Tratto dal numero 252
di Diorama Letterario
Franco Cardini, Gad Lerner, Martiri e
assassini.
Il nostro Medioevo contemporaneo,
Rizzoli, Milano 2001, pagg. 319, euro 14,98.
"Un vero e proprio allarme l'Islam scuote da almeno un
decennio vaste aree del pianeta.
Determina preoccupazioni politiche e genera fobie irrazionali con
le quali è necessario fare i conti, anche quando appaiono esagerate, perchè non
sono solo il frutto di qualche fantasia malata".
A parlare così è Gad Lerner, ebreo laico di sinistra per sua
stessa ammissione, nelle pagine di questo libro, che affronta in un serrato
confronto col medievista Franco Cardini lo spinoso tema del dopo 11 settembre.
Nel libro, immesso nel circuito editoriale dopo che Cardini e
Lerner, in occasione del Giubileo dell’anno 2000, si erano già confrontati a
suon di riflessioni storico-politiche sul tema delle crociate, lo storico
fiorentino ribatte che gli avvenimenti dell’11 settembre non sono da ricondurre
allo scontro tra civiltà paventato da Samuel Huntington nel suo famoso libro, e
neppure a una guerra tra religioni, bensì al fatto che l’unica superpotenza
rimasta sul pianeta si arroga il diritto di dettare legge comunque e dovunque,
a discapito della libertà e autodeterminazione dei popoli e soprattutto della
giustizia internazionale, che viene applicata a senso unico.
Mentre Lerner si pone decisamente al fianco degli Usa, che secondo
lui non avrebbero potuto reagire diversamente di fronte alla sfida di Osama Bin
Laden, il suo interlocutore si dice contrario al fatto che il paese più ricco e
potente del mondo aggredisca militarmente una delle terre più povere del
pianeta, perché questo è proprio ciò che lo sceicco saudita desiderava che
accadesse, allo scopo di compattare il cosiddetto Islam moderato su posizioni
più radicali, trasformando la mediocre analisi di Huntington in una tragica
profezia.
Wrong or right, is my Country, osserva invece Lerner: la
Realpolitik impone che l’Occidente aggredito si faccia carico di disinnescare
la bomba islamica che può esplodere ancora ovunque e si alimenta del
fondamentalismo religioso.
In questa linea di riflessione, egli arriva a giustificare Sharon,
osservando che lo scoppio della seconda intifada, con gli uomini bomba e i
kamikaze, rappresenta un salto di qualità del terrorismo, al quale non si può
rispondere se non con la forza persuasiva delle armi.
Ciò
che Lerner affronta solo di sfuggita è il meccanismo causa-effetto; reputa anzi
che le ragioni di Cardini non spostino minimamente il problema di fondo, che è
quello di sconfiggere il terrorismo.
Cardini gli risponde che la questione palestinese, così come la
guerra del Golfo, quella del Kosovo e l’operazione "Pace duratura" in
Afghanistan non nascono per caso:
sono il risultato di una politica
neocoloniale che ha come scopo il controllo delle fonti petrolifere, lo
sfruttamento delle risorse energetiche attraverso i gasdotti e gli oleodotti
che dovrebbero partire dalle repubbliche ex sovietiche per giungere ai porti
dell’Arabia saudita, passando proprio dall’Afghanistan.
L’appoggio incondizionato alla politica di
Israele, che può permettersi di ignorare tutte le risoluzioni Onu che lo
obbligherebbero a ritirarsi dai territori occupati, non è dunque altro che una
scelta di strategia planetaria, che tocca solo incidentalmente la questione
islamica.
La radicalizzazione del fattore religioso è
l’unica risposta possibile che un popolo oppresso può elaborare per
contrapporsi all’invasore.
Si può davvero pensare che l’incancrenirsi del conflitto
arabo-israelo-palestinese non abbia fatto da brodo di coltura per l’affermarsi
delle posizioni fondamentaliste che oggi sfociano nel terrorismo?
Si può essere così miopi da pensare che il feroce embargo contro
l’Iraq, sistematicamente bombardato dalle bombe poco intelligenti di americani
e inglesi, non porti le popolazioni colpite a pensare che l’Occidente vuole
cancellare il loro mondo, che è anche e soprattutto il mondo della cultura e
della religione musulmane?
Bisogna chiudere gli occhi di fronte al bombardamento?
L’ottobre 2001 ha denunziato la pesante
situazione dei cristiani dopo l’aggressione americana all’Afghanistan e ha
dichiarato che l’uso del termine crociata da parte di Bush ha messo nei guai i
cristiani locali", osserva Cardini. Ecco che torna ancora una volta il
termine fatidico "crociata", usato sia dal presidente americano che
da Bin Laden, a riprova che l’uso strumentale della storia genera mostri.
Per arginare questa tendenza, Cardini si produce in una revisione
storica che mira non tanto a difendere l’Islam quanto a ristabilire un minimo
di verità a partire dalla quale si possano capire meglio gli avvenimenti che ci
stanno drammaticamente di fronte.
Il pericolo che scorge non è la contrapposizione con l’Islam,
composito e policentrico per natura, ma la pretesa dell’Occidente di imporre
ovunque il suo modello di sviluppo, che è anche e soprattutto un modo di vivere
e di sentire che appiattisce le differenze e omologa nel segno del presunto
benessere e in definitiva del pensiero unico.
Le obsolete teorie dello sviluppo fanno pensare che forse fra
trent’anni a Bombay si vivrà come si vive oggi a Milano, ma si ignora che in certe
zone di Milano si vive oggi come a Bombay.
Del resto, Jean Baudrillard ha di recente sottolineato come lo
spirito del terrorismo sia un disperato tentativo di reagire all’imposizione
del pensiero unico, sostenendo che, se fosse l’Islam a proporre/imporre un
modello omologante, la reazione da parte degli altri sarebbe probabilmente
dello stesso segno.
Lerner non coglie lo spessore di questa considerazione, preferendo
ribadire che i martiri assassini, che usano il proprio corpo per dare e per
darsi la morte profanandolo, rientrano nella speculazione teologica propria
dell’islamismo e anche del cristianesimo.
Cardini gli risponde che le caratteristiche teologiche del
martirio non spiegano i piloti suicidi dell’11 settembre poiché nell’Islam
tradizionale e nel cristianesimo, così come nel culto pagano antico, "la
morte non è affatto l’esito obbligato della testimonianza guerriera".
Un simile esito è più consono al nichilismo
di marca occidentale, importato in dosi massicce presso culture e popoli che lo
hanno rielaborato alla luce delle loro tradizioni, in buona parte
stravolgendole: "Siamo di fronte a un Islam mutante, o meglio a
un’ideologia vera e propria, che ha una fede religiosa (l’Islam) come base e
come pretesto, ma che è ormai divenuta un’ideologia politica (l’islamismo), la
quale usa l’Islam a fini demagogici per reclutare adepti e simpatizzanti ma è
nella pratica una forma di nihilismo". Per questo occorre operare dei
distinguo; non per giustificare il terrorismo ma per capirne meglio le origini
ed avviare così una strategia che possa definitivamente sconfiggerlo.
Ma una simile strategia, secondo Cardini,
deve essere affidata prima di tutto alla politica e all’intelligence.
Non
si può pensare seriamente che la guerra all’Afghanistan risolva il problema.
Occorre innanzitutto invertire di segno le politiche cosiddette di
sviluppo elaborate dal Fondo Monetario Internazionale e dalle multinazionali
che fanno capo agli Stati Uniti; è necessario assicurare un futuro dignitoso al
popolo palestinese, far cessare l’embargo all’Iraq, ripristinare quel diritto
internazionale che viene sistematicamente calpestato, riequilibrare la
distribuzione delle ricchezze offrendo ai popoli del Terzo e del Quarto mondo
qualcosa che non sia solo disperazione e miseria. Così facendo si combatte la
guerra vera contro il terrorismo, perché gli si toglie il brodo di cultura del
quale si alimenta.
Le politiche di corto respiro che Lerner propone di fronte
all’emergenza del dopo 11 settembre non sono altro, invece, che l’uso della
forza di fronte a fenomeni che hanno origine e sviluppo nell’Occidente.
È appena il caso di ricordare che i
talebani e Bin Laden sono stati per anni sostenuti dagli Stati Uniti e per anni
nessuno ha mai potuto permettersi il lusso di denunciarne i fanatismi e gli
eccessi.
"Del resto gli Usa", è ancora
Cardini a ricordarlo, "appaiono costantemente fedeli al principio che non
si scelgono le strategie sulla base delle alleanze, ma le alleanze sulla base
delle strategie".
Gad
Lerner obietta a queste argomentazioni che l’Europa è comunque parte
dell’Occidente e deve difendersi, e ritiene che l’unica difesa oggi possibile
sia quella militare. Gli si può ribattere con qualche domanda.
Gli obiettivi che
l’operazione Enduring freedom si era prefissata sono stati raggiunti dopo sei
mesi di guerra?
Bin Laden e il Mullah Omar sono usciti di scena? Ci bastano le
immagini dei prigionieri di Guantanamo per credere davvero che la rete di Al
Qeida sia stata definitivamente smantellata?
E che dire dell’ipotesi avanzata dai governanti americani di
impiegare armi atomiche contro i "paesi-canaglia" per sconfiggere i
terroristi "dovunque si trovino"?
E le attuali condizioni dell’Afghanistan, in preda a una guerra
fra tribù con sostanziose porzioni di territorio controllate solo dai signori
della guerra sono i risultati sperati e spacciati come soluzione politica?
Altro che guerra religione o scontri tra civiltà: in questa
guerra, sporca non meno di tutte le altre, sono in ballo interessi ben precisi.
Sia Cardini che Lerner non
lo ignorano, ma il secondo tenta in tutti i modi di riportare l’attuale crisi
internazionale allo schema dello scontro con un Islam feroce e pericoloso.
Ci si può chiedere perché lo faccia. Probabilmente, perché è molto
più semplice attribuire all’"altro", al "diverso" la
responsabilità di guasti che è stato l’Occidente a produrre.
Certo, un atteggiamento di questo genere
suona strano in un uomo che si definisce di sinistra, anche se la gauche caviar
a cui Lerner mostra di appartenere ha da tempo messo in soffitta ogni
aspirazione alla giustizia sociale e a quella internazionale.
L’ex dirigente di Lotta Continua dichiara oggi di vergognarsi per
aver criticato troppo ferocemente Israele dopo i fatti di Sabra e Chatila,
assicurando che oggi non lo rifarebbe.
Ancora wrong or right is my Country? E davvero non c’erano
alternative all’uso delle armi contro l’Afghanistan dopo l’11 settembre?
Cardini
è convinto di sì e ne indica alcune.
Si sarebbe potuto per esempio "strangolare" i talebani,
e di conseguenza Bin Laden, costringendo il Pakistan a interrompere – oltre ai
rapporti diplomatici – anche ogni aiuto economico e militare al regime di Kabul.
Si poteva far terra bruciata intorno a loro; ci sarebbe voluto del
tempo, ma lo si sarebbe potuto sfruttare per spegnere intanto gli altri focolai
di crisi.
Prima dei raids aerei, i talebani stavano
cedendo su tutto: si erano detti disposti a liberare gli ostaggi stranieri
dell’organizzazione Shelter Now, a mediare una soluzione in ambito Onu e
addirittura a consegnare Bin Laden al Pakistan, se il governo di Islamabad
avesse garantito di non estradarlo negli Stati Uniti.
In quel caso i talebani sarebbero apparsi
come i traditori e non i martiri della cosiddetta causa islamica
fondamentalista e il fronte occidentale avrebbe colto un successo senza
spargere sangue di popolazioni civili.
Ma si è preferita l’azione di forza, più eclatante ed esemplare, sebbene
infinitamente meno efficace.
Si
sostiene che, così, le "centrali islamiche del terrore" hanno subito
un duro colpo.
Ma siamo poi tanto certi che il terrorismo che si combatte a suon
di bombe sia proprio islamico, come fideisticamente ritiene Gad Lerner? Secondo
Cardini, la centrale del terrorismo è collocata altrove e non sarà certo
smantellata con la sconfitta dei talebani.
In questo il celebre medievista fiorentino è sulla stessa lunghezza
d’onda di Giulietto Chiesa, che ha scritto di recente: " Probabilmente
siamo di fronte a un gruppo ristretto e potentissimo (condizione assoluta per
mantenere la segretezza per un periodo di tempo così lungo) comprendente
spezzoni autonomi, incontrollati, di più d’un servizio segreto che perseguivano
un disegno comune e che, per tutti questi motivi, sono riusciti a rendere
praticamente impotenti tutti i più importanti servizi segreti dell’Occidente.
Là si doveva cercare e non si è cercato. […] Nei grandi centri del
potere finanziario internazionale, che hanno trascinato per i capelli il
pianeta verso la catastrofe nell’ultimo quindicennio dissennato".
La grande alleanza mondiale contro il
terrorismo "islamico" nasconde, in realtà, molto più di quanto la
disinformazione massmediale mostra ogni giorno.
Prendiamo la Russia: l’ex grande potenza ha
barattato la solidarietà agli Usa con il silenzio dell’Occidente sulla Cecenia,
ma non le è certo sfuggito che Washington ha approfittato della crisi per
insediarsi stabilmente in Uzbekistan e Turkmenistan, aree strategiche ... rivendicazioni autonomistiche degli
Uiguri dello Xinjiang con la dichiarazione di solidarietà.
In questo gioco di interessi economici e geopolitici, le guerre di
religione o lo scontro tra civiltà non c’entrano affatto.
C’entrano invece i disegni egemonici
funzionali alla globalizzazione e alla definitiva affermazione del pensiero
unico, e c’entra purtroppo l’assoluta impotenza dell’Europa di fronte a tale
scenario.
Alessandro Bedini
http://www.diorama.it/n252-cardinilerner.html