TRADIZIONI  

di Giuseppe Papa

In questo inizio del terzo millennio dove sembrava non esserci più spazio per i ricordi del passato, i diamantesi mantengono ancora vive le loro tradizioni tramandate dai loro avi certi di far rivivere nelle nuove generazioni il loro spirito, ricordando ad esse che non ci può essere futuro senza ricordi e senza passato.

Ora, oltre alle tradizioni che riguardano le specialità della cucina diamantese (che poi rispecchia per gran parte quella tipica calabrese), di cui si è parlato nella pagina “Notizie utili” alla voce “Gastronomia”, ed a quelle musicali per la quale nel maggio del 2001 si è inaugurata la nuova banda musicale giovanile <<Città di Diamante>> con la speranza che ricalchi le prestigiose orme delle tre bande precedenti, veniamo a porvi alcuni cenni di quelle tradizioni degne di avere questo nome e cioè degli usi e costumi riguardanti le due grandi solennità dell’anno: il Natale e la Pasqua.

Il clima natalizio si inizia a sentire in occasione della fiera dell’Immacolata e va consolidandosi col passare dei giorni, quando dalle contrade limitrofe o dai paesi montani del circondario scendono gli zampognari che con le loro musiche allietano i negozi e le abitazioni decorate con i tipici festoni e luminarie, facendo rivivere la gioia di quella notte di Betlemme che poi viene realmente rappresentata in chiesa o nei suoi vicoli adiacenti dagli attori del Presepe vivente.

In egual modo sono sentiti interiormente anche i riti attinenti alla preparazione della Pasqua con l’esecuzione nelle sere di Quaresima dei “Cori della Passione”, canti eseguiti con più frequenza nell’imminenza della Settimana Santa, e la Processione molto commovente del Venerdì Santo (fino al 2002 del Sabato Santo) nota come la “Cordata delle Spine” nonché l’usanza di adornare il “Sepolcro” e la “Sagrestia”, dove vengono esposte alla venerazione dei fedeli le statue del Crocifisso, di Gesù Morto, di s. Giovanni evangelista e dell’Addolorata, con dei germogli di grano ornato da fiocchi e fiori di stagione (violette e margherite) preparato circa un mese prima, mettendo dentro a dei piatti di plastica o sottovasi dei chicchi di grano o di ceci che vengono fatti germogliare in luoghi chiusi ed oscuri (generalmente bauli o cassapanche) e spruzzati di tanto in tanto con un po’ di acqua.

I canti della Passione

GESU’ APPASSIONATO

Gesù mio, con dure funi, come reo, chi ti legò.

Gesù mio, sulle tue spalle, chi la croce ti caricò.

Gesù mio, la bella faccia, chi crudel ti schiaffeggiò. 

Gesù mio, la dolce bocca, chi di fiele t’amareggiò.

Gesù mio, di fango e sputi, il bel volto, chi t’imbrattò. 

Gesù mio, le sacre mani, chi con chiodi ti trapassò.

Gesù mio, le belle carni, chi spietato ti flagellò.          

Gesù mio, quei stanchi piedi alla croce chi ti inchiodò.

Gesù mio, la nobil  fronte, chi di spine ti coronò.         

Gesu mio, l’amante core con la lancia chi ti passò.

Oh Maria, quel tuo bel Figlio, chi l’uccise, chi lo rubò.

 

PIANTO DI MARIA ADDOLORATA

Figlio dell’anima mia, o Figlio amato                  Figlio della tua morte un gran dolore                

luce degli occhi miei, unico amore                    mi passa l’anima e mi trafigge il petto

ohimè! Morto ti vedo e già spirato.                     mi gela il sangue e non tramuta il cor.

 

Occhi del mio Gesù, occhi dolenti                     Dove sono i tuoi biondi capelli  

apritevi a consolar l’anima mia                           che erano agli occhi miei chiome indorate,

che sta in un mare di pene e di tormenti.            lucenti più del sole, vaghi e belli.

II°

Ohimè! chi mi consola, il gran dolore,                  Ed abbracciarlo pure mi fu negato, 

già che è morto in croce il mio Figliole.                questo mio cuore me l'hanno impugnato

O donne pie che mi ascoltate,                            O Madre afflitta, o Madre sconsolata        

al pianto mio, il vostro accompagnate.                 è morto il tuo Figliole, ch’era più amato.

 

Le mani son di chiodi, perfido Pilato.                   Ohimè! Chi mi consola io vengo meno

Questo mio cuore me l’hanno trapassato.            sopra del Figlio mio, sommo bene.

 

Figlio che t’allattai con vero latte,                         O peccatori quanto siete degni                  

il Sangue tuo è sparso per ogni parte.                  per voi peccatori, Maria, prega per noi.

 

La bella scrima che te l’anelai,                             Sentii una voce, dietro a quelle scoglie:

or te la vedo di spine incoronata.                          era Maria che piange il suo Figliole.

 

Spada infelice il cuor trafigge,                               Quando ti misi in braccio a Simeone  

e già il Santo Vecchio che ti protegge.                  vidi la tua figura di passione.

 

Ferita nel cuore assai più dura                              Figlio se tu sei morto, morisse ognuno

portato con le mie mani in sepoltura.                     Figlio senza di te ricco tesoro.  

 

La Terza Domenica di maggio i pescatori rivivono le loro antiche usanze

L’economia di Diamante, fin dalla sua fondazione, fu basata su due attività primarie dalle quali trasse sostentamento e sviluppo: l’agricoltura (vedi i lavoranti nell’Impresa degli Zuccheri del principe Carafa) e la pesca, che poi permise l’espansione dei traffici marittimi facendo diventare Diamante un “borgo marinaro”. Infatti sfogliando i registri di nascita dell’anagrafe si nota come quasi tutti i bambini nati nel periodo che va dall’inizio circa del 1700 e quello del 1900 fossero figli di pescatori.

A quei tempi certamente l’arte della pesca non era tutta rose e fiori, bensì piena di pericoli ed incognite, a volte anche dolorosa per qualcuno che per il mare perdeva la propria vita. In quella circostanza, o se il defunto era parente del proprietario della barca, questa in segno di lutto veniva piegata su un lato per tre giorni, cioè si spuntellava.

Se invece c’era un lieto evento al padre del bambino gli spettava un supplemento di parte di pescato di tre giorni.

A volte me l’immagino quegli antichi pescatori snelli e nerboruti che solo con la forza dei loro muscoli vogavano contro corrente riuscendo ad aver ragione dei marosi, delle burrasche e delle tempeste. Memorabile è l’episodio del salvataggio del vescovo diocesano mons. Baldassarre de Moncada e dell’equipaggio del bastimento sul quale viaggiava nel 1771, che rischiò d’affondare nei pressi dell’isola di Cirella.

Me l’immagino ancora fra i loro gozzi sulla spiaggia piccola a pulire e rassettare le reti, tutti ricoperti di alghe e fragranti di salsedine.

I pescatori, quindi, coraggiosi ma bestemmiatori, come scriveva il Padula, attori principali della storia del nostro paese, direi quasi la sua spina dorsale.Per questo nei secoli scorsi sorsero le “corporazioni” che associavano tutte le persone che esercitavano lo stesso mestiere per autoregolarsi ed avere fra loro solidarietà, collaborazione e regole da seguire; ed ognuna di esse aveva un santo patrono. A Diamante le due più famose erano appunto quella dei contadini, sotto la protezione della b.V.M. del monte Carmelo, con festa il 16 luglio, e quella dei pescatori che avevano come Patrona l’Addolorata, con festa la Terza Domenica di maggio, rifacendosi probabilmente ad un’antica usanza del 1500 per la quale ogni terza domenica di ogni mese si riunivano gli iscritti alla “Compagnia dell’Abito dei Sette dolori” facenti capo all’Ordine dei Servi di Maria.

In quel giorno, dunque, la festeggiavano con solennità, dopo che durante la Quaresima e la Settimana Santa ne avevano cantato il Suo “Pianto”, nei tradizionali ”Cori della Passione”, infondendo nei cuori dei diamantesi tutta la tristezza del Suo dolore.

Ed ecco la totale trasformazione della statua: il vestito ed il velo nero, che il Venerdì Santo accentuava di più la mestizia e l’afflizione sul Suo volto, si mutano in un vestito nero ma ornato di ricami intessuti con fili d’oro (donatole dall'obolo dei fedeli durante il restauro della statua a Napoli dal 4 settembre al 31 ottobre 187; in seguito le fu donato anche il manto bordato d'oro e trapunto di stelle); le sette spade scure sostituite con quelle d’argento (dal 1996 sostituite da altre in ottone, dono di qualche anima riconoscente alla beata Vergine per grazia ricevuta).

Una lunga processione non solo per le vie del paese, ma anche sul mare per benedirlo, donde il titolo di “Vergine Marinara”. Ognuno di loro faceva a gara con l’altro a chi addobbava di più il gozzo o la barchetta e durante il rito della “benedizione del mare” era un trionfo di barche, adornate con ogni specie di fiori e bandierine, che sfilavano sulle onde del nostro glauco mare dalla spiaggia piccola, dove si imbarcavano (oggi dal porticciolo), fino a raggiungere i lidi della Marina di Belvedere M.mo e Cirella.

E come tutte le feste paesane che si rispettino anche la Terza Domenica ebbe la sua fiera (forse a ricordo dell’istituzione della prima fiera, dedicata all’Immacolata, guarda caso il 15 maggio 1831, terza domenica del mese). E questa tradizione è giunta inalterata fino a noi, riuscendo a sopravvivere al decreto vescovile di mons. Domenico Crusco del novembre 2000 concernente la possibilità di celebrare solo due feste per ogni parrocchia.

L’eredità degli antichi pescatori fu raccolta tanti anni fa dall’indimenticabile Antonio Di Falco, scomparso di recente, che in qualità di presidente del comitato ogni anno ne organizzò i festeggiamenti, avendo come base una parte del ricavato della vendita del pescato che tutti i pescatori custodivano nei loro salvadanai (<<u carusìllu da Madonna di maggio>>), e l’onore di ospitare nel suo gozzo "La Rosa del Mare” la statua dell’Addolorata.

Poi quando il figlio Maurizio acquistò il suo primo peschereccio “Chimera I” nel 1990 (sostituito nel 1995 dal "Chimera II" e nel 2004 dall'attuale “Chimera III”), Antonio gli passò il testimone con la speranza che questa tradizione continui sotto lo sguardo benevolo di Maria, "Stella del Mare”, affinché protegga i pescatori, benedica il mare e tutti i suoi figli diamantesi oggi e sempre. 

 


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