Speciale, dal n. 3/1998 di AFRICA
L’ISLAM
SUBSAHARIANO
di Joseph Stamer
PISAI - Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica
L’Africa subsahariana sta attraversando una
crisi profonda di identità culturale e sociale. In questo contesto la religione
islamica sta moltiplicando gli sforzi per espandersi e radicarsi, assumendo
forme alquanto variegate.
In tale situazione è ancora possibile e
come l’incontro e il dialogo tra cristiani e musulmani?
1)
Islam e cristianesimo a confronto nel cuore dell’Africa
2)
Risveglio delle comunità musulmane
3)
I diversi livelli del dialogo islamo-cristiano
1. Islam e cristianesimo a confronto nel cuore dell’Africa
L’Assemblea
speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in parecchi dei suoi documenti ha
presentato l’Islam come "un interlocutore importante, ma difficile"
per un dialogo con la Chiesa cattolica.
"... Interlocutore importante a motivo
dei suoi valori religiosi autentici, dei suoi numerosi adepti e delle radici
profonde che ha messo in molte popolazioni africane". Ma d’altra parte
"
... interlocutore difficile nel dialogo, a
motivo della mancanza di un concetto e un linguaggio comune per il
dialogo". E’ in questi termini del resto che il Papa Giovanni Paolo II si
era rivolto già nel gennaio 1990 ai Vescovi del Mali durante la sua visita a
quel paese. Egli voleva invitarli così a un impegno più spinto nell’incontro
islamo-cristiano.
Queste parole del Papa possono servire da
filo conduttore per scoprire cos’è oggi l’Islam nell’Africa a sud del Sahara e quali
sono i presupposti e le vie per un incontro autentico con i musulmani africani.
Le tappe dell’islamizzazione
Quanti sono? Ecco una domanda che incontra
risposte nettamente differenti, secondo che ci si rivolge a fonti musulmane o
occidentali. I censimenti ufficiali, per quanto ci si possa fidare, sono di
poco aiuto. Nella maggioranza degli stati africani l’appartenenza religiosa non
è recensita. Non si possono avere, quindi, che delle stime, che indicherebbero
un certo rapporto di forza.
La maggioranza delle organizzazioni
islamiche internazionali, quando pubblicano statistiche sull’Africa, non hanno
altro scopo che di confermare con le cifre un "credo" islamico
fondamentale: l’Africa è un continente musulmano.
Così possiamo trovare percentuali che vanno fino al 40 - 50 %, per
paesi dove i musulmani in realtà sono una minoranza di meno del 10 %.
Sarebbe un grave errore e certamente qualcosa che pregiudicherebbe
un sano incontro lasciarsi allarmare da cifre simili.
Quanti sono effettivamente oggi i credenti
dell’Islam in Africa sub-sahariana?
Seguendo le linee storiche dell’espansione dell’Islam, si può
dividere l’Africa in tre zone (escludendo l’Africa del Nord).
L’Africa occidentale ha una media che si
aggira sul 50 % di musulmani, frutto di una presenza e di un progresso
millenario a partire dalle vie commerciali transahariane.
L’occupazione
secolare delle coste dell’Oceano Indiano ha dato vita a minoranze importanti in
tutti i paesi dell’Africa orientale, eccettuati il Sudan ed il Corno d’Africa
dove i musulmani sono la maggioranza.
La
Tanzania col 30 % costituisce, in qualche maniera, l’Africa in miniatura,
perché quella è la media approssimativa per tutto il continente.
In
Africa centrale ed australe, le comunità musulmane sono nettamente minoritarie
(1 - 2 % in media), frutto di una immigrazione recente e quindi, spesso,
estranea al paese. Si può così dire globalmente che un Africano su tre è
musulmano.
In
questo quadro molto generale, bisogna ricordare che, malgrado l’impressione
contraria e certe pubblicazioni allarmanti, il Cristianesimo, nell’insieme
delle varie confessioni, progredisce in Africa più rapidamente che l’Islam,
naturalmente alle spese della Religione tradizionale.
I
musulmani lo sanno molto bene. Nelle loro conferenze internazionali questo
punto è evocato continuamente come una minaccia per il "carattere
islamico" dell’Africa.
Minoranza influente
Le
cifre non sono neutre, ma per quanto esatte non dicono niente sulle tendenze e
i dinamismi che attraversano le comunità religiose.
Non dicono niente soprattutto
sull’influenza di fatto che l’Islam esercita attualmente sui suoi adepti, sulla
cultura africana, sulle strutture sociali e politiche. Se l’Islam costituisce una sfida per i Cristiani africani, non è
tanto a causa del suo numero o del suo rapido aumento, ma per la vitalità e il
dinamismo che mette in opera.
Non sarebbe la prima volta nella storia che
una minoranza dinamica e bene organizzata determina la sorte di una maggioranza
apatica. D’altra parte, i rapporti islamo-cristiani più promettenti sono
vissuti nei paesi a larga maggioranza musulmana, come nei paesi del Sahel in
Africa occidentale, dove le comunità cristiane non rappresentano alcuna
minaccia per i musulmani e sono pienamente riconosciute ed apprezzate da essi.
Invece, i paesi che presentano tensioni e
conflitti sono quelli dove Cristiani e adepti della Religione tradizionale
formano minoranze importanti, talora culturalmente diverse. E’ il caso, per
esempio, del Sudan, del Ciad, della Nigeria...
Il ruolo dei commercianti
Un
breve sguardo sullo sfondo storico della penetrazione dell’Islam in Africa è
certamente utile per ben comprendere quello che sta succedendo oggi nelle
comunità musulmane. L’Islam non è un nuovo venuto in Africa.
A proposito di questa millenaria storia
musulmana in Africa, ci sono due importanti osservazioni da fare.
Anzitutto si tratta di una storia in gran
parte non violenta.
In
Africa sub-sahariana i principali propagatori dell’Islam sono stati, e sono
ancora oggi, i commercianti.
Sulle
coste orientali dell’Africa come sulle rive sabbiose del Niger in Africa
occidentale dei commercianti musulmani hanno fatto la loro prima comparsa più
di mille anni fa.
Da
una parte e dall’altra, in un primo tempo questi commercianti appartenevano a
dei gruppi scismatici, e per questo emarginati, dell’Impero musulmano.
Forse
è questa una delle radici del pregiudizio sempre sfavorevole che i musulmani
africani incontrano nei loro confronti da parte dei loro correligionari. La
loro ortodossia è sempre sospetta.
L’Islam
ha fatto così il suo ingresso in Africa all’est e all’ovest, mentre la via
centrale, lungo la valle del Nilo, gli è stata chiusa per secoli, dalla
presenza dei regni cristiani di Nubia, la parte settentrionale dell’attuale
Sudan.
In
Africa occidentale i primi rappresentanti dell’Islam, commercianti berberi o
arabi, sono stati sostituiti da Africani, commercianti o letterati o l’uno e
l’altro insieme, formati nei grandi centri di cultura musulmana che erano
Tombuctù e Djenné, e più tardi nelle città haussa, come Kano, Zaria ed altre.
Erano
l’elemento centrale, la spina dorsale attorno alla quale dei capi,
sommariamente convertiti all’Islam, hanno costruito i grandi imperi musulmani del
Medio evo, l’impero del Mali, di Gao o, più all’ovest il Kanem-Bornu.
Anche
se questa prima dominazione musulmana sull’insieme dell’Africa occidentale, tra
la foresta tropicale e il deserto, non ha contribuito ad una islamizzazione su
vasta scala, essa ha lasciato nella coscienza collettiva degli Africani
l’immagine dell’Islam come religione del prestigio, del successo, la via per
accedere a un mondo superiore del sapere e del potere.
I
centri commerciali sulla costa orientale dell’Africa sono rimasti, invece,
durante secoli dei piccoli sultanati isolati, senz’altro legame fra loro se non
le relazioni commerciali. Più tardi la vasta rete delle confraternite sufi si
incaricherà di portare il messaggio coranico più lontano e soprattutto di
renderlo accessibile alla mentalità africana.
Una prima conclusione si impone a
questo punto: la guerra santa o le guerre di conquista in nome dell’Islam,
anche se ce ne sono state, non hanno mai avuto una parte importante
nell’espansione dell’Islam in Africa, diversamente che in altre regioni del
mondo musulmano. Un giudizio più sfumato bisogna portare su un altro flagello,
anch’esso legato spesso alla presenza violenta dell’Islam in Africa: il
commercio degli schiavi.
Per secoli interi lo schiavismo e
il profitto che ne derivava non sono stati un fatto soltanto dei musulmani.
E’solo nel 19° secolo che la caccia
agli schiavi viene organizzata su vasta scala da musulmani ed ha lasciato
tracce indelebili, tanto sulla carta dell’Africa che sulla coscienza degli africani.
Da una parte, in Africa orientale
la presenza maggioritaria dei musulmani segue ancor oggi le antiche vie del
commercio degli schiavi, dalla costa verso l’interno, o nel senso inverso.
Altrove,
negli antichi "terreni di caccia" quali il Sudan e il Ciad, i
conflitti attuali originati dalle differenze etniche, religiose e culturali
sono certamente esacerbati dal ricordo ancora recente degli schiavisti
musulmani.
Il supporto della cultura africana
In molte regioni dell’Africa, dopo secoli di
coesistenza fra centri commerciali musulmani e popolazioni rurali che seguivano
la via degli antenati, l’Islam ha sostituito progressivamente la Religione
tradizionale senza violenza alcuna.
Si
potrebbe citare tutta una serie di elementi che esprimono una prossimità
culturale e sociologica tra le due religioni e favoriscono, così, questo
passaggio. Ma ce ne sono altri nei quali le due religioni, almeno in un primo
tempo, si oppongono radicalmente.
Il
culto degli antenati, elemento centrale di ogni spiritualità africana, così
come il ricorso ad altri intermediari, forze della natura o feticci, non hanno
alcun posto nella pratica autentica dell’Islam.
Sarà
l’opera delle confraternite sufi penetrare questi elementi centrali
dell’universo religioso africano e dar loro un significato nuovo, islamico.
Sulla
costa orientale, la coabitazione pacifica di commercianti arabi o arabizzati e
di popolazioni bantu ha prodotto nel corso dei secoli un altro risultato
sorprendente: una nuova lingua e cultura, pienamente africana, ma musulmana: la
cultura Swahili.
Più
tardi, con la penetrazione verso l’interno degli schiavisti e all’epoca
coloniale con la penetrazione delle confraternite sufi, il Swahili è diventato
lo strumento privilegiato per l’espansione di un Islam già inculturato.
A
confronto coll’Africa occidentale, l’unità linguistica e culturale è un
vantaggio fondamentale dell’Islam est-africano.
Per
una istruzione religiosa musulmana non c’è bisogno di ricorrere immediatamente
alla lingua araba.
Il
Kiswahili, attraverso tutta la sua terminologia religiosa, mutuata certo
dall’arabo ma secondo una maniera di pensare e di espressione africani, è
perfettamente in grado di trasmettere il pensiero religioso dell’Islam,
dandogli un sapore africano.
Una
Chiesa africana che riflette e cerca come radicare il messaggio evangelico
nella o nelle culture africane, difficilmente può ignorare questa esperienza
musulmana, che ha prodotto una tale letteratura, abbondante e largamente
diffusa.
La forza del Corano
Le
confraternite sufi avevano preparato il terreno già nel secolo 18°.
Il culto degli antenati, espressione tradizionale di una
solidarietà e di una dipendenza esistenziale del gruppo da un antenato eponimo
attraverso una linea ascendente sempre ricordata e presente, trova una nuova
espressione spiritualizzata nella catena di dipendenza spirituale che, dal
semplice membro di una confraternita, risale a chi è stato il suo iniziatore,
fino al fondatore eponimo della confraternita, e, attraverso lui, più oltre
fino al fondatore dell’Islam.
Così, diventando musulmano, un
nuovo universo religioso, strutturato in maniera simile, subentra all’antico,
ma, in un contesto socio-politico sconvolto, garantisce una sicurezza migliore
ed apre a un orizzonte più universale.
Analogamente, per i bisogni più
immediati della vita concreta, i problemi familiari o di rapporti, le angosce
create dalla malattia o dalla sterilità, invece che ricorrere allo stregone o
altra personalità magica, si ricorre alla forza soprannaturale racchiusa nelle
Scritture (il Corano), in ciascuna delle sue lettere.
Il marabutto (letterato musulmano),
fabbricante di incantesimi e di amuleti, sostituisce tutta una serie di
detentori o manipolatori di forze soprannaturali dell’universo socio-religioso
tradizionale.
E’ in questo contesto che si
colloca la nostra seconda osservazione tolta dalla storia: l’Islamizzazione più
importante per numero ha avuto luogo soltanto recentemente, sotto la
colonizzazione.
Nell’Africa orientale essa si è prodotta
in netta reazione ad una dominazione straniera, che aveva lasciato alle
missioni cristiane, protestanti e cattoliche, tutto il campo dell’educazione,
delle attività sociali e di ogni altro sforzo verso il progresso.
Impossibile entrare nella modernità
apportata dall’ordine coloniale, senza orientarsi nello stesso tempo verso la
religione cristiana.
L’atteggiamento generale di
rifiuto, parola d’ordine fatta circolare attraverso la rete delle confraternite
e largamente applicata dai loro membri, ha provocato l’attuale ritardo
culturale e tecnico dei musulmani in Africa orientale, ritardo da essi imputato
oggi unanimemente all’occidente e alle Chiese cristiane.
Col favore del potere coloniale
In
Africa occidentale, dopo una resistenza iniziale, le cose sono andate in
maniera del tutto diversa.
Una larga collaborazione si è stabilita fra i capi musulmani e il
potere coloniale, sia britannico che francese, e questo malgrado uno stile
molto differente di amministrazione. Per profittare dei benefici della
modernità, dell’educazione, di un posto nell’amministrazione o di altri favori,
la strada più corta era di farsi musulmano.
In maniera generale, i diversi sradicamenti fisici e spirituali,
provocati per il fatto stesso della colonizzazione e l’irruzione della
modernità, hanno fatto esplodere l’ordine socio-religioso tradizionale, e
l’Islam è stato adottato naturalmente come soluzione di ricambio, pienamente
adattata alla nuova situazione.
Anche se si trattava di una islamizzazione molto superficiale, per
molti africani l’Islam è il nuovo "African way of life" (genere di
vita africana).
L’Islam è stato portato nell’Africa sub-sahariana anzitutto per la
via del commercio proveniente dai paesi arabi e dall’Africa del Nord.
I musulmani africani hanno sempre
conservato legami molto stretti col mondo arabo, dal quale sono venuti alcuni
riformatori. Ma essenzialmente l’islamizzazione è stata operata da africani,
che parlavano la stessa lingua e vivevano nel medesimo universo culturale.
Senza dubbio alcuno, per i musulmani africani, fra africanità e Islam non c’è
opposizione alcuna.
Per essi l’Islam non è una
religione importata. Al contrario, abbandonare la religione musulmana equivale,
per molti, all’abbandono e al rigetto di tutta la tradizione familiare ed
etnica, talmente i due universi socio-religiosi si sono compenetrati.
Bisogna concludere che l’Islam,
nella sua forma africana tradizionale, fa totalmente parte dell’eredità
culturale dell’Africa, ed è dunque una realtà africana.
Valutazione dei contenuti religiosi
Ci
sarebbe da richiamare qui tutto quello che il Concilio Vaticano II, e a seguito
di esso, Paolo VI e Giovanni Paolo II, hanno detto su tutti i legami spirituali
che uniscono Cristiani e Musulmani, a partire da una comune fede nel Dio Unico
e un’adorazione comune di questo stesso Dio, anche se le espressioni sono
differenti.
Per il contesto africano basta menzionare due avvenimenti
significativi.Già nel 1969, durante il suo viaggio in Uganda, Paolo VI non ha
paura di ricordare, durante la celebrazione dei martiri cristiani, i giovani
musulmani, che già prima dei cristiani avevano dato la vita in fedeltà alle
loro convinzioni religiose.
Paolo VI li chiama martiri allo stesso titolo che i cristiani e
chiede ai musulmani presenti di unire la loro preghiera a quella dei cristiani
per una più grande fedeltà di tutti nella fede.
Sedici anni più tardi, nel 1985, al ritorno da un lungo viaggio in
Africa, Giovanni Paolo II incontra 80 mila giovani musulmani nello stadio di
Casablanca, per sviluppare davanti a loro tutte le esigenze che derivano dal
fatto che "noi siamo fratelli e sorelle nella fede nel Dio Unico".
Per quanto riguarda i musulmani africani, si può sentire abbastanza spesso,
specialmente da parte di responsabili cristiani: "l’Islam africano non è
un vero Islam; i musulmani sono musulmani solo di nome".
Prima di tutto non spetta a noi giudicare del valore spirituale di
quello che vivono i musulmani in Africa.
Ogni persona che vuole appartenere all’Umma, la comunità
universale dell’Islam e per questo professa la "shahada", la
professione di fede musulmana, è musulmano. Tutt’al più, un tale giudizio di
valore può mostrare la grande ignoranza dell’Islam africano da parte cristiana.
Il motivo iniziale di una adesione alla comunità musulmana può ben
essere, e spesso è di fatto, puramente esteriore: vantaggi economici o sociali,
oppure semplicemente il desiderio di trovare una nuova sicurezza interiore ed
esteriore in una comunità molto solidale, senza che questo passo comporti
grandi cambiamenti né sul piano personale, né sulla vita familiare e sociale.
Tuttavia, la pratica musulmana, anche imperfetta e lacunosa, alla
lunga comporta un approfondimento della relazione personale con Dio, un
rimodellare tutto il comportamento personale e di tutta la vita di relazione
nella società.
Possiamo noi sopravvalutare abbastanza il fatto che oggi in
Africa, più di 150 milioni di credenti musulmani "adorano con noi il Dio
Vivo e Sussistente, Misericordioso e Onnipotente" (Lumen Gentium n. 16)?
Alla domanda sulle relazioni
islamo-cristiane, i responsabili delle comunità cristiane in Africa
rispondevano, fino di recente: "Coi musulmani viviamo in buona intesa. Non
ci sono problemi".
La risposta riflette la buona convivialità che esisteva alla base
fra cristiani e musulmani e che, in larga misura, esiste tuttora. Ma nello
stesso tempo essa esprime anche lo scarso interesse che le Chiese dell’Africa
hanno avuto per l’Islam.
I musulmani, poiché tolleranti e pacifici,
ma per nulla disposti ad accogliere il messaggio cristiano, non sono mai stati
considerati come una priorità nel campo apostolico cristiano. Oggi li scopriamo
come interlocutori, ma interlocutori difficili, per tre motivi principali:
- la grande diversità dell’Islam africano, che
rende difficile sia una conoscenza precisa, che un approccio globale;
-
la nuova presa di coscienza islamica delle
comunità musulmane; e infine le influenze islamizzanti dell’esterno, che
fanatizzano alcuni gruppi minoritari.
Una grande varietà di Islam
"Non c’è un Islam africano, ci sono degli Islam", ha
scritto recentemente uno dei migliori conoscitori dell’Islam ciadiano.
Nell’Africa subsahariana
ogni etnia ha sua maniera propria di vivere, interpretare,
"addomesticare" l’Islam.
Nel secolare procedimento di passaggio dalla Religione
tradizionale alla religione del Libro, si trattava di conciliare la
centralizzazione sul culto del Dio unico e l’osservanza rigorosa della sua
Legge rivelata, con tradizioni e regole tradizionali non scritte, ma profondamente
radicate.
Queste ultime erano l’eredità degli antenati, frutto di una
esperienza acquisita e ritualizzata da numerose generazioni, nella loro lotta
per sopravvivere, mantenere la coesione del gruppo e sfruttare giudiziosamente
l’ambiente.
Nella maggioranza dei casi l’adozione del dogma e del culto
musulmano (preghiera rituale, digiuno del Ramadan, feste...) non presentava che
dei problemi minori di adattamento.
Invece le tradizioni proprie riguardanti la vita familiare e
sociale continuarono a restare in vigore per generazioni e, salvo rari casi, lo
sono ancor oggi.
Così ci troviamo davanti a tante realizzazioni diverse dell’Islam
quante sono le etnie che l’hanno adottato.
Nella maggioranza delle società agrarie c’è
stata una lunga resistenza all’islamizzazione, malgrado una secolare
coabitazione coll’Islam. Al momento dell’irruzione della civilizzazione
moderna, l’Islam è stato adottato da un buon numero di queste società come un
nuovo quadro socio-religioso di vita più appropriato, senza trasformare, almeno
per un primo tempo, le mentalità e i modi di vita della tradizione africana.
Tanto nelle città in pieno sviluppo, che nelle zone rurali che si
vanno spopolando, la maggioranza dei musulmani vive sociologicamente nell’Umma
e partecipa ai momenti forti della vita musulmana, ma resta totalmente africana
nelle concezioni profonde della vita e delle relazioni sociali.
Anche in città, dove la pressione sociale si fa talora più forte,
la religione dell’ambiente tradizionale, apparentemente senza diritto di
cittadinanza in quel nuovo quadro, è sempre ben presente e viva nei momenti
importanti della vita, così come nei tempi di crisi e di prova.
Alcune etnie si identificano totalmente
coll’Islam, pur senza per questo perdere la loro identità propria.
E’
il caso, per esempio, dei Songhay dell’ansa del Niger (Mali e Niger).
Un millennio di Islam, che ha comportato anche periodi di grande
gloria al tempo dell’impero songhay di Gao nel XV e XVI secolo, non è tuttavia
riuscito ad imprimere alla società songhay l’impronta propria di una società
veramente islamica.
E’ impensabile dirsi Songhay senza essere musulmano, ma è
altrettanto impensabile che una donna songhay, per esempio, osservi le
restrizioni che la legge musulmana impone alla libertà di movimento delle
donne.
Lo statuto della donna, nella società songhay, è agli antipodi di
quanto prescrive la legge islamica in materia.
Un altro esempio di questa appropriazione
differenziata dell’Islam potrebbe essere osservato in un confronto fra Haussa
nel Nord-Nigeria e Yoruba nel Sudest dello stesso paese.
Queste
due etnie vanno a gara per essere considerate la "guida
dell’Islamicità" in quel grande paese, ma esse vivono il loro carattere
islamico in maniera molto diversa.
I
primi vi si identificano totalmente e nessun non-musulmano potrebbe dirsi
Haussa, mentre presso gli Yoruba musulmani e non-musulmani vivono in armonia. Alle differenze etniche si sovrappone anche
l’impronta delle diverse confraternite.
Sotto
la loro influenza, soltanto alcuni focolari musulmani più ferventi sono
diventati delle vere società islamiche, nel senso pieno. L’esistenza di una
letteratura islamica in lingua locale ne è uno dei segni maggiori.
La lunga coabitazione dell’Islam con la Religione
tradizionale ha avuto, nell’insieme, un effetto sul piano culturale. Le lingue
africane sono generalmente delle lingue con un vocabolario concreto, piuttosto
povere per esprimere realtà astratte o riflessioni di un certo sviluppo. Con la
lingua araba l’Islam è venuto a colmare questa lacuna.
Molti
popoli africani, alcuni appena toccati dall’Islam, hanno adottato, deformandolo
secondo il carattere proprio di ogni lingua, tutto un vocabolario astratto
mutuato dall’arabo, specialmente il vocabolario religioso.
L’Islamizzazione
effettiva, in seguito è venuta a confermare ed unificare in un sistema
coerente, maniere distaccate di pensare e di esprimersi. L’inculturazione del
messaggio religioso ha preceduto, così, in molti casi l’Islamizzazione effettiva.
Si è già menzionato che l’Africa orientale
presenta a questo proposito una grande originalità. Essa ha una lingua
"islamica" unica.
La coabitazione secolare fra depositi commerciali arabi e
popolazioni bantu ha prodotto una nuova lingua: il kiswahili.
In Africa orientale l’Islam ha, sull’Islam dell’Africa
occidentale, il vantaggio, a prima vista, di una grande unità culturale e
linguistica. Ma questo può trarre in inganno.
In Africa orientale l’Islam è pieno di vita e di accentuazioni
tipicamente africane dovute a una moltitudine di confraternite grandi e
piccole.
Nello stesso tempo subisce le influenze, antiche e moderne, dei
grandi scismi musulmani, data la sua prossimità col mondo arabo ed asiatico: la
divisione fra sunniti, sciiti di differenti tendenze e kharigiti.
Tutto
il complesso spettro delle differenti espressioni dell’Islam vi è
rappresentato.
2. Risveglio delle comunità musulmane
Il
Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in tutti i documenti, parla della mancanza di reciprocità
da parte dei musulmani africani nell’esercizio del dialogo, della
"mancanza d’un concetto comune e di un linguaggio per il dialogo" e
della minaccia per la libertà religiosa, costituita da un Islam con una mira
politica in Africa.
C’è là un insieme di elementi, che presi globalmente, inquietano e
continuano a provocare reazioni di difesa, talora maldestre, da parte dei
responsabili cristiani. Bisogna distinguere e chiarificare.
Anzitutto, esiste nell’Islam un concetto
comune e un desiderio di dialogo?
Si potrebbero citare testi coranici che vanno nel senso di una
migliore intesa fra le comunità religiose. Non sono molto numerosi e la loro
interpretazione non è unanime. Per di più l’Islam, fin dalle sue origini, è più
che una religione, intesa come comunità di fede e di culto.
Fin dalla sua fondazione esso
comporta un nuovo ordine sociale e politico e questo è chiaramente impresso nei
testi fondatori.
Così, la missione di ogni musulmano
comporta anche lo sforzo di far prevalere la legge rivelata in tutti gli
aspetti della vita sociale, fino nell’economia e nella politica.
Sul piano dottrinale, quindi, c’è poco
posto per una prospettiva più ampia ed un vero atteggiamento di apertura su
altre comunità religiose. Ma la dottrina è una cosa, la vita dei musulmani è
un’altra. Già il Sinodo dei Vescovi l’ha percepito:
"... in Africa l’accento deve esser
messo sulla condivisione della fede alla base, fra credenti che vivono già
nelle stessa sfera sociale, culturale e politica".
Di fatto, si può dire senza sbagliarsi che
la maggioranza dei musulmani africani non seguono la visione coranica nel loro
atteggiamento verso i non-musulmani.
Ancor oggi, per buona parte di essi, le tradizioni aperte di
accoglienza, buon vicinato e di solidarietà, senza distinzione, sono più
importanti della stretta osservanza delle prescrizioni coraniche.
E in questo c’è una enorme opportunità che
si tratta di afferrare al più presto, perché le cose stanno cambiando.
Abbiamo affermato sopra: "Se l’Islam
costituisce una sfida per i cristiani africani, non è anzitutto per il suo
numero o il suo rapido aumento, ma per la vitalità e il dinamismo che mette in
opera".
In
questa vitalità presente dell’Islam in Africa, bisogna distinguere
fondamentalmente fra due realtà, che in pratica spesso sono in interazione, ma
che non hanno per niente la stessa origine né lo stesso significato. Bisogna
distinguere fra una presa di coscienza islamica delle comunità e le tendenza di
politica islamista, per gran parte importate dall’estero.
L’importanza dei mezzi di comunicazione
Dopo
l’aumento, numericamente molto importante durante l’era coloniale e nei primi
anni dell’indipendenza, segnato da una islamizzazione molto superficiale, l’Islam
si trova attualmente in una nuova fase di islamizzazione: l’approfondimento di
ciò che vuol dire "essere musulmano", il rafforzamento del sentimento
di appartenenza all’Umma, della coscienza islamica; e questo non solo sul piano
personale. Se l’Islam si rallenta, in confronto col Cristianesimo, la vita
comunitaria musulmana si sviluppa, si struttura e diventa sempre più una sfida
per altre comunità religiose.
"C’è una presa di coscienza sempre maggiore di appartenenza
all’Umma, da parte di ogni musulmano, coscienza di essere membro di una
comunità musulmana, con le sue strutture e istituzioni per esprimere la sua
identità e per perseguire i suoi obiettivi a livello locale, nazionale e
universale" (Sinodo dei Vescovi per l’Africa).
L’indebolimento o la sparizione completa dei
riferimenti e delle strutture comunitarie tradizionali, specialmente nel
contesto urbano, richiamano necessariamente questa presa di coscienza
comunitaria.Due fattori specialmente hanno avuto in questo un ruolo
primordiale: i mezzi di comunicazione e il pellegrinaggio.
I mezzi di comunicazione, radio e TV, nazionali o privati, e
soprattutto l’inondazione di pubblicazioni, cassette-audio e video, che
continua a riversarsi sull’Africa fanno arrivare l’Islam e gli avvenimenti del
mondo musulmano fino al villaggio più remoto. Nel senso opposto, le sempre
maggiori facilitazioni di viaggiare offrono a molti musulmani africani
l’occasione di un contatto personale e duraturo con la comunità musulmana
mondiale, al momento del pellegrinaggio alla Mecca, tramite i legami
commerciali coi paesi arabo-musulmani o anche periodi di studio nelle
università islamiche.
Questo processo, del resto normale, di approfondimento e di
espressione più autentica di una identità islamica, dev’essere visto nel
contesto africano attuale: il fallimento praticamente di tutti i modelli e
programmi di sviluppo economico e sociale, messo in opera dagli Stati africani
moderni e le loro istituzioni politiche.
L’Africa è in una crisi profonda di identità culturale e sociale
che va ben oltre la semplice stagnazione o sperpero sul piano economico. Per
molti musulmani africani questo nuovo fervore religioso è anzitutto la risposta
a un sentimento di delusione e di frustrazione, perfino di decadenza morale
della società.
"Dobbiamo diventare musulmani migliori perché le cose vadano
meglio!" Tutti gli sforzi attuali per dare alla società africana un volto
più islamico, naturalmente fortemente sostenuti da forze esterne, trovano la
loro radice in questo sentimento di frustrazione, di fallimento e di crisi.Solo
questo sforzo di strutturare e di affermare l’identità comunitaria islamica
comporta un cambiamento profondo negli atteggiamenti verso i non-musulmani,
specialmente nei rapporti della vita corrente.
Il senso comunitario tradizionale, una solidarietà radicata nella
convinzione profonda che, in definitiva, tutti sono discendenti da un antenato
comune, si restringe sempre più per far posto a una divisione netta della
società fra musulmani e non-musulmani.
La
convivialità islamo-cristiana in Africa, così spesso evocata e invocata, è in
pericolo!
Influenze islamiste dall’esterno
Per rendersi conto esattamente della nuova vitalità dell’Islam in
Africa bisogna distinguere fra ciò che è moderato e ciò che è radicale.
Fin dove arriva il semplice desiderio di vivere meglio l’Islam,
personalmente e comunitariamente, e dove incomincia la pressione sugli altri
membri della società e sulle istituzioni pubbliche?
Fin dove può arrivare la legittima affermazione della differenza,
e dove invece diventa essa intolleranza e proselitismo disonesto?
Il dinamismo interno all’opera nelle comunità musulmane africane,
il loro desiderio di modernizzare le strutture comunitarie, spesso reso più
vivo dalla vitalità delle comunità cristiane che esse vogliono imitare, può
condurre ad una certa aggressività e al fanatismo.
Ma l’impulso principale in questo senso viene dall’esterno.
Diverse correnti
provenienti dal mondo arabo-musulmano portano un’altra maniera di vivere
l’Islam.
Il bisogno di una riforma e di una purificazione è una specie di
ritornello permanente nel mondo musulmano.
In Africa più particolarmente ci sono stati nella prima metà del
secolo, dei riformatori ispirati da uno stesso movimento egiziano.
La loro principale preoccupazione era, ed è tuttora, la riforma
dell’insegnamento religioso, mediante una arabizzazione sistematica. La loro
influenza è rimasta modesta, fino all’arrivo di altre correnti più radicali.
La più importante nel contesto africano è il movimento Wahhabiyya.
Le sue origini risalgono a Mohammed ibn ‘Abd al-Wahhab, nel XVIII
secolo.
Per dar corpo alla sua visione rigorista della purificazione
dell’Islam egli si è alleato con un piccolo emiro dell’Arabia centrale, l’antenato
della dinastia Saudita attuale.
E
questa alleanza fra una volontà di purificazione "spirituale" e la
sua imposizione con la forza, è in atto ancora.
Il fondamentalismo
Il
Wahhabismo è un fondamentalismo che accetta, come base della fede e della
pratica islamica, solo il Corano e la tradizione più sicuramente attestata,
rigetta ogni evoluzione o interpretazione ulteriore.
In Africa, combatte principalmente le pratiche delle
confraternite, la consultazione dei marabutti o l’utilizzazione degli amuleti,
tutto quello che sembra essere adattamento dell’Islam o un compromesso con la
tradizione e la mentalità africana.
Il Wahhabismo è anzitutto una corrente teologica e ideologica, più
che un movimento strutturato.
Ma la sua influenza, soprattutto sull’Africa, passa attraverso
tutta una serie di canali e strumenti strategici.
C’è la cooperazione ufficiale fra l’Arabia Saudita e gli stati
africani.
Molti stati africani, ufficialmente con una costituzione laica, o
altri che hanno solo una minoranza musulmana, hanno creduto opportuno far parte
dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci), per essere sicuri di
beneficiare di questa cooperazione.
Ci sono i canali più sotterranei del pellegrinaggio, del
commercio, dell’immigrazione per lavoro o per studio in Arabia Saudita o negli
altri stati del Golfo, tutte occasioni di essere "convertiti" alle
idee wahhabite.
Infine, ci sono delle agenzie della Lega del Mondo musulmano
(Rabita) disseminate in tutto il continente africano, specialmente là dove
l’Islam si sente in stato di inferiorità.
In
più del sostegno all’arabizzazione in tutte le sue forme, esse dispongono di un
materiale di propaganda molto vario, che va dalla pura polemica anticristiana o
antioccidentale fino ai consigli per la salute e lo sviluppo.
D’altronde una buona parte delle sue attività e soprattutto dei
fondi, passano attraverso delle Ong (Organizzazioni non governative) islamiche
locali. Lo scopo principale è sempre di sostenere le comunità minoritarie,
rompendo il monopolio dell’aiuto occidentale o cristiano. Così il Wahhabismo
non è un movimento violento.
Tuttavia è una corrente fondamentalista e islamista. Il progetto
degli Wahhabiti africani è chiaramente quello di riformare la società africana
in tutti i suoi aspetti, economici, sociali, giuridici e politici, ma questo
con mezzi "pacifici", dall’interno: la propaganda, la polemica, ma
soprattutto il denaro, vantaggi sociali esclusivi e la pressione politica.
La logica della restaurazione e del ritorno all’Islam originale di
Medina è spinta fino in fondo, nei diversi movimenti islamici rivoluzionari in
azione sulla scena africana. Tre linee ideologiche si incrociano nel
radicalismo islamico africano.
Fino a poco tempo fa le "Jama’at islami" create da
al-Mawdudi (1903-1979) nel Pakistan, così come la Rivoluzione Islamica Iraniana
erano solo dei riferimenti teorici per qualche illuminato o per dei
gruppuscoli, particolarmente nelle grandi università islamiche del Nord-Nigeria.
Oggi l’influenza diretta dell’Iran si pone un po’ dappertutto chiaramente in
rivalità all’influenza Saudita.
Si riscontrano anche dei passaggi abbastanza
numerosi dal Sunnismo allo Sciismo, in Africa occidentale, dove lo Sciismo era
sconosciuto e questo solo per meglio entrare nello spirito della rivoluzione
iraniana.
I principi radicali del puro Islam del Wahhabismo uniti alla
strategia d’azione politica di al-Mawdudi, ecco quello che ha dato nascita ai
Fratelli Musulmani in Egitto. Secondo il loro ideologo principale, Sayyid Qutb,
impiccato da Nasser nel 1965, la purificazione della Società islamica attuale
non può farsi che mediante il rovesciamento totale e l’imposizione della Legge
coranica mediante la forza.
I Fratelli Musulmani in Egitto, parecchie volte decimati dal
potere, si sono divisi in parecchi raggruppamenti rivoluzionari, che si
combattono fra loro. Il centro dell’Islam rivoluzionario è passato dall’Egitto
al Sudan.
Hasan al-Turabi è ora quello che tira i fili e ispira l’azione
rivoluzionaria degli islamisti in Africa e anche altrove. Del resto dalla
guerra del Golfo, il suo principale sostegno è l’Iran.
Destabilizzazione politica e rifiuto della laicità, il reclamo di
partiti islamici, una educazione islamica, un sistema giudiziario basato sulla
Legge coranica, ecco gli obiettivi comuni a tutti gli islamisti.
Quello che differisce, sono i metodi per arrivarci.
In tutto questo la convivialità islamo-cristiana è minacciata
soprattutto da un’intossicazione anticristiana delle mentalità e da metodi di
conversione e di proselitismo "ad ogni costo".
C’è una strategia chiaramente stabilita per "ricordare agli africani
che la loro religione originale è l’Islam" e tutti i mezzi son buoni per
ricondurveli: una propaganda aggressiva e menzognera nei confronti del
Cristianesimo, i vantaggi economici e sociali già menzionati, aiuti alle
istituzioni sociali "unicamente per musulmani" e anche la strategia
di sposare preferibilmente della ragazze cristiane, per indebolire la comunità
cristiana.
Per concludere si può dire che la grande diversità dell’Islam in
Africa e anche la crescente rivalità fra gruppi fondamentalisti potrebbero
costituire un’opportunità favorevole per le relazioni islamo-cristiane. Esse
sono certamente una sfida da raccogliere.
Infatti, i musulmani africani si trovano in un dilemma: da una
parte la spinta verso una comunità musulmana forte e ben stabilita è tale che
una vita "in minoranza" in uno Stato laico resta una prova per
qualsiasi musulmano.
D’altra parte tutta la propaganda islamica esalta e idealizza un
modello di società preso nel passato, pur utilizzando la tecnologia più
moderna, quella stessa di coloro che essa condanna. Come aiutare i musulmani
sinceri ad uscire da tante contraddizioni?
3. I diversi
livelli del dialogo islamo-cristiano
Presupposti per l’incontro islamo-cristiano
In
Africa, l’incontro islamo-cristiano è anzitutto un fatto di vita quotidiana.
La religione non è mai stata un campo riservato o un tabù. Gli
africani discutono di religione per giornate intere, negli uffici, nelle
fabbriche, le piazze dei villaggi, i mercati... Condividono la cultura, spesso
anche la lingua.
C’è scambio e aiuto reciproco nelle numerose necessità della vita
quotidiana. Questo "vivere insieme" al di là delle differenze
religiose ha radici profonde nella cultura africana.
E’ l’espressione concreta e quotidiana della convinzione profonda
di condividere tutti, malgrado le differenze confessionali, la stessa finalità,
che ha Dio e gli antenati come origine, come garante e comune destino.
E’
in questa convinzione che si radicano i numerosi esempi di intesa e di
collaborazione che si potrebbero citare: cristiani e musulmani si danno un
valido aiuto per costruire una chiesa o una moschea, si mettono insieme per
lottare contro la desertificazione o altri flagelli.
Convivialità minacciata
E’
proprio perché questa convivialità era talmente scontata che oggi essa è
seriamente minacciata.
Africani sempre più numerosi, spesso per ragioni economiche più
che per convinzione, rifiutano e rinnegano i valori e le esigenze di una
solidarietà aperta a tutti, per ripiegarsi su regole ben delimitate della
solidarietà islamica.
Anche se minacciato, tuttavia, il dialogo della vita è una realtà
ben africana.
Al contrario, non bisogna cercare in Africa grandi incontri
organizzati fra responsabili di comunità diverse.
Anche in paesi di forte maggioranza musulmana, la Chiesa è
cresciuta accanto all’Islam, per non dire ignorando l’Islam.
Per di più, le differenze di formazione intellettuale e, da parte
musulmana, la non-rappresentatività delle autorità religiose musulmane
rendevano molto difficili questo genere di incontri.
Nel processo di democratizzazione e di pluralismo politico, le
autorità religiose sono spesso i soli punti di riferimento sicuri e, per
questo, si incontrano, si accordano e talora arrivano ad una parola
comune.Resta sempre vero, tuttavia, che per l’insieme del continente, la
reazione cristiana alla nuova vitalità dell’Islam è una reazione piuttosto
allarmista.
Per troppo tempo la teologia della Missione e la pratica pastorale
avevano lasciato l’Islam e le comunità musulmane fuori del loro campo di
azione.
Il
Concilio Vaticano II e la sua visione in favore di una scoperta dei valori dei
non cristiani, di un incontro e di una collaborazione con essi, non è ancora
passato nelle opzioni pastorali concrete, salvo in alcune Chiese profondamente
immerse in una maggioranza musulmana, come quelle del Senegal o del Niger.E’ su
questo punto che ci si attendeva una risposta più dettagliata dal Sinodo dei
Vescovi per l’Africa. Certamente, il principio e l’urgenza del dialogo
coll’Islam in Africa vi sono chiaramente affermati. Ma è sufficiente nella
situazione attuale?
Presso
i responsabili cristiani, la conoscenza profonda della complessità delle
comunità musulmane e della loro profonda evoluzione, che talora procede a
tastoni e che presenta non poche conflittualità, spesso fa difetto, così che le
possibilità e la vera posta in gioco dell’incontro islamo-cristiano non sono
sempre percepiti.
"Arabizzazione" possibile?
Non si tratta soltanto di vedere l’Islam globalmente come una
minaccia o tutt’al più come una sfida. Si tratta di vedere come dei musulmani
africani si dibattono per trovare una soluzione alla quadratura del cerchio:
diventare veri credenti musulmani, pur restando veri africani che entrano nella
modernità con tutte le sue ambiguità.
Una migliore conoscenza dell’Islam e delle sue diverse
interpretazioni in Africa, come del resto l’istituzione di strutture per il
dialogo islamo-cristiano a tutti i livelli delle comunità ecclesiali, fanno
parte delle risoluzioni del Sinodo.
Tuttavia l’incontro islamo-cristiano non dipenderà solo dal
discorso su ciò che ci separa e ciò che ci unisce nei due messaggi religiosi,
ma dipenderà dagli altri due grandi temi abbordati dal Sinodo: l’inculturazione
e un’azione più incisiva per la Giustizia e la Pace.
Lo slogan della propaganda islamista: "L’Islam è la religione
degli africani, il Cristianesimo la religione importata dai colonizzatori"
conserva sempre una parte di verità.
Soltanto una vera inculturazione del messaggio evangelico in
Africa può dare una risposta adeguata a questa sfida. E la risposta è tanto più
urgente per il fatto che, sotto la spinta dell’arabizzazione in corso, i
musulmani stanno facendo il cammino inverso, quello di una alienazione
culturale, per diventare degli "arabi neri".
Molti musulmani illuminati sono coscienti di questo pericolo e
guardano ai cristiani per ritrovare insieme una identità di credenti
africani.E’ qui che prende tutta la sua importanza la riformulazione di tutto
il messaggio cristiano in un linguaggio africano e la sua applicazione in
comunità di base vitali.
Già il semplice fatto che i cristiani preghino e cantino nella
loro propria lingua costituisce una interpellazione per molti musulmani.
Così, tutta la vita cristiana, specialmente nella sua dimensione comunitaria,
deve diventare "significante" per essi. Un vero dialogo spirituale
non può aver luogo che sulla base della comune africanità.
L’Islamismo, sia "pacifico" che violento, va contro
tutta la tradizione africana sostenendo l’emarginazione di tutti coloro che,
musulmani o altri, non entrano nel modello di società islamica. Cristiani e
musulmani devono prendere chiaramente insieme coscienza di questa minaccia.
C’è
qui tutto un terreno per una collaborazione possibile nell’impegno per maggiore
Giustizia e Pace, sia nella politica che nei mezzi di comunicazione, o
semplicemente alla base, mettendosi insieme per far fronte ai problemi comuni
della siccità, della delinquenza nelle città, dell’Aids e molti altri...
Costruire il "dialogo della vita"
Uno
dei punti dove le tesi islamiste inciampano di più in Africa è certamente il
ruolo e il posto della donna nella vita della società. La "liberazione
della donna" fa parte di tutti i programmi politici e sociali degli stati
africani moderni, con molte ambiguità, soluzioni affrettate e talora delle
contraddizioni.
In questo immenso dibattito che tocca le basi stesse della società
africana l’incontro fra donne cristiane e musulmane è indispensabile. Tocchiamo
qui il punto più profondo del "dialogo della vita".
Tutto ciò che si fa per
una vera valorizzazione e promozione della donna è di importanza capitale per
la convivialità pacifica delle due comunità nell’avvenire.Di fronte alla
minaccia, per l’Africa, di diventare il "continente dimenticato", da
cui non c’è niente da aspettarsi se non notizie di massacri e catastrofi,
cristiani e musulmani africani non hanno altra scelta che incontrarsi e cercare
di dare un nuovo volto a una tradizione secolare di reciproca accoglienza e di
convivenza.
Per
i cristiani questo vuol dire: mettere il messaggio evangelico al cuore del
proprio essere, personale e comunitario, per dare alla loro africanità una
dimensione più larga che il solo clan o la sola etnia.
Per i musulmani, questo significa: nell’approfondimento legittimo
della loro fede non rigettare i valori tradizionali di accoglienza e di
tolleranza. Gli uni hanno bisogno degli altri!