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CAPITALISMO.. 1

CARCERI.. 4

CASA.. 4

CASTITÀ E VERGINITÀ.. 5

CAUSE.. 8

CENSURA.. 8

CHI SONO?.. 10

CIBO.. 11

CIELO.. 11

CINISMO O ETICA?.. 12

CIVILTà CRISTIANA.. 13

COMUNISTI.. 14

BUDAPEST BRUCIA L'OCCIDENTE TACE.. 68

CINA.. 113

CONFORMISMO.. 137

CONSOCIATIVO.. 142

CONSUMISMO.. 143

COPPI FAUSTO.. 143

CRIMINALE.. 146

CRISTIANESIMO

CRISTO

COSTO.. 147

CROCIFISSO.. 147

CUORE.. 148

CURDI.. 151

CAPITALISMO

CR 493105 ECONOMIA: la "riforma del capitalismo", ulteriore passo verso il socialismo? Gli ambienti "liberali” lanciano il tema della "riforma dei capitalismo". Ne è stata occasione il convegno su: "Quale capitalismo nella seconda Repubblica?", svoltosi il 5 luglio scorso a Milano. Il dibattito ruota intorno alle due forme di capitalismo attualmente in vigore: quello familiare, detto “modello renano” e quello delle public-companies o "neo-americano". Nel primo, le imprese sono controllate da una famiglia, nel secondo da manager. Il modello familiare si fonda sul concetto di "perennità dell'impresa". "Un'impresa è perenne - spiega l'economista francese Michel Alben - quando viene considerata un patrimonio che sì deve trasmettere di generazione in generazione" (cfr. Corriere della Sera, 11 luglio 1996). Il capitalismo "neo-americano", o azionario diffuso, è più vicino al modello socialista. "Moltissime imprese tedesche - spiega ancora il prof. Alben - anche importanti non sono quotate in borsa. Vivono e si sviluppano attraverso l'autofinanziamento o il credito bancario" (cfr. Corriere della Sera, cit.). L'esempio più spettacolare del capitalismo familiare è quello della BMW, ma l'espressione più alta è quella delle piccole e medie imprese, elemento trainante dell'economia italiana. (cfr. Corriere della Sera, cit.). Ora questo modello familiare viene messo in discussione. Nell'era della globalizzazione dell'economia sono necessarie risorse finanziarie sempre maggiori e, secondo gli esponenti del capitalismo anglosassone, solo quest'ultima forma sarebbe in grado di reperirle. Occorrerebbe, quindi, un ulteriore "passo in avanti” verso un’economia meno “privatistica" e più "pubblicistica". Questo è il senso dell'affermazione del presidente dell'Antitrust, Giuliano Amato, molto ben considerato negli ambienti liberali, quando, nel corso del convegno ha affermato: "Il mercato non è il luogo del padrone, ma di tutti" (cfr. Corriere della Sera, cit.)... Ma i difensori del modello italiano non si abbattono. Secondo Alberto Falck non è vero che le imprese familiari non sono in grado di far fronte alle necessità finanziare sempre maggiori. "Le imprese ben gestite - afferma Falck - sono capaci di generare risorse. La dimostrazione è che le piccole e medie industrie fanno fronte alle necessità di finanziamento senza ricorrere ad aumenti di capitale, proprio perché sono capaci di generare cassa" (cfr. Corriere della Sera, cit.). (CR 493105/HG96)

TUTTE LE FORME DI IMPRESA ARRICCHISCONO LA SOCIETà E SONO TUTELA DI QUELLA VARIETà CHE AL TEMPO STESSO è PROTEZIONE DELLA DEMOCRAZIA.

CARCERE

ECONOMIA COLLETTIVISTA o LIBERISTA?

Nessuno dei due certamente. Lo Stato e la collettività devono vigilare sempre, affinché  l’uomo non venga mai asservito dal capitale o calpestato dalla massificazione materialistica. IL TURBO CAPITALISMO (tratto dal manifesto di Rifondazione Comunista affisso nella piazza comunale di Grumo il 30-5-96) Il conservatore Luttwak, direttore del dipartimento di geoeconomia al "Centre For International Studies" afferma che si sta affacciando il turbo capitalismo come fenomeno economico mondiale, gli operai verranno pagati poco e comunque saranno precari a motivo della manodopera a basso costo come avviene nei paesi del Bangladesh. Questo sprofonda l'occidente nell'insicurezza, lo studioso Luttwak afferma che bisogna essere un po' marxisti, affinchè l’uomo rimanga sempre l’inalienabile signore della sua storia. Occorre equilibrio tra le esigenze del liberismo che portano alla meritocrazia e tra le esigenze del socialismo che portano alla solidarietà. Se riusciremo a trovare un equilibrio saremo invincibili. La forza di uno Stato o di una società non si basano mai sullo squilibrio economico e sociale. L’uguaglianza tra gli uomini prima che essere una esigenza della giustizia è purtroppo un’esigenza dell’economia. I poveri non possono spendere o investire, essi pensano solo a sopravvivere e non generano  altra ricchezza. Nel 1981 con la Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, che dopo aver condannato il capitalismo osserva :”In questa luce acquistano un significato di particolare rilievo...la comproprietà dei mezzi di lavoro, la partecipazione dei lavoratori alla gestione ed ai profitti dell’impresa...rimane evidente che il riconoscimento della giusta posizione del lavoro e dell’uomo del lavoro nel processo produttivo esige vari adattamenti nell’ambito dello stesso diritto della proprietà e dei mezzi di produzione.” E’ la dignità della persona che costituisce il criterio per giudicare il lavoro e non viceversa(cf.).

CARCERI

Le carceri devono essere rieducative o punitive. Le rieducative devono permettere il lavoro, con il quale il carcerato non solo paga le spese del carcere, ma se in esubero introita le somme guadagnate. Le punitive devono essere su isole o in luoghi naturalmente impervi ed inaccessibili.

Nessun carcere deve essere “confortevole”.

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CASA

CR 497104 FISCO: in 15 anni aumentate dell'871% le tasse sulla casa. L’aumento continuo del peso fiscale, da parte dello Stato, delle Province e dei Comuni, nei confronti di chi si è fatta la casa - ha dichiarato Sforza Fogliani - è in contrasto sia con la situazione degli altri paesi europei, sia con la conclamata volontà di ripresa economica. Infatti, l'aumento dell'occupazione passa attraverso la mobilità territoriale, soprattutto delle giovani leve del lavoro, che può realizzarsi solo attraverso un rigoglioso mercato della locazione. "Tale mercato - conclude il presidente della Confedilizia - viene invece sclerotizzato da politiche fiscali che rasentano l'esproprio, ai danni degli investitori nell'edilizia". (CR49710411H96)

CASTITÀ E VERGINITÀ

Mentre la verginità è il non uso della genitalità. La castità è l'uso onesto e legittimo della sessualità. Sul matrimonio Gesù si sottrae all'AMBIGUITA' del piano giuridico e si rifà al progetto originario di Dio: l'unione monogamica, feconda, perenne e fedele è inscritta nella stessa realtà naturale e soprannaturale dell'uomo. Il disordine sessuale, l'incapacità di realizzare un compiuto progetto d’amore sono il segno evidente di una profonda immaturità e incompiutezza esistenziali, di un'ostinazione ribelle. Riguardo all'insegnamento di Gesù sulle responsabilità intrinseche della sessualità, segue il commento egoistico  degli apostoli, incredibilmente anche Gesù afferma che non conviene sposarsi, “allora non conviene sposarsi”. Certo non conviene! Chi vorrà fare della propria vita una convenienza, si perderà! “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà”. Ma chi vorrà farne un dono, perdendosi in esso si salverà. Il modo migliore per donarsi è quello della scelta più radicale a favore del Regno di Dio che è già una realtà presente nel tempo; ma la comprensione di questa opzione è un dono singolare e soprannaturale di Dio. La risposta di Gesù è anche una replica alle accuse infamanti che dovevano essere state rivolte a lui. Gesù infatti era celibe. Presso gli Ebrei il matrimonio era un obbligo grave, in osservanza di Gen. 1,28 (siate fecondi e moltiplicatevi). Rabbi Eleazaro: "un uomo che non ha la sua donna, non è neppure un uomo" (Talmud babilonese). La verginità è bensì stimata, ma solo prima del matrimonio, in se stessa e come stato permanente è invece considerata un disonore, quasi un castigo divino. Gesù corregge questa impostazione, ripristinando la retta gerarchia dei valori: prima della paternità/maternità carnali, assai più importante è la paternità/maternità, che si esprime sul piano spirituale. La sterile e l'eunuco vengono dichiarati 'beati', se sono stati fedeli al Signore. Come è raccomandata la castità (nuova verginità per il Signore) delle vedove. GEREMIA: Come segno profetico in Israele, segno di sventura e distruzione, Dio comanda al profeta di restare celibe perché il popolo non ha futuro e dunque non ha senso la procreazione prima della carneficina. Geremia vive in sé anticipatamente il destino del popolo, nel suo corpo si anticipa il regno della sterilità e della morte. Il vecchio ordine di cose cessa, e Dio costruirà un nuovo ordine fondato sullo spirito. Ma a coloro che vivono da eunuchi per aderire al Signore e osservano la sua legge è promesso (Is. 56,4-5) "un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie" (cfr. anche Sap. 3,13-14). La stessa scelta di verginità di Gesù è il segno profetico della nuova creazione, dell'apertura dell'orizzonte umano a Dio e al primato della sua presenza. Nasce così accanto al matrimonio un nuovo stato di vita. Il celibato di Gesù suppone il regno già venuto, suppone che Dio si sia già piegato sull'umanità e abbia incontrato l'uomo. "Chi può capire, capisca", si tratta di una realtà non comunemente comprensibile se non all'interno di una specifica rivelazione. La verginità per il regno è coperta da un velo di mistero è realtà di amore, dolore, fecondità e gioia su un altro piano! LA VERGINITÀ E' UNA RINUNCIA e questo rappresenta l'aspetto più impegnativo del sacrificio,(guai se la verginità venisse sempre considerata come un sacrificio, bisognerebbe abbandonarla necessariamente) ma non nasce da un disprezzo della corporeità, o della sessualità, o donne. Dunque non ha una connotazione ascetica ma piuttosto mistica, cioè È PER IL REGNO E COSTITUISCE UNA DIMENSIONE PROFETICA è UN VIVERE come tutti, un giorno, saremo chiamati a vivere. Lc. 20,34-36: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio". La verginità non è ontologicamente più perfetta, ma escatologicamente più avanzata. A livello individuale, la via di perfezione è quella che per me ha stabilito il Signore. La verginità è un aiuto agli sposati perché non si trasformino vicendevolmente in idoli, e rammentino il primato di Dio. Il sacrificio (solo a volte) è grande, ma chi vince la lotta si colloca nell'orizzonte di Dio e della vita eterna. Non è una scelta ascetica, ma mistica: l'obbiettivo è la perfetta carità: non l'isterilimento, non l'impoverimento, ma potare, snellire per portare più frutto. Una scelta di amore donato a tutti, piuttosto che alle poche del proprio nucleo familiare. La realizzazione dell'uomo non deriva dall'esercizio della genitalità, ma dallo spendersi sino alla fine per amore (è questa l’altissima testimonianza che i vergini portano al mondo). La verginità parte dal cuore e può trasformarsi nella dimensione più pura dell'amore. Essa non è contro natura, perché è realizzazione dell'amore, aprirsi alla paternità e maternità, significa sempre compiere un atto intrinsecamente spirituale.

CAUSE

La compensazione delle spese deve essere rarissima. Le spese devono ricadere nella giusta percentuale di colpa o ragione dei due contendenti. Se le cause non sono svolte entro un mese dalla magistratura civile, passino immediatamente sotto la giurisdizione della magistratura militare.

CENSURA

Famiglia Domani chiede il sequestro del film blasfemo "Totò che visse due volte"... e si espone ai magistrati la rilevanza penale della produzione del film e del suo sovvenzionamento da parte di una Commissione dipendente dalla Presidenza del Consiglio, chiamando in causa il vice presidente del Consiglio dei Ministri, Walter Veltroni.

Nell'atto si afferma che "la produzione, realizzazione, diffusione, promozione e proiezione del film di cui in premessa, integrano la fattispecie delittuosa prevista e punita dall'art. 402 c.p. atteso che le immagini e le scene rappresentate dal lungometraggio, per quanto riferito dalla stampa e per quanto si evince dalla motivazione del provvedimento di censura, offendono palesemente e gravemente lo stesso concetto di sacro e le verità di fede affermate dalla religione cattolica e professate dalla maggioranza dei popolo italiano;

"che la manifestazione obiettivamente vilipendiosa non può essere giustificata come espressione di dissenso dalla fede e dal culto praticati nella Chiesa cattolica, giacché il diritto di esprimere al riguardo opinioni dissacratorie o miscredenti trova limite nel rispetto dovuto al sentimento religioso dei credenti" (cfr. Cass. Pen. Sez.III 17.2.1981 n. 1062) "che la concessione del beneficio integra viceversa il delitto di cui all'art. 323 c.p. giacché la condotta dei funzionari responsabili dell'erogazione del contributo deve ritenersi palesemente violativa dell'art. 5 legge 4.11.1965 n. 1213 che regola l'ammissione ai benefici previsti dalla suddetta legge, stabilendo che presupposto per l'ammissione al beneficio è che le opere "presentino, oltre che adeguati requisiti di idoneità tecnica, anche sufficienti qualità artistiche o culturali o spettacolari"; "che dall'esame della motivazione del provvedimento di censura si ricava non solo l'assoluta assenza dei requisiti previsti dalla legge per l'ammissione ai citati benefici, ma addirittura la rilevanza penale (violazione art. 402 c.p.) dell'opéra sovvenzionata, che peraltro non si sarebbe potuta realizzare senza la concessione dei rilevanti contributi governativi;

Per questi motivi 1'Associazione Famiglia Domani ha proposto formale denuncia nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dei fatti di cui in premessa integranti la violazione degli art. 402 e 323 c.p., e chiesto il sequestro ai fini probatori e preventivi della pellicola "Toto che visse due volte", nonché di tutti gli atti relativi alla concessione del contributo governativo. Il teologo dell'Osservatore Romano, padre Gino Concetti, ha protestato anche lui contro il film: "Non si può mai assumere la libertà come pretesto di dissacrazione dei diritti a contenuto etico-religioso. In tale caso, la libertà è liberticida, e una  sana democrazia non può tollerare questo sofisma".

II politologo don Gianni Baget Bozzo ha commentato: "Ben venga dunque la censura, se serve ad impedire che un’opera di larga diffusione offenda i fedeli, facendosi beffe del mondo sacro, dei simboli che sono il fulcro del nostro credo" (II Messaggero, 4.3.98).

Il giornalista Giuseppe Savagnone, su Avvenire (5.3.98), ha elogiato i componenti della Commissione censoria, "perché hanno avuto il coraggio di mettere in discussione l'unico valore sacro che, a quanto sembra, sia rimasto in vigore nella nostra cultura: quello della libertà assoluta di fare e dire ciò che si vuole".

Paolo Cranzotto, vicedirettore de Il Giornale (5.3.98), si è invece chiesto provocatoriamente se il film blasfemo avrebbe ottenuto approvazione e finanziamenti statali nel caso in cui esso, "invece di irridere. la religione cattolica, avesse bestemmiato quella islamica o ebraica", e chiede al ministro Veltroni: "Avrebbe lei autorizzato il finanziamento di un film dove Maometto o Abramo subivano quello che Cristo e il Dio dei cristiani subiscono nell'opera di Cipri e Maresco?"

Il 22 dicembre scorso, il film blasfemo "Totò che visse due volte", dei registi Cipri e Maresco, era stato approvato dal Dipartimento dello Spettacolo, istituto dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e aveva anche ottenuto un sovvenzionamento statale per un miliardo e 600 milioni. Passato poi all'esame preventivo della  Commissione consultiva del citato Dipartimento, la pellicola era stata giudicata come “artisticaottenendo parere favorevole.

Per contro, la parallela Commissione di revisione, dipendente anch'essa dell'Ente dello Spettacolo, ha espresso parere negativo sul film, dichiarandolo inadatto alla proiezione pubblica. Motivazione principale della censura: "Si ravvisa una palese violazione dell'art. 21 della Costituzione, in quanto offensivo del buon costume. (…) Si ravvisa altresì una violazione palese degli art. 402 e seg. del Codice Penale, in quanto il film esprime un esplicito atteggiamento di disprezzo verso il sentimento religioso in generale e quello cristiano in particolare. (...) Difatti, il diritto ad esprimere opinioni dissacratorie o miscredenti trova un limite non superabile nel rispetto dovuto al sentimento religioso della collettività. Si sottolinea infine lo squallore di scene chiaramente blasfeme e sacrileghe, intrise di degrado morale, di violenza gratuita e di sessualità perversa e bestiale, con sequenze laide e disgustose" (Il Tempo, 5.3.98). Lo psicologo Leonardo Ancona, membro della commissione censoria, ha definito la pellicola "un film vomitevole" aggiungendo: "E' tutto il Cristianesimo che vi viene offeso. E' la dignità degli esseri umani che viene messa in ridicolo. Un attacco al sacro e all'uomo" (La Repubblica, 4.3.98). Il magistrato Domenico Nardi, presidente della citata commissione, ha affermato: "Non è un film; è il fondo dell'inferno" (II Messaggero, 3.3.98). L'uscita nelle sale cinematografiche è stata quindi vietata. La produzione del film ha ricorso in appello. Ma chi sono i responsabili di questa incredibile aggressione contro la fede cattolica? Col pretesto di difendere la libertà di espressione “artistica”, l’attacco alla censura vuole difendere proprio la libertà pubblica di bestemmia.(Famiglia Domani –Anno XI, n.1, Gennaio 1998)

CHI SONO?

Questa sembra la domanda più semplice  e ovvia a cui si può dare una risposta, ma non è così. Se dicessi il sesso o il tuo nome o i tuoi genitori o la nazionalità. Io ti risponderei che non ti ho domandato che sesso hai, come ti chiami, chi sono i tuoi genitori o a che nazionalità appartieni. A questa domanda la risposta è una sola! Io sono Amore! Io allora ti chiederei, cos'è l'Amore? Tu mi risponderesti: L'amore è Dio! Io ti chiederei ancora: Chi è Dio? Tu potresti dire anche tanto di Lui, ma diresti sempre pochissimo perché Dio è infinito! Questo è il vero mistero sapere chi sono io e sapere chi è Dio! Anche in Paradiso questo mistero non sarà mai spiegato interamente, perché il mistero è il fondamento del fascino che è il fondamento dell'amore. Per questo possiamo innamorarci di noi stessi e degli altri, per questo Dio può innamorarsi di noi e noi di Dio. Tutto quello che esce dall’Amore è affascinante perché è misterioso. Un mistero intelligente che si svela continuamente e non si esaurisce mai. Più conosco chi è Dio più conosco chi sono io! Se può uccidere un grande dispiacere, può anche uccidere una grande felicità! Se comprendessimo quanto e come ci ama Dio, moriremmo di felicità. Questa è stata la sorte beata di tanti santi e sante, pochi istanti prima che sopraggiungesse sorella morte, il Signore si è riversato nei loro cuori come una cascata di felicità, così che non è stata sorella morte a portarli tra le braccia del Padre, ma è stata sorella felicità. Solo Dio sa chi è l'uomo e qual è il suo valore! Gesù di Nazareth ci fa capire qualcosa quando afferma: "sciocco, a che ti vale guadagnare il mondo intero se poi perdi la tua anima, cosa potrai dare in cambio della tua anima?" L'anima di un uomo vale molto di più di tutto l'universo materiale. Il demonio che nulla può contro Dio, cerca di farlo soffrire indirettamente nei suoi figli, facendoli  precipitare con lui nell'inferno.

CIBO

I cibi a carattere popolare devono godere di una tassazione limitata.

Devono essere tutti biologici.

Gli esuberi alimentari non devono essere distrutti, ma consegnati ad un prezzo politico perché prendono la via del terzo e quarto mondo.

CIELO

Cominciamo col dire che il cielo è quello che i poeti cantano, di notte, quando sono un pò tristi, o che i filosofi guardano per capire l’immensità della coscienza. Però, noi credenti, usiamo la parola “cielo” per descrivere un senso di pienezza, di gioia, di beatitudine, ecc... Si comprende così come il cielo è una dimensione misteriosa (metafisica) del nostro vivere quotidiano e sensibile: qualcosa -o Qualcuno- che ci è tanto vicino da non poterlo più percepire. E la solitudine che se ne va a spasso. E, in una giornata qualsiasi, noi compiamo le faccende normali, immersi in questo mondo fatato ma reale, e tra il fruscio delle ali degli angeli.(di Alessandro Maggiolini -Vescovo- Messaggero di sant’Antonio p. 74 giugno 1994) Il cielo non è nello spazio e nel tempo, ma oltre!

CINISMO O ETICA?

O siamo continuamente nuovi o moriamo dentro. Assecondiamo in noi il fascino di un incontro, l'evento di un principio di bellezza e di bontà, quale contempliamo nello stupore della natura. E' nella esperienza dell'essere amato e del poter amare che si spalancano le esigenze dell'etica. Nell'esperienza dell'amore si supera il cinismo, mentre esso trionfa di fronte al relativismo, alla confusione interpretativa e ad esperienze di amori istintivi e passionali. Nell'affermazione dell'amore si afferma anche la gloria di Dio, ogni uomo diviene un sacerdote ed un mediatore della Presenza Infinita ed inesauribile, divenendo offerta di ogni gesto, parola ed istante, di ogni sofferenza perché il suo vero Padre venga riconosciuto. Affinché tutti gli uomini accolgano con consapevolezza, gratitudine l'opera perfetta di Dio, che chiede di realizzarsi continuamente in noi ed intorno a noi. Tutto per vivere al massimo, nella intensità della gioia e del dolore, per fare nostre le speranze, le gioie e le sofferenze dei fratelli.

(René Coste DIMENSIONI POLITICHE DELLA FEDE, Cittadella Editrice -Assisi)

CIVILTà CRISTIANA

Esiste un’enorme differenza tra civiltà cristiana e cristianesimo. La civiltà cristiana è un dato culturale e non una religione. La civiltà cristiana come dato culturale è un’insieme di sensibilità è una visione della vita e dell’uomo che è ormai patrimonio di tutta l’umanità. Un musulmano, un buddista, può essere perfetto e zelante nella sua religione, pur vivendo culturalmente i valori di democrazia e di dignità umana che il cristianesimo ha maturato lungo i secoli. I diritti universali dell’uomo, codificati dalla comunità internazionale, sono il frutto del lavoro che, non tanto la Chiesa Cattolica, quanto il messaggio evangelo ha operato in 2000 anni. Questo dato culturale e politico è così rispettoso dell’uomo e della sua dignità, che allo stato attuale è il miglior progetto culturale sull’uomo che l’umanità abbia elaborato.

COMUNISTI

PROGRESSISTI - FASCISTI - CAPITALISTI

Filosoficamente esiste una continuità morale tra il comunismo e la sinistra internazionale, come esiste una continuità morale tra il fascismo e la destra. Infatti la concezione materialistica della vita è un frutto maturo sia del marxismo come del capitalismo. Considerando però come attualmente, la caduta dello stato totalitario e della sua idolatria e la conseguente falsa democrazia – perché senza una base etica comune - rende più drammatico il vuoto di ogni fede e ideologia, ora è il trionfo dell’anarchia preludio ad un’altra catastrofe planetaria.

IL FAZIOSO: Il comunismo è morto. Per la destra.

Ci si può intendere con gente di questo tipo (per loro l'antifascismo continua ad essere un valore, mentre l'anticomunismo è un meschino sentimento antistorico, robetta da borghesi piccoli-piccoli) disposta a seppellire le porcherie di Stalin e non quelle di Hitler e del Duce? Che non dimentica le vittime del nazifascismo, però non riconosce i 100 milioni di morti ammazzati con la falce e martello? Che fatica ad archiviare una tragedia avvenuta mezzo secolo fa,  ma pretende non si accenni alle stragi tuttora in corso là dove i totalitarismi rossi sono ancora in piedi? D’altronde basta osservare l'accoglienza che la sinistra ha riservato al Libro nero del comunismo... Capite qual è il metodo? Se un'ecatombe è nota «non scandalizza e non meraviglia», diventa una sciocchezzuola. Cento milioni di morti, che volete siano? E sentite Luciano Canfora come liquida la pubblicazione mondadoriana, che è una raccolta di documenti anche fotografici: «Si basa su un trucco grossolano: il rialzo delle cifre. Uno potrebbe ridere di una buffonata come questa se non fosse infame il proposito che viene perseguito».

Fino a dieci, 20 anni fa chiunque osasse parlare male della rivoluzione maoista, o dei gulag sovietici, era un povero deficiente che si lasciava intortare dalla propaganda imperialistica americana; e Solzenicyn era uno sporco traditore. Oggi che è tutto chiaro, i progressisti si dividono in due: quelli che «sono cose note e raffazzonate e non scandalizzano» e quelli che «uno potrebbe ridere di una buffonata come questa». Sicuro, il comunismo in Italia non c'è più, e se è per questo grazie agli anticomunisti non c'è mai stato; ma i comunisti purtroppo ci sono ancora e, anche se Fini e io siamo stanchi di polemizzare con loro, non serve fingere che siano «guariti». Non sono neppure migliorati. I meno gravi affermano che il PCI non c'entra nulla con gli stermini e si scordano che il loro capo, Togliatti, era il braccio destro di Stalin e lo aiutava a scegliere chi doveva essere accoppato (chiedere informazioni agli alpini o agli italiani emigrati in URSS). Altri compagni allargano le braccia e sospirano: non eravamo al corrente. Ma Eniannele Macaluso non dice che erano «cose note»? E allora i casi sono due: se i comunisti italiani non sapevano, erano fessi; se sapevano e stavano zitti, erano complici degli assassini. Scelgano loro. Quando poi avranno imparato a memoria il Libro nero del comunismo, e saranno in grado di recitarlo a menadito, avranno acquistato il diritto a sfottere Silvio Berlusconi. Intanto, silenzio, per favore. (Chiama il Borghese 011/65.00.123 Articolo di Vittorio Feltri, 11 MARZO 1998, p.3)

- STALINISMO -

Termine che designa l’aspetto più deteriore del comunismo sovietico. Josif Stalin esasperò la burocrazia, con le repressioni di massa le vittime si contano a milioni. Si istituzionalizzò la idolatria ovvero il culto della personalità del segretario del partito. Divenne sistematica la soppressione fisica degli avversari. Il termine si applica anche ad altri regimi dittatoriali come la Cambogia di Pol Pot, la Romania di Ceausescu, la Corea del Nord di Kim Il Sung, ecc. Lo stalinismo divenne una indiscutibile religione di stato, questo fenomeno prese il nome di “realismo socialista”. Fu la rapida collettivizzazione dell'agricoltura a provocare milioni di vittime tra i contadini che si opposero all’esproprio della terra. Gli stati comunisti hanno fatto più vittime che la seconda guerra mondiale.

- La sapienza dell'amore -

[presentiamo una breve recensione all'approfondito studio a lui dedicato da: NATALINO VALENTINI, Pavel A. Florenskij: La Sapienza dell'Amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità, Ed. Dehoniane Bologna (Nuovi Saggi Teologici-41),pp. 390.](Quadrimestrale dell'Ass. Naz. Insegnanti di Religione Reg. Tribunale di Savona n. 318 del 31 /5/85 Direttore responsabile: Francesco Perez /via Avogadro, 3-47037 Rimini Tel. 0541/377663 Fax 785353)

Teologia della bellezza e linguaggio della verità

Nell'occasione del 60° anniversario dalla tragica morte di uno dei più grandi pensatori cristiani del Novecento, il sacerdote ortodosso Pavel A. Florenskij, fucilato dai bolscevichi dopo anni di persecuzioni e di sofferenze nei lager siberiani.

Padre Florenskij, genio sconosciuto del Novecento

Davanti alla sublimità del dono di un genio, che nobilita il genere umano con la luce della propria intelligenza, si prova generalmente un sentimento di meravigliato smarrimento. E' quanto Natalino Valentini chiama, con felicissima espressione schellinghiana, "stupore della ragione", accostando non senza timore e tremore l'opera di Pavel A. Florenskij (1882-1937), fisico, matematico, filosofo-teologo, teorico dell'arte e del linguaggio, ingegnere, ecc., definito a pieno titolo il "Leonardo da Vinci della Russia".  Venne fucilato nel lager sovietico delle isole Solovki l'8 dicembre 1937, nel pieno della sua maturità di uomo e di intellettuale, e ciò che ora riaffiora dei suoi scritti è forse soltanto la punta dell'Iceberg di una mente e di un'anima straordinarie. Perciò si prova la nostalgia d'una grandezza perduta accostando la vita e il pensiero di Florenskij, con il turbamento interiore per quanto è stato cancellato della sua "storia" nel gorgo infernale di una delle più tragiche involuzioni del senso stesso di umanità di cui il nostro secolo è testimone. L'incommensurabilità di tale perdita si trova nelle parole dello stesso Florenskij, scritte nel lager alla notizia del saccheggio della propria biblioteca. Valentini le riporta in una nota dell'introduzione biografica al suo Autore preferito: "La mia biblioteca non era semplice raccolta di libri, ma una selezione di opere dedicate ad alcuni temi precisi. Posso dire che diverse opere che avevo intenzione di scrivere erano già a metà pronte, sotto forma di note in margine ai vari testi che io solo posso interpretare. Il lavoro di tutta una vita si è oggi dissolto. La distruzione dei risultati delle fatiche di tutta la mia vita è per me assai peggio della morte fisica" (p. 46, n. 52). Sono frasi che hanno l'amaro sapore del testamento di un uomo colpito a morte nell'eredità del suo spirito, ma che pure ci lasciano traccia del metodo di rielaborazione delle idee di un genio. La bellezza splendore del vero. La Provvidenza ha voluto che parte dell'opera di Florenskij si salvasse e riemergesse nel tempo dalle ceneri dell'ideologia. Merito del lavoro di Valentini è di avercene restituito, con appassionata maestria filosofica ed attenta analisi culturale e religiosa, l'anima della sua vitalità: la "Sapienza dell'Amore". Dopo una parte introduttiva sulla vicenda umana ed intellettuale di Florenskij ed il contesto della sua formazione cristiano-ortodossa, il libro si articola in altre tre parti che, in un ampio panorama investigativo di tutte le maggiori opere filosofiche e teologiche conservate del grande pensatore russo, e con la lodevole rigorosità scientifica del Valentini suo valido interprete, sviluppano il problema della "verità", della "bellezza" e della "parola" tra pensiero e linguaggio. La ricchezza che l'indagine sviscera rende ragione all'altezza delle intuizioni di Florenskij, messe puntualmente in luce nel crescendo di tensione e di pienezza contenutistica cui l'intelligenza del lettore è indotta di capitolo in capitolo nel susseguirsi espositivo dei vari argomenti, i quali come icone si aprono simili a fessure sull'infinito del conoscere e del sapere. Il corredo del nutrito apparato scientifico che supporta il testo, documentandolo esaurientemente, e la vastissima bibliografia che fornisce al lettore una sorta di "opera omnia" di Florenskij e su Florenskij rendono il libro di Valentini di capitale importanza nello sviluppo degli studi sul grande pensatore russo e confermano profondamente la convinzione di Giovanni Paolo II espressa nella Lettera Apostolica “Orientale Lumen” per la quale, di fronte alla sfida del nuovo Millennio "adveniente", "le parole dell'Occidente hanno bisogno delle parole dell'Oriente, perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue insondabili ricchezze" (OL 28). Pochi mesi prima di morire come un martire, alla moglie Anna, Pavel Florenskij aveva scritto:

"Destino della grandezza è la sofferenza, quella causata dal mondo esterno e la sofferenza interiore. Così è stato, così è e così sarà ... Per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue" (dal lager, 13 febbraio 1937).

Non è profezia di sventura per il genio spirituale dell'umanità:  sempre sarà avversato dalla forza nemica della luce, della verità, della vita e dell'amore. Tuttavia la "Sapienza dell'Amore" ancora susciterà la bellezza immortale e trascendente della santità di questi giusti. Che la chiesa russa si appresta a canonizzare tra i martiri del XX secolo: "che hanno avvertito con particolare acutezza il male e il peccato presenti nel mondo, e che nella loro coscienza non si sono arresi a quella corruzione", ma che "con grande dolore hanno preso su di sé la responsabilità per il peccato di tutti come se fosse il loro personale peccato, per la forza irresistibile della particolare struttura della loro personalità" (p. 45)[La fede ha la capacità di rendere gigante l'uomo, di renderlo detentore di una forza incredibile]. Si potrebbe dire, nella scoperta del genio di Florenskij, che proprio questa l’antinomia di quella Bellezza, l'unica possibile e la sola auspicabile, per la quale il mondo sarà salvato, allorché l'uomo saprà nuovamente affiancare il dono fecondo dello spirito al genio luminoso dell'intelligenza (cf. 1Cor.14,15-19) e nella Kenosi (nell’umiliante sconfitta della logica mondana) riscoprire il "volto del noi" "riflesso del noi trinitario, nel suo infinito movimento personale" (p. 156) dove, come dice Roma "il bello non è solo  affascinante ma anche vero", nell'essenza ontologica e mistica dell'essere.

(Luciana Mirri, Docente di religione a Bologna e di dogmatica all'ISR di Imola, studiosa di patristica e spiritualità dell'Oriente Cristiano).

CR 504/05 INFORMAZIONE LIBRARIA: le stragi di via Rasella e delle Ardeatine. Il caso Priebke ha portato alla ribalta alcuni aspetti delle stragi di via Rasella e delle Ardeatine che per decenni erano rimasti coperti dal velo di silenzio forzatamente imposto dai vertici del Partito Comunista. Mario Spataro, con la verve che gli è solita, affronta, in un libro obiettivo e ben documentato, quei tragici giorni del marzo 1944, con lo scopo di ricostruire i fatti e risalire alle responsabilità delle due stragi, l'una conseguenza dell'altra (Mario Spataro, Rappresaglia: via Rasella e le Ardeatine alla luce del caso Priebke, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1996, pp. 304, £. 38.000). Nel suo libro, Spataro dimostra che la strage di via Rasella, con l'uccisione di 42 inoffensivi gendarmi altoatesini e di una decina di ignari passanti e la conseguente rappresaglia nazista, che fece 335 vittime, vanno attribuite alla strategia comunista che, fra l'autunno del 1943 e la primavera del 1944, trasformò in "guerra di partito" quella che voleva essere una "guerra di liberazione". Ciò al fine di creare vittime su cui speculare per decenni, di scompaginare l'antifascismo non comunista e di attribuire alla partigianeria comunista il merito di una liberazione che sarebbe comunque arrivata, per opera delle armate anglo-americane, nel giro di pochi mesi. Molto interessanti le pagine dedicate all'infiltrazione comunista della Polizia, operata già negli ultimi mesi dell'agonizzante regime fascista, e alla "giustizia proletaria", con la quale i comunisti, sia attraverso il controllo dei tribunali con cui giudicavano gli esponenti del passato regime, che con atti di terrorismo, vollero liberarsi degli avversari politici e dei testimoni scomodi, fossero essi fascisti o no, e finanche comunisti insofferenti alla disciplina di partito(CR 504/OSIMDS6).

- FOIBE -

Le zone carsiche non presentano corsi d'acqua in superficie: le acque scavano depressioni a imbuto, chiamate doline, e convogliate attraverso inghiottitoi, o foibe, nelle cavità sotterranee, dove possono scorrere come fiumi veri e propri. Il carsismo prende nome dal Carso, una zona che si estende tra Friuli-Venezia-Giulia e Slovenia. Quando gli americani furono fermati dalla linea di Montecassino, gli istriani, i popoli dalmati si trovarono a vivere il loro olocausto. Queste popolazioni di italiani avevano un forte concetto della loro identità e attendevano la liberazione indifferentemente se essa fosse avvenuta ad opera degli americani o degli slavi di Tito. Gli istriani non sapevano che a Jalta era già stato deciso il loro destino. A Jalta si era decisa la divisione dell’Europa e per questo gli americani si sarebbero comunque fermati a Venezia. Tutte le città dell’Istria furono occupate dagli slavi di Tito, ma bastarono pochi giorni per rendersi conto della disgrazia che era capitata loro. A dirigere quelle terre furono inviati i partigiani comunisti internazionalisti i quali consideravano integrate nella federazione iugoslava quelle terre. Preferirono  sbrigativamente e tragicamente attuare il loro progetto in questo modo:

1 - cambiarono nomi a città, cartelli stradali e alle strade;

2 - simularono incendi, in diversi uffici anagrafe, per distruggere                        qualsiasi certificato di possesso o di identità;

3 - Chiusero la maggior parte delle chiese, cacciarono o uccisero molti preti, perché questi non producendo un reddito, erano considerati un peso inutile alla società, praticamente dei parassiti. In realtà vollero lasciare quelle popolazioni senza alcuna autorità di riferimento;

4 - I dalmati giudicati ostili dal potere comunista - cioè tutti - iniziarono a sparire, la persona con cui ti eri incontrato il giorno prima, il giorno dopo spariva misteriosamente.

Come fu evidente il progetto di pulizia etnica quasi tutti fuggirono (circa 250.000). Gli slavi realizzarono il loro progetto, infatti avevano trasferito interi nuclei familiari nella attesa che le proprietà fossero “liberate”, portarono nuove popolazioni ad occupare le case ormai lasciate vuote. Non appena gli italiani uscivano, il giorno dopo una famiglia slava sfondava la porta e si insediava. Fu un progetto lucido e pianificato di pulizia etnica al fine di sradicare un intero popolo. Improvvisamente iniziarono a sparire anche persone che con la politica non centravano niente ... intere famiglie. Se si considera che praticamente tutti i compromessi con il regime fascista, temendo ritorsioni avevano già abbandonato quelle terre alcuni giorni prima che i comunisti slavi le occupassero. Si comprende come la quasi totalità delle vittime fossero civili inermi e privi di qualsiasi responsabilità, fatti sparire per il semplice interesse di impossessarsi delle loro proprietà o per meschine vendette personali. Quelle poche persone che di notte cercarono di violare il coprifuoco, raccontavano di camion che giravano per i paesi deportando interi nuclei familiari o singoli che poi regolarmente sparivano. Questi camion carichi di soldati vennero denominati ben presto “Camion della morte ”. Si può considerare che nelle 2500 foibe del Carso, specie di inghiottitoi giganteschi sparirono dalle 10000 alle 12000 persone, tutti gli altri fuggirono. Un intero popolo è stato cancellato e disperso. La tecnica preferita per gli omicidi era questa: i comunisti legavano tra loro, con il filo spinato, due persone con le mani dietro la schiena, ad uno gli sparavano alla nuca e l’altro lo gettavano dentro vivo nell’inghiottitoio per pura crudeltà. Quando venivano trucidati in molti, testimoni raccontano di aver udito, per giorni dall’orlo della foiba le voci straziate dei moribondi arrivare in superficie. Voci che con il passare dei giorni erano destinate a divenire sempre più fievoli. Così sono scomparse migliaia di persone, un popolo intero è stato scippato della sua storia e del suo patrimonio nella indifferenza generale, indifferenza che dura tutt’oggi. La sua straziante agonia si vuole con complicità criminosa far finta, ancora oggi, che non sia mai esistita (ho le prove che un docente universitario progressista ha avuto la spudoratezza di negarla). In molti altri casi i comunisti gettavano macerie o colate di cemento sulle vittime ancora vive. Si abbandonarono inoltre ad atti di crudeltà gratuita, come sventrare le gestanti prima mi gettarle nelle foibe, violentare le donne prima di sopprimerle, strappare gli occhi a chi si ribellava prima della esecuzione ed altre sevizie. C'è forse una differenza tra comunisti e nazisti? Nessuna! La peggiore schiatta che l'umanità abbia conosciuto. Emblematica è l’esiguità delle fonti per un genocidio di questa portata: Carlo Sgorlon “La foiba grande” ed Mondadori. Piuttosto goffamente, Togliatti aveva liquidato le foibe come: “Giustizie di italiani (antifascisti), contro italiani (fascisti)”(Montanelli-Cervi, L’Italia della guerra civile, storia d’Italia, Rizzoli editore, p.344) .

SONO SCAMPATO ALLE FOIBE, NON ALLO STATO

"Non doversi procedere". Così, il 12 novembre, il GIP di Roma ha archiviato le indagini sul genocidio di ventimila italiani da parte dei partigiani di Tito. A meno che la Cassazione non accolga i ricorsi del PM Giuseppe Pititto, dell'Avvocatura dello Stato e dei legali dei parenti delle vittime dei massacri, i principali responsabili delle foibe non dovranno più rendere conto dei loro delitti. Paradossalmente la ragione del colpa di spugna: siccome le stragi sono avvenute in territori passati successivamente alla ex Jugoslavia, ci sarebbe un «difetto di giurisdizione». Eppure, altri criminali, quelli nazisti, vengono ricercati, catturati e puniti ovunque. Due pesi e due misure che hanno sollevato un vespaio di polemiche e spaccato anche lo sinistra. Era stato lo stesso presidente della Camera, Luciano Violante (PDS), a criticare la «congiuro del silenzio sulle foibe». Un silenzio che ora diventerà di tomba, se la Cassazione non ribalterà il verdetto. «Mi hanno infoibato. Sono vivo per miracolo. E quello che hanno fatto a me l'han fatto a moltissimi altri, trucidati per la sola colpa di essere italiani». Parla Graziano Udovisi, classe '36, di Pola. Un ufficiale che ha combattuto per difendere l'Italia. Ha patito le pene dell'inferno per salvare i suoi ed è riuscito a sfuggire alla morte. Dall'8 settembre '43 fino a tutto il '47, in Istria, Dalmazia, Fiume e dintorni, le truppe jugoslave di Tito furono artefici di una lunga serie di eccidi ai danni delle popolazioni italiane. Le vittime, dopo essere state torturate con evirazioni, stupri, amputazioni, accecamenti, venivano precipitate a gruppi nelle foibe, fenditure rocciose profonde centinaia di metri. I responsabili percepiscono le pensioni di guerra. Invece, Udovisi ha solo una pensione da insegnante, in base al lavoro svolto; lo Stato italiano non lo riconosce come combattente. «Il presidente Scalfaro» spiega l'unico superstite delle foibe in quest'intervista al Borghese «potrebbe riconoscere il grado di combattente non solo a me, ma a tutti coloro che sono morti per difendere la Patria, restituendoci i nostri gradi, il nostro titolo personale e la tanto agognata pensione come invece è stata data ai nostri infoibatori, italiani e slavi. Ma questo significherebbe sconfessare il comunismo dei primi tempi, sconfessare Togliatti, sconfessare addirittura lo Stato italiano che finora ci ha trattato così miseramente!».

Quello di Udovisi è un triste diario che fa parte di un macabro e vergognoso capitolo della nostra storia, dimenticata da troppi. Allora aveva solo 19 anni, ed era tenente della Milizia difesa territoriale, reggimento comandato da Libero Sauro, figlio di Nazario, l'eroe istriano. Ancora oggi Udovisi non dorme sonni tranquilli, non può dimenticare quel terribile sabato di maggio 1945, quando si presentò alle 17,30 direttamente presso il comando slavo. Il suo senso di responsabilità lo fece intervenire per cercare di salvare i suoi sottufficiali. I massacratori slavi non lo fecero neanche parlare ma, dopo avergli chiesto solo nome, cognome e grado, lo legarono con le mani dietro alla schiena col filo di ferro e lo stiparono in una cella tre metri per quattro, assieme ad altri trenta italiani, stretti come sardine, quasi senza aria, seminudi. Morivano di sete e dopo imploranti richieste, gli slavi offrirono loro fiaschi pieni di urina. Dopo pochi giorni ci prelevarono in sei e ci portarono in un'altra stanza. Ci torturarono per tutta la notte. Dopo mezz'ora non sentivo più nulla, avrebbero potuto anche tagliarmi a pezzettini, ma non me ne sarei accorto. Quando mi hanno ordinato di alzarmi in piedi, ho cercato di guardarmi intorno, il mio volto era talmente tumefatto che vedevo a malapena. Ho visto il mio compagno di fronte a me con la schiena completamente rossa, poi ho capito che era sangue.

- Quando siete usciti da quella stanza?

Udovisi: Poco prima dell'alba del giorno dopo. Sono entrati due ufficiali slavi, un uomo e una donna. Quest'ultima ci ha ordinato di alzarci in piedi e di disporci in fila. Eravamo senza forze, nessuno si mosse. Allora questa donna mi ha preso per i capelli e senza dire una parola mi ha spaccato la mascella sinistra con il calcio della pistola. Mi hanno messo in fila per primo perché ero ufficiale, gli altri erano dietro, ma l'ultimo non ce la faceva a stare in piedi. Sin dal primo momento di prigionia ci avevano legato le mani col fil di ferro. Quei fili taglienti erano entrati nella carne dei polsi e, al minimo movimento, continuavano a incidere le ferite.         - Poi cosa è successo?

Udovisi: Ci hanno portato fuori, eravamo seminudi e scalzi: forse il fresco della notte ha fatto in modo che capissi qualcosa di più, anche se la mia testa era completamente imbambolata.

- Erano solo slavi o anche italiani?

Udovisi: Sono certissimo che erano slavi coloro che dopo la lunga notte di tortura, sul fare dell'alba del 14 maggio 1945, nei pressi di Fianona, ci fecero contemporaneamente da scorta e da carnefici. I soldati, ben vestiti, che ci hanno condotto nel bosco non erano gli stessi. C'erano anche borghesi, partigiani comunisti, erano tutti contro di noi. Messi in fila e sempre con le mani legate dietro la schiena, eravamo tenuti insieme con un filo di ferro che scorreva sotto il braccio sinistro di ognuno. Ricordo di aver sentito suggerire da due che parlavano in italiano di legare l'ultimo attorno al collo, perché era svenuto. Sicuramente durante il tragitto verso la foiba è morto, soffocato dal filo.

Cosa è successo durante il trasferimento da Pola a Fianona?

Udovisi: Di tutto. Hanno continuato a infliggerci ogni tipo di tortura, con il calcio e le canne dei mitragliatori, ci hanno fatto mangiare la carta e i sassi, ci hanno sparato vicino alle orecchie. Ci obbligavano a camminare scalzi tra rovi e sassi appuntiti.     - Per quanto avete camminato?

Udovisi: Non lo so. Ero distrutto, e il fil di ferro era una vera tortura. Appena sono riuscito a farlo scorrere lungo il braccio, fino al polso, sono scivolato e caduto per il sollievo. Immediatamente mi è arrivata una botta con il calcio di un mitra al rene destro. A causa di ciò ho subito tre operazioni, perché da quel momento ho sempre sofferto di calcoli, e vado sempre a Fiuggi a curarmi. Le torture mi hanno anche reso sordo all'orecchio sinistro e al destro ci sento solo per metà.

-          -          Cosa ha provato sull'orlo della foiba?

-          -          Udovisi: Un senso di liberazione.

Ci hanno detto: «Fermatevi. La liberazione è vicina». In cuor mio ho inviato un pensiero al cielo. Ho abbassato lo sguardo dentro la foiba, era l'alba, c'era ancora poca luce. Giù in fondo si vedeva un piccolo riflesso chiaro, era l'acqua. Quando ho sentito l'urlaccio che ordinava di fare fuoco, mi sono buttato giù prima degli spari, come se la foiba fosse stata un'ancora di salvezza. Dopo un volo credo di 15-20 metri, sono piombato dentro l'acqua, era molto fredda. Venivo trascinato sempre più giù e mi dimenavo con la poca forza rimasta. Sono riuscito a liberarmi una mano, ho nuotato verso l'alto e a un certo punto ho toccato una testa con dei capelli. L'ho afferrata, tirata verso di me e sono riuscito a risalire. Così ho salvato Giovanni Radeticchio, detto Ninì. Laggiù sul fondo sono scomparsi Felice Cossi, Natale Mazzuchia, Carlo Radolovich e Giuseppe Sabath.

- Come l'hanno accolto a casa?

Udovisi: Sul far della notte del 18 maggio riuscii a raggiungere la casa. Mia sorella Mafalda, sentendo la mia voce, corse ad aprirmi tendendo le braccia che subito ritrasse dicendo: «Chi sei? Tu non sei mio fratello! Io non ti conosco». E mi sbatté la porta in faccia. Poi riuscii a farmi riconoscere. Ero ridotto veramente male! Risento ancora oggi dei danni fisici e morali. Nini, emigrato in Australia, ha resistito poco. La nostalgia (per la sua patria perduta), la depressione per l'indifferenza della sua Patria, le lesioni interne l’hanno indebolito, poi stroncato. Non l'ho più rivisto dalla mia partenza da Pola. (il Borghese 28 novembre 1997 - chiama il Borghese 011/650012)

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FILM / “Porsus” è la storia di una brigata di partigiani cattolici trucidata da una brigata di partigiani comunisti. Il regista un comunista che ha voluto documentare la realtà degli avvenimenti ha trovato tali difficoltà nel realizzare questo film che ha impiegato venti anni per produrlo.

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Ogni giorno deportati oppure fucilati.

Eravamo nel periodo bellico 1943-44 quando mi assegnarono una nuova sede a Postumia-Grotte. In quella città erano concentrate truppe tedesche, Slovene, croate, mancava una vera e propria difesa per famiglie italiane e si può bene immaginare lo stato d'animo in cui vivevano. Ogni giorno funzionari statali comunali e italiani venivano deportati in campi di concentramento oppure fucilati. Allo scrivente fu inviato un avviso nel quale era scritto: «Se non vuoi fare la stessa fine degli altri funzionari, lascia Postumia entro tre giorni!». Non sapevo cosa decidere. Dove andare? La mia famiglia era impossibile raggiungerla, dato che l’Italia meridionale era sotto il controllo delle truppe alleate. I pensieri si accavallavano nella mente. Nella notte, mentre dormivo, sentii scuotermi nel letto e nella penombra di una luce fioca mi parve di vedere un frate  che mi diceva: «Parti subito. Ti verrà assegnata una nuova sede in provincia di Padova». Dopo una lunga riflessione, mi misi in viaggio per il luogo indicatomi. Dal funzionario della prefettura venni a conoscenza, che un signore aveva chiesto il mio trasferimento. Non seppi chi fosse stato ad interessarsi del mio caso. Recatomi per la prima volta nella chiesa del Santo a Padova e ammirando estasiato la statua di sant’Antonio, riconobbi l'immagine del frate che mi aveva esortato a lasciare Postumia.

Da allora presi a frequentare la chiesa di sant’Antonio e ringraziarlo per quanto aveva fatto e per aumentare la fede verso il Santo volli celebrare le nozze nella sua chiesa. D.F. – Padova (Suppl. al n.4 del Messaggero di sant’Antonio – Aprile 1993 – Sped. Abb. Post. Gr. III/70, p.53)

"SIETE VOI ITALIANI I VERI INFOIBATORI"

(DICHIARAZIONE DELL’AMBASCIATORE SLOVENO IN ITALIA PETER ANDREJ BEKES)

"I massacri? I primi a compierli sono stati i vostri soldati. Gli esuli? Solo dei contadini in fuga dalla miseria. I beni abbandonati? Impossibile restituirli". L 'ambasciatore sloveno si prende gioco della storia. Nonostante Lubiana abbia ancora un contenzioso aperto. E sia a un passo dall'Europa. Grazie a Dini e Prodi. (di MARZIO G. MIAN N. 9 -ANNO XLIX - 11 marzo 1998 p.37)

il Borghese: Come mai la legge sulla attuale denazionalizzazione dei beni, un tempo espropriati, vale solo per i cittadini ex jugoslavi?

Bekes: Vale per coloro che alla data del 9 maggio '45, cioè alla fine della Seconda guerra mondiale, erano cittadini jugoslavi e, da almeno tre anni, vivevano nel territorio dell'attuale Slovenia. E' naturale che venga tagliato fuori chi ha prestato servizio militare nell'esercito italiano.

il Borghese: A Capodistria vive Mario Toffanin, il gappista responsabile dell'eccidio friulano di Porzus, dove nel'44 i partigiani rossi sterminarono 19 osovani. Non è un personaggio ingombrante?

Bekes: Fatti come quello di Porzus si sono verificati in tante parti d'Europa.

il Borghese: In occasione dell'apertura del processo sulle foibe a Roma, la Slovenia ha protestato. Non le sembra un'interferenza?

Bekes: È stato un processo giustamente interpretato come un atto d'accusa contro la Slovenia. Siamo legati all'Italia da tanti rapporti. Presto sarà il nostro primo partner commerciale.

il Borghese: Per concludere: si possono già definire i tempi per una "soluzione" del contenzioso tra Italia e Slovenia?

Bekes: L'unico contenzioso era la liquidazione del debito, che rappresenta solo il 3 per cento degli scambi commerciali ed economici tra i due Paesi. Quindi, se Dini mantiene le sue intenzioni, il contenzioso è presto chiuso. E questo momento è molto vicino. Entro il secolo saremo due normali Paesi confinanti.(per conoscere la storia delle Foibe: chiama il Borghese 011/65.00.191)

RESPONSABILITà

Tutti i governi italiani che si sono succeduti sono colpevoli per non aver fatto perseguire i criminali di questi eccidi da un  tribunale internazionale e per aver occultato gli avvenimenti ponendoli in sordina. Che gli istriani erano stato trucidati? Bisognava dormirci sopra per attutire la vergogna per inziare dal partito comunista e per finire alla Democrazia Cristiana. Alla fine della guerra lo stato italiano tirò fuori alcune centinaia di morti in accordo con le autorità iugoslave.

Lecce

Lecce, in ricordo dei martiri delle foibe. Nella città pugliese il Sindaco e la Giunta si sono impegnati a dedicare, una via o una piazza ai “martiri delle foibe”; la grande tragedia che ha colpito il nostro popolo tra il ‘43 e il ‘45. Un’altra breccia verrà così aperta nel colpevole muro di silenzio e omertà che, falsificando la storia, era stato eretto nel tentativo di coprire un delitto contro l’umanità che non potrà mai cadere in prescrizione (AREA- luglio-agosto 1997). “Quando gli uomini uccidono, bruciano i cadaveri o li gettano nella foiba lo fanno da sonnambuli, mentre sono preda degli incubi e dei deliri della storia. Poi, quando si svegliano, le guerre finiscono... allora non credono più a quello che hanno fatto, si figurano d’aver sognato, e diffondono la notizia che si tratta solo di fantasia e leggenda”(Carlo Sgorlon, La foiba grande).                         “Se lei chiede a uno svedese che cos’è l’inquisizione, lo sa. Se chiede che cosa è stato lo sterminio degli indiani, lo sa. Se chiede delle foibe non le risponderà nessuno... Parliamo di cose più serie...”: così parlò Victor Magiar, “illuminato” consigliere comunale di Roma, pidiessino, raggiunto da insperata notorietà per aver proposto un museo capitolino degli stermini sull’onda delle passioni scatenate dal “caso Priebke”. Per lui, come per gran parte degli eredi del comunismo italiano, i diecimila infoibati nei bui crepacci del Carso non sono degni di rispetto e di memoria, sfortunate vittime di quelle “brutalità militari - come ha spiegato da par suo Stefano Rodotà - di cui la storia è piena”. Nulla di paragonabile, insomma, ai 335 martiri delle fosse Ardeatine. Le ragioni sono molteplici. La prima è molto semplice: “Dal 1945 - ha scritto Maurizio Cabona sul Giornale - i morti non sono tutti uguali, c’è sempre qualcuno più morto degli altri...” La seconda ragione è che questi “morti di nessuno” sono caduti per mano delle bande partigiane al comando di Josip Broz, detto Tito, e gli eccidi compiuti in nome del comunismo sono legittimati, agli occhi dell’intellighenzia manichea che detiene ancora l’egemonia in campo storico-culturale. “Solo quelli dei sacerdoti del marxismo, argomenta un indignato Vittorio Messori, erano sacrifici a un Dio buono. Il dio di Hitler è il dio cattivo. Quindi quegli italiani buttati nelle foibe dai comunisti di Tito non sono comparabili a quelli delle Fosse Ardeatine...”. La sinistra dunque ha reagito al dibattito sulle foibe con la solita ipocrisia - salvo qualche meritoria eccezione, come nel caso di Leo Valiani - che le ha impedito di riconoscere la verità. Conclude Messori: “che quello che gli sloveni di Tito hanno attuato, forse con la complicità, sicuramente col silenzio dei comunisti di Togliatti, era un progetto di pulizia etnica”. La terza ragione l’ha espressa Ernesto Galli della Loggia: mancando del tutto da noi un forte sentimento di italianità si è consentita la rimozione di una pagina di orrori facendo in modo che il pregiudizio antifascista prevalesse sul sentimento di dignità nazionale. E’ per questo che ancora oggi quella “pagina strappata” dalla memoria nazionale crea disagio e imbarazzo e consente a Luciano Canfora, marxista prima ancora che storico, di dire che gli italiani in Jugoslavia “hanno raccolto quello che hanno seminato”, giustificando i massacri di Tito con il trattamento feroce riservato da tedeschi e italiani agli slavi (AREA, sett. 1996).

CONCLUSIONE

Non ci sono più le ragioni del contendere (1°. perché i morti non rivendicano diritti di proprietà; 2°. perché nella mia famiglia non è stato infoibato nessuno e non mi hanno confiscato niente), se non l’esigenza di ripristinare la verità storica, ritengo che sia ora che sui libri di scuola si dica la verità. La mia ambizione territoriale però esiste. Io voglio annettermi tutta la Croazia, anzi è per amore che voglio annettermi tutto il mondo. E' per il loro bene che tutte le popolazioni del mondo verranno a supplicarmi: "Ti preghiamo annettici! Ponici sotto la tua legge d'amore!" In realtà alla filosofia della morte si contrappone solo la metafisica, la fondazione di un umanesimo eroico e spirituale costruito sui valori assoluti, universali e trascendenti. Finché questo non sarà, su tutto il pianeta saremo sempre in pericolo. Finché questo non sarà i politici disonesti potranno nascondersi dietro i loro discorsi ipocriti per fare soltanto politiche strumentali e di interesse economico a favore di una oligarchia ristretta. Questa è la verità, esiste ancora solo una parvenza di democrazia. Esiste purtroppo una oligarchia in regime democratico. Purtroppo l’esperienza non matura ancora saggezza. Culturalmente esistono tutti i presupposte per tragedie anche più grandi di quelle che l’umanità ha finora conosciuto. Verso queste stiano inevitabilmente scivolando, solo la metafisica realistica di Maritain può essere speranza concreta per tutta l’umanità.

-MARTIRI DEL COMUNISMO-

VEDETE SE C'E' UN DOLORE PARI AL MIO (lamentazioni 1,12) AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE - Rapporto annuale 1978 Numero speciale dell'"Eco dell'Amore" Periodico bimestrale n. 4, Giugno 1979 -

Il 27 luglio 1978 ho parlato al "Congresso della Chiesa che soffre" a Kònigstein del dovere di solidarietà verso i fratelli perseguitati. Preoccupato della sorte dei nostri fratelli d'Oltrecortina ho deciso di dare ai pensieri e alle riflessioni espressi a Kònigstein una maggiore divulgazione. Li dedico, pieno di speranza e di rispetto, a Giovanni Paolo II, il Papa venuto dall'Oriente... CECOSLOVACCHIA: Quando la "bufera rossa" si abbatté sulla Cecoslovacchia, "la Primavera di Praga" si trasformò in un gelido inverno, nel corso del quale crollò l'illusione riguardante un comunismo più umano. Un sacerdote ceco, intelligente, pio, parla cinque lingue, ha passato dodici anni in carcere. L'avevamo invitato a passare due mesi nell'Europa Occidentale, visitò sei paesi per conoscere la chiesa del mondo libero. Ascoltò molto, lesse molto ma parlò poco. Accomiatandosi disse però cose che non posso ripetere senza fremere: "Ho fatto dodici anni di prigione poiché volevo restare fedele alla Chiesa di Roma. Mi hanno torturato perché non volevo rinnegare il Papa. Ho perso tutto per la fede. Ma questa fede mi ha dato una pace e una sicurezza che hanno fatto di quegli anni di pena, gli anni più preziosi della mia vita. Voi avete perso la pace in Dio. Voi avete scalzato la fede al punto che essa non vi da più sicurezza. Nella vostra libertà, voi rigettate i valori per i quali noi abbiamo sofferto sotto l'oppressione. “L'Occidente mi ha deluso. Piuttosto che restare da voi, preferisco altri dodici anni di prigionia in una prigione comunista”.   Questo giudizio deve farci riflettere, perché traduce l'opinione di quella importante parte della Chiesa che è stata purificata attraverso le lacrime ed il martirio. Ed i cuori puri, senza dubbio, vedono meglio la verità che non i falsi profeti, i sommi sacerdoti accecati e gli scribi altezzosi che negli ultimi anni vennero sempre più rimproverati da Papa Paolo VI. E' tragico che la cristianità sia così disorientata, così incerta e divisa, proprio ora che al di là della Cortina di ferro, i migliori sono alla ricerca di un nuovo ideale. Rischiamo di caricare sulla Chiesa una nuova colpa storica. Troppo spesso abbiamo soltanto tinto di bianco la facciata del nostro materialismo pratico, anziché trasformarci interiormente. A ragion veduta la gioventù ricusa ciò che è  menzognero. Se vogliamo convincerla dobbiamo rivedere la nostra vita cristiana alla luce della verità... Soltanto allora saremo degni della libertà. Soltanto allora per l'Est la nostra libertà sarà fruttuosa.

VERO RINNOVAMENTO. Da noi troppo spesso il rinnovamento ecclesiale viene male interpretato. In tutta la storia della Chiesa nessun Concilio ha mai avuto lo scopo di adeguare la vita cristiana allo spirito del mondo. Tutte le vere riforme miravano al ritorno allo Spirito di Cristo. Il criterio della loro genuinità è stato espresso da Giovanni Battista nel motto: "Bisogna che Egli cresca ed io diminuisca". Se Iddio viene sminuito, mentre l'uomo si esalta, non si tratta più di rinnovamento ma di decadenza. L'emancipazione del popolo di Dio diventa sospetta alla luce delle parole di Cristo: "Ti rendo lode, Padre, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli". Questi piccoli sono gli stessi "poveri di spirito" che il Signore chiamò beati. Non sono necessariamente privi di mezzi, ma poveri dello spirito di questo mondo. Si sono ritirati nel regno intimo della presenza di Dio. La ricchezza dell'anima è la loro eredità. Nonostante la loro piccolezza sono interiormente grandi. Sono le sentinelle silenziose con uno sguardo che abbraccia il mondo intero. La loro disponibilità discreta nella preghiera e nella penitenza scompare dinanzi alla sempre più strepitosa attività della Chiesa e del mondo. Dio però non è nello strepito, ma nel silenzio. Più che altrove, questo silenzio regna nei paesi dove la Chiesa è costretta a tacere: nelle mansarde dei preti operai che non possono predicare la parola di Dio; nelle cooperative delle suore condannate ad estinguersi e che attendono la morte lavorando a maglia; nelle celle dei prigionieri che sono in catene per il Signore. Questo silenzio non è un segno di morte. E' pieno di vita soprannaturale. Vale più di tante chiacchiere nel "mondo libero". Mentre da  noi si proclama che Dio è morto, in Russia migliaia di persone hanno capito che senza Dio non si può vivere. Dobbiamo pregare affinché Dio doni alla Chiesa un numero sempre più grande di piccoli e di poveri di spirito, di oranti e di penitenti, di umili e di silenti. Poiché "mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, l'Onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal  celeste trono regale".

RISPETTO E DEFERENZA PER I MARTIRI: Probabilmente, nella storia della Chiesa, non c'è mai stata un'epoca in cui i confessori e i martiri sono stati così sistematicamente trascurati ed ignorati, come lo sono i confessori e i martiri del nostro tempo. Ciò è del tutto in contraddizione con lo spirito della Chiesa. Nonostante il fatto che da sessant'anni la Chiesa  venga travagliata da una persecuzione più vasta, più raffinata, più spaventosa, più pericolosa ed intensa di tutte le persecuzioni del passato, il parlarne viene considerato da molti un segno di intolleranza. In un'epoca di pacifismo unilaterale, in cui la nostra società decadente preferisce fare la pace con atei e sanguinari, anziché vivere in pace con Dio, i lamenti ed il sangue dei perseguitati turbano la pace degli uomini d'affari e l'attività dei diplomatici. Per questo si ignora volutamente la persecuzione della Chiesa. Per questo si impedisce che la sofferenza dei martiri sia presente allo spirito dell'opinione pubblica. Per questo i disperati appelli degli oppressi alle Nazioni Unite e al Consiglio Mondiale delle Chiese vengono cestinati. Per questo, anche nella grande famiglia della Chiesa Cattolica, assistiamo al doloroso spettacolo che i figli di Dio migliori e più provati vengano rinnegati e dimenticati dai propri fratelli.

PREDICA DEL CARDINALE WYSZYNSKI: Nella famosa predica sulla falsa e sulla vera Chiesa postconciliare, tenuta il 19 aprile 1974 a Varsavia, egli descrive dapprima una Chiesa post-conciliare che, nella sua maniera di vivere, si scosta notevolmente da ciò che avvenne sul Calvario; una Chiesa che ridimensiona i suoi compiti e risolve i problemi non più secondo la volontà di Dio ma secondo le possibilità umane; una Chiesa il cui credo è diventato elastico e la cui morale è andata sminuendosi; una Chiesa nel dubbio e priva delle tavole di pietra dei dieci comandamenti; una Chiesa che chiude gli occhi dinanzi al peccato e teme il rimprovero di essere conservatrice, arretrata e antiquata; una Chiesa di teologi che disputano, e non di maestri della verità il cui si è si e il cui no e no. E allora il Primate polacco - in un paese comunista, la Polonia, dove i vescovi accusano il sabotaggio amministrativo con il quale viene intralciata la costruzione di Chiese, chiedono che l'insegnamento religioso non venga più ostacolato, auspicano la fine della discriminazione della quale i fedeli sono vittime, dice con inaudito coraggio: "Malgrado questa nebbia artificiale di dubbio e di incertezza, l'uomo credente può scoprire ancora il vero volto della Chiesa postconciliare. Questa Chiesa ha l'onore di annoverare tra i suoi porporati un certo numero di intrepidi confessori, martiri e prigionieri. Recentemente è morto in Cecoslovacchia il cardinale Trochta. Stefano Trochta è stato prigioniero per quasi tutta la sua vita di vescovo. Durante la seconda guerra mondiale ha trascorso tre anni nel campo di concentramento di Dachau. Nel 1947 divenne vescovo di Litomerice. Arrestato dai comunisti nel 1951, venne interrogato per tre anni "Il periodo più atroce della mia vita", dirà egli in seguito. Nel 1954 venne condannato a venticinque anni di lavori forzati per "tradimento e spionaggio a favore del Vaticano". Posto in libertà provvisoria nel 1966 perché sofferente di cuore e di asma, venne internato in un convento a Radvanov. Riabilitato durante la primavera di Praga, poté nuovamente esercitare il suo ministero. Alla primavera fece seguito un gelido inverno. Nominato segretamente cardinale nel 1969, il vescovo Trochta venne continuamente spiato e impedito nelle sue funzioni. Nell'aprile del 1974 fu interrogato per sei ore di seguito. Il giorno dopo morì. Quello che il cardinale Trochta aveva previsto è accaduto: umanamente parlando la Chiesa in Cecoslovacchia non ha più avvenire... Il fatto che le chiese cadano in rovina è il meno. Di gran lunga peggiore è la grave pressione esercitata sui genitori che mandano i loro figli al catechismo, la catastrofica mancanza di letteratura religiosa e la severa censura esercitata sulla limitatissima stampa religiosa. La formazione dei sacerdoti è sotto la sorveglianza dello Stato. Gli atei stabiliscono chi può diventare sacerdote, da quali professori vengono formati i seminaristi e controllano l'apostolato. Sacerdoti zelanti sono indesiderati. Lo Stato domina la vita interna della Chiesa ed è riuscito a seminare divisione fra il clero. Parte della gerarchia non merita fiducia. La Chiesa ufficiale, totalmente isolata e distaccata dalla gioventù, vive in un vuoto spirituale).Quasi tutta la sua vita di vescovo egli l'ha trascorsa in prigione e in campi di concentramento. Venne cacciato dalla sua diocesi e condannato ai lavori forzati in una fabbrica. Quando entrava in fabbrica i lavoratori sapevano che egli non andava come prete operaio per far loro concorrenza nella lotta per il pane quotidiano, ma che la fabbrica era il suo esilio. L'unica sua colpa era di essere vescovo della Chiesa di Cristo.    Anche il cardinale Stepinac era un prigioniero ed un esule. Venne sepolto nella sua cattedrale a Zagabria. I fiori e le candele intorno alla sua tomba ci ricordano la risurrezione e la vita (Egli venne cacciato dalla sua residenza episcopale perché era un vescovo che testimoniava il Cristo. In Jugoslavia fu condannato il cardinale Stepinac. Durante la guerra si era prodigato per la dignità umana di Ebrei, Zingari e Serbi. Dopo la guerra si trovò di fronte a quell'uomo che riteneva di aver liberato il suo popolo precipitandolo nella schiavitù di un regno senza Dio. Stepinac intralciava i piani dei senza Dio. Per questo doveva sparire. Falsi giudici gli imposero una croce sotto la quale doveva soccombere. Venne condannato a 16 anni di carcere. A causa di malattia, dopo cinque anni, venne posto in residenza coatta nel villaggio di Krasic. Vi rimase nove anni, e cioè fino alla sua morte: 10 febbraio 1960. Nel venticinquesimo della sua consacrazione episcopale, una lettera di papa Giovanni XXIII lo consolò in carcere: "Virtù e non colpa ti hanno procurato questa sofferenza. Possa consolarti il fatto che è meglio soffrire dell'ingiustizia che compierla". Mons. Giulio Hossu fu l'ultimo rappresentante della Chiesa greco cattolica "non clandestina" in Romania. Nominato segretamente cardinale da Papa Paolo VI, egli morì nel 1970 all'età di 89 anni, dopo essere stato privato della sua libertà per ben 22 anni. Tuttavia la Chiesa greco-cattolica in ROMANIA  è stata incorporata per forza nella Chiesa ortodossa.. Lontano dalla sua sede vescovile morì l'arcivescovo di Praga, il Cardinale Beran , dapprima prigioniero a Dachau e poi VITTIMA dell'attuale regime. Egli è morto come un santo(Jozef Beran, sopravvissuto al terrore di tre anni a Dachau, pronunciò nel 1949 queste dure parole:"La Chiesa in Cecoslovacchia dispone ora di meno libertà che sotto l'occupazione nazista". Fu posto agli arresti domiciliari, venne esiliato da Praga ed internato a Radvanov ma non fu mai condannato. Nel 1965, dopo essere stato privato della libertà per più di 15 anni, poté recarsi a Roma, ma gli fu impedito di ritornare in patria. Egli morì in esilio nel 1969). Anche il cardinale Mindszenty, primate d'Ungheria, era prigioniero e fu rimosso dalla sua sede episcopale. Perché? Era forse un malfattore? Un nemico del suo popolo e della sua patria? No. Egli era un vescovo e testimoniava per Cristo(Mindszenty aveva 83 anni quando morì a Vienna il 6 maggio del 1975. Fu incarcerato sia dai nazisti che dai comunisti. Rifiutò ogni sorta di compromesso e accettò tutte le croci che gli vennero imposte. Anche quella dell'obbedienza. La Chiesa d'Ungheria, per la quale Mindszenty ha sacrificato la sua vita, è ora una Chiesa il cui modo di vivere con il comunismo equivale ad un modo di morire. Una Chiesa con una gerarchia di cui non tutti i membri sono degni di fiducia e con un cardinale che, strumento dei comunisti, si affanna ad elogiare lo Stato socialista. Una Chiesa con una gioventù che nelle grandi città non può praticamente ricevere alcun insegnamento religioso, con un clero di età media avanzata, con seminari controllati dagli atei, con cattolici che vengono discriminati dallo Stato, con gli ordini religiosi dichiarati illegali e con una Chiesa clandestina che viene spesso ostacolata dagli stessi vescovi). Il cardinale Slipyj, arcivescovo di Lviv, ha condiviso per diciotto anni la sorte degli esuli e dei prigionieri. Ora egli vive fuori della sua diocesi e della sua patria perché vescovo fedele a Cristo(Giuseppe Slipyj ha ora 87 anni, nel 1940 venne ordinato vescovo in segreto. Dopo la seconda guerra mondiale la Chiesa uniata ucraina venne liquidata dal governo sovietico con la complicità della Chiesa russo-ortodossa. Più di tremila parrocchie ucraine vennero consegnate illegalmente al patriarcato di Mosca. Vescovi, sacerdoti e fedeli furono massacrati. L'arcivescovo Slipyj fu arrestato nell'aprile del 1945 e condannato nel 1946 a otto anni di lavori forzati. A causa della sua inflessibilità venne nuovamente condannato nel 1954. Nel 1959 gli venne offerta la libertà in cambio di una sua rinuncia alla carica. Slipyj rinunciò. Si sa che durante i diciotto anni trascorsi nelle carceri e nei campi di concentramento è stato terribilmente torturato e umiliato. Nel 1963 venne liberato ed esiliato a Roma). Ecco la vera Chiesa postconciliare!"

I PERSEGUITATI NON VOGLIONO COMPROMESSI: la deferenza e il rispetto che noi dobbiamo ai perseguitati fanno si che non sta a noi insegnare loro come devono comportarsi e che, in particolare, la diplomazia ecclesiastica non può costringerli ad accettare compromessi che ripugnano la loro coscienza. Molti vivono nell'illusione che una riconciliazione fra Cristo e Marx sia non solo possibile, ma assolutamente necessaria nell'interesse della pace. Ma coloro che come agnelli - secondo l'esempio di Cristo - sono stati condotti al macello, ed ora tornano dalle prigioni spiritualmente vincitori, temono -come ogni soldato che abbia rischiato la vita- che dei diplomatici, ignari dell'avversario e che mai hanno visto un campo di battaglia, concludano una pace che farà perder loro i frutti della vittoria.

PARLA UN MARTIRE: Questo era quello che temeva anche un eroe che ho incontrato in  Romania e che, per il sacrificio di tutta una vita ha, più di molti altri il diritto di parlare. Era operaio, viveva in una mansarda ed aveva trascorso quindici anni in prigione. Era vescovo di quella Chiesa greco-cattolica che taluni considerano un ostacolo per il movimento ecumenico. Il suo corpo era irreparabilmente rovinato in seguito ad innumerevoli interrogatori, ma il suo spirito era rimasto indomito. Con rispetto ha raccolto dalle sue labbra le seguenti parole:"Per anni abbiamo sopportato torture, percosse, fame, freddo, nudità e insulti perché fedeli al primato del Papa. Abbiamo baciato le nostre catene e le sbarre della cella come oggetti sacri. Abbiamo venerato i nostri stracci di ergastolani come una tunica santa. Abbiamo accettato di portare la nostra croce volontariamente, anche se decine di volte ci hanno offerto libertà, denaro e vita comoda qualora ci fossimo staccati da Roma. I nostri vescovi, preti e fedeli sono stati condannati a pene che assommano ad oltre cinquemila anni di prigione, di cui ne hanno scontato oltre mille. Sei vescovi sono morti in prigione per l'unità con Roma. Malgrado questi duri sacrifici la chiesa greco-cattolica conta ora lo stesso numero di vescovi dal momento in cui Stalin e il patriarca ortodosso Giustiniano proclamarono trionfalmente la sua morte. Il fatto che tanti anni di sofferenza non hanno potuto distruggerla, è per noi il segno che Dio attende la sua ora. Colui che ci ha accordato la grazia della perseveranza ci darà anche la grazia della risurrezione. La Chiesa non ha dunque alcun motivo di affrettare le trattative con i dirigenti ortodossi e comunisti, che non hanno mai dato prova di buona volontà e che non rappresentano né l'ortodossia né il popolo romeno. La Chiesa è paziente perché è eterna. Il fatto che dalla nostra profonda miseria noi esortiamo gli altri alla pazienza è segno che siamo pronti a morire per la nostra fede. Ora Cristo ha detto che il grano di frumento che muore porterà frutti abbondanti. Non dubitiamo della Sua parola..." NIENTE FALSO ECUMENISMO: qualche anno fa un amico ha visitato la Chiesa delle catacombe nell'Unione Sovietica. Egli ci ha riportato fra l'altro notizie delle diocesi greco-cattoliche che sono state incorporate di forza nella Chiesa ortodossa. Secondo quanto riferitoci da questo portavoce, i sacerdoti di quelle diocesi sono spinti alla disperazione a seguito del Sinodo ortodosso di Mosca del 1971. La trionfale dichiarazione di annullamento della secolare unità fra Roma e la Chiesa uniata in Ucraina sarebbe stata appresa senza pubblica protesta dai delegati vaticani. In base a ciò, i sacerdoti ed i fedeli che con il sangue ed il sacrificio della libertà hanno suggellato la loro fedeltà a Roma, vengono dipinti dalla propaganda comunista ed ortodossa come degli stolti che ostinatamente persistono ad aggrapparsi ad una unità alla quale Roma ha rinunciato. L'argomento principale è che l'inviato pontificio avrebbe avallato con il suo silenzio la liquidazione forzata della Chiesa ucraina. Il cardinale Slipyj ha lanciato una raccapricciante accusa, ai Sovietici ed ai loro servi ortodossi, nel Sinodo romano dei vescovi del 1971: "La nostra Chiesa è stata distrutta in maniera sanguinosa. Dopo l'arresto di tutta la gerarchia essa è stata incorporata a viva forza nella Chiesa ortodossa. A tutt'oggi questa grave ingiustizia non è stata ancora riparata. I cattolici ucraini, che hanno sepolto montagne di cadaveri e versato rivi di sangue, subiscono anche oggi una insopportabile persecuzione a causa della loro fedeltà alla religione cattolica e alla tradizione apostolica. Centinaia di migliaia di fedeli, centinaia di vescovi e sacerdoti sono stati gettati in carcere e deportati in Siberia e nelle zone polari. E dopo tutto ciò i cattolici ucraini, che così a lungo hanno sofferto come martiri e confessori, vengono messi da parte per considerazioni diplomatiche, quali scomodi testimoni della vecchia ingiustizia.

PREGHIERA E PENITENZA: pregate perciò ogni giorno per tutti i comunisti, ingannatori o ingannati, che sono diventati strumenti di Satana. Pregate non soltanto per i torturati  ma anche per i torturatori e i carnefici, dei quali molto più grande è il bisogno spirituale. Non vi lasciate impressionare dalla magniloquenza o dall'uniforme. Dio ride della loro mania di grandezza. Sono dei poveri diavoli che hanno bisogno della vostra preghiera per convertirsi e vivere. Non abbiate paura delle loro facce da banditi. Il Signore si serve di loro per breve tempo, per castigare i suoi  figli sciocchi. Ben presto la sferza cadrà dalle mani di Dio come sanno ormai bene: Zukov, Malenkov, Berya, Krusciov, Lenin, Stalin, Hitler e Napoleone sono caduti, scomparsi, sconfitti. Chi ci potrà impedire di soffrire e di pregare per un ministro sovietico? Per un membro del Comitato Centrale, un carnefice nella prigione della Ljubianka a Mosca, oppure Breznyev, Gierek e Kossigyn? Sceglietene uno. Prendetelo di mira. Implorate Dio affinché il vostro protetto spirituale trovi la forza di vivere come un Suo vero figlio. Pregate e fate penitenza d'ora in poi affinché almeno un errante trovi la grazia della conversione, e un tormentato abbia la forza del martirio. Poiché anche i martiri hanno bisogno di forza, affinché non respingano per timore, stanchezza o istinto di conservazione la croce che deve salvare la Russia. Sono loro i veri salvatori del mondo, quelli che al di là della Cortina di ferro devono portare la croce di Cristo attraverso questi anni più bui del ventesimo secolo.

MARTIRIO CRISTIANO RISALENTE AL 1978: Il cardinale Emilio Biayenda di Brazzaville (Repubblica Popolare del Congo) il 22 marzo del 1977 fu rapito, torturato e assassinato. Anche negli stati socialisti dell'Africa può essere pericoloso annunciare il Vangelo. Il nostro amico Rudolf Lunkenbein, un salesiano missionario tedesco fra gli indiani Bororos del Mato Grosso (Brasile). Era un sacerdote pio che proclamava il Vangelo con entusiasmo. Nel nome del Vangelo egli difendeva anche i diritti dei suoi Bororos contro i coloni bianchi. Quando questi vollero cacciare con le armi con le armi dalle loro terre gli indiani indifesi, egli si pose impavido fra i suoi protetti e gli assalitori. Cadde crivellato di pallottole con un sorriso sulle labbra. Aveva 39 anni. Nella sua ultima lettera leggiamo: "Anche oggi, se necessario, un missionario deve essere disposto a dare la sua vita". Egli non fu VITTIMA degli atei che vogliono sradicare ogni religione, ma di pseudo cristiani che adorano il capitalismo. Questo avvenne il 15 luglio 1976 in un paese cristiano dove purtroppo sopravvive ancora il capitalismo colonialista del diciannovesimo secolo. Non solo in Indocina viene commesso un genocidio, ma anche le comunità religiose vengono isolate e le loro possibilità di operare limitate. I sacerdoti vengono strettamente sorvegliati. Pagode o chiese vengono distrutte o adibite ad altri usi. Ogni giorno il giogo si fa più pesante. Anche le cose di più stretta necessità sono introvabili. E' questo il motivo che spinge tanti alla fuga. Dalla presa di potere comunista nel 1975 si contavano, alla fine del 1978, già più di 500.000 profughi dal Vietnam, dalla Cambogia e dal Laos. I profughi vietnamiti cercano scampo navigando per settimane a bordo di fragili e pericolosissime imbarcazioni. Molti soccombono. I sopravvissuti vengono respinti in mare dalle coste dove vogliono approdare e per lo più derubati dei loro averi. 13.756 profughi da noi assistiti nel campo di Songkhla (Thailandia) appartengono alla categoria dei fortunati. Hanno trovato almeno una provvisoria destinazione. Il nostro conto in Italia: sul CCP 932004 "dell'Aiuto alla Chiesa che soffre"-Lungotevere Ripa 3/A 00153 ROMA. Il nostro conto in Svizzera: sul CCP 60- 17700 dell'Aide à l'Englise en Détresse HofstraBe 1 6004 LUZERN(verificate prima con la corrispondenza, o con delle piccolissime somme di denaro di cui chiedete un riscontro se questi fondi sono attivi)

ALL'INFERNO E RITORNO (Dal Messaggero di sant'Antonio novembre 1995) Padre Giuseppe Zef Plumi, superstite di una schiera di frati uccisi o morti di stenti nelle carceri in Albania. Quando è entrato nell'ordine dei frati minori? "Fin da bambino rimasi affascinato dai figli di san Francesco e dicevo ai miei genitori che volevo farmi frate ad ogni costo. Abitavo lontano dal convento, circa quattro ore di cammino. Spesso facevo quella strada a piedi e qualche volta a cavallo". Come ricorda gli anni della giovinezza?  "Ne ho un bellissimo ricordo. In collegio mi dedicai allo studio con profitto. Poi feci tutti gli studi in vista del sacerdozio. Il cammino verso il sacerdozio ebbe una brutta sosta. Rimasi diacono per ben dieci anni. La politica del mio paese aveva preso una svolta completamente anticlericale e le ordinazioni sacre vennero rimandate a tempo indeterminato. Poi dal 1946 al 1949 fui arrestato e sbattuto in prigione. Feci la triste esperienza del campo di concentramento, dovetti lavorare senza sosta, tra stenti uno più grave dell'altro. Soffrii anche tanta fame. Ogni mese deperivo di qualche chilo. E' davvero terribile la fame. Per rendersene conto bisogna provarla. I maltrattamenti erano all'ordine del giorno. Mi si rinfacciava sempre con parole molto grosse, la mia identità di francescano, causa unica del mio arresto".  E' stato ordinato di nascosto sacerdote il 25 marzo 1965. Le fu possibile esercitare l'apostolato?    "Non appena sacerdote, fui mandato parroco sulle montagne di Dukagsin, nella diocesi di Puladi. In quel periodo eravamo quattro sacerdoti al servizio di diciotto parrocchie. Gli altri frati erano in prigione, o addirittura uccisi. La persecuzione, di cui si faceva vanto il partito comunista, stringeva sempre più la morsa attorno ai cattolici e specialmente a noi francescani. Leader del partito comunista era Enver Hoxha, un vero e autentico tiranno, il più terribile nella storia dell'Albania". Com'era possibile esercitare la missione di parroco in una situazione del genere? "Quasi impossibile. Poi divenne proibitivo. Nel 1967 Enver Hoxha mise fuori legge tutte le religioni e l'Albania divenne ufficialmente il primo stato ateo del mondo. In quell'anno fui nuovamente arrestato e destinato ai lavori forzati nelle paludi e nelle miniere di Spaci, dove erano condannati i prigionieri politici. La mia accusa era questa: tentata fuga all'estero per diffamare la mia patria. Ma era un'accusa fasulla. Io mai avevo tentato e nemmeno pensato questa fuga. Volevo restare ad ogni costo a fianco dei miei parrocchiani. Ma la condanna fu inesorabile e gravissima: 25 anni di prigione! Ne feci solo 22, poiché l'11 aprile del 1989 fui liberato insieme con altri cinque sacerdoti. Era allora presidente Ramiz Alia, segretario del partito comunista che voleva creare nuove relazioni diplomatiche salvare l'immagine dei diritti dell'uomo nel mio paese". Come ha trascorso quei lunghi anni di carcere? "Molto male. L'orario di lavoro si prolungava dall'alba al buio. Chi lavorava di più dello stabilito dai nostri capi, poteva scontare prima la condanna, ma spesso moriva per deperimento organico. Ogni giorno ci venivano concessi: 4 grammi di pasta, 2 grammi di olio, 10 grammi di zucchero, 29 grammi di verdure (cipolle e insalata). L'acqua era razionata. Si dormiva su stuoie sotto grandi capannoni. Ci si copriva con la paglia in mancanza di coperte. Una saponetta doveva servirci per un mese. Vestiti da straccioni, perché privi dei ricambi che ci davano con il contagocce. Molti morivano per gli stenti. In quel periodo subii tre interventi chirurgici e un ricovero in sanatorio. Nonostante tutto, poi, seguitai a lavorare come carpentiere, muratore, operaio generico e scaricatore. Un lavoro pesante, direi estremamente faticoso. E io ero trattato con maggiore rigore perché sacerdote". Come avvenne la sua liberazione?   "A sorpresa. Una sera, rientrato dal lavoro, stanco sfinito, mi fu comunicato che ero libero. Stentai a crederci. Mi sembrava di sognare. Ma era vero. Mi sono recato subito presso i miei nipoti che mi ospitarono per ben due anni. Esercitavo il mio ministero, ma di nascosto. La libertà in Albania è avvenuta come un miracolo.

La Madonna apparendo a Fatima (siamo durante la prima guerra mondiale) previde che se l'umanità non si fosse convertita, la Russia avrebbe diffuso nel mondo i suoi errori e una grande tragedia si sarebbe abbattuta sul mondo. Come non guardare con inquietudine il lavoro demolitore della dignità dell’uomo che il relativismo ed il materialismo stanno compiendo nel mondo? Come non guardare con preoccupazione la irresponsabile fiducia di molti cristiani nei confronti degli eredi e continuatori culturali del comunismo? Ma Gramsci comprendeva molto bene quanto siano utili alla distruzione dell’anima cristiana i cristiani di sinistra: "Il cattolicesimo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida...I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin". (Antonio Gramsci) Per la prima volta al governo dell'Italia è andata tutta la sinistra e una componente determinante di comunisti: questa coalizione chiamata l'Ulivo ha vinto le elezioni politiche del 21 aprile  96.

PREMESSE:

A - Gloria Buffo, della segreteria del PDS, ha sostenuto che la coalizione progressista intende rilanciare la "cultura della convivenza", nella prospettiva di favorire la legalizzazione delle "tante forme di convivenza di coppia", compresa quindi quella omosessuale.

B - Speriamo che si sbagli l'On. Alfredo Mantovano quando afferma: "Questo è un governo la cui opposizione frontale ai principi tradizionali, naturali e cristiani è bene impersonata dall'On. Livia Turco, femminista e abortista storica, e dal cambio di denominazione del ministero a lei affidato, dalla cui ragione sociale è scomparso il riferimento alla famiglia". Sul Manifesto, 9 maggio 1996, un'altra femminista , la pidiessina Franca Chiaromonte, spiega con evidente riferimento alle coppie omosessuali: "Dire famiglia significa non riconoscere che i legami sociali sono cambiati, riguardano gli individui che formano piccole comunità, svincolate sia dalla logica dello stato che da quella del mercato". Ma mentre l'anticomunismo si dissolve, il comunismo non scompare, subisce solo una insidiosa metamorfosi, passando dalla fase della dittatura del proletariato, a quella più subdola dell'utopia autogestionaria. Ciò accade in Italia grazie alla politica collaborazionista di cattolici e di moderati. "Non era mai accaduto, in centocinquant'anni di storia unitaria - scrive lo storico Lucio Villari su l'Unità del 23 aprile 1996 - che forze e movimenti politici moderati scegliessero con convinzione assoluta la sinistra come alleata elettorale di governo". (CR 481/01/B E96)(Corrispondenza Romana, V. G. Sacconi 4b, 00196 Roma - tel. 06/32.23.607 Fax 06/32.20.292 Abbonamento annuo £ 100.000 - CCP n. 60849007 intestato ad Associazione Fiducia)

-TRASFORMISMO-

"La sinistra inaugura la corruzione e apre la strada al trasformismo, che dissolve i partiti ed inquina la vita politica".

Questa dichiarazione di Giuseppe Prezzolini, mette in luce come mentre si era intenti a parlare di compromesso storico, di fatto esso era già stato realizzato da tempo ipocritamente alle spalle dei cittadini. Chi doveva fare opposizione ha pensato a lottizzare, ad impadronirsi delle istituzioni culturali e a occupare gli spazzi vitali della società che al contempo si voleva rendere vulnerabile al fine di destabilizzarla. Il progetto destabilizzante era infatti il più credibile progetto per giungere al potere in una nazione molto cattolica come l’Italia. Abbiamo assistito alla corruzione partitocrazia e sindacalistica, che ha operato quel saccheggio del patrimonio storico, culturale, morale, spirituale ed economico del nostro paese, senza del quale mai le coscienze materialiste-relativiste avrebbero potuto coronare il loro sogno di potere. Questa situazione di corruzione e di vuoto generalizzato, se non è subita dalle classi forti della finanza e della nuova aristocrazia partito-affaristica, di fatto è un fardello pesantissimo sulle spalle degli onesti e di quei cittadini che non potendo vantare conoscenze altolocate si trovano di fatto in una struttura sociale sempre più precaria, contorta ed inefficente. Non solo chi è filosoficamente responsabile del relativismo e della crisi che produce si scrolla le sue responsabilità, ma addirittura si vanta di costituire la primizia del pensiero democratico. Gli storici laicisti volentieri dimenticano che furono proprio gli scrittori cattolici del XVI secolo, come Francisco de Vitoria, Roberto Bellarmino e Francisco Suarez, ad affermare, prima degli scrittori liberali, i principi del moderno stato democratico. Ma promuovere l’omosessualità come un valore alternativo all’unione naturale, sostenerla con le nostre tasse, permettere che questi miseri malati abbiano l'affidamento e l'adozione di bambini, sta cuore alle sinistre come intramontato progetto di distruzione della famiglia, e con tante altre proposte dal chiaro obiettivo di definitivo sradicamento dei valori cristiani al fine di annientare finalmente l’identità storica della nostra Europa. Ma questi profanatori non hanno un fondamento culturale e storico, come lo ha la civiltà cristiana. Intrinsecamente poi sono portatori di concezioni aberranti di vita, in cui si vede l’individuo scomparire di fronte alla ideologia e scomparire di fronte alla logica di stato. Non ci troviamo di fronte ad una alternativa, ma di fronte ad un regime che impone annientando altre forme di umanesimo.

-FEDELE A SE STESSO-

-Don Luigi Sturzo, tra falsificazioni ed appropriazioni indebite-

Purtroppo tra gli analisti del doppio Sturzo figurano anche illustrissimi laici, tra i quali Montanelli, che, a dir il vero, ha interpretato la duplicità sturziana, anche quando la sinistra Dc faceva i salti mortali per far credere che don Sturzo non era mai esistito. Proprio recentemente Montanelli ha ripetuto le sue sciocchezze, che rimangono tali anche se autorevoli. Ha scritto che: "di Don Sturzo ce ne sono due, in piena dissonanza tra loro", che "a rivendicarne l'eredità hanno titoli entrambi i contendenti (Cdu e Ppi)", perché «dall'America tornò uno Sturzo che sembrava, ed era il rovescio ideologico di quello che vi si era rifugiato» e cioè un cattolico che sosteneva con vigore le tesi liberali della iniziativa privata, del mercato, della libera concorrenza. Di fronte a così saccente dogmatismo ci riteniamo autorizzati a pensare che Montanelli o è in malafede o paurosamente disinformato (Si tenta da parte dei cattolici di sinistra (Ppi) di appropriarsi del pensiero di don Sturzo nel tentativo di trovare un fondamento storico alla loro militanza a fianco degli ex-comunisti). In un articolo, infatti, del 1956 Don Sturzo, commentando i dissensi e consensi ad un suo precedente scritto, sfidava così i suoi critici: "Don Sturzo è stato sempre fedele a se stesso... Ho forse rinunciato alle mie idee del cinquantennio 1895-1945? Si faccia avanti chi me lo provi, carte alla mano; ma costui avrebbe il dovere di leggere o rileggere i miei discorsi politici, i miei scritti del tempo". E ci fermiamo qui nella citazione, che potrebbe essere ben più lunga, se qualcuno non fosse ancora persuaso. Ma le poche espressioni riferite, forti ed inequivocabili, se per un verso rivelano il carattere ben poco addomesticabile del prete di Caltagirone, dall'altro gettano nel ridicolo i manipolatori e falsificatori della storia. L'autenticità del pensiero del grande statista è contenuta nei suoi scritti e non nelle interpretazioni cervellotiche di chi è interessato a strumentalizzazioni che sono impossibili (Di Alcide Cotturone AREA, sett. 1996, p. 82).

-LA GLADIO ROSSA-

LE AUTORITà ERANO A CONOSCENZA DELLE FORMAZIONI PARAMILITARI CLANDESTINE, DEI DEPOSITI D’ARMI, DEI CAMPI D’ADDESTRAMENTO E DELLE SCUOLEDI SABOTAGGIO ALL’ESTERO, DEI LEGAMI COI SERVIZI SEGRETI SOVIETICI E DEI TRAFFICI CON L’EST. SAPEVANO E TACEVANO... Pubblichiamo in anteprima alcuni brani de La Gladio Rossa, il libro di imminente uscita scritto da Gian Paolo Pellizzaro e pubblicato dalle edizioni settimo sigillo. Il volume basato su documenti inediti dell’inchiesta condotta dai magistrati della Procura di Roma sul cosiddetto “apparato di vigilanza” del Pci, ricostruisce le fasi iniziali della nascita e della evoluzione della Quinta Colonna armata comunista. Nel libro sarà riprodotto anche un dossier del Sifar (allora servizio segreto militare), risalente al febbraio del 1959, dedicato integralmente alla rete di resistenza clandestina facente capo a Botteghe Oscure. Nel documento sono riportati i nomi dei quadri dirigenti e gli obiettivi da colpire, la dislocazione delle forze in campo regione per regione, le strutture d’appoggio. Secondo il Sifar , nel dopoguerra il Sifar poteva contare su un esercito occulto di 250 mila unità, che sarebbero quadruplicate in caso di invasione da Est da parte delle forze del Patto di Varsavia.(Gian Paolo Pellizzaro, AREA gennaio 1997)

La storia "prefabbricata"

Siamo due neodiplomati di un liceo romano che vorrebbero sottolineare una realtà incresciosa da voi del resto già ampiamente denunciata. Noi giovani cresciamo con concetti storico-politici "prefabbricati": la scuola media superiore non dona cultura, bensì ideologie pseudo-sinistroidi. La conferma di tale teoria, oltre alla faziosità di certi insegnanti, è da riscontrarsi nei libri di testo. Prima fra tutte l'opera omnia del sig. Desideri e della sua collaboratrice Iaccio intitolata Secondo Millennio (Ed. G. D'Anna); questo "capolavoro" di oltre mille Pagine ha colto pienamente l'essenza della parola "strumentalizzazione". Sfogliandolo non si può fare a meno di ridere; a proposito di Stalin il testo dice letteralmente: «Se si prescinde dall'altissimo costo umano, non si possono disconoscere i successi del primo piano quinquennale». Il problema delle Foibe in questo "libro di storia" poi è assolutamente ignorato a riprova della faziosità dei suoi autori (ci sarebbero ancora centinaia di esempi da rimarcare). Siamo estremamente soddisfatti di aver trovato una rivista nella quale sfoga re tanta amarezza.  Luca Ioveno e Carla Cace - Roma (AREA sett. 1997)

CR 507104 PROGRESSISMO: la scomparsa di don Giuseppe Dossetti

Ricordiamo il  vecchio sacerdote ed asceta Giuseppe Dossetti, che insieme a La Pira e a Fanfani fu padre del centro-sinistra. Domenica scorsa 15 dicembre è scomparso, all'età di 83 anni, don Giuseppe Dossetti, figura chiave del mondo progressista italiano. Tra i primi a commemorare la figura dello scomparso è stato il cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano, che ha affermato che don Dossetti è stato per lui "un grande amico ed un ispiratore" e "una figura profetica”. Anche il segretario del Pds Massimo D'Alema si è unito al coro, inviando una lettera in cui, tra l'altro, si legge: "Dossetti è stato uno dei protagonisti più prestigiosi della nostra democrazia" (cfr. Corriere della Sera, 16 dicembre 1996). Il presidente del Consiglio, on. Romano Prodi si è subito recato a Monteveglio, sull'appennino bolognese, a rendere omaggio a colui che per lui è stato una guida spirituale (cfr. Corriere della Sera, cìt.).(CR 507/041NA96)

CR 507105 PROGRESSISMO: il Dossetti ecclesiastico

Docente di diritto presso l'Università Cattolica di Milano e l'Università di Modena, Dossetti fu cofondatore della Democrazia Cristiana e leader di quell'ala della sinistra del partito che comprendeva La Pira, Fanfani e Moro. In tale veste fu tra i principali redattori dell'attuale Costituzione della Repubblica Italiana. Fu poi ordinato sacerdote ed accompagnò, così, come perito, i Cardinali Suenens e Lercaro durante il Concilio Vaticano II. Per la prima parte del Concilio fu segretario dei quattro Cardinali Moderatores, ed il suo ruolo e la sua conoscenza dei meccanismi delle assemblee, acquisita durante la Costituente, si rivelò fondamentale per la vittoria dello schieramento progressista, numericamente minoritario. Nel Diade del Vaticano II del teologo domenicano francese p. Marie Dominique Chenu, alla data del 10 novembre 1962, si legge: "Dossetti,...afferma che la battaglia efficace si gioca sulla procedura; "E' sempre per questa via che ho vinto" (cfr. Corriere della Sera, 21 novembre 1996). "Come "perito" a fianco di Lercaro - scrive Alceste Santini, vaticanista dell'Unità e protagonista, per conto del Pci, della grande operazione strategica del "disgelo" con il mondo cattolico (cfr. CR 504/03, 30 novembre 1996) - poté vivere quella stagione esaltante del Concilio (1962-65) che ha dato, come lui auspicava, un nuovo volto alla Chiesa cattolica nell'aprirsi alle altre religioni e alle diverse culture" (cfr. l'Unità, 16 dicembre 1996)(21 dicembre 1996, n. 507Corr.romana). Dopo il Concilio, operò con il cardinale Lercaro per una profonda trasformazione della diocesi di Bologna in senso progressista. Nel 1968, con la rimozione del cardinal Lercaro dalla diocesi, anche Dossetti lasciò il suo incarico. Al ritorno da una serie di viaggi in oriente, si impegnò nell'elaborazione di un progetto di una Lex Ecclesiae fundamentalis, che però venne respinta dalla Conferenza episcopale italiana. (cfr. l’Unità cit.). E' noto, anche tramite la testimonianza di un profondo conoscitore del pensiero dossettiano, don Gianni Baget Bozzo, che il defunto sacerdote criticò duramente la Chiesa fondata sul Papato, e che il suo pensiero, dominato da un "complesso antiromano”, si volse con simpatia all'induismo. Successivamente fondò e diresse una congregazione religiosa, ma conservò la sua influenza sulla politica italiana grazie ai suoi "figli spirituali", fra i quali si annovera l'attuale Presidente del Consiglio On. Romano Prodi ed il suo entourage. (CR 507/05/NA96)

CR 507/06 PROGRESSISMO: il Dossetti politico. La fase pubblica dell'impegno politico di Dossetti, dalla fine degli anni '40 all'inizio degli anni '50, si caratterizzò per un costante attrito con Pio XII. Il Santo Padre fu infatti sempre avverso al socialcomunismo, mentre l'allora onorevole Dossetti veniva definito "un pesce rosso che nuota nell'acqua santa". Osserva Paolo Pombeni nel suo libro, il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana, Bologna, 1979: l'esperienza dossettiana non è comprensibile se si vuole prescindere dalla costante dell'ambiente in cui si muove: essa voleva nuotare nell'acqua santa, cioè mantenersi circolante all'interno del mondo cattolico, essere destinata ad esso (...) Però nella proposta di cultura politica che esce da Dossetti... vi sono, a mio giudizio, molti elementi portanti di quello che in Europa è stato il patrimonio storico dei gruppi socialisti: la centralità della classe operaia nella costruzione della nuova società; l'attenzione al sindacato; l'accettazione di un modello di stato interventista; la proposta della pianificazione economica; l'idea del partito come strumento di educazione culturale delle masse; la condanna come inadeguata della democrazia liberale; la preferenza per un assetto internazionale che garantisse il pacifismo; una più positiva valutazione dell'esperienza bolscevica rispetto alla democrazia capitalista (cfr. op. cit. pp. 13-14). Chiunque può rendersi conto della simpatia di Dossetti e del suo gruppo verso la "esperienza bolscevica" sfogliando le pagine di Cronache Sociali, la rivista da lui diretta tra il 1947 ed il 1951 e che fu l'organo ufficiale della sua corrente(21 dicembre 1996, n.507 Corr. romana). Pur se costretta a condannare i crimini stalinisti, la redazione di Cronache Sociali  non esitava a pubblicare articoli in cui si affermava che "Marx e Lenin hanno molto da insegnarmi" (cfr. Comunisti e cristiani, in CS, n.10, 31 maggio 1948) e si proclamava che la Chiesa deve attingere a "quel 'qualcosa' di vitale e lievitante che il marxismo possiede" ( cfr. il Comunismo, in CS, n. 4, 15 luglio 1947) I dossettiani si spinsero a lodare la dittatura di Mao Tse Tung; "L'oppressione ed il totalitarismo comunista, a parte i suoi legami ideologici con l'URSS, si presentavano invece ai più onesti osservatori come un mezzo per attuare una trasformazione sociale ed economica” scriveva l'articolista commentando la presa di potere di Mao, aggiungendo che "gli Stati Uniti avrebbero dovuto assistere i comunisti asiatici in quanto rappresentano le forze sociali emergenti (circa La guerra in Corea e la politica dell'occidente, in CS, n 7,15 luglio 1950). La critica di Dossetti nei confronti dello stalinismo presenta aspetti anche inquietanti: egli condanna Stalin in quanto, secondo lui, il dittatore comunista limitava i cattolici reazionari! Per i dossettiani lo stalinismo era 'Una vera e propria perversione del marxismo e del leninismo" (cfr. C'è una crisi dottrinaria dell'URSS?, In CS, n.1 3/14,1-15 novembre 1950), in quanto la concezione in termini teocratici della funzione di guida politica(...) ha un valore sostanzialmente reazionario (cfr. L'eresia comunista, in CS, n.2/3, 1-28 febbraio 1951). Per l'autore dell'articolo, la colpa di Stalin era quella di guidare "un partito comunista teocratico e dogmatico" (ibidem); insomma, per Cronache Sociali il Comunismo si presenta e si impone con un carattere nettamente clericale" (cfr. C'è una crisi nel partito comunista francese?, in CS, n.7, 15 luglio 1950). L'uso di questi termini evidenzia che il vero nemico di don Dossetti fu, allora e sempre, per tutta la sua vita, il cosiddetto "integrismo" cattolico, ossia, secondo la definizione riportata nel primo Quaderno di Cronache Sociali pubblicato nel 1948, quella concezione secondo la quale occorre "combattere il mondo, lanciando una crociata contro gli avversari del Cristo, rispondere ai loro attacchi e magari passare all'offensiva. (E. Suhard, Agonia della Chiesa?, "Quaderni di Cronache Sociali", Roma, 1948, p.48). (CR 507/06/NAOB)

BUDAPEST BRUCIA L'OCCIDENTE TACE

A quarant'anni dalla rivolta di Budapest, un ricordo di quei terribili giorni. Budapest 1956: il ricordo delle passate generazioni è appannato e non solo dal tempo, e i giovani di oggi, che non possono avere ricordi, pare non abbiano nemmeno diritto alla conoscenza. Accade quando avvenimenti come quelli di quarant'anni fa, drammaticamente vissuti da un intero popolo, lungo le rive del Danubio, vengono scientificamente annegati nel pozzo profondo dell'oblio dalla storiografia ufficiale. Cosa fu veramente la rivolta di Budapest, perché ci fu quella insurrezione popolare, chi fu Imre Nagy, l'uomo che volle ridare libertà al suo popolo e vi trovò il patibolo? Sono tutte domande che, insieme con molte altre, sono rimaste, nel tempo, sepolte sotto la valanga degli inviti a dimenticare. Accadde già nel corso del riprodursi di quei fatti, mentre la violenza del potere autocratico dilagava senza freni e il sangue scorreva nelle strade della capitale ungherese. «Dimenticare Budapest!» fu l'invito che giunse dall'una e dall'altra parte del mondo e che il mondo accolse sacrificando il moto della propria coscienza sull'altare dell'ideologia posta al servizio non dell'uomo ma del potere e su quello dell'interesse politico-capitalistico che, al grido di «lasciateci lavorare», non gradiva sussulti, emozioni o reazioni, non sopportava tentativi di squilibrio nei rapporti di forza che si erano creati a livello internazionale. Così, quando alle 5,20 di mattina del 4 novembre 1956 dopo dodici giorni di violenze e di sangue, il primo ministro ungherese Imre Nagy, l'uomo che per anni aveva tentato di pone il partito comunista magiaro al servizio del popolo, per questo era stato più volte accusato di 'deviazionismo', lanciò dalla radio di Budapest un drammatico appello al mondo, nessuno rispose. «Vi parla il Primo ministro Imre Nagy» disse quella mattina il premier ungherese ai microfoni della radio. «Nelle prime ore di questa mattina le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale, con l'evidente intenzione di rovesciare il governo legale e democratico dell'Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nel combattimento. Il governo è al suo posto. Comunico questo fatto al popolo del nostro Paese e al mondo intero». Ma il mondo fece finta di non aver sentito. A questo appello fece seguito, dopo un paio d'ore e sempre via radio, una altrettanto drammatica invocazione degli intellettuali magiari: «Qui parla l'associazione degli scrittori... Vi chiediamo di aiutarci e di sostenerci. Il tempo stringe. Voi conoscete i fatti. Aiutate l'Ungheria... Aiutateci. Aiutateci!». Furono le ultime parole ascoltate da Budapest perché, subito dopo, la radio tacque. E tacque per vari giorni mentre nella capitale ungherese si consumavano tragedie personali e collettive e infamie senza fine e senza ritegno. Tacquero anche le consorterie intellettualistiche dell'occidente, specializzate, soprattutto in Italia, ...di quei manifesti che andavano sempre più proponendosi come vuote e retoriche esercitazioni verbali, valide soltanto ai fini propagandistici. Fecero eccezione alcuni intellettuali francesi e, soprattutto, Jean-Paul Sartre, che innescò una dura polemica con gli apparati del comunismo occidentale e dette origine in Francia (in Italia, gli intellettuali che gravitavano nel partito e intorno al partito si limitarono a firmare un ridicolo manifesto) ... per il resto tacquero tutti, mentre le orde barbariche del XX secolo s'avventavano su una città con tutte le ferite aperte e un popolo ormai stremato e inerme. Finirono così i tredici giorni di esaltazione e di dolore, di eroismi e di ignominie, della insurrezione del popolo magiaro... Cominciarono così quelle due settimane di passione, di sangue, di eroismi in cui si distinse il colonnello Pal Maleter, il difensore della caserma Kilian e di infamie, nelle quali si introdusse il segretario del partito comunista magiaro Jànos Kadar. E quando, messa a ferro e fuoco dai mezzi corazzati dell'esercito sovierico una città così ricca di storia, sconvolte le sue strade, deturpati i suoi palazzi, si arrivò al redde rationem, ordinato da Mosca ed eseguito dagli scherani di Kadar, nei confronti di coloro che avevano voluto ridare libertà al popolo, i cortili delle carceri di Budapest si popolarono di forche. Tutto ciò, è bene rammentarlo ancora una volta, nel disinteresse generale di un mondo a cui importava più la sopravvivenza dei sistemi che quella degli individui, più gli equilibri politici internazionali che l'esistenza preziosa di uomini leali e coraggiosi. Uomini di grande onestà e spiritualità come Imre Nagy, che non volle mai - come diceva Garcia Lorca - «abbandonare l'anima nel bicchiere della morte». (di Aldo Santamaria AREA, novembre 1996 p. 69)

23 ott. 1956 - Ha inizio la rivolta d’Ungheria: sarà occasione di accesissime lotte a sinistra e uscite clamorose dal PCI.

1 nov. 1956 - La direzione del PSI approva un documento sulla rivolta d’Ungheria “incompatibile con il diritto dei popoli all’indipendenza”.

1 gen. 1957 - Un gruppo di intellettuali comunisti, fra i quali Natalino Sapegno, Domenico Purificato, Vezio Crisafulli, rassegna le dimissioni dal PCI, a causa del profondo dissenso nei confronti dell’atteggiamento del partito sulla rivolta d’Ungheria.

16 giugno 1958 - Alla Camera, Pietro Ingrao giustifica l’esecuzione del lider della riforma ungherese, Imre Nagy, inserendola nella contrapposizione Est-Ovest.(Storia d’Italia, Istituto Geografico De Agostini - Novara, 1991)

CR 516/04  LOTTA CONTINUA: breve profilo biografico di Luigi Manconi. "L'uso del terrore e l'azione partigiana come sua forma organizzata e armata sono strumenti insostituibili della lotta di classe". Così scriveva Luigi Manconi sulla rivista Quaderni Piacentini, palestra degli intellettuali di sinistra degli anni sessanta-settanta (cfr. Quaderni Piacentini, nn.48.49, gennaio 1973). Intervenendo nella polemica scoppiata sull'opportunità dell'uso della violenza come azione politica, nei mesi drammatici del sequestro Macchiarini e dell'omicidio Calabresi. Nato a Sassari il 21 febbraio 1948, Manconi si iscrive al Psiup nella metà degli anni '60. Trasferitosi a Milano, aderisce prima al Movimento studentesco della Cattolica e poi confluisce in Lotta Continua, dove svolge una lunga attività (6 anni), diventando responsabile nazionale del "Servizio d'ordine" (cfr. CR 513103), di cui scrive l'inno dal titolo "E' l'ora del fucile". "Di quell’attività - ha più volte ribadito Manconi - non mi pento (Il Tempo, 4 febbraio 1997). Diventato docente di sociologia, dopo gli anni di piombo si ricicla nel mondo dei mass-media, scrivendo editoriali sul Corriere della Sera, La Stampa, il Messaggero, il Manifesto e l'Unità e partecipando, come opinionista, a tutte le più importanti trasmissioni televisive e radiofoniche. Eletto senatore per la prima volta nel 1994 nella coalizione dei Progressisti, durante la legislatura sarà membro di diverse Commissioni Parlamentari, tra cui la Commissione d'inchiesta sul terrorismo in Italia. Rieletto nel 1996 nel collegio di Macerata nella lista Verdi-Ulivo, il 24 novembre 1996, nel corso della XX assemblea federale dei Verdi, viene nominato "portavoce", cioè segretario. Nella veste di parlamentare ha modo di tradurre in pratica le sue idee contro i valori tradizionali e familiari, proponendo, tra gli altri, disegni di legge per: la legalizzazione delle libere convivenze, anche omosessuali e la promozione, da parte dello Stato dell'omosessualismo(Disegno di Legge n.935, del'11.7.96).  Il D.L. n. 1810, del 28.11.96, prevede pene detentive anche per chi solo manifesti "disapprovazione nei confronti dell'omosessualità  (ad. 3); la concessione dell'indulto per le pene relative a reati commessi con finalità di terrorismo (D.L. n. 424); la liberalizzazione della droga (D.L. n.231 del 9.5.98). Manconi pone molta cura nel presentare i suoi progetti in maniera ideologizzata, cercando sempre di smorzare le polemiche, essendo ben conscio che "se questi temi come altri assimilabili, vengono affrontati secondo una logica di permissivismo, trasgressione, tolleranza, consumismo, non solo si è poco efficaci ma, di sicuro, si va incontro ad una sconfitta", come ha ammesso qualche tempo fa (cfr. Corriere della Sera. 5 settembre 1995). In Parlamento da pochi anni, si vanta però di non aver mai smesso l'attività ideologica iniziata in gioventù, svolgendo "un'azione politica pubblica giocata appunto nei movimenti e nelle associazioni e sul piano della comunicazione di massa" (cfr. L'Unità, 25 novembre 1998). Un'azione efficace, come testimonia il sostituto procuratore di Milano Ferdinando Pomarici lamentandosi che, a riguardo della campagna mediatica di disinformazione messa in atto per Sofri, oggi il problema non è tanto Lotta Continua quanto il peso, il prestigio che alcuni suoi esponenti hanno assunto in diversi ambienti. Le opinioni, per fare un esempio, di uno che ha la visibilità del senatore Manconi è chiaro che finiscono con l'influenzare pesantemente certi ambienti.(Fa. Ber.) (CR 516/041BB97)(22 febbraio 1997, n. 516   Corrispondenza romana)

CR 513/02 "LOTTA CONTINUA": definitiva la condanna di Sofri per l'omicidio di Calabresi. Il 22 gennaio, la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi presentati da Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano che li aveva condannati a 22 anni di carcere per l'omicidio del Commissario di P.S. Luigi Calabresi. La sentenza della Corte d’Appello è così divenuta esecutiva e per gli esponenti di Lotta Continua si è spalancata la porta della prigione. Il Commissario Calabresi venne ucciso il 17 maggio 1972 da un commando composto da due uomini.(1 febbraio 1997, n. 513    Corrispondenza romana) Subito le indagini si diressero verso gli ambienti della sinistra extra-parlamentare e di Lotta Continua in particolare. Calabresi era diventato il bersaglio di una violentissima campagna di questi movimenti che lo accusavano, tra l'altro, della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, caduto dalla finestra della Questura di Milano. Dopo 16 anni, quando le indagini sembravano essersi arenate, ci fu una svolta: Leonardo Marino, un ex militante di Lotta Continua, si presenta ai Carabinieri e racconta di aver partecipato all'omicidio del Commissario Calabresi insieme a Bompressi e accusa Sofri e Pietrostefani di aver impartito l'ordine di assassinare Calabresi. Inizia così una lunga serie di processi (la prima condanna avviene nel 1990) che si conclude con la sentenza della Corte di Cassazione del 22 gennaio, stabilendo definitivamente che gli assassini del Commissario sono: Sofri, Pietrostefani e Bompressi. (CR 51 310ZlBB97)

CR 513103 "LOTTA CONTINUA": breve storia del movimento terrorista comunista. Lotta Continua, movimento extra-parlamentare comunista fondato da Adriano Sofri nel 1969, disciolto nel 1976, è stato tra i più attivi nei cosiddetti "anni di piombo" (che vanno dal 1969 a 1956) durante i quali il terrorismo in Italia ha causato 419 morti e parecchie migliaia di feriti in 14.589 attentati (cfr. Corriere della Sera, 20 gennaio 1988). Il fondatore delle Brigate Rosse, Renato Curcio, ricorda nel suo libro intervista “A viso aperto”, che i rapporti del suo movimento con  Lotta Continua erano così stretti che entrambe le associazioni eversive avevano "militanti che si muovevano nella illegalità armata “passando dall'una all'altra organizzazione o appartenendo ad entrambe contemporaneamente” (cfr. CR 359/5, 30 giugno 1993). Curcio precisa che Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, capi di L.C., proposero alle B.R. di fondere i due movimenti e di "diventare il loro braccio armato” (cfr CR, cit.). "L'omicidio Calabresi è l'inizio del terrorismo di sinistra in Italia. Così, Franco Piperno, ex leader di Potere Operaio, fissa le responsabilità dell'organizzazione eversiva nella nascita del terrorismo in Italia (cfr. L'Espresso, 5 settembre 1996). Il gruppo di Lotta Continua si forma nell'autunno del 1969, per iniziativa del gruppo di Potere Operaio di Pisa (di cui facevano parte Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Carla Melazzini, Franco Bolis, Cesare Moreno) e di Pavia (Sergio Saviori) e del Movimento Studentesco di Torino (Guido Viale, Luigi Sobbio), di Milano (Luigi Manconi, Luciano Pero, Franca Fossati) e dì Trento (Mauro Rostagno, Marco Boato). Organizzata gerarchicamente come un classico partito di sinistra, con una segreteria, un esecutivo nazionale e un comitato centrale, Lotta Continua aveva più di 200 sedi in tutta Italia. Svolgeva la sua attività, oltre che nelle scuole e nelle fabbriche, anche nelle caserme, con specifici comitati di lotta chiamati Proletari in divisa, nelle carceri, con: i dannati della terra e nei quartieri delle metropoli, con: Prendiamoci la città. A fianco dell'organizzazione ufficiale, operava una struttura clandestina che organizzava le rapine per i finanziamenti e l'acquisizione delle armi, gestiva i poligoni per le esercitazioni e i depositi clandestini di armi. Il 10 novembre 1969 esce, con frequenza settimanale, l'organo ufficiale omonimo Lotta continua, che più avanti, l'11 aprile 1972, diventerà quotidiano. Sarà diretto, a rotazione, dai più noti intellettuali di sinistra tra cui Piergiorgio Bellocchio, Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella e Gianpiero Mughini.(1 febbraio 1997, n. 513 Corrispondenza romana) Al quotidiano, Sofri affiancherà il quindicinale, destinato al Sud, Mo che il tempo si avvicina. Nel 1972, l'anno dell'omicidio Calabresi, nel documento preparatorio al convegno nazionale, i dirigenti rendevano pubblica la strategia del movimento: "E' necessario preparare il movimento a uno scontro generalizzato, che ha come avversario lo Stato e come strumento l'esercizio della violenza rivoluzionaria, di massa e d'avanguardia" (cfr. L'Espresso, 5 settembre 1996). E uno degli strumenti fu il cosiddetto "servizio d'ordine", utilizzato per creare i sanguinosi scontri di piazza che sconvolsero l'Italia. Responsabile nazionale del servizio d'ordine fu Luigi Manconi (cfr. l'Espresso, 4 agosto 1995), eletto senatore a Macerata nelle liste dell' Ulivo alle ultime elezioni e, dal novembre 1996, anche Segretario dei Verdi. Manconi conquistò prestigio e fama nell'ambito dell'organizzazione extra-parlamentare di sinistra guidando operazioni di guerriglia urbana: suo capolavoro fu la manifestazione a Milano dell'11 marzo 1972. Da un lato le spranghe di Lotta continua, Avanguardia operaia e del Movimento studentesco, dall'altra i manganelli dei poliziotti Agli ordini di Luigi c'erano duemila energumeni divisi in gruppi di cento, come coorti romane. (...) Fu un trionfo, il suo giorno di gloria. Da quel momento il suo nome circolò tra i militanti di Lc, circondato quasi dalla stessa aureola di Adriano Sofri, il leader. (cfr. Il Giornale, 16 dicembre 1996). Responsabile romano, invece, era lo scrittore Erri De Luca che di quel periodo ricorda: "avevo ventisette anni allora e (...) provenivo dagli allenamenti su strada, dai lanci di pietre e battaglie (cfr. La Stampa, 27 luglio 1996). (Fa. Ber.) (CR 51 3103IB897) / CR 513/04 "LOTTA CONTINUA": il "circo mediatico" difende Sofri. La sanzione definitiva della Cassazione sulla vicenda Calabresi ha suscitato le ire dei vari personaggi della sinistra extra-parlamentare di allora, che hanno definito la sentenza “atto finale di una lunghissima ingiustizia (Luigi Manconi) e la più grave vicenda giudiziaria della storia repubblicana” (Marco Boato). Il giornalista televisivo Fabio Fazio è giunto a salutare Sofri nel corso di una trasmissione in diretta su Raidue, concordata con il responsabile della rete, Carlo Freccero. "Ci spiace solo - ha detto Fazio - che a scherzare con noi su questi anni (...) non ci sono certe persone che avrebbero potuto divertirsi con noi. Un nome per tutti: Adriano Sofri. Il Sottosegretario alla Giustizia, l'on. Franco Corleone (Verdi), non ha esitato a parlare di "una giustizia farisaica e catastrofica".

Molti di questi personaggi hanno fatto una rapida e brillante carriera, andando ad occupare posti importanti nel mondo politico e, soprattutto, in quello dei media.

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Già un mese prima della condanna definitiva, era sceso in campo per difendere Sofri lo stesso ministro dell'interno, il comunista Giorgio Napolitano(cfr. l'Unità, 11 dicembre 1996).(11 Febbraio 1997, n. 513 Corrispondenza romana). Dal canto suo, Marco Pannella, un anno fa offrì la presidenza onoraria del movimento a Sofri per "la sua straordinaria opera a favore dei diritti umani e di una politica non violenta" (cfr. La Stampa, 13 novembre 1995). L'influenza di questa lobby è stata giustamente denunciata dal prof. Giorgio Rumi sul quotidiano della Santa Sede. "Sull'operato dei giudici che ha concluso un decennio di operazioni processuali - scrive Rumi - giganteggia un gruppo d'opinione, un vero circo mediatico che dalle colonne dei giornali ai più frequentati canali televisivi detta le sue sentenze.(cfr. L'Osservatore Romano, 27-28 gennaio 1997). L'opera di questo “circo mediatico” non è stata senza effetti. Per Sofri e compagni si profila già la grazia. L'ha fatto intendere il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, il quale, forse già dimentico di quando piombò di notte nel Tribunale Militare di Roma per impedire il rilascio di Erich Priebke, ha affermato: "La lentezza del processo civile e penale è sotto gli occhi di tutti. Sono convinto che la pena per essere efficace deve essere collegata con il fatto che sia per il rispetto dell'opinione pubblica, sia per il rispetto di chi subisce queste pene" (cfr. Il Tempo, 25 gennaio 1997).

CR 513105  "LOTTA CONTINUA": le voci che hanno difeso la sentenza di condanna. Se la gran parte dell'opinione pubblica italiana condivide la sentenza, solo pochi hanno avuto il coraggio di uscire pubblicamente dal coro e di difendere l'operato dei giudici della Cassazione che hanno confermato la condanna a 22 anni di carcere inflitta dalla Corte d'Appello di Milano a Adriano Sofri per l'omicidio del Commissario Calabresi. Tra questi l'on. Raffaele Costa, segretario dell'Unione di centro, che ha detto: “Non si può non sottolineare l’imponente schieramento che è sceso in campo a fianco dell'ex leader di Lotta Continua e l'enorme rumore che il caso ha sollevato su tutti i giornali.” (cfr. Il Tempo, 25 gennaio 1997). Secondo l'ex ministro Luigi Preti, "i media, salvo pochissime eccezioni, non fanno che parlare della condanna di Adriano Sofri, l'ex capo di Lotta Continua, un movimento che danneggiò il Paese con le sue azioni delittuose. Un giovane che non abbia tempo per approfondire, finisce quasi per credere che sia un eroe" (cfr. Il Tempo, cìt.). L'on. Maurizio Gasparri, coordinatore di Alleanza Nazionale, ha dichiarato: "E' una sentenza esemplare perché, nonostante il ritardo, fotografa responsabilità individuali molto precise e pesanti, poi è motivo di riflessione, perché Lotta Continua, fino ai suoi vertici, era responsabile di omicidi efferati" (cfr. la Repubblica, 24 gennaio 1997) Per il Don. Ferdinando Pomarici, oggi Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Milano, che all'epoca del primo processo sostenne l'accusa contro Sofri e gli altri, - dice- “il "prestigio" che alcuni esponenti di Lotta Continua "hanno assunto in diversi ambienti" influenza "pesantemente" questi ambienti” (cfr. la Repubblica, 24 gennaio 1997). Il Procuratore della Repubblica di Milano, dottor Francesco Saverio Borrelli, ha dichiarato al quotidiano la Repubblica del 25 gennaio 1997 che "alla decisione di colpevolezza si è arrivati dopo che di questo processo si è occupato un numero straordinario di giudici. Un processo di primo grado, tre di appello, tre in Cassazione di cui uno davanti alle Sezioni unita. Se facciamo i conti - continua il Procuratore - si tratta di almeno cinquanta giudici. (1 febbraio 1997, n.513 Corrispondenza romana) E devo notare che tutti i giudizi di merito, con la sola eccezione del secondo appello la cui storia è nota, si sono conclusi riconoscendo la colpevolezza degli imputati. Quanto all'obiezione per cui non è giusto condannare un uomo per fatti accaduti venticinque anni fa, il dottor Borrelli ha risposto: “Ma la stessa obiezione si potrebbe fare per Erich Priebke, -che noi non giustifichiamo- processato oggi per un crimine commesso cinquanta anni fa” (CR 51310518897).

CR 515/05 TERRORISMO COMUNISTA: i ricordi del fondatore di “Prima Linea”. Il terrorista comunista Enrico Galmozzi, (in un'intervista al Tempo del 12 febbraio 1997) ha parlato delle responsabilità e del clima di terrore dei cosiddetti "anni di piombo". Condannato a 22 anni e mezzo di carcere, Galmozzi, dopo essere uscito nel febbraio del 1974 da Lotta Continua, alla quale aveva aderito nel 1972 e in cui si interessava dell'organizzazione della violenza operaia, è stato, con Sergio Segio, uno dei fondatori di Prima Linea, il più agguerrito gruppo terroristico comunista degli anni '70 dopo le Brigate Rosse. Sposato con un'ex terrorista, ora frequenta gli ambienti culturali di estrema destra che gravitano attorno alla rivista nazionalsocialista “Orion”. A quel tempo, - racconta Galmozzi -  andare a prendere il fascista sotto casa con la spranga o nei posti di lavoro era una cosa teorizzata da tutta la sinistra extra-parlamentare perché, "questo ti consentiva di aumentare il tuo prestigio, la tua entratura, la tua penetrazione fra le masse.". Questo discorso valeva anche per Lotta Continua; "Il gruppo dirigente era assolutamente convinto che la strada insurrezionale dovesse passare per la lotta armata. ll dibattito sulla lotta armata, che Lotta Continua chiamava il dibattito sulla 'forza' è cominciato nel '70 e la discussione poteva essere sui tempi, sui modi, non sul merito (...) la differenza che poteva esserci fra me e lo stesso Boato era sui tempi, sul consenso che in quel momento l'atto militare poteva avere sulle masse, non sui principi, sul fatto cioè che bisognava fare l'insurrezione usando la violenza". A proposito dei dirigenti, come l'on. Marco Boato, eletto alla Camera nella lista dei Verdi-Ulivo, che si è sempre dichiarato pacifista, Galmozzi dichiara; "Boato era talmente cretino che poteva anche non essersi accorto di nulla. Solo uno scemo come lui poteva non vedere certi movimenti, gente che andava, gente che veniva, le molotov, ecc... Però alla fin fine Lotta Continua aveva come inno 'E' l'ora del fucile' e quindi anche chi stava nel movimento con un'altra dimensione non può fare troppo l'anima bella". Responsabilità che tutti si devono assumere: "Prima Sofri si è difeso dicendo 'Vabbò ho scritto cose tremende, abbiamo scritto cose tremende, però non pensavamo che (...). Nessuno gli ha fatto notare che ha scritto cose anche dopo. Questa è cronaca. Il giorno dopo Lotta Continua esce con Giustizia Proletaria. E allora non funziona più il discorso che dice 'io scrivevo quelle cose per fare una denuncia politica e poi un pazzo ha sparato' (...). Allora significa che prima, durante e dopo l'azione Calabresi tu eri dentro le coordinate ideologiche, politiche, storiche, morali, umane che hanno portato a quell'omicidio. Sofri deve dire soltanto questo". Ma il peso delle responsabilità cade su tutta la Sinistra: "Se tu guardi il programma politico di Prima Linea non è che fosse molto diverso da quello Fiom, cioè del sindacato dei metalmeccanici(...) per anni, fino quasi al 77, quando hanno cominciato ad arrestare copiosamente terroristi che provenivano dallo stesso Pci, il Partito comunista ha sempre sostenuto che in realtà il terrorismo era fascista, contribuendo in maniera sistematica e scientifica, non solo genericamente, alla disinformazione di massa, ma anche di impedire allo Stato qualsiasi Know How sul fenomeno. Per anni polizia e magistrati non sapevano dove mettere le mani. E il Pci ha responsabilità enormi perché sapeva benissimo come stavano le cose".(CR 515105/BB97)(15 febbraio 1997, n. 515 Corrispondenza romana)

CR 517/03 TERRORISMO: dalle Brigate Rosse al traffico internazionale di droga. Dopo una lunga latitanza, lo scorso 8 febbraio è stato arrestato dai Carabinieri del Comando di Roma l'ex brigatista rosso Antonio Damiano. Ricercato dal 1979 per costituzione di banda armata ed associazione sovversiva, Damiano deve scontare anche una pena di tre anni e sei mesi per violazione della legge sugli stupefacenti. Esponente di Guerriglia Comunista, (organizzazione terroristica nata nel quartiere romano di Cinecittà), Damiano fu responsabile di numerosi ferimenti e di decine di rapine finalizzate a finanziare le Brigate Rosse. Gli investigatori sono arrivati a lui in seguito ad un indagine su un traffico internazionale di cocaina che dalla Colombia giungeva in Olanda per poi finire in Italia, traffico gestito dal terrorista e da molti altri dei suoi ex compagni latitanti dell'estrema sinistra che a Roma avevano agito tra il '76 e il '78 (cfr. La Stampa, 9 febbraio 1997). (CR 517/03IB0 97) Fin dalla copertina si precisa che l'UAAR condivide la sede con quella di Legambiente di Padova. La Legambiente è l'organizzazione ecologista vicina al PDS, partito che nel suo ultimo congresso nazionale ha approvato tre ordini del giorno radicalmente anticristiani (cfr CR517101,1 marzo 1997). Già sulla copertina dell'Ateo campeggia un disegno che deride l'Ultima Cena di Nostro Signore. Né stupisce di leggere, sfogliando il periodico, di una serie di affermazioni piene di odio alla Fede ed alla Chiesa Cattolica. Eccone un florilegio: "Il nostro scopo è quello di una lotta di liberazione dell’uomo dai vincoli e dalle coercizioni delle religioni per arrivare all'autodeterminazione dell'umanità" (p.3). "Fin dall'inizio della sua attività l'UAAR si è impegnata in una campagna che potremo definire di 'decontaminazione degli edifici pubblici' intesa a far rimuovere dalle scuole, ospedali tribunali luoghi pubblici in genere il simbolo della religione cattolica, cioè il crocifisso" (p.4). (...) Propone per ogni Comune d’Italia l'organizzazione di una conferenza anticlericale" (p.6). (...) "Appello alle Nazioni Unite (...) Noi sottoscritti crediamo che sia del tutto inappropriato, per la Chiesa Cattolica Romana, partecipare come membro votante alle conferenze delle Nazioni Unite" (p.8). (...) “La Chiesa Cattolica, mai sazia di privilegi, è riuscita a mettere a punto e a far approvare un meccanismo perverso” (p.12).  "E' sotto gli occhi di tutti un cristianesimo aziendale, di possesso e di rapina" (p.13). Ma qual'è la differenza fra una religione (per esempio quella capeggiata dal Papa) e una setta come quella guidata da David Koresh, la quale trovò la sua tragica fine? La risposta sembra essere che se è di vecchia data e ha un gran numero di seguaci è una religione e rispettabile, mentre se è nuova e seguita solo da pochi è una setta e perciò non rispettabile. Per coloro di noi che non sono accecati dalla fede, è chiaro che qualsiasi differenza è solo di grado, non di sostanza." (p.14). "Tutti sappiamo quale forsennata opposizione esercita specialmente la chiesa cattolica, in difesa retorica della sacralità della vita, frenando come sempre la crescita responsabile dell'uomo" (p.15). (CR 51 9/061CC97)

CR 517/04 MASS-MEDIA: i periodici femminili organi di propaganda del progressismo? Più volte il mondo cattolico italiano ha denunciato il ruolo dei settimanali femminili i quali si presentano come semplici osservatori delle mode e dei costumi mentre invece svolgono una funzione di propaganda militante progressista. Un esempio è il supplemento femminile, allegato al quotidiano la Repubblica. Nel numero del 18 febbraio 1997, si offre un ampio servizio sulla questione dell'aborto <pp.22-28>. Il testo inizia ostentando un imparziale distacco dalle opposte posizioni, ma termina con un violento attacco alla difesa dell'embrione; "L'idea di un embrione distinto dal corpo della madre - riporta il giornale - è un non-riconoscimento della responsabilità materna" (p.28). Una intera pagina è invece destinata a criticare il rigido modello di famiglia riproduttiva, imposto dalla tradizione (simbolicamente incarnato da Gesù, Maria e Giuseppe)" (p.48). Non manca naturalmente un attacco ai 'fondamentalisti" (i fanatici della tradizione, precisa l'articolista) , 'per cui la struttura familiare classica è intoccabile (ibid.). Qualche pagina dopo i servizi di moda, il supplemento femminile della Repubblica riporta una "dura accusa"(p.164) contro un gruppo di psicologi cristiani che, negli Stati Uniti, aiuta gli omosessuali a ritornare alla normalità: la redattrice definisce con sprezzo questa iniziativa "una nuova crociata" (ibid.), avallando le tesi di chi afferma che "ogni sforzo per cambiare l'orientamento sessuale di un gay può provocare danni anche se il paziente è d'accordo (...) Bisogna piuttosto aiutare un gay ad essere un gay felice" (ibid.). Quattro pagine più avanti la redazione  critica invece le donne italiane, le quali secondo i sondaggi praticano poco la masturbazione; "Peccato, dicono i sessuologi, commenta il redattore -"perché l’autoerotismo è prezioso" (p.168).   (1 marzo 1997, n.517          Corrispondenza romana)

CR 517/01 PDS: Il congresso rilancia il socialismo relativista. Domenica 23 febbraio si è concluso il congresso del Pds. La massima assise dei neo-comunisti è stata piuttosto scialba. Nonostante questo appiattimento, il Pds non ha rinunciato alla sua natura ideologica che vuole trasformare le società in senso socialista e relativista. La scelta del Pds, che ha suscitato le proteste dei cattolici e messo in luce le contraddizioni tra le composite forze di governo, è stata difesa dal filosofo Salvatore Veca, l'intellettuale che, nell'operazione di maquillage del vecchio Pci, propose, con Michele Salvati, la denominazione di Partito democratico della sinistra. "I primi due - ha detto Veca nel corso di un'intervista al Corriere della Sera -, il documento sull’omosessualità e quello sull'embrione, hanno tra loro un che di familiare. In questo senso: puntano ad estendere ad altre aree, oltre all'area dello svantaggio standard, lo svantaggio economico, sociale, il principio della tutela uguale. In sostanza puntano a tutelare gli spazi di scelta Individuale" (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 1997). Passando al terzo ordine del giorno, quello sulla legalizzazione delle droghe, Veca ha affermato: "Quest'ordine del giorno mi sembra indipendente dagli altri. I primi due hanno a che fare con i principi il terzo con la valutazione sulle conseguenze. Sappiamo che le politiche di penalizzazione delle droghe leggere non hanno dato buoni risultati..." (cfr. Corriere della Sera, cit.). Tra le critiche del mondo cattolico, quelle dell'Osservatore Romano, secondo il quale "sembra permanere nel Pds una forte ideologizzazione di fondo”. Per l'arcivescovo di Napoli, cardinale Michele Giordano, gli ordini del giorno approvati dal Pds sono frutto di un “oltranzismo ideologico” che segna una distanza incolmabile, di cui i cattolici prendono atto, preparandosi "alla mobilitazione in tutti i modi possibili”. Il cardinale Ersilio Tonini, dal canto suo, ha affermato: "Sono sorpreso. Non mi aspettavo dal congresso del Pds queste prese di posizione di intonazione radicale in materia di bioetica, di omosessualità e di droghe leggere (...) Si direbbe che l'anima radicale del partito sia rimasta intatta" (cfr. Corriere della Sera, cit.). Il vescovo di Como, Mons. Alessandro Maggiolini si rivolge ai popolari quando dice: "Pongo una domanda: possono i cattolici continuare a collaborare con questo Pds?" (cfr. Corriere della Sera, 26 febbraio 1997). I pronunciamenti comunisti hanno fatto esplodere le contraddizioni all'interno dell'Ulivo. L'on. Gerardo Bianco, presidente del Ppi, ha detto: "A D'Alema do 8 e mezzo per il suo discorso politico complessivo. 4 in visione antropologica (...) SI, perché se sul piano politico hanno fatto dei passi da gigante, su quello della realtà sociale stanno sposando le tesi di un pericoloso relativismo etico (...) Così si imbocca la strada del permissivismo, dell’individualismo sfrenato tipico dei radicali.(1 marzo 1997, n.517           Corrispondenza romana)

CR 472104 NEO-COMUNISMO: cerimonie esoteriche in un "Centro Sociale" a Napoli. Nel corso di uno sgombero forzato del Centro Sociale Tien à Men, eseguito dai vigili urbani di Napoli sono state raccolte evidenti testimonianze dei riti a carattere esoterico svolti, tra consumo di droghe e promiscuità sessuale, nei locali occupati dai neocomunisti. I vigili urbani, allertati da un esposto della circoscrizione promosso dal locale rappresentante di Alleanza Nazionale e sottoscritto da 400 abitanti del quartiere, hanno rinvenuto tra vari graffiti un grande crocifisso costruito in ferro e fili elettrici in cui, al posto della testa del Cristo, c'è quella di un caprone. "Il crocifisso - hanno raccontato i vigili  (Avvenire del 21 gennaio 1996)- si muoveva e due trombe elettriche ad esso collegate emettevano suoni simili a lamenti. Quello che più ci ha stupito è stata la reazione degli occupanti. Quando il crocifisso è stato rimosso hanno incominciato ad emettere uno strano verso che assomigliava a quello di una capra". Solidarietà è stata espressa dal parroco della vicina parrocchia, don Pasquale Nalli, che ha parlato di chiari elementi esoterici" confortato dall'opinione espressa anche dal prof. Introvigne, docente di sociologia delle religioni, riguardo i "rituali magici" praticati. I vigili, che hanno subito inviato alla procura circondariale un dossier fotografico di tutto ciò che è stato ritrovato, sono stati contestati dal sindaco comunista Bassolino per aver agito "tenendo all'oscuro    l’amministrazione comunale".(cfr. Avvenire, cit.) (CR 472/04/B B96) (17 febbraio 1996, n.472 Corrispondenza romana)

CR 504/03  SANTA SEDE: i retroscena del disgelo con i comunisti svelati dal vaticanista dell’Unità. In un’intervista al settimanale Epoca (22 nov.1996), il vaticanista dell’Unità, Alceste Santini, svela i retroscena del disgelo tra il Partito comunista e la Santa Sede. “Dopo il Concilio Vaticano II - racconta Santini - fondai, con un gruppo di studiosi, la rivista “religioni oggi/dialogo” con l'obiettivo di favorire gli incontri tra i marxisti e i cristiani. Il clima era molto pesante: il mondo diviso in due blocchi i comunisti colpiti dalla scomunica di Pacelli del 1949, i collegamenti con il Vaticano inesistenti. Di fatto con la rivista si aprì un canale, organizzammo convegni in tutti i Paesi dell'Est. Si apriva, finalmente, uno spiraglio tra l'universo comunista e la Santa Sede. Nella strategia del dialogo appena iniziato, Palmiro Togliatti, allora segretario dei Pci, il 20 marzo 1963 fece un importante comizio a Bergamo, città dove allora la DC raccoglieva il 60 per cento dei voti, nel corso del quale affermò che "anche dalla scelta religiosa può nascere l'impegno a realizzare una società più giusta e perfino socialista. "Appena 20 giorni dopo - ricorda Santini - Il 1 aprile 1963, arriva l'enciclica "Pacem in terris", con la quale Giovanni XXIII offre un metodo per il dialogo con i marxisti la distinzione tra sistemi filosofici, rigidi, e i movimenti storici destinati a mutare. (...) Grazie alla forza dei contenuti della "Pacem in terris” Giovanni XXIII ha potuto passare alla storia come il Papa che apri le finestre della Chiesa sul mondo, e in particolare sui Paesi dell'Est. Iniziò, cosi, in Italia, la stagione del centro-sinistra. "La posizione del Papa mi fu anticipata da monsignor Loris Francesco Capovilla, il suo segretario particolare. Mi disse: 'La svolta nei rapporti a livello mondiale non può non avere riflessi anche nella politica italiana. Andiamo verso una nuova stagione. Nel 1963, la conferenza episcopale italiana pubblicò un'esortazione tesa a favorire le aperture sociali e le alleanze politiche con i socialisti. "Ho potuto esercitare per circa vent'anni - prosegue il giornalista comunista - il doppio ruolo di ambasciatore del Pci in Vaticano e di vaticanista dell'Unità, il primo accreditato presso la Santa Sede, grazie a due elementi la credibilità conquistata con i miei scritti e la discrezione. Tutte le missioni che ho svolto dovevano restare segrete, guai a trasformarle in scoop giornalistici. Le confidenze che ricevevo si dividevano in due gruppi, quelle da dimenticare e quelle da divulgare. Con l'arrivo di Berlinguer al vertice del Pci, Santini diventa una sorta di consulente fisso della segreteria comunista sulle questioni vaticane e il suo ruolo, come racconta lo stesso, si rivelò molto utile per il Pci nella questione del divorzio. "Lo scontro sul divorzio rischiava di cancellare il lavoro di anni, era in discussione lo stesso dialogo tra cattolici e marxisti Berlinguer da una parte teneva duro, affermando che “Si! il dialogo ha un prezzo, ma anche un limite”; dall'altro usava Santini per mantenere un sia pur minimale contatto con il Vaticano. Ci fu quindi un incontro con il cardinale Antonio Poma, allora presidente della CEI, nel quale Santini portò una proposta dì mediazione del Pci, che fu giudicata "interessante” dal porporato, ma l'opposizione di Fanfani, allora segretario della Dc, fece fallire la trattativa. Il dialogo, quindi, non era interrotto. "Paolo VI guardava con grande attenzione alla politica di Aldo Moro e, in particolare, alla sua "terza fase'; quella dell'incontro fra la Dc e il Pci", dice ancora Santini, che aggiunge: "Giovanni XXIII ha realizzato il disgelo, ma è stato Paolo VI, con la sua politica, con una singolare miscela di flessibilità e rigore, a sancire l’irreversibile apertura verso i Paesi dell'Est". Santini poi parla di Giovanni Paolo II e della "storica udienza” concessa il 17 novembre 1994 a Walter Veltroni, allora direttore dell'Unità, che "maturò in seguito alla decisione di Veltroni di pubblicare, su mia proposta, i Vangeli e allegarli al giornale".(30 novembre 1996, n.504    Corrispondenza romana) Il Papa aveva appena pronunciato la preghiera per l'Italia e così Santini disse a Veltroni: "Cogliamo il segnale di una Chiesa che si distacca dai partiti e con la pubblicazione dei Vangeli rilanciamo l'universalità di grandi valori e il dialogo a tutto campo con il mondo cattolico. Il vaticanista dell'Unità chiese quindi udienza per presentare al Pontefice l'iniziativa in anteprima. "Fummo ricevuti dopo appena tre giorni ma la cosa sorprendente fu il fatto che il Papa ci concesse un'udienza ufficiale con il protocollo riservato ai capi di Stato e di governo. Ci accolse, infatti, con le famiglie e su un vassoio d'argento consegnò a noi le medaglie del pontificato, e alle nostre mogli una corona in madreperla con il crocifisso”. Santini, che di sé dice: "non sono un praticante cattolico, e non ho modificato questa posizione dopo tanti anni di frequentazioni in Vaticano”; così conclude l'intervista: "Per noi si aprono nuovi spazi, una nuova frontiera, dopo quella di un dialogo durato quasi mezzo secolo. Non c'è più la Dc; la Chiesa, dopo il convegno di Palermo, ha annunciato pubblicamente la sua distanza da qualsiasi partito(...): il terreno è fertile, le porte sono aperte, affinché nel Pds e in generale nella sinistra i cattolici diventino più visibili di quello che sono. E poi oggi non è escluso che anche un cattolico possa diventare segretario nazionale del partito. D'altra parte D'Alema ha capito che, senza una presenza forte dei cattolici, accanto a forze di tradizioni diverse, il Pds non potrà mai essere un partito di governo a pieno titolo. (CR 504/03/MA9S) Secondo Bertinotti, il dialogo da sempre è stato “un punto essenziale della crescita della sinistra”, giovandosi di coscienze cattoliche. Un confronto che il segretario di Rifondazione comunista vuole portare soprattutto sul campo delle tematiche dello stato sociale, che “va difeso dallo stato liberista fonte di grandi disuguaglianze”. Gli alleati di questa "operazione” Bertinotti vuole trovarli nell’Arcipelago vastissimo di forze sociali, civili, associative": in "tutte le culture critiche del primato del mercato - e qui cita anche Giovanni Paolo II -,          tutte quelle culture che non accettano che il primato del mercato si manifesti in un aumento della disoccupazione e della povertà. Bertinotti è consapevole "che le due posizioni che egli vuole alleate sono diverse tra loro perché si tratta di due ruoli diversi; ma quello che auspica è che queste culture critiche del capitalismo (più soft quella del papa, più radicale la sua) mantengano aperto il dialogo” (cfr. Adista, cit.). (CR 509/021M97)

CR 485102  ELEZIONI POLITICHE: il PDS applica la strategia gramsciana della conquista del potere. I comunisti applicando la strategia gramsciana della conquista del potere, hanno egemonizzato il nuovo governo, sia quantitativamente che qualitativamente: ben nove ministeri su venti sono andati al PDS, dei quali tutti molto importanti. Grande cura hanno messo nell'occupare, oltre agli importantissimi ministeri dell'interno e delle Finanze, anche tutti quelli culturali. Il che assicura loro tutto il controllo sulla formazione delle future generazioni, sul cinema e sulla cultura, in genere, quello su tutte le attività produttive, ricerca scientifica compresa, nonché quello sulle forze di polizia" (cfr. Il Giornale, 19 maggio 1996). Per gli ingenui che ancora credono nella favola dei comunisti oramai cambiati e diventati “buoni” valga l'esempio di una delle prime, sintomatiche, iniziative dei discepoli dell'on. D'Alema: l'abolizione, nella denominazione del ministero affidato alla pidiessina Livia Turco, della parola “famiglia”. Come gia espresso nelle premesse. Quello della denominazione del nuovo ministero non è soltanto una questione di forma. "La questione è ritenuta così rilevante, e non solo dal punto di vista simbolico, che venti dirigenti donne della Cgil hanno spedito una lettera a Prodi e Veltroni apposta per silurare la parola “famiglia”; (cfr. il Manifesto, 9 maggio 1996).  (CR 4851021BE96)

CR 542104 COMUNISMO: i valori della Sinistra. All'ultimo festival nazionale dell'  Unità, organo ufficiale del PDS, sono stati simulati amplessi omosessuali davanti a una platea di duemila giovani scatenati.(20 settembre 1997, n. 542 Corrispondenza romana) E' accaduto a Reggio Emilia, quando nello spazio "Tunnel" gestito dai giovani del PDS era in programma un dibattito dal titolo: "Il comune senso del pudore". Un gruppo di ragazzi e ragazze si è esibito in una sfilata di abbigliamento intimo, con abiti così succinti e trasparenti da essere praticamente nudi; poi sono stati simulati amplessi etero e omosessuali. L'iniziativa è stata promossa dal locale club dell'Arcigay, che l'ha poi commentata positivamente. "Non se ne può più del clima moralista che si respira nell'Ulivo solo per tenersi tuoni i cattolici” ha dichiarato Stefano Pieralli, iscritto all'Arcigay e al PDS. Stefano Pieralli è attivista della prima sezione "gay” della Quercia, la "Pier Vittorio Tondelli" di Reggio Emilia. (cfr. la Repubblica, 5 settembre 1997).

-CARATTERE ILLIBERALE ED ANTIDEMOCRATICO- Il 20 settembre 1995 i progressisti, abituati al trasformismo e alla partitocrazia hanno presentato una mozione alla Camera dei Deputati, al fine di rendere nullo il voto dell'Insegnante di Religione in sede di scrutinio. Ma nulla e già più democratico che avere o non avere la possibità di avvalersi o non avvalersi di questo insegnamento. Hanno umiliato la democrazia:

- progressisti; - rifondazione comunista; - lega di Bossi; - si sono astenuti i deputati del PPI di Bianco che hanno venduto i loro ideali per trenta denari. Nulla è storicamente più ridicolo dell'espressione "cristiani di sinistra"! Denunciamo:

-  il dispregio dei progressisti nei confronti delle scelte del popolo italiano; -  lo stravolgimento della presente normativa; -  la insensibilità per i diritti democratici di alunni, genitori ed insegnanti; - la logica coerente della dittatura comunista oggi incarnata dai progressisti. E' proprio vero :"il lupo perde il pelo ma non il vizio". Perché l'Ulivo illude l'elettorato cristiano e poi lo pugnala alle spalle!

PROPOSTA DI RIORDINAMENTO DEL SETTORE: 1- UNIVERSITÀ TEOLOGICHE STATALI. 2- stato giuridico per gli Inseg. di Religione.

CR 497/06 INFORMAZIONE LIBRARIA: il "postmoderno" come ideologia del regresso. Sviluppando alcune osservazioni apparse su quotidiani nazionali e locali, lo studioso genovese Piero Vassallo, già collaboratore del cardinale Siri, ha pubblicato un saggio intitolato L'ideologia del regresso (D'Auria Editore, Napoli 1996, £ 32.000). Gettando luce sul filone di pensiero cosiddetto postmoderno, che pretende di sancire la fine delle ideologie, l'autore fa vedere come esso costituisca in realtà una ideologia, neppure tanto nuova, promossa anche in Italia da influenti circoli intellettuali e politici e diffusa dai mass-media, particolarmente dalle televisioni e dalla casa editrice Adelphi. Questa ideologia non fa che ripresentare i vecchi errori del pensiero rivoluzionario hegeliano-marxista riciclandoli in una prospettiva non più razionalistica e costruttrice, ma irrazionalistica e distruttrice che, basandosi su una falsa "sacralità" e promuovendo l'immoralismo più perverso, punta all'autodistruzione dell'uomo, visto che non è riuscita a costruire "l’uomo nuovo" il "progressismo, si rovescia così in regressismo", trasformando le reali sconfitte del pensiero forte nelle finte vittorie del nuovo pensiero debole". La pericolosità specifica di questa corrente culturale sta nell'intenzione dichiarata d'influenzare soprattutto gli ambienti conservatori e di destra, per impantanarli nella deriva libertaria, avvelenandoli con un pensiero e una mentalità che non permette vie d'uscita dalla crisi del nostro tempo. A queste estreme seduzioni, l'autore contrappone l'unica soluzione possibile: il ritorno al senso della realtà e della moralità, la riconversione al Cristianesimo.(CR 497/0611D96)

-COMUNISMO INTERNAZIONALE-

FRANCIA: Collaboratori di Jospin. Francois Lyotard e Bernard-Henri Lévy; tra i tecnocrati Jean Pisani-Fery, già membro della Commissione europea di Bruxelles e Pierre-Alain Muet, molto vicino a Jacques Delors; tra i giornalisti Jean-Marie Colombani di Le Monde e Alain Duhame, di Europe 1; tra i politici stranieri, Habib Tiam, già primo ministro del Senegal, Tony Blair, neo-primo ministro laburista inglese e Massimo D'Alema. "Il PDS di Dalema - si legge sul settimanale francese L'Express - è certamente la formazione alla quale Jospin si sente più vicino (cfr. L’Express n. 2396 dal 5  giugno 1997).

CECOSLOVACCHIA CR 509/04: il Parlamento ceco non restituirà i beni ecclesiastici rubati a suo tempo dai comunisti. Il Parlamento della Repubblica Ceca ha approvato una risoluzione proposta dai socialdemocratici contro la restituzione dei beni ecclesiastici nazionalizzati dal regime comunista. (n. 509    Corrispondenza romana 1997)

RUSSIA - CR 530/04 COMUNISMO: i bambini prime vittime della crisi morale ed economica russa. Dati sconvolgenti sulla situazione dei minorenni in Russia, raccolti da Valentina Aktiubina, presidente del Comitato Parlamentare per i Giovani costituito dalla Duma, sono stati recentemente resi di pubblico dominio. Il crollo dell'assistenzialismo statale ha rivelato che la società civile, distrutta da 70 anni di comunismo, è incapace di reggersi in piedi ed è in piena marcescenza (14 giugno 1997, n.530     Corrispondenza romana). Su 138 milioni di bambini russi, ben 14 milioni patiscono cronicamente la fame; 4 milioni vivono per strada dedicandosi all'accattonaggio e vendendosi (spesso prostituendosi) a chiunque assicuri loro un pasto; 2 milioni soffrono di patologie gravi, per cui la mortalità infantile è alta.

CUBA CR 509/03 DIALOGO: Bertinotti rende omaggio a Castro. Dopo il congresso di Rifondazione comunista, Bertinotti è volato a Cuba a rendere omaggio al dittatore Fidel Castro. Anche li non ha perso occasione per lanciare un'altra esca al mondo cattolico (cfr. CR 509102). Commentando le iniziative diplomatiche per preparare la visita di Giovanni Paolo II a Cuba, che sono poi state coronate dal successo, il leader di Rifondazione comunista ha detto: “la mutata scena politica che può permettere questo incontro. Fidel e Woityla hanno detto e dicono no al linguaggio unificato. Parlano, tuttavia, una lingua comune. Per questo sono portati a capirsi e a parlarsi" (cfr. Corriere della Sera, 2 gennaio 1997). "E' sufficiente leggere gli ultimi discorsi di Fidel e del Pontefice - ha proseguito Bertinotti - per capire gli interessi comuni, Castro è oggi la voce del Terzo Mondo e la Chiesa apre di più nei confronti dei paesi poveri. La gente che soffre, i bambini che muoiono e la corsa folle agli armamenti sono le idee centrali per questi due grandi leader" (cfr. Corriere della Sera, cit.). L'interesse del dittatore comunista alla visita del Papa, secondo Bertinotti è questo: "Cuba ha bisogno che venga rimosso il blocco americano” (cfr. Corriere della Sera, cit.)(CR 509/031M97)

PERÙ CR 509105 COMUNISMO: lo scrittore Vargas Liosa denuncia i metodi dei rupac Arnaru. Il quotidiano la Repubblica del 27 dicembre 1996 ha pubblicato un articolo del noto scrittore sudamericano Mario Vargas Liosa, di commento alla vicenda del recente sequestro degli ostaggi da parte dei guerriglieri comunisti Tupac Amaru. Vargas Liosa fu candidato del Centro Destra alle elezioni peruviane contro il candidato del Centro Sinistra Alberto Fujmori: quest'ultimo, eletto Presidente, ha poi seguito una politica dittatoriale di stampo tecnocratico. Lo scrittore ha voluto correggere un errore di impostazione in cui sembrano essere caduti i media nordamericani ed europei nella informazione sul terrorismo in PERÙ. TV e stampa infatti, mentre hanno correttamente descritto metodi e principi del gruppo sendero Luminoso, composto da sanguinari guerriglieri anarcotribalisti che si rifanno all'esplosione anarchica della “Rivoluzione culturale” di Mao Tse Tung e al ritorno alla foresta propugnato dai Khmer Rossi di Pol Pot in Cambogia e che si appoggiano ad alcune bande di narcotrafficanti, invece, riguardo al MRTA (Movimento Rivoluzionario Tupeo Amarti), si sono limitati a sottolineare il suo fondamento ideologico socialcomunista e l'ambizione a costituirsi in partito e a conquistare così le istituzioni politiche peruviane. Ma, se è vero che tra Sendero Luminoso ed il MRTA vi sono nette differenze ideologiche; scrive Vargas Liosa, se si considerano i loro metodi - che sono ciò che realmente conta, in quanto definiscono un movimento politico - queste differenze diventano praticamente invisibili. Se è vero che le vittime del MRTA sono state finora meno numerose di quelle dei senderisti, continua lo scrittore “non è grazie alla maggior benignità di questo gruppo ma per il minor numero dei suoi componenti e la sua minore capacità di nuocere. Ma fin dalla sua fondazione, che data dal 1983, la storia dell'MRTA è impregnata di sangue innocente e di cadaveri, di assalti e rapimenti a scopo di estorsione, di violenze di ogni genere, e caratterizzata da un'alleanza organica con i narcotrafficanti dello Huallaga, ai quali presta da molti anni la sua protezione armata. E’ possibile; conclude lo scrittore peruviano, "che il mio giudizio pecchi di soggettività, dato che un commando dell’MRTA tentò di finirmi insieme con i miei familiari all'aeroporto di Pucallapa, durante quella campagna elettorale; e poiché non ci riuscì, si accontentò di crivellare di colpi alcuni contadini che lo aveva scoperto. Certo è che mi sembra una grottesca aberrazione applicare l'aggettivo 'moderato' a un movimento che in nome del futuro paradiso socialista ha commesso innumerevoli assassini e si è specializzato in sequestri a scopo di estorsione".

(CR 509/051AB97)(4 gennaio 1997, n. 509    Corrispondenza romana)

CR 510102 COMUNISMO: i complici dei Tupac Amaru. Il nucleo peruviano della T.F.P. (Associazione per la difesa delta Tradizione, Famiglia e Proprietà) Il 30 dicembre scorso ha pubblicato un manifesto nel quale analizza la vicenda dell'assalto dei guerriglieri comunisti Tupac Amaru alla residenza dell'Ambasciatore del Giappone a Urna e del sequestro di centinaia di ostaggi (Cfr. CR 509105, 4 gennaio 1997). Molti spiriti superficiali - si legge nei manifesto  hanno immaginato che con il crollo dell’ex Unione Sovietica e con il generale discredilo della ideologia marxista - inclusa la sua versione ecclesiastica, nota come “teologia della liberazione” - la sovversione in America Latina in generale e nel PERÙ in particolare avrebbe perduto slancio e motivazioni. La realtà comprova che il comunismo non solo non è diminuito in fanatismo e virulenza, ma che al contrario, come avvertiva vent'anni fa il Don. Plinio de Oliveira nella terza parte del suo celebre saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, sta subendo una metamorfosi sia verso una forma sempre più estremistica che come rivoluzione culturale. Questa oggi sovverte tutti i valori sociali e familiari; e questo senza abbandonare, nelle nazioni in cui risulti strategicamente conveniente, la sua implacabile oppressione tirannica o i suoi metodi terroristici di rivolta e destabilizzazione. Di ciò è un esempio il recente assalto alla residenza dell'Ambasciatore del Giappone, effettuato dai guerriglieri Tupac Amaru, che operano in stretta relazione con altri gruppi terroristici andini. Tutti questi gruppi possono contare sulla mal dissimulata complicità del regime comunista cubano, esattamente come dieci, venti o trent'anni fa. Particolarmente rivelatore in questo senso è il comportamento mantenuto sul caso dal governo comunista castrista: “fino ad ora esso è l’unico Paese dell'America Latina che non ha condannato l'attacco terrorista, né espresso alcuna forma di solidarietà pubblica verso il governo peruviano né verso le vittime del sequestro. “Questo silenzio - si legge ancora nel manifesto - dimostra, molto più eloquentemente di molti discorsi, che il castrismo continua ad essere così radicalmente comunista come quando, negli anni sessanta, la "Conferenza Tricontinentale; svoltasi a Lavana sotto gli auspici di Fidel Castro, decise di promuovere la violenza sovversiva in tutta l'America Latina. Se rimanesse qualche dubbio su questo, esso dovrebbe essere stato dissipato qualche settimana fa, quando Castro è stato ricevuto da S.S. Giovanni Paolo II, in udienza privata: molti sperarono che il gesto papale desse impulso ad un ammorbidimento della tirannia comunista che opprime l'isola, verso il riconoscimento di tutte le libertà e garanzie individuali vigenti nelle nazioni civili fino ad ora negate in Cuba, come i diritti di associazione, informazione, insegnamento, proprietà privata, libera iniziativa ecc.. Vana speranza: non appena tornato da Roma e meno di una settimana dopo l'udienza papale, Fidel Castro si proclamò "orgoglioso di essere comunista; affermò che nulla è possibile senza il socialismo e respinse quelle che qualificò come "espedienti" di democrazia, affermando in maniera tagliente che non avrebbe liberalizzato il regime: il partito che dirige la Rivoluzione è sufficiente e basta! La T.F.P. peruviana conclude il manifesto esortando a "saper resistere alla tentazione di smobilitare di fronte ad un avversario che non conosce la parola tregua nei confronti della Rivoluzione anti-cristiana". (CR 51 01021AA97) (11 gennaio 1997, n. 510   Corrispondenza romana)

VIETNAM - CR 550103 ANTICOMUNISMO: rivolta cattolica.  In Vietnam, anche dopo la vittoria militare comunista del 1975, il problema del rapporto tra regime e minoranza cattolica (11% della popolazione) è lungi dall'essere risolto: le continue vessazioni contro il clero ed i fedeli hanno portato all'esasperazione gran parte della comunità. Ne sono prova i recenti incidenti avvenuti a sessanta chilometri da Ho-Chi-Minhville (già Saigon), nella provincia di Dong Nai: migliaia di dimostranti cattolici si sono scontrati con la polizia che cercava di reprimere la protesta contro l'esproprio di terreni agricoli promosso dal presidente della provincia, ed in generale contro il dilagante fenomeno della corruzione governativa. Secondo il quotidiano comunista il manifesto del 11 novembre 1997, il nuovo vescovo vietnamita Nguyen Minh Nhat ha cercato invano di impedire gli scontri. Negli incidenti sono rimasti feriti molti tra dimostranti e miliziani comunisti.

CAMBOGIA-CR 485/03 COMUNISMO: si alza un primo velo sulla tragedia cambogiana. "Oggi uccisi anche 168 bambini per un totale di 178 nemici sterminati", si legge in una nota a margine di un rapporto giornaliero di Tuoi Sleng, la più tristemente nota prigione dei Khmer Rossi, ritrovato, tra tanti, dall'équipe della università di Yale che da due anni conduce una ricerca per conto della Commissione americana per il Genocidio Cambogiano (American Cambodian Genocide Justice Aci) sui crimini perpetrati dal regime comunista cambogiano dei Khmer Rossi negli anni che vanno dal 1975 al 1979. "C'è una massa incredibile di dati "ha raccontato Craig Etchison, responsabile dell'indagine, di (The Economist 6 aprile 1996). "Erano incredibilmente meticolosi, ci danno fatti concreti laddove prima c’erano solo ipotesi (...) Abbiamo le prove che commettevano crimini e che sapevano quello che stavano facendo". Il  team di Yale andando in Cambogia si aspettava di trovare circa 200 fosse comuni. Dopo aver controllato solo sette delle 22 provincie della Cambogia, usando anche satelliti Australiani, gli investigatori ritengono probabile che le fosse comuni siano state circa 20.000, alcune delle quali contenenti diverse migliaia di vittime. Le indagini evidenziano che 'i massacri di massa non erano eccessi impulsivi di una armata popolare di illetterati, ma uno sforzo sistematico condotto da una raffinata burocrazia" dei quali "la macchina amministrativa di Pol Pot ne ha tenuto un archivio meticoloso, spesso stampato in triplice copia" (cfr. The Economist, cit). Il prof. Etchison afferma che le informazioni fin qui raccolte sono già sufficienti per aprire un processo contro i capi dell'organizzazione comunista dei Khmer Rossi, ma che la mole dei documenti eccede di gran lunga le risorse economiche stanziate per la ricerca, che, se non si troveranno altri fondi, rimarrà incompleta.(25 maggio 1996, n.485     Cor. romana)

CR 488102 COMUNISMO: una certa Sinistra non rinnega Pol Pot. Le recenti notizie sulla probabile morte del feroce dittatore comunista cambogiano Pol Pot, hanno riportato di attualità la questione delle stragi perpetrate dai Khmer Rossi alla fine degli anni '70, quando venne freddamente pianificato ed attuato il massacro del popolo cambogiano, con milioni di vittime. Il comunismo radicale di Pol Pot ha però ancora degli adepti, persino in Europa. Lo storico francese dean Lacouture "non se la sente di pronunciare un categorico mea culpa per la cecità della sinistra europea nei primi anni '70, quando Pol Pot era considerato un liberatore' 'io sono stato troppo lento a reagire -dice Lacouture- Ma mi chiedo: bisogna oggi rinnegare l'azione dei comunisti nella Resistenza italiana e francese a causa di Stalin? Bisogna situarsi nella storia"  (cfr. Corriere della Sera, 8 giugno 1996). "Non rimpiango - afferma ancora lo storico - di aver scritto in favore dei partigiani che lottavano per scacciare Lon Not. Era, ripeto, un agente americano. Noi non sapevamo ciò che accadeva realmente durante la guerra partigiana. E poi perché rimpiangere visto che i comunisti in Cambogia rappresentavano la verità contro l'occupazione straniera? Insisto: i partigiani comunisti italiani non erano nel giusto attaccando i fascisti di Salò? Bisogna rinnegare le azioni dei comunisti nella Resistenza perché sullo sfondo si annunciava Stalin? Eravamo per Stalin a Stalingrado. Non avremmo dovuto perché si sarebbe trasformato in un criminale?" (cfr. Corriere della Sera, cit.). (CR 488/02/BF96)

CINA

I GRANDI DITTATORI DELLA STORIA:(liberamente sintetizzato da videoteca il borghese) "Il potere nasce dalla canna del fucile" Mao Tse Tung (1893-1976)

Nel 1927 un oscuro agitatore cinese scrisse: "fra breve svariate centinaia di milioni di contadini si solleveranno come un tornado, una forza così grande rapida e violenta che manderà nella tomba tutti gli imperialisti, i signori della guerra, gli ufficiali corrotti, i prepotenti locali e i nobili malvagi, tutti i partiti e compagni rivoluzionari dovranno sottoporsi al suo giudizio". Mao Tse Tung disse queste parole, uno dei più sanguinari, anche se potenti, dittatori della storia. Mao Sintetizzò la sua filosofia nella frase "il potere nasce dalla canna del fucile".  Nel 1893 governa la dinastia Manciù, ma il paese è in preda al caos. In questo caos per Mao inizia il suo cammino politico. La lotta per il potere, contro il vecchio regime, cominciò con una rivoluzione nazionalista. Chiang Kai-shek e Mao erano due esponenti di spicco di questo movimento, ma le loro divergenze su come affrontare e risolvere la situazione politica si faranno inconciliabili fino ad aprire una lunghissima guerra civile.

Mao si considerava marxista e fu tra i dodici uomini che fondarono il partito comunista cinese. Inizialmente incitati da Mosca i comunisti collaborarono con i nazionalisti di Chiang Kai-shek nella lotta per trasformare la Cina in uno stato moderno. Mao si occupava dei contadini ad iniziare da quelli della sua provincia, mentre Chiang Kai-shek operava nelle città. Ma quando ben presto scoppiarono disordini, tra i sostenitori di Mao e Chiang Kai-shek, che provocarono migliaia di morti, Mao era già lontano. Il suo istinto opportunista lo salverà diverse volte. L’espansionismo cinese si rese minaccioso e i governi occidentali inviarono le loro truppe per proteggere i loro interessi. Mao si era rifugiato nella remota provincia di Jiangxi nella quale venne proclamata la Repubblica Cinese dei Soviet. Mao consolidò il suo potere con una accorta propaganda, con il terrorismo e con l'uso di una brutalità inimmaginabile che giunse a far interrare vivi migliaia di oppositori. Intanto Chiang Kai-shek presiedeva il governo centrale di Nanchino e voleva sconfiggere i comunisti prima di impegnarsi nell'inevitabile scontro con il Giappone. Mao si sentì in trappola consapevole di non poter fronteggiare le armate di Chiang Kai-shek con la sola fanteria leggera. Decise allora di agire, inizia così "la grande marcia" l'evento leggendario quanto crudele che lo porterà al potere. Mao la iniziò alla testa di centomila cinesi, appena un terzo di loro arrivò alla fine, compirono 9000 Km impiegando più di un anno, la sua destinazione era Hunan, la sua provincia, nel Nord Ovest del paese, dove Mao stabilì il suo governo per i successivi dieci anni. La pressione fiscale che esercita sui contadini è terribile viene prelevato il 35% del raccolto. Cura l'esportazione dell'oppio. Una delle sue armi fu la propaganda, ma nulla trapelava ufficialmente sui suoi metodi oppressivi. Mentre il peso della guerra ricadde sui seguaci di Chiang Kai-shek, Mao poté consolidare il suo potere. Dopo la seconda guerra mondiale la tregua imposta dagli americani tra Mao e Chiang Kai-shek fu presto interrotta. Chiang (aiutato dagli americani che trasportarono le truppe con aerei) organizzò le sue truppe in Manciuria e da qui incominciarono i combattimenti. Fu però Mao a vincere marciando verso Sud fino alla conquista di Pechino. I nazionalisti e i loro sostenitori furono presi dal panico, nel Sud del paese come reazione alle fucilazioni il massa operate da Mao ai danni dei nazionalisti, anche Chiang Kai-shek ordinò di fucilare in piazza i sostenitori dei comunisti. Mentre Mao avanzava verso Sciangai il panico si diffuse anche tra gli stranieri. Le atrocità commesse dai comunisti spinsero migliaia di persone nei porti in cerca di un imbarco. Nella lunga lotta Mao era uscito vincitore. Iniziava un regime cupo e drammatico in cui l'assassinio diventava metodo di governo. In cinese LUAN significa caos anarchia. Mao credeva nel LUAN una forma di forza che paradossalmente poteva produrre ordine. Maggiore il caos, maggiore l'ordine che ne deriva basato sulla violenza e il terrore. Il 1 ott. 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese e fu riconosciuta da tutte le nazioni ad eccezione degli Stati Uniti. Gli esperti di politica cinese trattenevano il fiato nell'attesa di vedere cosa avrebbe fatto Mao. Ma nel novembre 1950 Mao dichiara pubblicamente: "Noi dobbiamo uccidere tutti quei reazionari che meritano di essere uccisi". Fonti ufficiali maoiste informano che tra il  49 e il 52 due milioni di banditi sono stati liquidati poco importa se tra questi sono inclusi oppositori intellettuali che vengono considerati testualmente "nemici del governo popolare". Il regime si struttura in un'onnipresente struttura di controllo: 5.500.000 miliziani; 3.800.000 attivisti e propagandisti; 75.000 informatori. La polizia politica conta oltre 1.200.000 uomini. Intanto dilaga il culto della personalità a vantaggio del grande timoniere. I libretti rossi, i distintivi obbligatori per tutti, gli slogan e le frasi ad effetto. Tutti gli stranieri sono considerati barbari. Il governo Tibetano in esilio ha accusato la Cina di aver operato 1.200.000 vittime cioè un tibetano su quattro. Tra gli anni 50 e 60 centinaia di migliaia di tibetani furono internati nei campi di concentramento maoisti. La denuncia del Dalai Lama fu raccapricciante: "I tibetani non sono soltanto stati fucilati, ma picchiati a morte crocifissi, seppeliti vivi, mutilati strangolati, decapitati uccisi nell'acqua bollenti, testimonianze credibili raccontano di feriti lasciati divorare dai cani randagi.". Le truppe cinesi distruggevano le immagini dei Budda sostituendoli con il ritratto di Mao. In indocina l'influenza cinese si spinge fino a SAIGON. I rapporti internazionali erano pessimi, lo stesso Crusciof, succeduto a Stalin mostrava diffidenza verso il lider cinese. Mao proseguì la sua politica di assoluto disprezzo per i diritti umani e civili e promosse sempre espropriazioni e purghe nelle grandi città e una riforma agraria basata sull'odio di classe. Odio per i latifondisti e la proprietà privata, l'odio a cui fu permesso di giustificare esecuzioni capitali. Intanto in occidente molti sprovveduti si convincono che il regime marxista maoista sia infinitamente più umano e popolare di quello staliniano, si determinano così anche in ambiente non comunisti   pericolose conclusioni  riguardo alla vera natura sanguinaria del regime di Mao. Prosegue infatti la repressione, centinaia di migliaia di imprenditori vengono imprigionati vengono arrestate centinaia di migliaia di cosiddette spie. Soprattutto gli ecclesiastici vengono definiti spie, tra cui un vescovo italiano condannato all'ergastolo, i missionari cattolici passarono da 5500 a una decina. Mao stesso ammette nel 1957 800.000 esecuzioni. In maggio-giugno promuove la "liberalizzazione dei cento fiori" in cui consente agli intellettuali di poter esprimere liberamente il loro pensiero e il loro dissenso, in realtà ciò serviva a Mao per stanarli e reprimerli ferocemente attraverso le crudeli guardie rosse. Anche le teorie economiche maoiste si rivelarono un completo fallimento, al punto da essere contestato dagli stessi compagni di partito. Inizialmente Mao incoraggiava le critiche per individuare e colpire chi dissentiva . Uno dei più grandi errori di Mao, forse il più tragico, fu il cosiddetto "Grande balzo in avanti". Tutti i cinesi vennero invitati a creare piccole industrie modello in grado di moltiplicare enormemente la produzione. Gli osservatori stranieri le ridicolizzarono subito chiamandole "acciaierie da cortile", l'esperimento fu disastroso e provocò la più grande carestia ideologica mondiale "tre anni di sforzi e privazioni e mille anni di felicità" recitava lo slogan dell'epoca. La gente moriva di fame, chi protestava veniva affidato agli attivisti che incominciarono a seppellire vivi i dissidenti e a torturarli con il ferro rovente. La carestia incalzava tra il 59 e il 61 morirono in Cina di stenti miseria e inenarrabili violenze politiche 30-40 milioni di persone. La rivoluzione culturale, che seguirà a questo periodo, rappresenterà un'altro capitolo sanguinoso e crudele di repressione. Mao risparmia solo le forze armate e gli esperimenti scientifici concentrati sugli armamenti nucleari: "I capitalisti sono la pelle, gli intellettuali sono i capelli che spingono sotto la pelle,  ma quando la pelle muore non ci sono più capelli". Il fanatismo degli studenti maoisti genera fra il mezzo milione e il milione di morti. Mao quando muore è riconosciuto il padre morale della rivoluzione. Nel 75 avremo in Cina una nuova costituzione. In settembre 1976 Mao Tse Tung muore, ma ancora oggi le nuove generazioni sono soggette ad un regime da lui ideato e a un partito da lui fondato. Nel 1987 il Tibet conoscerà ancora la repressione cinese. 1989 migliaia di studenti e oppositori perderanno la vita in piazza Tienanmen. Sulla democrazia politica e sulle libertà umane in Cina grava ancora l'ombra minacciosa di Mao Tse Tung, il grande timoniere.

CR 491/04 COMUNISMO: dissidente cinese critica la politica distensiva dell'Occidente. Harry Wu, uno dei dissidenti cinesi più noti, che ha passato diciannove anni in uno dei campi di concentramento dell'arcipelago del goulag cinese, il Laogai, ha rilasciato un'interessante intervista al settimanale francese L'Express (n. 2344 semaine du 6 a 12 juin 1996) sulla situazione del regime comunista cinese e sui rapporti della Cina con l'Occidente. Riportiamo di seguito l'intervista. D. Come giudica la politica americana nei confronti della Cina, che alterna minacce a concessioni? R. L'Occidente vede nella Cina soltanto un grande mercato in via d'espansione. Ma nessuno sembra accorgersi che il comunismo di Pechino è oggi un fattore di destabilizzazione maggiore sia in Asia che nel mondo: l'abbiamo visto per Taiwan e per Hongkong. Senza parlare del sostegno alla dittatura birmana, sul dominio politico ed economico crescente sul Laos e sulla Cambogia, della vendita di armi all'Iran. D. Perché queste notizie così vaghe sugli arresti in Cina? R. Il primo obiettivo della repressione è quello di vigilare sulla stabilità del socialismo. Inoltre, quei 6-8 milioni di prigionieri possono peraltro, per il loro lavoro forzato, arricchire il paese. Si sa che il the, le calzature, i macchinari "made in China" venduti in Francia vengono dal Laogai? D. Come vede il dopo Deng? R. Io sono pessimista. Anche nel caso che i comunisti se ne andassero domani, la loro partenza non segnerà l'ora della democrazia. Una pesante tradizione di totalitarismo pesa su questo paese. Un lungo, lunghissimo viaggio attende la Cina(CR 491 /04/8F96).

CINA

- Don Giovanni Bosco, in uno dei suoi sogni profetici, aveva visto la Cina e, sopra di essa, due calici pieni di sudore e di sangue. A metà febbraio 1930, Mons. Versilia era partito da Shu Chow in visita pastorale per Lin Chow. Lo accompagnavano don Callisto Caravario, due maestri con le rispettive sorelle, una catechista ed un bambino di 10 anni. Percorsero un tratto in treno, poi noleggiarono una giunca per circa sei giorni di viaggio. Il mattino dopo la partenza, un gruppo di pirati comunisti intimò loro l'alt: chiedevano ai due missionari 500 dollari. Una cifra favolosa che essi neppure sognavano di possedere. "Se non avete soldi, dateci le ragazze" - proposero quei delinquenti. Mons. Luigi e don Callisto opposero un netto rifiuto alla proposta indegna. Quelli contrattaccarono vomitando il loro odio per il cattolicesimo e per ogni religione. Picchiarono selvaggiamente i missionari. Poi parodiarono un "processo" contro "i diavoli stranieri e la loro religione". Seguì la sentenza di morte. Legati insieme, i due salesiani furono condotti in un bosco vicino e fucilati barbaramente. Così caddero il 25 febbraio 1930, sotto il piombo dei comunisti, i due martiri della fede. Le loro salme recuperate qualche giorno dopo, furono portate a Shiu Chow. Al rito funebre imponente parteciparono anche i non-cristiani. Le autorità civili accompagnarono le bare. Il mandarino tenne il discorso: "E' meravigliosa la Chiesa cattolica che da alla società uomini simili, vittime del dovere, pronti a sacrificare la vita per i loro figli spirituali". Don Versiglia quando ricevette un calice in dono presagì il suo martirio, mettendolo in riferimento al sogno di S. Giovanni Bosco, fondatore dei salesiani, "Tu mi porti il calice visto dal Padre..., tocca a me riempirlo di sangue per adempiere la visione". E quel giorno di martirio, Mons. Versiglia e don Caravario, dopo aver alzato al cielo tante volte il calice del sangue di Cristo, innalzarono il calice colmo del proprio sangue( G. Bosio, Martiri in Cina, LDC, Torino, 1977).

472103 COMUNISMO: condannati in Cina cinque esponenti della "Legione di Maria" Si è appreso solo ora (cfr. Asia News, n. 1, gennaio 1996) che il 12 aprile 1994 il Tribunale popolare di Wenzhou, nella provincia cinese dello zhejlang, ha condannato a pesanti pene detentive alcuni cinesi appartenenti all'associazione cattolica Legione di Maria. Li Oingming è stato condannato a 10 anni di prigione e di privazione dei diritti politici, Zhang Zhiquan e Li Huizhen a 7 anni di prigione e ad 8 di privazione dei diritti politici, Chen Mingzhang a 5 anni di prigione e di privazione dei diritti politici e Shen Ronggen a 3 anni di prigione e 5 di privazione dei diritti politici. I cinque sono stati accusati di "attività controrivoluzionaria" per aver fatto parte della Legione di Maria. Nella sentenza si legge che i condannati “hanno iniziato a fine 1981 ad organizzare clandestinamente la Legione di Maria, organizzazione religiosa reazionaria "la cui influenza è profonda e perniciosa”. Coprendosi con la credenza cattolica, -secondo il tribunale popolare comunista- la Legione di Maria presenta un’organizzazione solida, ruoli precisi, attività intense e un’ambizione controrivoluzionaria deliberata, i suoi appartenenti "si radunavano spesso e clandestinamente” e seguivano "i principi antirivoluzionari di libertà, di credenza religiosa, libertà di espressione politica, libertà di insegnare la religione e libertà di radunarsi, salvare la Cina con il cattolicesimo(CR 472/03IB B96).

CR 546/02 COMUNISMO: si intensifica la persecuzione anticattolica in Cina. L'8 ottobre scorso, la polizia comunista ha nuovamente arrestato S.E. Mons. Su Zhimin, vescovo cattolico di Baoding, nella regione dello Hebei (Cina Nord-Orientale). Lo ha rivelato il Cardinale Kung Foundation in una dichiarazione inviata via fax agli organi di informazione, nella quale si precisa che il vescovo è stato arrestato per aver rifiutato di disconoscere l'autorità del Papa. Mons. Su, 62 anni, ha già trascorso 20 anni nelle carceri comuniste. Il suo ultimo arresto risale al maggio del 1996, durante un'operazione repressiva nel corso della quale era stato distrutto il santuario mariano dedicato a Nostra Signora della Cina; riuscito a fuggire, Mons. Su era rimasto nascosto per 17 mesi, fino all'ultimo arresto. Il nuovo giro di vite contro i cattolici è iniziato circa due anni or sono, quando, approssimandosi la morte di Deng Xiao Ping, il presidente Jiang Zemin, per rafforzare il suo potere con l'eliminazione di ogni organizzazione non controllata, ha programmato la distruzione della Chiesa cattolica clandestina, fedele al Papa. La campagna persecutoria prevede modalità dure, attraverso arresti di massa ed una più sottile, con diverse misure tra le quali l'obbligo di iscriversi alla "Chiesa patriottica", fondata dal regime comunista. "L'arresto di monsignor Su Zhimh di Baoding - scrive Bernardo Cerveliera sull'Avvenire del 12 ottobre 1997 - è solo l'ultimo atto di una catena di persecuzioni che la Chiesa Cattolica (e le altre religioni) stanno sperimentando in Cina. La mappa delle persecuzioni contro i cattolici in particolare è vasta quanta tutta la Cina. Attualmente vi sono almeno 26 vescovi della Chiesa fedele, non riconosciuta dal governo, in prigione, agli arresti domiciliari, sotto vigilanza o semplicemente scomparsi". La situazione più grave è quella del vescovo di Yuflang (Jiangxi), Mons. Tommaso Zheng Jingmu, 77 anni, condannato al lager per 5 anni (...) malato di polmonite. Agli arresti vi è monsignor Giuseppe Fan Zhongliang, vescovo di Shangai, visitato dalla polizia poco prima di Pasqua; e il vescovo di Jilln, Shi Hongzen. Nella lunga serie degli “scomparsi” vi è il caso drammatico di Mons. Pietro Liu Guandong, di Yixian (Hebei), fondatore della Conferenza episcopale clandestina. Mons. Liu è anziano e paralitico. Sono poi scomparsi altri 9 vescovi dell'Hebe, dove vive una forte comunità cattolica clandestina; 2 vescovi dell'Henan; 2 vescovi del Gansu; 2 vescovi di Tiantin: altri subiscono forti pressioni dalla polizia. La persecuzione, come sempre accade, fa fiorire la comunità cattolica, contro le intenzioni dei persecutori. Dal 1949, data della presa del potere da parte dei comunisti, i cattolici sono quasi quadruplicati: secondo stime dell'agenzia internazionale Fides, essi sono attualmente 12 milioni.

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“I popolari rappresentano una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo (...) Il cattolicesimo democratico fa ciò che il consumismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida. (...) I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin”. Antonio Gramsci

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-STRATEGIE POSTCOMUNISTE-

I lider del Pds hanno sempre fatto ricorso alla strategia della doppia verità, che consente di dire tutto e il contrario di tutto. “Le leggi, la morale, la religione, (scrivono marx ed Enges) sono borghesi dietro i quali si nascondono interessi borghesi”. Cosa risponde il Pds a questi concetti marxiani? (AREA, sett. 1996).

-Prodi il Kerensky italiano?-

Liberamente sintetizzato da: “Prodi il Kerensky italiano?” Notiziario mensile degli associati al centro culturale Lepanto - per ricevere il bollettino è sufficiente inviare una quota facoltativa sul C.C.P. n. 47952007 - Roma - Via de’ Delfini, 16 -00186 - Tel. (06) 32.23.607 / Padova - Riviera Peleocapa, 10 - 35141 - Tel. (049)8715976

Corrispondenza: C.P. 6080 - Roma Prati -RM --------------------------------

Per un' Italia dei Valori Tradizionali e Familiari. Riportiamo il testo integrale della relazione di chiusura del convegno all 'Augustinianum, svolta dal prof Roberto de Mattei.

1.1 comunisti al potere oggi in Italia. Il nostro incontro viene a coincidere con un avvenimento storico: la formazione del primo governo comunista in Italia dopo la breve e infelice parentesi del centrodestra. Si dirà che si tratta di un governo di coalizione, che il governo non è guidato da un comunista, e che i comunisti di oggi non sono i comunisti di ieri. Ma sarebbe facile rispondere che se il governo fosse guidato da un comunista e se i comunisti di oggi si presentassero allo stesso modo di quelli di ieri, i comunisti non sarebbero al governo dell’Italia. Non sarebbero al governo perché l'Italia non solo non è un paese comunista, ma non è neppure un paese di sinistra, come dimostrano i dati delle elezioni del 21 aprile, che assegnano il 21,1% dei voti al PDS, e l'8,6 a Rifondazione Comunista; cioè in totale meno del trenta per cento dei voti sul totale dei votanti. E' importante sottolineare dei votanti, perché se si tiene conto degli astenuti. Il 17% del totale, che certamente non sono di sinistra, la percentuale decresce sensibilmente, è più vicina al 20 che al 30%. I comunisti per andare al governo avevano bisogno di sembrare diversi dai comunisti di ieri. Paradosso dell'Italia di oggi. I comunisti non sono andati al potere nel 1948 con Togliatti, quando avevano, con i socialisti il 31% dei voti,  non sono andati al potere nel 1976, con Berlinguer, l'anno del temuto sorpasso, quando avevano da soli, il 34,4% dei voti. Il PDS è andato al potere nel 1996 con D'Alema e Veltroni, potendo contare su poco più del 20% del consenso elettorale: uno dei suoi minimi storici dopo 1948, questi sono i fatti. Una realtà che ci spinge a chiederci: come è potuto accadere tutto questo? Che cosa accadrà ora? E noi, che cosa faremo? Cercare di rispondere a queste domande è il tema del mio intervento. Come è potuto accadere? Probabilmente anche una parte dell'elettorato moderato del Polo è convinta che i comunisti siano cambiati. E’ venuto meno il timore del comunismo dell'elettorato cattolico e moderato. L'ultima campagna elettorale è stata "deideologizzata" a sinistra e a destra, ridotta a scontro tra ricette economiche alternative: più o meno tasse, più o meno pensioni, più meno stato sociale, più o meno riforma istituzionale. Non si è parlato che in maniera eccezionale ed episodica, di valori, di concezioni ideali, di comunismo e di anticomunismo. Il padre Pasquale Borgomeo, che è il direttore generale della Radio Vaticana, in un'intervista sull'"Unità" del 6 maggio ha riassunto la situazione in questa formula:  “il 'fattore “K” è morto”. Il fattore K è il "fattore comunismo", l'elemento che consentiva alla Democrazia Cristiana di innalzare, al momento del voto un muro elettorale contro il Pci, salvo poi collaborare con esso in forma più o meno consociativa. Il "fattore K" fu il fattore che spinse Berlusconi a scendere in campo e ad unire nel 1994, contro la minaccia comunista, la sua coalizione elettorale. Oggi il fattore K è caduto, e chi lo ha fatto cadere, afferma padre Borgomeo, con una certa soddisfazione, è la Chiesa, sono i vescovi italiani. La rivendicazione del voto secondo coscienza, in seguito alla neutralità della Chiesa è da lui contraddetta. Un atto neutro è un atto che non produce effetti a favore di nessuna delle due parti. In questo caso, padre Borgomeo ammette, che le autorità ecclesiastiche hanno liberato la sinistra dal 'fattore K' permettendo così ai cattolici che egli definisce "coerenti con  l'insegnamento evangelico" di orientare i loro voti verso l'Ulivo. Aggiunge padre Borgomeo: La responsabilità delle autorità ecclesiastiche nella vittoria della sinistra non è più un mistero. Prodi, il Kerenski italiano? In cui ricordando la frase di Gramsci secondo cui "i popolari stanno al socialismo come Kerenski sta a Lenin" aggiungevamo che ciò che Gramsci non poteva immaginare era che il ruolo svolto in Russia dal 1917 dal ministro Kerenski, quello di consegnare la sua nazione al comunismo sarebbe stato svolto in Italia, oltre che dai popolari, rappresentati da Prodi, da una parte consistente del mondo organizzato cattolico, i "cristiani della linfa" cioè i cristiani progressisti, dì cui parla il cardinal Martini. Il Padre Borgomeo lo ammette e lo rivendica a loro merito. La base cattolica e moderata dell'elettorato italiano, che certamente non è comunista, è stata invitata da Prodi e dalla sua lista a rafforzare la coalizione dell'Ulivo. I responsabili del mondo cattolico non solo non hanno impedito questa operazione, ma anzi si sono preoccupati di liberare la base cattolica dal timore del comunismo. Come avrebbero potuto. in queste condizioni, i leader dello schieramento del Polo, condurre una battaglia apertamente cattolica ed anticomunista? Molti di loro, oltre tutto, come gran parte dei nostri vescovi, non credono più a loro volta al "fattore K". Come pretendere che ci credano allora gli elettori? E gli elettori si sono comportati di conseguenza. Si dice che il maggior successo del demonio consiste nel far credere che non esiste. Il maggior sforzo del comunismo, nella sua storia, è stato di far credere che non esiste un pericolo comunista. Chi ha accreditato questo sono purtroppo gli stessi personaggi ecclesiastici che dovrebbero ricordarci, e purtroppo mancano di ricordarci, l'esistenza del male e del demonio nella nostra vita e nella storia. 3. Il 'fattore K" nella storia del XX secolo

La richiesta di abbandonare il "fattore K" e con esso ogni forma di anticomunismo, è stata sempre avanzata dai comunisti.

La storia del comunismo non comincia in Russia nel 1917. Bisogna rintracciane le origini nel 1789, nel primo laboratorio politico moderno, la Rivoluzione francese, quando nasce l'utopia egualitaria destinata a tradursi nel Terrore. E' allora che nasce il socialismo, che Marx e poi Lenin cercarono di rendere "scientifico", formulando una pseudo-scienza dell'organizzazione sociale. Nel 1917 il socialismo prende con Lenin il potere in Russia. Stalin realizzò in Russia ciò che Lenin aveva reso possibile. Ma, a partire dal 1917, mano mano che si espandeva nel mondo il comunismo offriva un'immagine terrificante, che contraddiceva la sua utopia. La Russia divenne il simbolo dello Stato brutale e terrorista, e nello stesso tempo il simbolo dello Stato fallimentare, incapace di organizzarsi e di produrre. La guerra civile di Spagna, dì cui è passato sotto silenzio l'anniversario, - iniziò 60 anni fa - rivelò al mondo l’odio antireligioso del comunismo e le atrocità di cui esso sapeva macchiarsi. In Spagna, il comunismo conobbe però anche la sconfitta più clamorosa della sua storia. Alla luce di questa disfatta avvenne l'elaborazione di una nuova strategia di conquista del potere in occidente, basata più che sulla forza, sulla collaborazione con gli avversari, per spegnerne la reattività, e tra gli avversari soprattutto con la Chiesa cattolica, il nemico per eccellenza, che proprio durante la guerra di Spagna, con l'enciclica Divini Redemptoris di Pio XI, il 19 marzo 1937, aveva denunciato con parole di fuoco la natura perversa del comunismo. "Alla luce dell'esperienza della repubblica spagnola - scrive Giorgio Napolitano, esponente storico del PCI e da oggi ministro dell'interno della Repubblica italiana - si elabora, ed elabora in modo particolare Togliatti, la prospettiva di una democrazia di tipo nuovo.” E’ la “via italiana” al socialismo, pensata da Gramsci, svolta da Togliatti, perfezionata di Berlinguer e dai suoi attuali discepoli. Una strategia che ebbe la sua prima espressione nella cosiddetta "svolta di Salerno", cioè nella decisione di 'Togliatti di entrare a far parte nel 1944 del governo Badoglio. Il primo "compromesso storico italiano, quello ciellenistico durò dal 21 giugno 1945 data della formazione del governo Parri, con De Casperi e Togliatti ministri, fino al luglio 1947, quando la situazione internazionale e la ferma presa di posizione di Pio XII costrinsero De Gasperi, divenuto capo del governo, a estromettere i comunisti. Da allora Togliatti e i suoi successori adottarono una strategia basata soprattutto sul piano gramsciano di conquista della società civile, attraverso l'egemonia sulla cultura. E nel governo Prodi i comunisti controllano tutti i ministeri chiave della cultura. Il piano fu perfezionato da Enrico Berlinguer nel ‘73 con il suo saggio Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile, in cui analizzava le cause della caduta di Allende e teorizzava la necessità per i comunisti, in Italia e in Occidente, di andate al potere non da soli, ma con i rappresentanti del mondo cattolico organizzato. Compromesso storico ed eurocomunismo fallirono perché ancora esisteva in Italia una vivace reattività anticomunista.

4. Comunismo e Civiltà cristiana.

Il comunismo è l’utopia della società senza classi, cioè di una società paradisiaca che realizzi gli ideali della Rivoluzione francese: l’assoluta libertà, l’assoluta eguaglianza, la assoluta fraternità; il comunismo è l’odio per l’autorità e per la disuguaglianza naturale e sociale spinto ai suoi punti estremi. E’ la negazione più radicale che si possa immaginare della società tradizionale e cristiana; è l’espressione più compiuta che la storia abbia finora conosciuto di quel processo plurisecolare di aggressione alla Civiltà cristiana. L’ordine naturale e cristiano non è la pulizia delle strade e i treni in orario; non è la possibilità di trovare un lavoro e di formare una famiglia; non sono le scuole tranquille, lo Stato discreto ed efficiente, le forze armate rispettate, le élites (meritocrazia) alla testa della nazione; tutto questo è frutto dell’ordine naturale e cristiano, ma non è la sua essenza. Sua essenza è la gerarchia dei valori, dei beni, delle istituzioni, di ogni realtà. E' mettere al proprio posto l'uomo e Dio. L'antitesi del comunismo non è dunque la società liberale e permissiva dei nostri giorni, ma è una società ordinata, fondata ~ti principi naturali e cristiani, fondata su principi naturali e cristiani, sui valori familiari e tradizionali, perché la famiglia costituisce la base della società, il luogo dove i valori si trasmettono e dove la tradizione vive: l'antitesi del comunismo è la Civiltà cristiana.

5. La vita e la fecondità dei valori.

Parlare di società cristiana, parlare di valori tradizionali e familiari può sembrare astratto e velleitario. Il mondo cambia, la società cristiana si dissolve, i valori in cui crediamo sembrano crollare. Il neo-comunismo per giunta prende il potere. In questo orizzonte di crisi e di incertezza ognuno di noi è alle prese con i problemi concreti del presente, che non sembrano lasciare molto spazio per la contemplazione dei principi e per le battaglie ideali. Eppure, se vogliamo veramente attenerci alla realtà, c'è un punto capitale da comprendere: quello del rapporto tra la dimensione dei fatti, che è quella esterna, che colpisce i nostri sensi, e la dimensione interna, ideologica e psicologica che prepara e determina i fatti. I fatti sensibili e concreti non sono  tutta la realtà. Le idee sono altrettanto reali dei fatti e tra le idee e i fatti c'è un rapporto di causa e di effetto. Se vogliamo essere realisti non dobbiamo limitarci alla corteccia, all'epidermide della realtà: dobbiamo risalire ai principi, passare dai fatti alle idee, dalle conseguenze alla cause.     CORAGGIO! CORAGGIO! CORAGGIO! Se l'uomo ha un'anima, l'uomo può conoscere delle realtà spirituali, e il fatto stesso che l'umo possa pensare delle realtà spirituali, concetti come verità, bene, libertà, giustizia, dimostra che l'uomo ha un'anima e una natura spirituale. Perché se l'uomo fosse, come gli animali, pura materia, sarebbe incapace di conoscere  e di amare ciò che è al di fuori della materia. Ciò che è al di fuori della materia, idee come la verità, il bene, la bellezza, la giustizia, e al di sopra di tutte queste idee, Dio stesso, che è la causa prima di ogni realtà. Ciò che è materiale infatti è suscettibile del divenire, del disgregarsi, del morire. Ciò che è spirituale è al contrario, per sua natura invisibile e incorruttibile;(per questo non scoraggiatevi: coraggio!) non può disgregarsi e corrompersi, in una parola non può morire. Le realtà spirituali non solo sono reali, ma immortali, senza fine e dunque non possono conoscere né decomposizioni; né crolli di alcun genere. Ciò che è vero, ciò che è buono, ciò che è bello, non può mai cessare di essere vero, buono e bello. Non è l’uomo che con la sua intelligenza crea o produce la verità, il bene, la bellezza. La verità, il bene, la bellezza. La verità, il bene, la bellezza hanno il loro fondamento in Dio. Crollano le società, crollano le istituzioni, crollano gli uomini: non crollano mai, i valori; non crolla, mai, la verità; non crolla mai Dio, fondamento di ogni verità e di ogni valore. “Dio non muore!” gridò il presidente dell’Ecuador Garcia Moreno pugnalato a morte da un rivoluzionario sui gradini della cattedrale di Quito. I valori non muoiono, proclamiamo noi con la nostra manifestazione e con i nostri sforzi. I valori attendono. Attendono uomini, istituzioni, società che si mettano al loro servizio, per riprendere la via abbandonata dalla verità e dal bene. Ogni edificio si regge su fondamenta. Tanto più solide le fondamenta, tanto più solido è l’edificio. L’edificio sociale si regge su principi. Se essi vengono abbandonati, non crollano i principi, ma crolla l’edificio sociale. Analogamente non ci può essere ricostruzione economica, politica, sociale istituzionale, che non parta dalle fondamenta culturali e morali. Molto spesso ci si sente dire “che fare”? Da dove cominciare? Ebbene, comprendere e vivere questa verità è l’unico punto di partenza e di reale efficacia. Non ci sono scorciatoie, è la legge della società. Per  questo il vero problema dell’Italia di oggi è quello della definitiva perdita o della definitiva riconquista dei valori. La nostra esperienza personale del resto lo conferma. Il nostro presente certo non è facile. Vivere oggi non è facile; diventa sempre più una lotta per sopravvivere. Chi è giovane, chi è adolescente, non riesce a intravedere nella società odierna il suo avvenire. Vede con una certa paura, qualche volta con terrore, quelli che un tempo erano gli approdi naturali della giovinezza: la famiglia e il lavoro. Sostarsi, trovare un lavoro appaiono responsabilità gravose. Lo spettro della disoccupazione, quello di una famiglia che sì sfalda poco dopo il matrimonio, non sono prospettive irreali. Ma il problema del lavoro e il problema della famiglia, prima di essere problemi economici e materiali sono problemi che rimandano ad una filosofia e a una scelta di vita. Il principale problema dei giovani di oggi è la loro mancanza di orientamenti e di ideali. Guardiamo gli uomini maturi. I padri e le madri di famiglia che si trovano nel mezzo della loro vita sanno a loro volta, al di là di ciò che luccica artificialmente, quanto profondo sia ciò che preoccupa la loro anima: ancora una volta il lavoro, la famiglia, i figli, sono al centro dell’incertezza in una situazione in cui per nessuno il futuro si presenta roseo; ma, il loro, il nostro problema principale non è in realtà quello economico, è quello di dare una ragione profonda alle nostre scelte, di individuare i valori a cui ancorare la nostra esistenza. E che dire degli anziani che oggi costituiscono una parte rilevante della società italiana e che di questa società dovrebbero costituire un bene prezioso, per il patrimonio di valori, arricchiti dall'esperienza, che ad essi spetterebbe trasmettere? Gli anziani non riescono ad intravedere, nei figli e nei nipoti il futuro desiderato, la prosecuzione ideale della loro vita, come un tempo accadeva, in una simbiosi tra le generazioni che si avvicendavano. Senza i valori essi sono inutili. Ancora una volta il problema di fondo è quello delle idee e dei principi. Il bisogno di valori è tanto vero è tanto reale che anche il neocomunismo, anche la nuova sinistra li riscopre. Veltroni per esempio nel suo ultimo libro afferma che “dobbiamo ritrovare dei valori, delle ragioni unificanti”. Ma di quali valori si tratta? Egli dichiara l’indisponibilità alle certezze assolute, “la consapevolezza della relatività delle cose”, dice di non credere in Dio, definisce buona legge quella sull’aborto, si dice favorevole alla legalizzazione della droga; e proclama la necessità di un’etica pubblica, che non ha nulla a che fare con i valori tradizionali e familiari in cui crediamo.  In campo ecclesiastico c'è chi invece di valori preferisce parlare di “ethos evangelico” e teorizza la “mediazione” tra l'etica e la politica, la "traduzione politica dei valori cristiani", affermando che nella società pluralistica e complessa di oggi,”quando più un valore è eticamente rilevante, tanto più è impegnativo e perciò più bisognoso di maturazione a livello di costume”.-E' il cardinale protettore dell'Ulivo, a dirlo. A suo avviso, tanto più un valore è eticamente rilevante, ad esempio la difesa della vita, tanto più remota deve essere la sua traduzione politica in leggi ed istituzioni, perché, prima delle leggi occorre la maturazione a livello di costume, come se a questa maturazione non contribuissero le leggi, come se dalla forma  data attraverso le leggi alla società non dipendesse anche la cultura e il costume. Eppure Giovanni Paolo II, nelle sue ultime encicliche, ha ribadito l’urgenza di tradurre in istituzioni ed in leggi politiche i principi del Decalogo. Ciò che è scolpito in quelle tavole è scolpito anche nella nostra intelligenza e nel nostro cuore, a difesa della vita!

6. il Decalogo: legge della società.

Il Decalogo non è solo la legge dei cattolici; è la legge naturale, valida per ogni uomo, in ogni epoca, in ogni latitudine. Il primo comandamento del Decalogo dice: Io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio dinanzi a me. Ma la nuova sinistra taccia di fanatismo e di integralismo ogni credente, di qualsiasi religione, che affermi l'esclusività della verità. All'unicità della vera religione essa oppone il pluralismo dei valori, il politeismo degli idoli moderni. Il    secondo comandamenti dice: non nominare il nome di Dio invano. La nuova sinistra, che vuole togliere o limitare la libertà dei cattolici di professare pubblicamente tutta la propria fede, ammette però la assoluta licenza di aggredire i valori religiosi e morali. Negli spot televisivi, nei film e nelle pièces teatrali, nei cartelloni pubblicitari, il nome di Dio, della Chiesa e dei suoi rappresentanti è nominato ben peggio che invano: è esposto allo scherno, al ridicolo, all'umiliazione. Il terzo comandamento dice: ricordati di santificare le feste e afferma con ciò che il tempo, la storia, la società, sono sacri cioè ordinati a Dio. La nuova sinistra si propone la desacralizzazione e la laicizzazione di ogni ambito sociale, a cominciare dalla settimana lavorativa, abolendo il riposo domenicale. Il     quarto comandamento dice onora il padre e la madre formulando i doveri non solo verso i genitori, ma verso ogni autorità sociale. La nuova sinistra nega la famiglia tradizionale, proponendo aberranti forme di famiglie alternative e nega alla radice il principio dì autorità in nome di una radicale autodeterminazione dell'uomo. Il     quinto comandamento dice: non uccidere l’innocente,  affermando la condanna non solo dell'omicidio e del suicidio, ma anche di tutto ciò che uccide l'anima, a cominciare dagli  scandali, cioè le parole, gli esempi e le influenze che portano al male. La nuova sinistra ammette la liceità dell'aborto, dell'eutanasia, del consumo della droga, e nega all'essere umano, dallo stadio embrionale a quello terminale quel diritto alla vita e all'esistenza che riconosce più volentieri agli animali. Attraverso la pornografia, l'educazione sessuale, l'esaltazione della violenza gratuita, la nuova sinistra corrompe la vita dell'anima prima ancora di distruggere quella del corpo. Il sesto e il nono comandamento dicono non commettere atti impuri, non desiderare la donna d’altri. La nuova sinistra teorizza l'emancipazione della donna, l'assoluta libertà di ogni rapporto omo ed eterosessuale, propugna l'educazione sessuale, disprezza i valori della castità e della purezza. Il settimo e il decimo  comandamento dicono non rubare e non desiderare ciò che appartiene al prossimo. E’ la salvaguardia della proprietà e la pratica della giustizia. La nuova sinistra relativizza e vanifica la proprietà privata auspica il miserabilismo sociale, favorisce una tassazione iniqua che corrisponde a un vero furto da parte dello Stato. L’ultimo precetto divino, l'ottavo comandamento dice: non dire falsa testimonianza. E' la legge della verità nelle relazioni umane e sociali. La nuova sinistra commette qualcosa di peggio della menzogna perché rifiuta il concetto stesso della verità, l'idea stessa di verità. La concezione relativista ed evoluzionista della nuova sinistra nega in radice la possibilità stessa che la verità esista . Dissolve con la verità, l’oggettività di ogni legge e di ogni relazione sociale. Questo è l’antidecalogo della nuova sinistra, del neocomunismo che va al potere in Italia. Come sarà possibile gestire questo potere assieme a degli uomini politici che si dicono cattolici? E come e possibile che dei cattolici abbiano avallato tutto questo? Eppure l’obiettivo del consumismo è chiaro. Walter Veltroni si dice affascinato dal “meting pot”, ossia dalla società ibrida multirazziale e multiculturale: è una società in cui scompaiono tutte le distinzioni e con esse, inevitabilmente tutte le identità, perché definire significa porre dei confini, dei limiti; una società letteralmente confusa, in cui tutto si amalgama e si confonde come in un calderone ribollente. E’ una società in cui in suffisso “auto” è determinante: autogestione, autodeterminazione, autoliberazione dell’uomo. “Auto” significa senza di, mancanza di dipendenza e di autorità, rifiuto di un principio primo a cui ci si subordina, rifiuto di una paternità: una società in cui si è tutti compagni e tutti fratelli. Il mito della “fraternità” è uno degli idoli della Rivoluzione francese; la Nuova Sinistra oggi lo risolleva.  Ma quale fraternità è possibile, senza paternità? Si è fratelli perché si ha un padre, si ha un principio comune. Se non si riconosce un principio comune, non c’è fraternità possibile e la società è destinata a finire, come accade nella Rivoluzione francese, nel fratricidio, in nuove Sarajevo, facilitate dalle spinte secessioniste, e da una tendenza centrifuga della società moderna in cui, abbandonati i valori, ognuno cerca solo se stesso. La nostra forza non sono le nostre persone, sono i principi in cui crediamo: questi principi sono incrollabili, questi principi hanno un futuro, perché hanno un presente, perché hanno un passato, perché sono eterni, perché sono fondati su chi giudicherà un giorno le nostre persone, la società attuale, la storia nel suo complesso.

7. "La Russia diffonderà nel mondo i suoi errori”.

Per questo combattiamo, con fiducia tranquilla nell'avvenire, non dimenticando quanto non può essere dimenticato: non possiamo tacerlo, non possiamo ignorare che nel 1917, l'anno della Rivoluzione Comunista. la Madonna apparve a Fatima, in Portogallo, parlò a tre pastorelli e disse loro che se l'umanità non si fosse convertita, "la Russia avrebbe diffuso i suoi errori nel mondo”. Chi avrebbe potuto immaginare in quell'estate del 1917 in cui non governava ancora Lenin, ma  governava Kerensky, il Prodi del tempo, chi avrebbe potuto immaginare a quali "errori" si riferiva la Madonna? Non si riferiva alla forza militare dell'autocrazarista ormai in dissoluzione: parlava di errori in un secolo che si sarebbe affermato come il secolo delle ideologie, dei veleni ideologici. Tutto fu chiaro quando il colosso ideologico sovietico iniziò la sua espansione nel mondo. Ma tutto è ancora più chiaro oggi, quando il Molok sovietico si è disintegrato e gli errori si disseminano nel mondo in maniera subdola ma pacifica, senza bisogno di carri armati. I missili e i carri armati sono scomparsi (nel senso che sono nascosti, in tunnel nelle viscere della terra!), è rimasto l'errore allo stato puro e questo errore prende pacificamente il potere in  Italia. La profezia di Fatima sì compie. Oggi possiamo dirlo: la Russia ha diffuso nel mondo i suoi errori. Si dice che Lenin, morto drammaticamente di malattia mentale, tra incubi e allucinazioni, in punto di morte avesse detto: “ci sarebbero voluti dieci San Francesco per salvare la Russia”. Speriamo che tanti S.Francesco e tante S. Caterina da Siena sorgano in mezzo a noi e per la nostra salvezza. A Fatima, la Madonna sapeva bene cosa diceva quando parla degli errori del comunismo, e sapeva bene, anche cosa diceva quando parlò di un futuro trionfo del suo Cuore Immacolato, della Chiesa, della Civiltà cristiana; il futuro, aggiungiamo noi, dell’Italia restituita alla sua fede, alla sua storia, ai suoi valori. E’ con questa speranza che combattiamo, è con questa fiducia che guardiamo avanti, oggi, in questa difficile ora della nostra storia nazionale e mondiale.

ROBERTO DE MATTEI

Bibliografia:

1. G. Napolitano, Intervista sul PCI, Laterza, Bari 1976, p.12

2. M: Gorbaciov, La casa comune europea, Mondadori, Milano 1989, p. 291.

3. “Corriere della Sera”, 19.11. 1989.

4. W: Veltroni, La bella politica, Rizzoli, Milano 1995.

CR 508/01 1996: bilancio di un anno che si chiude. L'anno che si è chiuso, il 1996, sarà ricordato nella storia come quello che ha visto i comunisti andare al governo, dopo avere per molti anni gestito il potere reale. Il Centro Culturale Lepanto, nel suo manifesto Prodi: il Kerensky italiano? ha messo in luce come ciò sia avvenuto grazie al ruolo determinante svolto da consistenti settori della Gerarchia cattolica. Lo stesso Prodi, però, è diventato oggi il bersaglio delle crescenti proteste dell'opinione pubblica, indignata per la politica fallimentare di un governo che, dietro il presidente del Consiglio, ha i suoi veri e non più occulti artefici nei leader comunisti D'Alema e Bertinotti. Il rischio di una catastrofe economica, reso sempre più attuale da una pressione fiscale insostenibile, è di portata europea, ed appare legato proprio alla costruzione di quell'Europa di Maastricht, che paradossalmente ci viene presentata come la soluzione obbligata per uscire dalla grave crisi finanziaria che ci attanaglia. La liquidazione della sovranità degli Stati nazionali, imposta dagli eurocrati di Maastricht è alimentata dalle spinte secessionistiche, apre in realtà la strada al caos economico e ad una anarchia sociale che vedrà esplodere i problemi che già affliggono la nostra società, dal traffico della droga al crimine organizzato, dai conflitti etnici alle rivolte urbane. Mentre dal Sudan all'Afghanistan, dal Medio Oriente alla Bosnia, una trentina di guerre o guerriglie dilaniano il mondo, episodi come la bomba islamica nel metrò di Parigi e il sequestro nell'ambasciata giapponese di Lima dimostrano come il terrorismo sia ormai destinato a divenire la terribile “guerra del futuro". La possibilità di un'offensiva islamica dal Sud del Mediterraneo e quella di migrazioni incontenibili di popoli slavi da Oriente, rappresentano intanto due gravissimi pericoli per l'Europa cristiana. Il "nuovo disordine europeo", ma ormai anche mondiale, di cui abbiamo spesso parlato, è ormai una tragica realtà. Gli esponenti della nuova sinistra esaltano questo disordine: una volta falliti i loro progetti di costruzione rivoluzionaria, essi favoriscono il disordine universale nel quale vedono quel "caos creatore" che potrebbe rigenerare la società contemporanea. "Soltanto il disordine può garantire la libertà e la creatività. L'odine è il vero peccato originale, e genera infelicità: così ha detto Mikhail Gorbaciov durante il suo viaggio a Roma, alla fine del novembre scorso (cfr. Il Giornale, 20 novembre 1996), nel corso del quale è stato ricevuto con tutti gli onori dal presidente della Repubblica Scalfaro e dal presidente della Camera dei Deputati Violante. Davanti al sogno di distruzione che chiude questo secolo e questo millennio, l'unica alternativa, per la quale ci siamo sempre battuti, resta il ritorno ai perenni principi della Civiltà cristiana, oggi eclissati, ma mai tramontati od estinti. Essi indicano la via del nostro futuro, come scriveva tempo fa Plinio Corrèa de Oliveira: "Sono certo che i principi ai quali consacrai la mia vita sono oggi più attuali che mai e indicano il cammino che il mondo seguirà nei prossimi secoli. Gli scettici potranno sorridere. Ma il sorriso degli scettici non è mai riuscito a sviare la marcia vittoriosa di coloro che hanno Fede. (CR 508/01/NB96)(25 dicembre 1996, n. 508  Corrispondenza ronana)

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“Se si accetteranno le mie richieste la Russia si convertirà e vi sarà pace, diversamente diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla chiesa; i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre dovrà soffrire molto, diverse nazioni saranno annientate. Infine,  il mio  Cuore Immacolato trionferà”.  Fatima 1917

“ oltre la tristezza e le punizioni sommamente probabili verso le quali avanziamo, abbiamo davanti a noi la promessa di Maria a Fatima: “Infine il mio Cuore Immacolato trionferà”. Plinio Corréa De Oliveira

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Nella indicazione di quei valori immutabili ed oggettivi per la gloria di Dio e per la gloria di ogni uomo di buona volontà DEFINIAMO E PROCLAMIAMO:

1 - La incompatibilità degli ideali di Giustizia e Verità,  con l’attuale sinistra internazionale.

2 - La costituzione di una nuova sinistra, FONDATA SUGLI IDEALI ETERNI, indispensabile per la tutela della classe operaia e per la sopravvivenza della comunità democratica.

3 - Tutti coloro che si sentiranno chiamati a questo importantissimo ruolo: ovvero rifondare una nuova sinistra (umana, metafisica, naturale e strutturata nella trascendenza del valore), si dispongano a costituire Associazioni di Giustizia e Verità con questa finalità politica. Per poter attraverso la militanza sostituire dall’interno l’anima cattiva della sinistra con quella buona.            -S. Natale 25 dicembre 1997 ore 9.47.26 am-

Voglio onorare i tanti marxisti idealisti, che hanno concorso al progresso morale e materiale e che non si sono lordati le mani di sangue o di fango e che per questo sono stati anche estromessi dal partito.

DEDICO QUESTO CAPITOLO A MIA MOGLIA CHE CON IL SUO SACRIFICIO HA RESO POSSIBILE IL MIO

CONFORMISMO

L’uomo filisteo e l’uomo conformista sono, oggi come ieri, personaggi ubiquitari che non hanno una precisa collocazione politica o una identità sociale ben definita. Li troviamo tra le fila compatte di tutti i partiti, tra gli adepti molto numerosi e ben protetti di ogni confessione religiosa. Il filisteismo e il conformismo sono atteggiamenti di superficiale allineamento morale e intellettuale, sono disposizioni psicologiche o attitudini banali e gregarie che coinvolgono il carattere dell’uomo, il suo comportamento, il suo etos. Grettezza, spersonalizzazione, paura di pensare in proprio, tendenza a coincidere con il sistema dominante delle grandi rappresentazioni collettive, rifugio nella anonimia e nella banalità della chiacchiera che rappresenta l’opinione corrente del momento, sono questi gli elementi fisiognomici che contrassegnano il volto dell’uomo che il sociologo americano, David Riesman, ha giustamente rubricato con l’etichetta tipologia di uomo eterodiretto. Nessuno può dubitare che la lotta di KierKegaard sia rivolta a difendere il suo cristianesimo scomodo e impervio, perché tutto modellato sulla figura del Cristo deriso, umiliato, offeso, percosso e, infine, crocifisso. Kierkegaard, sferza con uguale violenza due diverse negazioni del Cristo: quella dei nemici che si contrappongono apertamente alla sua predicazione e quella, non meno pericolosa, dei suoi imborghesiti seguaci che si rifugiano nel falso di una cristianità accomodante, compromissoria, benpensante, tutta immersa negli agi e nel comfort di un’esistenza che non si priva di alcun piacere o divertimento. L’agonia del cristianesimo non significa per K. un evento metafisico perché la verità si pone per lui come essere e vita al di sopra della storia. Quando parliamo di “morte di Dio”, questo distacco dell’uomo contemporaneo dalla religiosità, questo brusco congedo dal cristianesimo, in registro ateo oppure in registro di “cristianità” senza autenticità cristiana, senza fede e senza coscienza del peccato, sono fenomeni storicamente equivalenti e, in qualche modo, paralleli. Il vero eroismo cristiano, che forse si riscontra molto di rado, è osare di essere interamente se stesso, un singolo uomo determinato, solo di fronte a Dio e di fronte alla storia, solo in quest’immenso sforzo e in quest’immensa responsabilità. Il vero nemico è il conformista. Anonimato e irresponsabilità sono una malattia che non hanno una virtù guaritrice. (Commento di Remo Cantori Kierkegaard “La malattia mortale” tascabili economici Newton)

CONGIUNZIONE

INTERFERENZA TRA FEDE E POLITICA. La fede interroga e critica tutta la vita :"Come possiamo essere credenti nella società e nella politica" - si chiedono - Ricorso obbligato all'analisi marxsista o socialista  o ad altre analisi al contempo alle esigenze della fede. Ma l'analisi marxista, come altre analisi si oppongono alla "fede tradizionale", o sono in contraddizione su alcuni punti essenziali con la fede più autentica? Ma alcune esperienze, e quella francese in particolare, in cui l'adesione di un numero impressionante di lavoratori al socialismo marxista e al partito comunista è un fatto che merita la massima attenzione. Certo bisogna evitare la strumentalizzazione ideologica del cristianesimo sia dalla componente sinistrorsa che da quella destrorsa. Da questo momento non si crre il pericolo di tramutare la fede evangelica in progetto politico,  presentandosi questo "infine, come la forma plenaria e l'unica legittima di una fede evangelica autentica?"(Ph. Roqueplo, Expérience du monde: expérience de Dieu? 2° edizione, Le Cerf, Parigi 1968, p.43.)

CR 513106 CHIESA CATTOLICA: il card. Biffi critica la cronolatria del mondo cattolico. Invitato ad inaugurare un ciclo di conferenze sul Decalogo, l'arcivescovo di Bologna cardinale Giacomo Biffi ha illustrato il primo Comandamento, definendolo come il Comandamento fondamentale, senza il quale ogni morale resta sospesa nel nulla e quindi vana... Se Dio c'è, è Lui, e non io, a stabilire che cosa sia giusto e che cosa sia sbagilato. Il che è senza dubbio irritante, e spiega perché l'uomo così spesso sogna di essere ateo". Il cardinale ha poi criticato la mentalità libertaria oggi dominante, secondo cui “è vietato vietare” i comandamenti quindi riescono particolarmente antipatici. Ma non è raro riscontrare un po di questa allergia anche nei bravi ragazzi che frequentano veglie e letture bibliche e, se ne hanno l'estro, simpegnano in qualche esperienza di solidarietà.

Molti cristiani, infatti, credono di poter temperare, con un po' dì perbenistica e utilitaristica devozione, l'intangibilità dei loro gusti e interessi, nel tentativo di costruirsi una religione personalizzata.

Ecco quindi che sorgono "quei piccoli idoli, frutto dell'enfatizzazione indebita di alcuni valori", che oscurano la coscienza contemporanea. Fra questi idoli vanno annoverati l'utilità economica, il godimento sessuale, il bagliore apparente dei mass-medìa, la cronolatria (adorazione dell'attualità). Un altro idolo è quello secondo cui bisogna "andare d'accordo" con tutti: "Basterà al riguardo ricordare - ha precisato il cardinale - quanto sia antievangelico e rovinoso l'uso assolutizzato del principio secondo cui 'bisogna guardare più a ciò che ci unisce che a ciò che ci divide. Se ciò che ci differenzia è la divinità di Cristo o la Sua Resurrezione, ad esempio, non è giusto non parlarne più per rispetto dei non cristiani e per amore del quieto vivere". Questo modo di vedere domina anche la stampa cattolica odierna: "Oggi uno può impunemente parlare male della Chiesa senza avere il minimo fastidio ecclesiale; ma se si azzarda a scrivere due righe contro il mondo, deve aspettarsi almeno qualche tiratina d'orecchi anche da parte dei recensori più benevoli e misericordiosi delle nostre riviste" (cfr. Avvenire, 15 gennaio 1997). (CR SI 310G/AA97) (1 febbraio 1997,n.513  Corrispondenza romana)

CONSOCIATIVO

Il sistema consociativo, ha permesso l’impaludamento della giustizia e del senso dello Stato. Le leggi sono contorte, lunghe, involute perché ogni loro virgola è il frutto di un compromesso. Questo porta facilmente a violarle. La punizione legittima che segue la violazione della norma è percepita come un’ingiustizia, come una violenza gratuita che il povero ladro, evasore, terrorista, mafioso, magnaccio, truffatore, corrotto, corruttore devono subire. Le loro colpe complice la lentezza, se non anche la corruzione della macchina giudiziaria, vengono dimenticate, annacquate se non giustificate. Puntualmente si levano cori di sanatorie, condoni, indulti, amnistie e colpi di spugna. Tanta indulgenza è un forte incoraggiamento al crimine, chi non è stato debitamente punito si organizza alla grande. Le poche persone oneste che si rendono conto che rispettare le leggi costa, soldi, ingiustizie, vessazioni, tempo e fatica, comprendono in fretta che tutto questo si può evitare, perché fra condoni e sanatorie l’Italia è pur sempre il paese del “ben godi”. Così quando si applicano le sanzioni si grida allo scandalo da parte delle “vittime” di turno: “perché proprio io, se tutti rubano?” Con la logica conseguenza  che gli onesti sono invogliati a violare le leggi ed i disonesti sono sempre più arroganti e finiscono per paralizzare del tutto le istituzioni dello Stato.

CONSUMISMO

Il lato opposto di questa medaglia è la morte per fame di milioni di persone.

Le risorse vitali e primarie non possono essere irresponsabilmente sperperate o inquinate.

COPPI FAUSTO

A noi ci ha rovinato il benessere. L'altra notte -ormai la tivù la guardo solo dopo le due- ho visto i funerali di Fausto Coppi. La commozione della folla è profonda, ma trattenuta, pudica, nessuno sgangherato applauso accoglie la bara all'uscita della chiesa (come avviene oggi per riflesso condizionato della società dello spettacolo). Anche i carabinieri, ragazzi italiani, chiamati a fare un servizio di tutto riposo, perché la gente è compostissima, han garbo, stile e persino gesti di tenerezza nell'aiutare qualche vecchina a districarsi fra la moltitudine. Nessuna stupida parata di autorità, dei personaggi noti si vede solo Gino Bartali, l'amico-nemico, l'eterno rivale. I volti della folla anonima sono dignitosi, scabri, asciutti, persino belli nella loro semplicità, il vestito è quello buono, della festa e delle occasioni speciali, ma non c'è alcuna traccia di volgarità. Questa della dignità dei volti è una cosa che avevo già notato in alcuni documentari sulla guerra. Pensavo che fosse la sofferenza a dare intensità, interesse e bellezza a quei visi. Ma qui, ai funerali di Coppi, nel 1960, i patimenti e la fame sono ormai un ricordo anche se il «boom» economico è appena iniziato e siamo ancora poveri. Ma resiste ed è largamente diffusa l'etica, di derivazione cattolica, della «povertà dignitosa»: il povero non è ancora considerato un reietto, un paria, un relitto della società. Non si dubita che si possa essere poveri e felici. In quegli anni Albert Camus, nella prefazione a: Il rovescio e il diritto, scrive: «Grazie al sole e al mare anche un ragazzo povero può crescere felice». E l'Italia, non sconciata dalla speculazione edilizia, è ancora il giardino d'Europa, il tour obbligato d'ogni grande intellettuale del Nord; le coste liguri, ingentilite dai borghi di pescatori, sono le stesse che alla fine dell'Ottocento attrassero i ricchi inglesi e americani che vi comprarono le ville dei nobili decaduti, i Del Carretto, i De Mari, i Doria. E quello di Napoli è ancora «il golfo più bello del mondo», mentre la camorra è un'accozzaglia di simpatici guaglioni che si dedicano al contrabbando di sigarette. Le differenze di classe sono appena percepibili. Fra noi ragazzi erano addirittura inesistenti. Fossimo figli di borghesi o di proletari, conducevamo tutti, più o meno, la stessa vita, vestivamo al medesimo modo, facevamo le stesse cose. Negli ambienti circoscritti in cui vivevamo, la scuola, la strada di sotto e d'estate, per i più fortunati, i Bagni, era molto difficile apprezzare le diversità di classe perché, anche se c'erano, non si vedevano. A volte, raramente, c'era qualche «figlio di papà» che mostrava un po' di lusso ma, in luogo di essere ammirato, adulato e circuito, era disprezzato come individuo tendenzialinente poco virile. Un "fighetta". Quel che contava fra noi era chi giocava meglio al pallone, tirava con precisione di cerbottana e, più tardi, filava con le ragazze più belle. Ma anche fra gli adulti ostentare la ricchezza era considerato disdicevole. Il buon Giovanni Rorghi, il patron della Ignis, a cui piaceva pavoneggiarsi, peraltro in modo molto naif e in definitiva innocente («S’el custa? Cumpri mi»,) era bersaglio di feroci e allegre prese in giro. Il denaro, contava, naturalmente, ma c'erano anche altri valori. A noi ci ha rovinato il benessere. Già nel 1964, alla fine del «boom», si avvertono le prime incrinature. Eravamo, diventati più grassi e più flaccidi, perché mangiavamo troppo e andavamo in macchina, presto tramutatasi in status symbol destinato a marcare, con spietatezza, le differenze. «C'ho giù la Giulia», diceva il macellaio arricchito e il  «da casello a casello» era già il sintomo d'una nevrosi che in pochi anni ci avrebbe coinvolto tutti. Oggi siamo sguaiati e volgari come mai siamo stati quando eravamo poveri. Perché siamo tutti fuori dei nostri panni. Nei nostri vestiti, negli oggetti che usiamo, nelle informazioni che utilizziamo c'è sempre qualcosa di troppo, di eccessivo, di disarmonico rispetto alla nostra personalità. Non siamo all'altezza della sofisticata cultura tecnologica che è contenuta negli oggetti che ci circondano e che usiamo. Basta guardare in strada un qualsiasi tipo con il telefonino: è proprio l'oggetto che ha in mano a sottolineare, per sproporzione, la scimmia ammaestrata che è in lui. E la volgarità è esattamente questo: essere discrasici rispetto al proprio essere profondo. Un primitivo non è mai volgare. Perché è in perfetta armonia con la realtà che lo circonda. Quando negli anni Sessanta viaggiavo per l'Africa, l'Africa struggente fotografata per l'ultima volta da Gualtiero Jacopetti, mi colpiva sempre quella che Curzio Malaparte chiama, nella Pelle, «la dignità solitaria del nero», la sua assenza di volgarità, anche nelle situazioni per noi più barbare. Ancora oggi mi capita di vedere in qualche aeroporto certe principesse nere, immerse, drappeggiate con gli abiti tradizionali: sono bellissime e non c'è in loro un briciolo della volgarità delle modelle che ogni giorno sculano in tutte le capitali dell'Occidente credendosi fatali mentre son solo delle poverette. È il benessere il nostro autentico nemico. Insieme al Pil, alle crescite esponenziali e alle scommesse, di destra e di sinistra, sulle potenzialità infinite della tecnica e dell'industrialismo. Altro che Marx: sarebbe San Francesco, oggi, il vero rivoluzionario. Negli anni Sessanta eravamo poveri ma dignitosi. Oggi siamo diventati volgari e sguaiati. Come una scimmia con il cellulare.  (di Massimo Fini, il Borghese 11 marzo 1998 p.98)

CRIMINALE

Il criminale non è propriamente un uomo. Chi è propriamente uomo sa dominare i vizi capitali e gli istinti vergognosi della natura. Forse che chiameremo uomo chi vive per i suoi bassi istinti? Chi non si sottomette agli ideali assoluti, universali e trascendenti è solo l’animale più evoluto del pianeta è solo un criminale. Chi vive così è inattendibile, è egoista fino al crimine ovvero ad un atteggiamento non semplicemente utilitaristico -visto che cercare il proprio interesse senza danneggiare quello altrui è legittimo- ma deliberatamente dannoso nei confronti del prossimo. Forse che io non sento i bassi istinti? Semplicemente li rinnego e mi vergogno di essi, perché vedo come essi darebbero subitaneamente la morte all’uomo interiore, a tutto quello che di più importante ho. Mi perderei, perderei me stesso, la mia esistenza verrebbe succhiata dalla materia e ne assumerebbe il suo tragico destino: la corruzione, il nulla. Preghiamo e lottiamo per un nuovo umanesimo eroico. Al di fuori degli ideali assoluti, universali e trascendenti, al di fuori dei nostri ideali non vi può essere dignità umana, legalità, civiltà, progresso e felicità. Sono maledetti tutti coloro che non si sottomettono al valore, ma sottomettono il valore al loro ventre, il loro destino eterno è l’inferno! Questi disonesti devono ottenere molti castighi, anche da parte della comunità civile, come già ne ricevono da Dio, che permette loro tante disavventure e tante malattie.

COSTO

COSTO DELLA VITA.

Uno Stato metafisico (forte), non si lascerebbe mai inflazionare. Il costo della vita sarebbe accettabile anche dalle fasce più povere della società.

CROCIFISSO

LO STATO ITALIANO RITIENE SIMBOLO POLITICO E COSTITUZIONALE IL CROCIFISSO, INSIEME AL TRICOLORE E ALLA FOTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. SI APPROPRIA DI UN SIMBOLO RELIGIOSO SVUOTANDOLO DEL SIGNIFICATO DI RAPPRESENTARE UNA RELIGIONE. IL CROCIFISSO TRASFORMATO IN SIMBOLO POLITICO E CULTURALE, APPARTIENE INDISSOCIABILMENTE ALLA IDENTITà DI UN POPOLO. Il Consiglio di Stato adunanza 2° n. 63/88 del 27 - 4 - 88 precisa quanto segue: distingue nettamente il crocifisso dall'IRC e dalla sensibilità religiosa dei singoli e lo dichiara patrimonio storico-culturale del popolo italiano. Dichiara che le norme vigenti sono preesistenti ai patti lateranensi. Dato l'atteggiamento del preside di Trento, impone il crocifisso nelle aule scolastiche e fa obbligo ai Consigli di Istituto di denunciare il Preside che si opponga all'attuazione di dette norme.

Art. 118 del Regio Decreto 304 del 1924 n. 965

Art. 119 fa obbligo di richiedere la fornitura

Art 826 cod. civ.  "patrimonio indisponibile"

Art 828 "non può essere sottratto"

Circolare N. 157, Prot. n. 13039/571/GL, Gab./I, 9 giugno 1988.

CUORE

Oggi assistiamo a fenomeni di regressione delle risorse umane, causa di questo è il vivere in una società sempre più materialista e sempre meno ricca di valori e di punti di riferimento. Si diventa intolleranti, poco inclini ad accogliere, cioè sempre meno solidali. Certo il ritmo frenetico di vita, il falso modello di benessere a cui cerchiamo tutti di corrispondere generano in noi l'ansia, la freddezza, l'indifferenza, il risentimento, l'intolleranza con una predisposizione all'aggressività. Questa situazione deforma il nostro animo e lo radicalizza in un processo progressivo di impoverimento interiore. Così quando questi atteggiamenti deteriori si radicalizzano anche nel  quotidiano, allora perdiamo la capacità di gioire e di amare e subentra un'amarezza di fondo che pervade il nostro animo ed il nostro cuore, perdiamo la dolcezza, la pazienza e la mitezza.. Risalire la china è d'obbligo, risanare le ferite interiori e ripristinare una nuova qualità della vita diviene una questione di vita o di morte. Impegnarsi a sorridere anche se non se ne ha voglia, fermarsi a riflettere e a dialogare. Mostrarsi paziente e benevolo verso chi si vorrebbe aggredire, convertirsi con violenza alla simpatia quando spontanea troviamo in noi l'avversione dell'antipatia. Chi ha imparato ad ascoltare il cuore? Solo il cuore sa vedere e sa capire ciò che è veramente importante! Il cuore si trova nell'essere, cioè nel patrimonio spirituale di ogni uomo vero, perché chi non ama non è nessuno. Chi non ama si trova nell'avere, tutto il suo valore è nel possedere, nel soddisfacimento dei suoi istinti, così che anche lui si oggettivizza insieme alle sue cose, che poi non sono sue, in quanto le ha sottratte. Anche la tua vita non è tua perché ti è stata data da Dio e tu la devi usare aderendo alla sua volontà. Non sa ascoltare, chi deride il prossimo solo perché non sa esprimersi correttamente. Non sa dialogare chi non sa ascoltare, perché come un bulldozer va dove lo spinge il suo interesse e non dove è la Verità che può essere cercata solo con umiltà…. L'arroganza è il vestito dei cattivi, di chi si crede "il padrone" e non comprende che è mortale e che "le sue viscere sono ripugnanti", di chi a parole o atteggiamenti dice: "tu non sai chi sono io". Maestri di ipocrisia, sepolcri imbiancati, esperti in malizia, essi scagliano la freccia per colpire nel buio i retti di cuore. Ma costoro a loro rovina scavano una fossa e cadono nella fossa che loro stessi hanno scavato, perché alla disonesta prevaricazione è stato posto un termine, che nessuno potrà passare. La maledizione che essi meritano rimane conservata anche per i loro discendenti. I malvagi SEMBRANO pasciuti, tranquilli e felici. Ma sono posti in un luogo scivoloso ad un termine che è loro fissato cadranno. Gli empi, gli operatori di iniquità… è in questa esperienza terrena che saranno abbattuti. Non sono infelici avendo rinnegato e pervertito la natura progettata per amare e per essere in atteggiamento di servizio verso ogni uomo mio fratello? Com’è difficile per l’uomo trascendere l'animale che è in lui! Per non disumanizzarmi devo anch'io affrontare, avvolte , una lotta durissima che sembra schiacciarmi. Ma nella consumazione delle energie resta forse una piccola voce, una piccola luce, prima di essere spezzato anch'io dalla logica della violenza, una nuova speranza risorge in me. Sono proprio le tenebre, la sofferenza a rendere più forti e salde la fede, la speranza con la conseguente capacità di amare. Ora come una quercia posso rimanere nel "quì ed ora" della storia senza temere le tempeste. La barbarie viene istituzionalizzata attraverso la volgarità, la pornografia e i film di terrore, da parte di chi naturalmente dovrebbe cercare il vero, il bello e il buono ed invece sceglie il turpe, il brutto, l'osceno. La barbarie diventa costume quando l'anelito religioso, insopprimibile in ogni uomo, viene vissuto come superstizione, esoterismo, magia ed occulto. Quante violenze deve subire questa nostra terra? Fino a quando? L'unica strada è la Speranza, ma già essa è poesia, ordine, armonia. Una poesia insopprimibile, di tutti e per tutti; non di alcuni per tutti. Insopprimibile perché la vita è di tutti, quella vita che per essere viva deve essere poesia. Avvolte l'uomo si sente schiacciato dalla violenza, dalla arroganza e dalla volgarità. Chi cerca di difendere i valori fondamentali della vita si trova a sperimentare anche la persecuzione dei "ben pensanti" di quelli che hanno rinunciato alla spiritualità ed ai valori autentici che partono sempre dall’uomo e non dalle opinioni. Ma i valori autentici vanno vissuti e non teorizzati! Chi può sottrarre ai ben pensanti il criterio di poter giudicare fra valore e valore? Sarà la poesia! Con la sua forza dirompente e rivoluzionaria a cercare e trovare quell'uomo che si è smarrito in noi.

CURDI

Chi osa annientare il popolo curdo?

Chi osa annientare il popolo tibetano? Dio annienterà lui!

Basta con questo genocidio.

Aiutiamo il popolo curdo.

Aiutiamo tutti i popoli a cui hanno sottratto la terra. Togliere la terra e come togliere le radici ad un albero.

Come possiamo essere indifferenti? Ordiamo la immediata restituzione dei territori sottratti affinchè il popolo curdo viva in pace. Ladri ed assassini restituite la terra al popolo curdo! La comunità internazionale deve applicare un rigido embargo nei confronti di tutti quei criminali che soffocano le speranze di libertà di un popolo. La terra appartiene a tutti gli uomini!