegno di divorzio tenuto conto che la funzione di esso è
quella di evitare il deterioramento delle condizioni economiche dei coniugi rispetto a
quelle godute in costanza di matrimonio, e non quella di assicurare vantaggi derivanti da
eventuali miglioramenti della situazione economica dell'ex coniuge.
Così statuendo, peraltro, secondo la ricorrente la
Corte di appello si sarebbe posta contro il principio, più volte affermato dalla
giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale, essendo l'accertamento dell'esistenza
del diritto all'assegno di divorzio dipendente dalla verifica della inadeguatezza dei
mezzi del richiedente a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di
matrimonio, o che poteva ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del
matrimonio, gli eventuali miglioramenti del reddito dell'obbligato, addotti a
sostegno della revisione dell'assegno, debbono rapportarsi all'attività svolta dallo
stesso all'epoca del matrimonio, includendo nel parametro di riferimento tutti gli
incrementi delle condizioni patrimoniali dell'ex coniuge, che si configurino come
ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio.
Con il secondo motivo si deduce la violazione
dell'art. 737 c.p.c. e la nullità del provvedimento impugnato per mancanza di
un requisito di forma indispensabile, per essere questo motivato in maniera tale da non
estrinsecare la ratio decidendi in base alla quale è stata determinata la misura
dell'assegno, non essendo in alcun modo spiegato in base a quale criterio l'assegno
originario di lire 100.000 mensili, elevato dal Tribunale a lire 450.000, sia stato
ridotto a lire 300.000, non essendo il richiamo al diminuito potere di acquisto della lira
sufficiente a giustificare detta determinazione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia
la violazione della legge n. 74 del 1987. Si deduce specificamente al riguardo che a
seguito delle modifiche introdotte da tale legge l'assegno di divorzio ha natura
esclusivamente assistenziale, cosicché non è dovuto ove si sia in grado di mantenere il
medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. Si deduce che, essendo stato
dimostrato dinanzi alla Corte di appello che il tenore di vita durante il matrimonio era
assai modesto e inferiore a quello attualmente goduto dalla C., non sarebbe dato di
comprendere perché la Corte di appello non abbia eliminato l'assegno di divorzio.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione
dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970. Si deduce specificamente al riguardo che ai sensi
di tale norma la revisione dell'assegno è condizionata alla sopravvenienza di circostanze
nuove che determinino un mutamento della situazione di fatto esistente al momento della
pronuncia, la quale non può essere costituita dalla mera svalutazione monetaria, ne dal
permanere di una situazione di maggiore redditività del soggetto obbligato, quale
riscontrata dalla Corte di appello.
3. Per ragioni di ordine logico il secondo motivo del
ricorso principale - con il quale si deduce la nullità del provvedimento impugnato per
carenza assoluta di motivazione in ordine alla determinazione della misura dell'assegno -
va esaminato pregiudizialmente.
Detto motivo è, peraltro, infondato, tenuto conto che
la carenza assoluta di motivazione che dà luogo alla nullità del provvedimento
camerale, si verifica solo quando la motivazione sia del tutto assente, ovvero tale
da essere inidonea ad esprimere una ratio decidendi. Viceversa, nel caso di specie,
la Corte di appello ha enunciato ragioni e criteri idonei ad esprimerla - ed ai fini della
infondatezza del motivo ciò è sufficiente - affermando per un verso che la sussistenza
di un ragguardevole divario fra le condizioni economiche dei coniugi non legittima, di per
se l'adeguamento dell'assegno, che non è diretto ad assicurare al titolare dell'assegno i
vantaggi derivanti dal miglioramento della situazione economica dell'ex coniuge, ma ad
impedire il deterioramento delle condizioni economiche godute in costanza di matrimonio;
per altro verso che l'assegno andava conservato, tenuto conto che il reddito dell'avente
diritto era appena sufficiente al soddisfacimento delle necessità essenziali, e andava
quantificato in lire 300.000 mensili in considerazione del diminuito potere di acquisto
della moneta.
4. Venendo all'esame congiunto del primo motivo del
ricorso principale, e del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto fra loro
strettamente connessi, va considerato che l'orientamento di questa Corte interpretativo
dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, nel testo modificato dall'art. 13 della legge n.
74 del 1987 - applicabile anche alle domande di revisione degli assegni di divorzio
liquidati prima dell'entrata in vigore di detta legge (Cass. 10 dicembre 1991, n. 13256;
28 luglio 1989, n. 3535) - si è formato in correlazione con quello dell'art. 5 della
stessa legge n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 10 della legge 74 del 1987.
Secondo tale articolo, l'accertamento del diritto
all'assegno di divorzio va effettuato verificando "l'inadeguatezza dei mezzi (o
l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati ad un tenore di vita
analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e
ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al
momento del divorzio", mentre la liquidazione in concreto dell'assegno, ove sia
ritenuto dovuto non essendo il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri soli
mezzi detto tenore di vita, va compiuto in concreto tenendo conto, sempre a norma
dell'art. 5, delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo
personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del
patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i
suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio (Cass. SS.UU. 29 novembre
1990, n. 11490).
In correlazione a ciò si è tratta la conseguenza che
la revisione dell'assegno in senso più favorevole all'avente diritto, prevista dall'art.
9 sopra citato in relazione alla sopravvenienza "di giustificati motivi", è uno
strumento volto ad assicurare all'ex coniuge la disponibilità di quanto necessario, nel
tempo, per fruire di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione
economico-sociale, nonché ai suoi prevedibili sviluppi. Ciò sulla base di una reiterata
valutazione comparativa della situazione delle parti ed in proporzione alle rispettive
sostanze.
I motivi sopravvenuti che giustificano detta
modificazione consistono in mutamenti delle condizioni patrimoniali e reddituali di
entrambi gli ex coniugi, valutati bilateralmente e comparativamente, o anche di uno solo,
in quanto siano idonei a variare i termini della situazione di fatto e ad alterare
l'equilibrio economico dettato in sede di divorzio (Cass. 26 novembre 1998, n. 12010), con
la specificazione che il tenore di vita al quale deve farsi riferimento, non è solo
quello riconducibile ai mezzi economici che i coniugi avevano durante il matrimonio, ma
anche alla sopravvenienza di miglioramenti di reddito "che si configurino come
ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio"
(Cass. 4 aprile 1997, n. 5720) e siano quindi rapportabili "all'attività all'epoca
svolta, e/o al tipo di qualificazione professionale" dell'onerato (Cass. 8 gennaio
1996, n. 2273), ovvero, comunque, all'evoluzione economica prevedibile durante il
matrimonio (Cass. 16 novembre 1993, n. 11326).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi da
tale indirizzo interpretativo, che appare in linea con l'esigenza di tutela delle
aspettative del coniuge economicamente più debole, sorte durante il matrimonio e
pregiudicate dagli effetti della sua cessazione, alle quali la legge n. 74 del 1987 ha
inteso dare particolare tutela, come si evince dall'espresso riconoscimento in suo favore
(art. 16 di tale legge, che ha introdotto l'art. 12 bis nella legge n. 898 del 1970) - ove
titolare di assegno di divorzio - anche del diritto ad una percentuale dell'indennità di
fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di
lavoro, ancorché venga "a maturare dopo la sentenza".
Questo collegio ritiene peraltro di dovere precisare
innanzitutto che, ove parte dei miglioramenti sopravvenuti nella situazione economica del
coniuge onerato siano imprevedibili e non ricollegabili con aspettative già esistenti nel
corso del matrimonio, di questi non può tenersi conto al fine della determinazione del
suddetto tenore di vita, ma deve tuttavia tenersi conto, al fine della revisione
dell'assegno, di quegli eventuali minori incrementi di reddito corrispondenti alle
aspettative esistenti durante il matrimonio.
Deve ritenersi, inoltre, che il legislatore, subordinando la revisione
dell'assegno alla sopravvenienza di giustificati motivi nel senso sopra detto, non ha
inteso stabilire un automatismo fra i miglioramenti della situazione economica di un
coniuge, successiva al divorzio - se costituenti sviluppo di attività e potenzialità
già esistenti durante il matrimonio - e l'aumento dell'assegno.
La situazione, in tale caso, richiede infatti, alla
stregua del criterio legislativo della esistenza di giustificati motivi, che si valuti in
che misura il coniuge che richiede la rivalutazione dell'assegno possa ritenersi titolare
di un affidamento ad un tenore di vita correlato a detti miglioramenti economici,
valutazione che va compiuta alla luce degli elementi indicati in via generale dall'art. 5
per la quantificazione dell'assegno, i quali costituiscono metro della modifica e della
misura di questa.
Nel caso di specie la Corte di appello, con il
provvedimento impugnato, raffrontando un reddito al momento della decisione di lire
270.000.000 annui dell'ex coniuge onerato di un assegno di lire 100.000 mensili, con
un reddito annuo del beneficiario dell'assegno di lire 40.000.000 annui, ha
sostanzialmente negato in radice che si possa tenere conto, in sede di esame della
domanda di revisione dell'assegno, anche in parte, dei miglioramenti della
situazione reddituale di un coniuge sopravvenuta al divorzio, senza alcuna distinzione fra
incrementi di reddito del coniuge onerato successivi al divorzio, ma riconducibili, almeno
parzialmente, ad aspettative presenti nel corso del matrimonio, e incrementi di reddito
non riconducibili, nemmeno in parte, a tali aspettative, in quanto interamente correlati a
circostanze eccezionali. In tal modo il provvedimento impugnato risulta emanato in
violazione dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, nel testo vigente, così come sopra
interpretato.
Ne deriva che il primo motivo del ricorso principale
deve essere accolto.
Il primo motivo del ricorso incidentale deve invece
essere rigettato, risultando da quanto sopra detto che, ai fini della determinazione del
tenore di vita al quale va raffrontata la situazione economica delle parti in sede di
revisione dell'assegno - contrariamente a quanto sostenuto con detto motivo - deve tenersi
conto, ove ne sussistano i presupposti, in fattore e in diritto, nei limiti e nei
modi sopra indicati, anche della incidenza degli eventuali incrementi di reddito del
coniuge onerato, che si configurino come prevedibili sviluppi di attività e potenzialità
in atto durante il matrimonio.
Il provvedimento impugnato va pertanto cassato in
relazione al motivo accolto, dichiarandosi assorbito secondo motivo del ricorso
incidentale, e rinviandosi la causa ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che
farà applicazione del principio di diritto sopra enunciato, provvedendo anche sulle spese
di questo giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte di cassazione riunisce i ricorsi. Rigetta
il secondo motivo del ricorso principale, nonché il primo motivo del ricorso incidentale.
Accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbito
il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa il decreto impugnato e rinvia anche per
le spese ad altra sezione della Corte di appello di Roma.