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Mi è capitato di leggere un
articolo che parlava dell’alleanza tra islam e comunismo, ma avendo giudicato
la notizia bizzarra, misi da parte l’articolo.
L’articolo,
inoltre, era per me difficile da digerire perché mi mancavano queste nuove
categorie concettuali.
Capita a
tutti, quando ci troviamo di fronte a concetti assolutamente nuovi, di trovarci
in difficoltà.
Inoltre,
dilatare le nostre categorie, o modificarle costa sempre una certa fatica.
Ma quando
la brigatista Lioce ha affermato che naturali alleati delle Brigate Rosse sono
gli islamici, mi si è accesa una lampadina e sono andato a ricercare
quell’articolo che così frettolosamente avevo disprezzato e ve lo ripropongo
senza commenti.
Una cosa che saltava agli occhi di
questo “Osservatorio sul martirio dei cristiani”; è quello che, sia gli
islamici che i comunisti, ancora oggi uccidono i cristiani!
Sono forse
attualmente coalizzati per dare il colpo di grazia alla civiltà cristiana?
Articolo tratto da Tradizione
Famiglia Proprietà
Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001
“El
islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992.
Pensatori
socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo islamico è
succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.
La
nuova lotta di classe
Tramonto della minaccia
sovietica
Prima del
1990, gli occidentali erano abituati a considerare il comunismo come un'ombra
colossale incombente sui rapporti internazionali e sulla vita interna di ogni
paese. Sul panorama mondiale aleggiava la costante minaccia di un'aggressione
sovietica, che facilmente avrebbe potuto degenerare in guerra nucleare.
Un'abile
propaganda sfruttava questa situazione, incutendo negli occidentali il panico
di una tale ecatombe, mentre sussurrava che l'unico modo di evitarla sarebbe
stata una politica di concessioni.
In tal modo
si rafforzava ulteriormente le possibilità dell'URSS di esercitare una
pressione psicologica per mezzo del ricatto nucleare.
All'interno
di ogni paese c'era poi la costante pressione della propaganda marxista,
promossa dai partiti comunisti locali comandati da Mosca.
C'era
perfino la possibilità che un trionfo elettorale dei comunisti collocasse ipso
facto il paese nell'orbita del Cremlino, per non parlare dei movimenti
guerriglieri e terroristici spalleggiati da Mosca.
Per questi ed altri motivi, la
minaccia comunista occupava un
posto fondamentale nel
panorama mentale dell'uomo moderno.
A un dato
momento, questa minaccia è svanita. Il Muro di Berlino è stato abbattuto ed è
finita la "guerra fredda" fra la NATO ed il Patto di Varsavia.
Uno ad uno
quasi tutti i vecchi governi comunisti hanno ceduto, sostituiti da regimi più o
meno democratici che dicevano di voler attuare riforme di stampo liberista.
Le due Germanie
si sono unificate sotto l'egida di quella occidentale. L'URSS si è sgretolata.
Il PCUS,
punta di lancia della rivoluzione mondiale, ha votato la sua
"autodissoluzione" ed ha adottato un altro nome.
Come
obbedendo ad un ordine preciso, i partiti comunisti occidentali hanno seguito
le orme del loro padrone, rinnegando il passato marxista e cambiando a loro
volta di nome.
Così, nonostante la precaria sopravvivenza di
"dinosauri" come Fidel Castro, nel breve spazio di due anni, il
mostro che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso per più di mezzo secolo,
sembrò svanire nel nulla.
La
spaventosa miseria del comunismo
II problema
del comunismo, come ogni problema sociopolitico, aveva un aspetto dottrinale ed
uno pratico.
Si trattava
non solo di sapere se l'insieme di dottrine conosciute come marxismoleninismo
fosse valido o meno a livello teorico, ma anche di sapere se la loro
applicazione avesse ottenuto risultati soddisfacenti.
Se il
comunismo fosse stata la panacea pretesa dai suoi alfieri, come spiegarne
l'eventuale fallimento concreto?
Gli
occidentali avevano appena una vaga idea della miseria causata dal comunismo in
Russia.
Abbattuta la
"Cortina di ferro", si è invece rivelato agli occhi di tutti il
clamoroso fallimento dell'esperienza sovietica.
Per la prima
volta il mondo ha potuto constatare la spaventosa eredità del comunismo: una
situazione di miseria e di oppressione quale il mondo non aveva mai visto, e
che il Cardinale Ratzinger ha giustamente qualificato come "la vergogna del
nostro tempo".
Questa
constatazione ebbe un immediato riscontro in campo ideologico: apparve chiaro
al buon senso dell'opinione pubblica che l'utopia comunista era irrealizzabile.
Di fronte al
clamoroso fallimento del socialismo reale, come potevano mai i comunisti
continuare a difendere le loro dottrine?
Così alla disfatta politica si aggiunse pure
quella ideologica, scatenando all'interno dei vari PC una crisi d'identità non
ancora risolta.
La morte delle ideologie
Questa duplice disfatta delle
correnti comuniste si situa all'interno d'un panorama più ampio:
la "morte delle
ideologie".
Da tempo
dilaga nello spirito dell'uomo occidentale un tremendo indifferentismo morale,
provocato dall'erosione del principio di non contraddizione, principio
fondamentale e supremo del pensiero umano.
Si parla perfino del tramonto dell'uso di
ragione.
Si diffonde un nuovo tipo umano incapace di
interessarsi a ciò che oltrepassa il suo campo individuale, incapace quindi di emettere
un giudizio profondo sugli avvenimenti, ridotto a un coacervo di emozioni, di
umori e di reazioni istintive.
Questo tipo
umano presenta un grave problema anche per la sinistra, che si ritrova di colpo
impossibilitata a mobilitare come prima le masse per le sue cause
rivoluzionarie.
Morto il
comunismo come ideologia e distrutta la sua base operativa, come articolare un
nuovo movimento rivoluzionario internazionale, tenendo conto anche di questa
atonia ideologica?
Occorreva
ricostituire un certo quadro generale di fronte al quale le persone potessero
essere sollecitate a schierarsi e scendere in campo.
Ritorna la
lotta di classe?
Un primo tassello della
risposta è quello che si potrebbe definire il riciclaggio della lotta di
classe.
Secondo il
marxismo, la società moderna era divisa fra i proprietari dei mezzi di
produzione (i borghesi) e quelli che ne erano privi (i proletari), costretti
perciò a vendere il loro lavoro ai primi.
Da questa
divisione scaturiva necessariamente un antagonismo, la lotta di classe,
ritenuta il motore del processo rivoluzionario.
Secondo
questo mito, i borghesi sarebbero diventati sempre più ricchi e i proletari
sempre più poveri.
Pari passu,
l'antagonismo si sarebbe fatto sempre più aspro fino all'esplosione finale,
culminando nella rovina dell'ordine borghese e nell'instaurazione della
dittatura del proletariato.
La storia si
è successivamente incaricata di sfatare questo mito.
Nell'Occidente capitalista il proletariato ha
migliorato la sua situazione economica fino a diventare in pratica un'agiata
classe media; nel mondo socialista, invece, il capitalismo di Stato non ha
prodotto altro che miseria e oppressione.
Lungi dal!'ammettere il
fallimento di questo mito, i rivoluzionari lo hanno sostituito con un altro:
una nuova tensione, più profonda, fra Sud (paesi poveri) e Nord (paesi ricchi)
al posto della tensione Est-Ovest.
All'antico
antagonismo fra proletariato e borghesia a livello nazionale, e fra mondo
comunista e mondo libero a livello internazionale, è subentrato questo nuovo
antagonismo.
Da questa
prospettiva sparisce, almeno apparentemente, qualsiasi connotazione ideologica.
Si tratta, dicono, d'una situazione di fatto: alcuni paesi sono poveri, altri
sono ricchi. I primi producono materie prime a basso prezzo; i secondi le
acquistano e le trasformano in prodotti industriali che poi vendono a prezzi
maggiorati.
Si stabilisce così un circolo vizioso per il
quale i poveri diventano sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi.
Questa crescente tensione sfocerà nello scontro fra i due mondi, dal quale
uscirà vincente il Sud.
Si
instaurerà un ordine economico internazionale più "giusto", dove le
ricchezze saranno ridistribuite e finalmente
regnerà l'uguaglianza.
Nel
frattempo, i poveri avranno avuto diritto a partecipare direttamente
all'abbondanza dei ricchi, trasferendosi nei loro
paesi.
Ed ecco la
giustizia intrinseca che ci sarebbe negli enormi flussi migratori degli ultimi
tempi.
L'insediamento
di queste masse umane, non più assimilabili dalla cultura locale come una
volta, crea delle vere e proprie colonie del Sud nelle cittadelle del Nord.
Queste
colonie tenderanno solo a crescere, visto il loro alto tasso demografico.
Oltre a destabilizzare
la vita interna dei paesi ospitanti, a giudizio degli alfieri di questa nuova
visione, queste colonie potrebbero eventualmente fornire masse di manovra per
moti rivoluzionari.
In casi
estremi, alcuni paesi del Nord potrebbero perfino perdere la loro identità
culturale e storica.
Questa
prospettiva offre alla sinistra un valido pretesto per mobilitare i suoi
militanti e reclutare compagni di viaggio.
L'intensa
carica sentimentale dell'obiettivo, alimentata dalle agghiaccianti fotografie
di squallide favelas, scheletrici bambini africani e via dicendo, permette alla
sinistra di risparmiarsi la seccatura della persuasione ideologica,
rivolgendosi direttamente al cuore delle persone.
Un'ideologia innominabile
Gli alfieri
di questa nuova prospettiva dichiarano che in essa non c'è nulla di ideologico,
e dunque niente di programmato, in quanto non sarebbe altro che il risultato di
una situazione di fatto: lo squilibrio economico mondiale.
Per
cominciare, questa analisi ci sembra troppo semplicistica.
Essa non
prende in considerazione i motivi della povertà dei paesi del Sud.
Molti di
questi paesi, ricchi di risorse naturali, sono poveri per via della disastrosa
applicazione di programmi di stampo statalista.
Perché non se ne fa mai menzione?
Forse perché
in tal modo si aprirebbe lo spiraglio di una possibile soluzione? C'è da
augurarsi, infatti, che, abbandonando i disastrosi accentramenti economici e
amministrativi e applicando invece le formule che hanno funzionato bene al
Nord, questi paesi possano svilupparsi.
Ma allora
essi non sarebbero più il "Sud", si imborghesirebbero e la sinistra
potrebbe rimanere ancora una volta senza massa di
manovra...
Desta poi
meraviglia l'ampiezza del termine "povero".
Gli alfieri
di questa nuova prospettiva mettono sullo stesso piatto indigenza e povertà.
Si tratta,
invece, di due situazioni molto diverse.
Nel caso di
un paese indigente, l'aiuto dei paesi ricchi sarebbe un imperativo di
giustizia, giacché il diritto delle popolazioni a vivere in condizioni di
dignità prevale sul diritto dei paesi ricchi a godere dell'abbondanza.
Ma fin dove
deve spingersi l'imperativo, quando si tratta di un paese appena povero?
Anzi, cosa
vuoi dire povero? Secondo loro, è povero non solo chi ha troppo poco, ma chi ha
meno di altri.
Solo in
questo senso relativo si potrebbe applicare il termine a paesi come Brasile,
Argentina o Messico.
Ma allora si
cominciano a intravedere i lineamenti di una soggiacente ideologia.
Essa si può
così riassumere: è ingiusto che vi siano paesi ricchi e paesi poveri, così come
è ingiusto che vi siano classi ricche e classi povere.
In altre
parole, è ingiusto che vi siano disuguaglianze.
Perciò,
al di là dei pretestuosi motivi economici, questa rivoluzione è ispirata al principio
dell'egualitarismo — cioè alla stessa essenza del comunismo — che sussiste
sentimentalmente nel cuore di milioni di persone.
Siamo
quindi in presenza di una ideologia innominabile.
Ecco quindi
delineati i contorni di una autentica rivoluzione mondiale in preparazione,
proprio quando il comunismo sembrava morto.
Difatti,
pochi si accorgono dell'ispirazione neomarxista di questa rivoluzione, giacché
il comunismo è stato ufficialmente dichiarato morto...
"Si rischia una guerra di classe da fare impallidire il ricordo
delle lotte sociali che fin qui hanno punteggiato la storia moderna",
ammonisce Eugenio Scalari.
Articolo tratto da Tradizione Famiglia
Proprietà
Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001
“El
islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992.
Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo
islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.
Il neoproletariato
A questo
punto qualche ottimista incallito potrebbe ingenuamente replicare: "Ma non
dobbiamo preoccuparci! Cosa possono un pugno di straccioni contro l'immensa
potenza economica, politica e, se fosse il caso, anche militare
dell'Occidente?"
Il nostro
ottimista però non prende in considerazione un elemento fondamentale della
situazione:
l'esistenza
di partigiani del Sud nelle roccaforti del Nord. Chi sono costoro?
Risponde
Francesco Alberoni:
"II
neomarxismo rivoluzionario si differenzia da quello precedente perché non fa
più riferimento al proletariato, ma alle 'moltitudini', cioè ai poveri, gli
emarginati, i dissenzienti di tutto il mondo".
Ed egli passa quindi ad elencarne
alcune componenti:
"Per
ora il popolo di Seattle eterogeneo, vi si esprimono preoccupazioni ecologiche
per l'inquinamento, l'effetto serra, i prodotti transgenici, tensioni dovute al
mercato globale, richieste di protezionismo, domande dei più poveri, pressioni
per l'immigrazione, appelli religiosi all'uguaglianza".
Questo
popolo è, infatti, eterogeneo. Però, come abbiamo accennato all'inizio,
considerato sotto l'angolazione che in seguito illustreremo, vi si può rilevare
una profonda coerenza.
L'allargamento del concetto di "oppressione"
Pur nella loro ampia varietà,
le ideologie rivoluzionarie conservano sempre un nucleo in comune: l'idea d'una
"liberazione" da una certa situazione di "oppressione".
Nel marxismo l'oppressione era fondamentalmente
quella economica esercitata dai borghesi ai danni dei proletari.
Le oppressioni politiche e sociali erano
considerate "emanazioni" di questa.
Ma già dagli
anni Trenta pensatori comunisti come Antonio Gramsci e i tedeschi della
cosiddetta scuola di Francoforte cominciarono a sviluppare una teoria molto più
ampia e sofisticata: l'oppressione culturale.
Secondo
questa teoria, la borghesia opprime i proletari non solo perché possiede i
mezzi di produzione, ma anche perché "fabbrica" la cultura dominante.
Senza
nemmeno accorgersene, i proletari sarebbero costretti a vivere dentro una
cornice culturale modellata dalle classi dirigenti, vale a dire tutto un
sistema di valori, di criteri e di modi di essere orientati alla conservazione
dello status quo.
Così come i borghesi sarebbero i padroni dei
corpi dei proletari perché acquistano il loro lavoro manuale, attraverso la
cultura sarebbero anche i padroni delle loro menti.
La cultura
si sarebbe dunque trasformata in un'arma di oppressione molto più profonda e
terribile di quella economica, giacché soggiogherebbe lo stesso spirito.
Secondo
questa prospettiva, la "liberazione" non sarà totale finché il
proletariato non ripudierà la cultura dominante.
E questo può
avvenire solo con un profondo cambiamento di mentalità, e anche di
temperamento, nel quale egli espunga da sé la cultura degli oppressori,
adottando una "coscienza critica" nei loro confronti, che
naturalmente tenderà a sfociare nella ribellione.
Ed ecco il
germogliare di una galassia di controculture, come quelle dei Centri sociali,
dove si formano i militanti della nuova rivoluzione, liberi da condizionamenti
culturali borghesi.
Qualche anno
dopo, teorici rivoluzionari come Wilhelm Reich e Herbert Marcuse hanno
cominciato a lanciare l'idea di oppressione morale.
Ispirati al
freudismo più radicale, questi ideologi affermano che l'uomo ha il diritto di
soddisfare ogni suo impulso senza dover subire nessuna coercizione.
L'unico
limite sarebbe il rispetto per il diritto degli altri.
Questa teoria, inizialmente conosciuta come
"freudomarxismo", trova nel "vietato vietare" sessantottino
la sua formulazione essenziale.
Per i
freudomarxisti non basta "liberarsi" dalle strutture economiche,
politiche, sociali e culturali.
C'è un'altra
rivoluzione molto più importante da fare, questa sì fondamentale: la
distruzione della gerarchia interna nell'uomo, in virtù della quale la Fede
illumina la ragione e questa guida la volontà, che a sua volta domina la
sensibilità.
Questa
rivoluzione propugna una radicale liberazione della sensibilità e degli istinti
contro gli inferiori freni inibitori imposti da secoli di cultura e di civiltà,
che sanciscono il dominio dell'intelligenza e della volontà sulle passioni.
Propugna
quindi una rivoluzione finalizzata a distruggere le istituzioni che perpetuano
socialmente quest'ordine morale, a cominciare dalla famiglia monogamica ed
indissolubile, ritenuta l'origine di tutte le nevrosi moderne.
Perciò una
delle sue principali rivendicazioni è proprio l'illimitata libertà sessuale.
Per sua
stessa natura, questa esplosione passionale che ne deriva tende a trascinare
nel vortice della lotta contro ogni autorità e "repressione" tutte le
attività e tutti i rapporti umani: nella famiglia, ne lavoro, nella scuola,
nell'economia, nella cultura, nella politica e via dicendo.
Più recentemente si, sta facendo strada un'altra idea, ancor
più vaga e struggente: quella di una sorta di oppressione psicologica.
Secondo questa
idea, pur in mezzo alla prosperità materiale, l'uomo contemporaneo è afflitto
da un profondo e multiforme malessere.
Questo
malessere sarebbe da attribuirsi all'ipertecnicismo della società industriale,
che ha finito col rompere certi equilibri naturali, producendo un ambiente
ostico all'uomo.
Insomma, la
modernità sarebbe profondamente malata.
Sarebbero
riconducibili a questa causa lo stress della vita moderna, le paure per i cibi
transgenici, il degrado dell'ambiente, le svariate nevrosi che affliggono gli
abitanti delle grandi città, e così via.
Ed ecco
che, per "liberarsi" di questo malessere, dilagano pratiche
orientaleggianti, come lo yoga, nonché diverse abitudini alternative alla
moderna società occidentale.
La
propaganda neorivoluzionaria si farà tentare anche dal desiderio di sfruttare
gli islamici come nuova categoria discriminata dopo gli attacchi dell'11
settembre, cercando di sommare la loro forza a quella della contestazione
anti-occidentale?
E questa
l'idea soggiacente, per esempio, alla sinistra ambientalista, che nelle sue
frange più radicali propone addirittura la fine della civiltà moderna ed il
ritorno a forme primitive di vita, in nome di un ritrovato equilibrio mentale
ed ecologico.
La
rivoluzione totale di un nuovo proletariato multiforme.
Sfruttando queste ed altre
idee, la neorivoluzione supera gli schemi marxisti, che abbracciavano il campo
economico, e quindi quello politico e sociale, per contestare radicalmente e
allo stesso tempo tutte le forme di autorità e di coazione legale, morale o
psicologica, in ogni campo e in ogni forma.
“l'Occidente
nella tenaglia”
Spunta
così la rivoluzione totale.
Questa
rivoluzione, spiega il teorico neomarxista francese Pierre Fougeyrollas, "significa
veramente una rivoluzione nella maniera di sentire, agire e pensare, una
rivoluzione nelle maniere di vivere (collettivamente ed individualmente),
insomma una rivoluzione della civiltà".
Alla "oppressione culturale" si
contrapporrebbe una "rivoluzione culturale".
Secondo il
copione marxista, la Rivoluzione avrebbe dovuto ricevere impulso
prevalentemente dai proletari in rivolta contro l'oppressiva società
capitalista.
Nella
neorivoluzione, questo proletariato viene affiancato da una sorta di nuovo,
variegato "proletariato" socioculturale, composto da quelle categorie
che, indipendentemente della loro situazione economica o sociale, si ritengono
in qualche forma discriminate da fattori di un qualunque tipo: morali,
culturali, psicologici, razziali, religiosi, ecc.
Così le
femministe si sentiranno discriminate dalla "cultura maschilista";
gli omosessuali si sentiranno discriminati dalla morale cristiana; gli
immigrati dalla "xenofobia"; i drogati dalla legislazione
proibizionista; le prostitute dal rifiuto sociale nei loro confronti; le
minoranze etniche dal "razzismo"; i libertini si sentiranno oppressi
da una società piena di regole; i nudisti dai "preconcetti borghesi"
e via dicendo.
La
propaganda neorivoluzionaria si farà tentare anche dal desiderio di sfruttare
gli islamici come nuova categoria discriminata dopo gli attacchi all'America
dell'11 settembre 2001, cercando di sommare la loro forza a quella della
contestazione anti-occidentale?
Secondo il nuovo
copione, ogni categoria di emarginati dovrà scrollarsi di dosso i fattori di
oppressione che concretamente gravano su di essa, ponendosi alla testa, ognuna
nel suo campo, di una lotta liberatrice.
Per la
naturale sinergia fra tutte queste "liberazioni", avremo quindi la
rivoluzione totale di cui sopra.
Questo
mutamento di Rivoluzione implica anche una trasformazione delle strutture che
la promuovono.
Nella nuova
prospettiva, il Partito comunista, come organizzazione politica,
"dogmatica" e rigidamente articolata, viene superato.
Le forze
della neorivoluzione non si organizzano in partiti politici ma in
"reti", ossia in gruppi di pressione che si muovono piuttosto in
campo sociale e culturale, adottando spesso nomi ingannevoli, stabilendo
coalizioni flessibili che si formano e si sciolgono al ritmo degli avvenimenti.
L'uso di
Internet permette a queste reti di comunicare in modo alquanto fluido e veloce.
Il ruolo di queste reti non
sarebbe quello di imporre un'ideologia, ma di acuire le tensioni etniche,
morali, culturali, sociali e via dicendo; di "liberare" le energie rivoluzionarie latenti nelle varie
categorie discriminate, e poi di coordinarne gli effetti disgreganti,
finalizzando il tutto alla distruzione di quanto resta della civiltà cristiana.
Nel loro insieme, queste
reti svolgerebbero per la neorivoluzione un ruolo non molto diverso da quello
svolto dal Komintern ai tempi della rivoluzione comunista.
L'assenza
d'un organo centrale darebbe poi l'illusione di movimenti piuttosto spontanei.
Questo
punto va sottolineato.
Più di un
commentatore ha argomentato che per l'assenza di una ideologia fondante, nonché
di una proposta alternativa e di un coordinamento politico, i fatti di Genova
non avrebbero il carattere di vera e propria rivoluzione.
A nostro
parere, essi non tengono nella dovuta considerazione tutta la portata dei
cambiamenti nel processo rivoluzionario.
Nell'agosto
1991 i leader delle varie reti si riunirono a Ginevra per cercare di "stabilire
le basi d'un movimento mondiale che annoveri ONG 19, movimenti popolari, centri
sociali e simili".
Qualcuno
parlò addirittura di formare una "Quinta Internazionale".
Ma non è
facile mobilitare persone contro un "sistema" troppo vago.
Mancava un
patente - casus belli - che permettesse a questa eterogenea accozzaglia di
coagularsi e scagliarsi contro un nemico concreto.
L'occasione fu servita su un
piatto d'argento nel 1992. Preoccupata per gli effetti di un eccessivo sviluppo
industriale sull'ambiente, l'ONU aveva convocato un "Vertice della
terra" (Earth Summit) per esaminare il problema al più alto livello.
Tenutasi a
Rio de Janeiro, la II Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo
Sviluppo (UNCED, nell'acronimo inglese) è stata forse la maggior assise della
storia, con 118 capi di Stato, 4.000 ministri e sottosegretari di 170 paesi,
nonché rappresentanti di 50 agenzie intergovernative.
Mentre
l'UNCED si riuniva in un centro convegni fuori città, nel Parque do Flamenco,
sul lungomare carioca si teneva un "vertice alternativo" e non meno
affollato: il Global Forum of NGOs and Social Movements (Forum Globale delle
ONG e dei Movimenti Sociali).
Presentandosi
come la voce di tutti gli scontenti, gli emarginati, ed i contestatori dell'attuale
ordine
TRADIZIONE
FAMIGLIA PROPRIETÀ / SETTEMBRENOVEMBRE 2001 – articolo pubblicato integralmente
e senza commenti.
internazionale, il Global
Forum radunò parecchie migliaia di persone in un immenso happening che si
protrasse per una settimana.
Vi erano rappresentate più di
800 ONG di 150 paesi.
Fu un primo
tentativo riuscito di articolare questa variopinta "quinta
internazionale".
Il vertice
di Rio si prefiggeva di esaminare un problema cruciale per l'umanità: l'attuale
modello di sviluppo industriale è compatibile col corretto uso delle risorse
naturali?
Oppure,
l'eccessiva industrializzazione dei paesi ricchi sta svuotando le risorse e
producendo anche un inquinamento che nuocerà alle generazioni future?
In questo
caso, non converrebbe ridurre il ritmo di sviluppo dei ricchi e abbassare il loro
tenore di vita per conservare meglio l'ambiente?
Così tutti,
anche i poveri, potrebbero usufruire equamente
delle risorse.
Ecco come l'allora Primo
Ministro di Norvegia Grò Harem Bruntland, vicepresidente dell'Internazionale
Socialista nonché primadonna dell'UNCED, enunciava il problema: "Dobbiamo
cambiare radicalmente i criteri di consumo e di produzione.
Dobbiamo
chiedere ai paesi sviluppati di cambiare il loro modello ormai inaccettabile.
(...)
Dobbiamo ammettere
che noi, paesi industrializzati, abbiamo aumentato il nostro livello di vita
abusando delle risorse naturali.
(...) E adesso non possiamo
dire al Terzo Mondo: pagate voi il conto. Siamo noi che dobbiamo pagare".
Perfetto
casus belli: un pugno di paesi industrializzati che, per incrementare il loro
già altissimo livello di vita, saccheggiano le risorse naturali del pianeta a
danno dei più poveri, i quali per giunta ne devono pagare le conseguenze anche
in termini di inquinamento!
E mentre i
paesi ricchi, con a capo gli USA, difendevano a
spada tratta il loro modello
di sviluppo, il Global Forum insorgeva contro questa "ingiustizia
planetaria".
Il suo tono
lo possiamo dedurre dal proclama rivolto ai convenuti da Femando Gabeira,
ex-terrorista rosso e presidente del Partito Verde brasiliano: "Da questo
raduno scaturirà una guerra fra il Nord ed il Sud del pianeta.
L'inquinamento,
la deforestazione, la sovrappopolazione e il buco dell'ozono saranno le armi di
questa lotta".
La
neorivoluzione aveva individuato il nemico.
Da Seattle al World Social
Forum di Porto Alegre:
la neorivoluzione prende fiato
Negli anni successivi a Rio,
gli alfieri di questa "quinta internazionale" si dettero a definire meglio
il bersaglio, nonché a escogitare i mezzi per colpirlo.
Correggendo
leggermente il tiro, lasciarono scivolare a un secondo piano il discorso
ambientalista — troppo soggetto a complicate discussioni scientifiche e
comunque non atto alla mobilitazione delle masse — e puntarono il dito contro
il nuovo spauracchio: la globalizzazione.
Secondo questa visione, il
mondo è governato dai paesi ricchi capeggiati dai cosiddetti G8.
Essi
manipolano i fili dell'economia e della finanza attraverso le aziende multinazionali.
Per
perpetuare questa situazione di privilegio hanno creato una serie di
istituzioni che dettano le regole del commercio e della finanza internazionale,
come la World Trade Organisation e il World Economie Forum, nonché istituzioni
che possono intervenire ovunque, come il Fondo Monetario Internazionale,
sempre, è chiaro, in difesa dei loro interessi.
Questo strapotere economico conferisce loro
anche il dominio politico nonché l'egemonia culturale.
La
globalizzazione non sarebbe altro che un processo atto a consolidare e
accrescere questo potere ai danni dei poveri del pianeta.
Non è
nostro proposito discutere in questa sede quanto sia giusto o meno un ordine
internazionale "globalizzato".
Siamo
comunque convinti che qualsiasi ordinamento che espropri le nazioni della loro
legittima sovranità e i popoli delle loro identità culturali e anche religiose,
non può essere ammissibile dal punto di vista della dottrina sociale della
Chiesa alla quale facciamo riferimento.
Anche se il
libero commercio deriva dal l'ordine naturale e, nelle attuali circostanze, non
può non produrre una certa internazionalizzazione dei rapporti umani, questo
resta un punto fermo.
Ma il fatto, è che i
neorivoluzionari non sono contro la globalizzazione, ma contro una determinata
globalizzazione:
quella capeggiata dai paesi
industrializzati.
"[Questi
ideologi], presentano proposte teoriche e pratiche che permetterebbero di
visualizzare una globalizzazione di nuovo tipo, — spiega il giornale parigino
Le Monde — [essi] tentano di lanciare le basi di un'altra
globalizzazione".
Sarebbe,
nelle parole di un commentatore, "una globalizzazione dal volto
umano".
World
Social Forum di Porto Alegre, "l'atto costitutivo della Quinta
Internazionale".
Una prima occasione
di confronto con questo nemico fu offerta dalla riunione della WTO a Seattle
(USA), nel novembre 1999.
Con un
perfetto coordinamento, che lascia intravedere un'abile regia internazionale,
decine di migliaia di militanti della "quinta internazionale" — che
nel frattempo aveva abbandonato la sigla Global Forum — calarono sulla città
statunitense per una catena di proteste "pacifiche".
Puntualmente,
queste proteste degenerarono nei più violenti scontri dai tempi della guerra di
Vietnam, che lasciarono il centro di Seattle devastato e riuscirono perfino a
bloccare la riunione della WTO.
Le sinistre
di tutto il mondo insorsero contro la "prepotenza" della polizia, e
infuocate manifestazioni antiglobal si verificarono un po' ovunque.
A Ginevra,
5000 per sone bloccarono la sede centrale della WTO, mentre a Londra violenti
scontri scoppiarono davanti a Euston Station.
Era nato il "popolo di
Seattle".
Seguirono
altre manifestazioni, tra le quali bisogna ricordare quella di Genova, nel maggio
2000, contro una conferenza di aziende nel settore della biotecnologia.
Per la
prima volta fecero irruzione le "tute bianche", armate con
manganelli, maschere da gas, scudi ed altri attrezzi che non lasciavano dubbi
sul fatto che i militanti della "quinta internazionale" si
addestrassero alla guerriglia.
A settembre
toccò a Praga, dove migliaia di manifestanti protestarono contro la riunione
annuale del Fondo Monetario Internazionale, scontrandosi con la polizia e
causando ingente danni.
Stesso copione
a Nizza, in dicembre.
Ma il vero atto costitutivo di
questa "quinta internazionale" è stato il World Social Forum,
convenuto nella città brasiliana di Porto Alegre nel gennaio 2001 in
concomitanza con la riunione a Davos, Svizzera, del World Economie Forum.
E
interessante rilevare che fra gli organizzatori del Social Forum troviamo molti
reduci dal Global Forum del 1992, il che ne evidenzia la continuità.
Non è
questa la sede per farne un'analisi approfondita, rileviamo appena qualche
spunto utile per la nostra tesi.
Del World
Social Forum hanno partecipato più di 1.500 ONG, movimenti sociali e gruppi
"alternativi" di tutto il mondo, per un totale di 15.000 persone
provenienti da 122 paesi.
Il membro
italiano del Comitato organizzatore era Vittorio
Agnoletto, che poi ritroveremo
a Genova a svolgere il ruolo di portavoce della contestazione.
L'elenco
dei partecipanti ci offre uno squarcio della estrema complessità del
neoproletariato: dai guerriglieri colombiani delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie
di Colombia) ai membri del PROUT, un movimento indiano che promuove la fusione
fra marxismo e yoga; dai teologi della liberazione latinoamericani
all'agitatore francese José Bove; dalla delegazione del governo comunista di
Cuba (molto applaudita) ai movimenti animalisti; da gruppi africani
tribalistici a dirigenti dell'Internazionale Socialista ai vertici del Partito
dei Lavoratori brasiliano (PT), di ispirazione marxista.
Fra i
convenuti c'era anche una folta schiera di reduci di Seattle e di Praga.
Tutta questa allegra
accozzaglia era però compattamente unanime nel denunciare il grande nemico del
nuovo millennio: il neoliberismo.
Cogliendo
il senso profondo dell'avvenimento, Le Monde Diplomatìque commentava in un
editoriale:
"Una sorta di - Internazionale Ribelle - è nata in Brasile, mentre i signori del mondo si riunivano a Davos, Svizzera".
Da parte
sua, in un documento ufficiale il Social Forum si definiva "un arcipelago
planetario di resistenza".
La varietà
dei temi trattati riflette la stessa eterogeneità delle componenti di questo
arcipelago planetario.
Così, da
infuocate sessioni in cui guerriglieri colombiani convocavano alla
"resistenza armata contro il neoliberismo", si passava a show in cui
attrici in topless auspicavano che "la Santa Madre Chiesa corregga gli
errori delle tavole di Mosè e il sesto comandamento ordini di festeggiare il
corpo".
Una cosa,
però, era palese: la consapevolezza che gli ideali del Social Forum fossero la
continuazione, in termini moderni, del processo rivoluzionario.
"Perché siamo qui? — si domandava nella sessione
inaugurale il candidato marxista alla presidenza del Brasile, José Ignacio da
Silva — Che cosa ci accomuna?
Abbiamo
lo stesso impulso che ha dato vita alla Rivoluzione Francese, alla Rivoluzione
Messicana del 1911, alla Rivoluzione Cubana".
3.
Il ruolo basilare del nuovo '68
Finalmente,
nel luglio scorso, questa "internazionale ribelle" sbarca a Genova
con armi e bagagli sotto il patrocinio del Genoa Social Forum (GSF), con le
conseguenze che abbiamo visto.
Non si è
quindi trattato di una spontanea manifestazione di protesta, ma di una
operazione lungamente pianificata.
"I
trecentomila che hanno sfilato in occasione del G8 — spiega Don Luigi Ciotti, fondato
re del gruppo Abele e figura di riferimento del movimento no global — non sono
spuntati dal nulla.
Erano anni
che centinaia e centinaia di gruppi, di associazioni, di piccoli movimenti
lavoravano e costruivano e si sporcavano le mani".
L'agenzia
ADISTA definisce il GSF come "il cartello che riunisce oltre 500 gruppi,
associazioni, ONG, sindacati, centri sociali in lotta contro il
neoliberismo".
Il fattore
agglutinante è la consapevolezza di essere, in vari modi, i continuatori del
processo rivoluzionario.
Già Toni
Negri, ex cattivo maestro di Potere Operaio e ideologo del movimento noglobal,
proclamava a chiare note:
"II
popolo di Seattle? Un'eruzione, un grande fenomeno di libertà. (...) forse un
nuovo Sessantotto".
Da parte
sua, il sociologo Sabino Acquaviva avvertiva: "Si sta giocando col fuoco.
(...) C'è davvero il pericolo che si arrivi a qualcosa di simile al '68".
Semmai, questo giudizio pecca di eccessiva
cautela.
Proclamando
che il GSF "riprende i grandi valori del '68", Agnoletto dichiara
"noi dobbiamo andare oltre".
sinistra cattolica:
Rispunta il cattocomunismo
Ma forse
l'aspetto più rivelatore emerso dagli episodi di Genova è stato il ritorno
della "sinistra cattolica" o del "catto-comunismo", che da più
parti era stato dato troppo frettolosamente per defunto in seguito al tramonto
dei movimenti rivoluzionari, suo humus naturale.
Eccolo
invece riciclato all'interno della neorivoluzione, di cui anzi in alcuni casi
funge da forza tramante.
Lo stesso Agnoletto,
portavoce della contestazione, proviene da una doppia militanza: Associazione
cattolica degli scout e Democrazia Proletaria.
Tra le
componenti della contestazione noglobal spiccano numerose sigle cattoliche.
"C'è
anche un pezzo di Chiesa all'interno del movimento di contestazione",
rivela ADISTA, precisando che "è piuttosto folta la presenza di gruppi e
organismi cattolici all'interno del GenoaSocial Forum".
Sulla prima pagina del Corriere della Sera,
Angelo Panebianco denunciava "la ripresa di quel fenomeno, noto come
cattocomunismo, che tanto peso ha avuto nella storia del nostro Paese".
E due settimane dopo rilevava: "C'è
qualcosa di paradossale nel fatto che mentre la sinistra intellettuale, ormai
da tempo, ha buttato il marxismo alle ortiche, esso continui a godere di così
tanta popolarità in ambito cattolico".
Purtroppo,
non si tratta di un fenomeno marginale. Questi gruppi e organismi non solo
vengono spalleggiati da rilevanti settori del cattolicesimo italiano, ma si
fregiano perfino di autorevoli legittimazioni da parte di certi esponenti della
gerarchia ecclesiastica.
D'altronde,
si sentono sicuri dell'acquiescenza di quelle non poche autorità che dovrebbero
invece contrastarli.
Non potremo
mai sottovalutare questo apporto cattolico, vista la presenza del Papato sul
suolo italiano e l'influenza che la leadership spirituale della Chiesa esercita
sulla maggioranza degli italiani.
Commentando
il manifesto delle Associazioni Cattoliche che, volens nolens, portavano acqua
al mulino del Genoa Social Forum, Antonio Gaspari notava che esso "ha
creato una grande confusione, fornendo al Genoa-Social Forum visibilità,
credibilità e soprattutto una massa di gente da manovrare per fini strettamente
politici".
E Panebianco rincarava: "Si è data una
patente di legittimità ai contestatori, ingenerando nell'opinione pubblica la
sensazione che la Chiesa condividesse il loro manicheismo morale. (...)
Probabilmente,
il governo non avrebbe mai dato quel passo [dialogare col GSF] se non avesse
registrato una così massiccia adesione del mondo cattolico".
Un'adesione
che, tra l'altro, veniva sottoscritta anche da rappresentanti della sinistra
come Pietro Burlando, Livia Turco e Marco Minniti, nonché dall'ex-segretario
della Quercia Achille Occhetto.
Neanche
dopo i gravi incidenti di Genova questi cattolici
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / SETTEMBRE
NOVEMBRE 2001
C’è alleanza tra fondamentalismo islamico e comunismo?
si sono tirati indietro, pur
prendendo le distanze dalla violenza che, tutto sommato, è un fattore
secondario e strumentale nella Rivoluzione, non la sua essenza.
Dichiara
Mons. Diego Natale, presidente del movimento Pax Christi e vescovo di Saluzzo:
"È il nostro dovere tenere alta la speranza nata da una colossale
mobilitazione dei cattolici.
Il
movimento sceso in piazza a Genova allarga gli orizzonti della Chiesa e della
società".
Analoga posizione
ha preso Mons. Nogaro, vescovo di Caserta.
Orfani del
comunismo, i cosiddetti catto-comunisti sembrano alla ricerca di una nuova
identità.
Un po'
dappertutto li vediamo adesso gioire per averla trovata nella contestazione
noglobal.
"La
notte oscura continua", secondo un padre storico della teologia della
liberazione, il sacerdote belga Joseph Comblin, "e tuttavia stanno
comparendo luci che potrebbero annunciare tempi nuovi".
In una dichiarazione all'organo neocomunista
L'Unità, Don Luigi Ciotti segnala che "nel mondo cattolico stanno
crescendo sempre più le aree 'impegnate' che giudicano l'attuale sistema
capitalistico del
tutto inadeguato a gestire
questo passaggio di civiltà della storia dell'uomo.
A Genova
c'erano moltissimi gruppi cattolici".
Fra le
realtà che cominciano a rispuntare vi è la teologia della liberazione.
In
occasione del World Social Forum di Porto Alegre, il teologo belga Francois
Houtart ha salutato il movimento noglobal come un chiaro segno della
"rinascita della teologia della liberazione".
Ma così come sbaglia chi vede nella neo
rivoluzione una tardiva manifestazione del marxismoleninismo, sbaglia pure chi
scorge in questa "rinascita" una semplice riedizione della teologia
della liberazione.
Il riciclaggio della teologia della liberazione
La teologia
della liberazione (TdL) non è spuntata ieri dal nulla.
Essa è
figlia di quelle correnti che, almeno dai tempi della Rivoluzione francese, si vanno
adoperando per spiegare in chiave pseudoreligiosa le successive tappe del
processo rivoluzionario e, quindi, trasbordarvi un certo numero di cattolici:
una corrente di attivismo sociale di sinistrache comincia come
"cattolicesimo sociale", si trasforma poi in "cattolicesimo
democratico" e infine sfocia nel "socialismo cristiano"; e una
corrente filosofi-coteologica che, nata come "cattolicesimo liberale"
ha dato vita al "modernismo" e successivamente alla "teologia
nuova" o "progressista".
La TdL ebbe
il suo periodo d'oro fra gli anni 19601990, in concomitanza e in intima
correlazione con l'apogeo della rivoluzione comunista, specialmente in America
Latina.
Col tramonto di questa rivoluzione, analogamente a ciò che è accaduto all'interno dei vari partiti marxisti, anche la TdL ha dovuto iniziare un processo di adattamento alle nuove realtà.
A questo
scopo, per esempio, si era tenuto un convegno mondiale di teologi della
liberazione nella casa madre dell'Ordine Maryknoll a New York, nel luglio 1988.
E così, come dal ventre della rivoluzione
marxista è sorta la neorivoluzione, dal movimento della TdL stanno spuntando
una serie di dottrine e di correnti che si prefiggono di offrire una
giustificazione pseudoreligiosa alle nuove lotte rivoluzionarie.
Una "Rivelazione" dall'interno del processo
rivoluzionario
Lungi
dall'essere in contrasto colla vecchia TdL, questo adattamento non è che lo
sviluppo logico delle sue premesse dottrinali.
Per
appoggiare la Rivoluzione permanente, la TdL si fonda sull'idea di una
Rivelazione permanente.
Negando
la dottrina cattolica, secondo la quale la Rivelazione pubblica si è conclusa
con la morte dell'ultimo Apostolo ed è integralmente contenuta nelle Sacre
Scritture e nella Tradizione, la TdL sostiene che essa continua lungo la
storia.
Così
la TdL distrugge l'idea d'un deposito della Fede completo e di un Magistero che
lo interpreta infallibilmente, e va a cercare una rivelazione immanente nelle
realtà socio-politiche in evoluzione.
Secondo
la TdL, questa rivelazione immanente si manifesterebbe preferenzialmente —
diremmo quasi esclusivamente —
mediante un aspetto concreto della realtà storica, e cioè i "poveri"
od "oppressi", impegnati in una "prassi sovversiva".
I teologi
della liberazione parlano di "poveri", ma questo vocabolo non va
inteso nel suo senso stretto, cioè riferendosi alle persone materialmente
bisognose.
Nella
logica della TdL, "povero" è qualsiasi persona che in qualche modo si
senta "oppresso" o "alienato", vittima cioè d'una
situazione di discriminazione o di disuguaglianza.
La TdL
considera quindi come portatori di "rivelazione" i movimenti ed i
processi storici rivoluzionari, cioè i grandi movimenti sovversivi politici,
economici e culturali dei tempi moderni.
Con
l'orecchio rivolto a questi processi storici ed interpretando il loro senso
profondo, secondo la TdL, possiamo in un certo modo sentire la voce di Dio che
essi esprimono.
A partire
da queste premesse, è facile capire come la TdL sia riuscita ad inserirsi nella
neo-rivoluzione.
Basta
sostituire "povero" con ognuna delle categorie del neoproletariato
sopra descritte, analizzare le "oppressioni" che concretamente
gravano su di esse e proclamare poi una "prassi Hberatrice"
impregnata di "rivelazione divina".
In questo
modo si può ricavare una quantità praticamente infinita di teologie della
liberazione: teologia nera, teologia indigenista, teologia femminista, teologia
gay, teologia animalista e via dicendo.
Le situazioni
rivoluzionarie cambiano enormemente e quindi non esiste una rivoluzione
statica.
Il metodo
della TdL è applicabile a situazioni e a processi rivoluzionari diversi e
sempre mutevoli.
Una di
queste situazioni è, appunto, la contestazione noglobal.
È
molto significativo che, a giustificazione del suo ruolo da protagonista negli
episodi di Genova, Don Vitaliano Della Sala abbia dichiarato che "Dio non
è soltanto nel Vangelo, parla anche attraverso la storia".
E
la storia passa oggi per la contestazione noglobal che, tra l'altro, egli
considera la continuazione della sovversione marxista: "Esiste un filo
conduttore tra il nuovo movimento e la guerriglia del Che Guevara".
Secondo la
TdL il "povero" pacifico e rassegnato non costituisce di per sé una
fonte di rivelazione.
Questo
privilegio spetta unicamente a coloro che sono concretamente impegnati in una
prassi sovversiva tesa a cancellare le situazioni di oppressione.
Da questa
prospettiva, sono solo quindi i rivoluzionari militanti, i partigiani di
dottrine eversive e i fomentatori di rivolte a poter interpretare in modo
adeguato la voce di Dio immanente nella storia.
Le loro attività
sovversive diventano luoghi privilegiati di rivelazione, la materia prima di
cui sarà poi fatta la teologia della liberazione.
Questo punto è importante.
Più che una
dottrina, la TdL è una prassi, e concretamente una prassi rivoluzionaria.
"Ciò che noi intendiamo per teologia
della liberazione è l'inserimento nel processo politico rivoluzionario",
scrive il teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, fondatore della corrente.
È perciò che i teologi della liberazione
usano l'insolita espressione "fare teologia", anziché conoscere o
studiare teologia.
Non
ci vuole troppa immaginazione per capire come, nella logica della TdL, un
militante del Black Block sventolando una bandiera nera su una macchina
bruciata e capovolta a Genova possa essere considerato un "povero"
nell'atto di "fare teologia"...
Si
svilupperà questa nuova TdL fino alle ultime conseguenze?
Si
impegneranno i progressisti cattolici fino in fondo nella contestazione
noglobal? Trascineranno con loro la massa dei fedeli?
La risposta
a queste domande dipenderà largamente dalla risoluzione dei quesiti posti
all'inizio.
Davanti
alla neorivoluzione si vanno formando due blocchi, separati da fessure molto
più accentuate in profondità di quanto non appaiano in superficie.
In termini
più semplici, sarebbero i partigiani della contestazione e i suoi oppositori.
Tutto dipenderà essenzialmente dalla rispettiva farce de frappe dei due
schieramenti.
Quale sarà maggiore?
C'è però il
grande dato nuovo: assistiamo anche al crescente spostamento d'una maggioranza
finora inerte verso atteggiamenti, se non di attiva opposizione alla
Rivoluzione, almeno di rifiuto delle sue manifestazioni più estremiste.
Fin
dove arriverà questo spostamento? Ecco la grande domanda alla quale solo il
futuro saprà rispondere.
Una verità nascosta: |
L'ombra della Rivoluzione sul fondamentalismo islamico
Dopo gli attentati dell'11 settembre, il
tema più trattato dai media è l'Islam.
Le sue molteplici correnti
vengono accuratamente suddivise, descritte e paragonate &a loro. In maniera
superficiale, si ciancia su "moderati" e "radicali", e
s'indaga sulle complesse divisioni etniche e culturali.
"Personalità"
islamiche, in verità del tutto sconosciute, vengono presentate all'Occidente e
le parole arabe vengono utilizzate come se tutto il mondo le capisse.
Dopo questo
bombardamento psicologico, il lettore chiude il giornale, o spegne la tivù, con
la sensazione di non aver ricevuto una informazione oggettiva e chiara sulla
realtà.
Un aspetto capitale della
tematica sembra venirci meticolosamente nascosto: cosa è in realtà questo
fondamentalismo islamico?
S'identifica veramente con
Maometto e col Corano?
E se non s'identifica, cosa è
allora?
D'altra parte, perché la sinistra
più radicale dell'Occidente, particolarmente il cosiddetto cattocomunismo, non
riesce a nascondere la propria simpatia per i talebani fondamentalisti?
Perché 23 vescovi di Brasile,
Argentina e Messico, hanno duramente criticato gli attacchi angloamericani
all'Afghanistan paragonandoli ad atti terroristici, con l'aggravante — secondo
loro — di essere compiuti "da governi che si presentano come democratici,
civilizzati e cristiani"?
Infine, dietro le apparenze, esiste un
denominatore comune che unisce la sinistra progressista al fondamentalismo
islamico?
Islam: mondo finora
sconosciuto e poco significativo per l'Occidente
L'Islam, in quanto fede religiosa, è sparso in una immensità di popoli, che vanno dall'Atlantico fino alla Polinesia, alcuni dei quali immersi in una grande miseria.
Fino a poco fa, il suo multisecolare torpore era perturbato solo da dispute locali.
L'afflusso di petrodollari, che
dovrebbero servire a promuovere lo sviluppo moderno nei domini islamici,
sembrava Luis Dufaur non aver eliminato questa paralisi; Soltanto un
pugno di emiri, sceicchi e sultani sprecava miliardi in lussi sfrenati, in
genere di cattivo gusto e spesso immorali, mentre la massa delle popolazioni —
seguendo gl'insegnamenti del "Profeta" sulla
"sottomissione" ("Islam" appunto) — vegetava all'ombra di
quegli arcimiliardari.
Era diventata abissale la
sproporzione tra l'organizzazione e lo slancio dell'Occidente, nato dalla
civiltà cristiana — sebbene oggi profondamente corrotto dal neopaganesimo — e
il disordine e l'immobilismo della pesante eredità di Maometto.
Nel secolo XIX, quasi tutte le
terre musulmane erano sotto controllo di nazioni europee, ricche e dinamiche.
Se
la paralisi non genera movimento, donde viene quel dinamismo?
All'inizio del secolo XX, in quel
magma da secoli sclerotizzato, esplose una tendenza nuova chiamata
fondamentalismo.
Essa è attiva, aggressiva, modernizzata nelle
sue tecniche / molte volte terroristica.
All'improvviso
incominciò a minacciare l'ordine occidentale neo-paganizzato, un tempo
cristiano, "padrone dell'universo".
Dice l'adagio popolare: nessuno da quello che
non ha.
Siccome la paralisi non genera il
movimento, il dinamismo può provenire solo da chi lo possiede.
Un rapido giro nelle biografie
dei capi islamici fondamentalisti mostra che essi, nella maggioranza, si
laurearono nelle università dell'Occidente o in equivalenti scuole
occidentalizzate nell'Oriente, I loro scritti riproducono le stesse idee che
corrodono le basi cristiane delle società occidentali.
E come se il virus rivoluzionario
occidentale fosse stato iniettato in un brodo di coltura ristagnante,
producendo una infezione esplosiva, con caratteristiche proprie ma con la
stessa o maggiore pericolosità.
Il capo terrorista
Bin Laden è un esempio caratteristico di questo processo di laboratorio della
Rivoluzione.
Figlio di
miliardari, fu educato nell'esclusivo collegio Le Rosey, in Svizzera.
La sua giovinezza
fu quella di un playboy del jetset, in mezzo a lussi e scandali
nelle grandi capitali occidentali, nel Libano e nell'Arabia Saudita.
Sì, di quel jetset
che tanto piace a certe sinistre...
Hassan el Turabi, ideologo del
regime persecutore dei cristiani in Sudan, si è laureato ad Oxford e alla
Sorbona.
Ali Benadi e Abasi Madani, capi
fondamentalisti dell'Algeria, impararono le loro dottrine e tecniche
sovversive in Europa.
Anche i seguaci più stretti di Bin
Laden provengono da ambienti colti e agiati. La lista è interminabile.
Lo studioso francese Roger du
Pasquier commenta che i teorici più autorevoli in seno ai movimenti integristi
e attivisti impegnati nel mondo musulmano, nonostante il loro formale e
superficiale rifiuto, manifestano in realtà una contaminazione intellettuale da
concezioni occidentali moderne. Quali concezioni?
Egli chiarisce: "Le forze
sovversive che da due secoli hanno causato tante rivoluzioni e violenze in
Occidente e in Oriente, perfino in Cina".
Cioè, il socialismo e il comunismo, non nelle versioni ormai fallimentari,
ma in versioni più aggiornate, come vedremo.
Il lettore ricordi questo concetto
e vedrà che può essere la chiave di lettura per capire molti degli avvenimenti
attuali.
Noti
promotori della Rivoluzione anticristiana in Occidente sono divenuti musulmani
Da anni, personalità impegnate
nella Rivoluzione politico-sociale e culturale che squassa le fondamenta
cristiane dell'Occidente sono divenute musulmane, senza però rinunciare alle
loro idee. Per esempio, Roger Garaudy, già responsabile del Partito Comunista
francese per i rapporti con le religioni, ha predicato l'islamismo fino alla
morte, come via superiore per raggiungere le mete utopistiche di Marx e Lenin.
Cat Stevens, star della musica
rock, anche lui si è sbattezzato nell'Islam e finanzia una ONG islamica.
Lo stesso hanno fatto, fra gli
altri, l'ecologista Jacques Cousteau, il coreografo Maurice Béjart, i cantanti
Richard e Linda Thompson, il campione mondiale di box Cassius Clay, che aderì
ai Musulmani Neri, movimento filomarxista capeggiato da Malcoim X, un altro
convertito.
Primi tentativi d'inoculazione rivoluzionaria nell'Islam
Nei secoli di ristagno, ci furono
tentativi di riaccendere il furore anticristiano islamico, ma non andarono
oltre casi ristretti.
Per esempio Muhammad Ibn Abdel
Wahhab (17031787) formò una confraternita radicale — il wahhabismo — che
sarebbe rimasta ignota se, in occasione della prima Guerra Mondiale, i suoi
scarsi seguaci non si fossero alleati all'Inghilterra contro la Turchia.
Dopo il conflitto, ricevettero
come ricompensa il regno dell'Arabia Saudita.
Fu alla fine
del secolo XIX e durante il XX che crebbe la penetrazione di idee
rivoluzionarie occidentali nel mondo musulmano.
Djamal
edDin Afghani, a partire da Londra, attizzò l'insurrezione iraniana.
Muhammad Abduh
(1849 - 1905), il suo continuatore, predicò le idee progressiste europee
di tipo anticolonialista.
Nell'India
Sayed Ahmad Kahn, che vantava il titolo di sir inglese, creò il nucleo del
pensiero nazionalista musulmano, da cui nacque il Pakistan (il "Paese dei
Puri").
Muhammad
Iqbal (18731938), un altro baronetto inglese, laureato ad Oxford, Heidelberg e
Monaco di Baviera, ammiratore di Hegel, Nietzsche e Bergson, fu colui che
formulò l'idea e il nome del l'attuale Pakistan.
Egli
elogiava il marxismo e tentò di realizzare la sintesi fra il socialismo e la
dottrina di Maometto.
Il suo
discepolo, Abdui Ala Maududi, fortemente modernista, predicò una terza via fra
il capitalismo e il comunismo ed è considerato il padre del fondamentalismo
pakistano odierno.
Nella
famosa rivoluzione di Khomeini in Iran, iniziata nel 1979, numerosi militanti
della sinistra divennero fondamentalisti.
L'intellettuale
cristiano marxista Gahii Chuckri narra:
"Fra gli aspetti che ancora sono presenti alla memoria,
c'è il fatto di aver visto pensatori, noti per il loro passato marxista,
diventare in un batter d'occhio islamici convinti.
Sì,
pensatori che appartenevano — in quanto battezzati — al Cristianesimo, si
trasformarono, dalla notte al giorno, in musulmani estremisti; pensatori che
appartenevano per cultura all'Occidente e al modernismo, diventarono fanatici
dell'Oriente, senza alcuna remora o restrizione!".
Il Partito
Comunista iraniano (Tudeh) approvò la rivoluzione degli ayatollah: "II
contenuto del processo di evoluzione storica prende oggi un aspetto religioso.
Per i
marxisti, è perfettamente naturale che la lotta di liberazione, a seconda delle
condizioni del tempo e del luogo, assuma forme differenti. (...)
Questa
rivoluzione anti-imperialista, antidittatoriale e popolare è stata fatta
secondo le parole d'ordine dell'Islam e sotto la direzione di un capo religioso
celebre nell'Iran, l'imam Khomeini".
Tornato da
Parigi, Khomeini creò l'organizzazione terroristica Hezbollah.
Il discorso
inaugurale dell'organismo fu una parafrasi del sovversivo grido di Marx ed
Engeis, "Proletari di tutto il mondo, unitevi!".
"Finora
gli oppressi erano disuniti e nulla si ottiene dalla disunione.
Adesso che
è stato dato un esempio di efficacia dell'unione degli oppressi in terra
musulmana, questo modello dev'essere diffuso dappertutto e prendere il nome di
'Partito degli Oppressi, sinonimo del ' Partito di Dio ' (Hezbollah).
Gli
oppressi devono regnare sulla terra, questa è la volontà dell'Altissimo, di
Allah".
Come
si vede, si tratta del vecchio marxismo travestito da islamismo.
Bruno
Etienne, professore d'Islamismo all'università di Aixen Provence in Francia,
spiega l'affinità fra Marx e il fondamentalismo: "La lotta di classe, come
Engeis l'aveva prevista, non sbocca nella rivoluzione tranne che quando essa si
può presentare in termini religiosi; la finalità dell'islamismo radicale è
molto mondana: creare un regno ugualitario che rovesci l'arroganza dei
padroni".
Nulla ha
contato tanto nella genesi del fondamentalismo quanto l'associazione egiziana Fratelli
Musulmani, fondata nel 1928 da un modesto professore, Hassan alBanna.
"La
resurrezione islamica, che si manifesta oggi nel mondo arabo, proviene
direttamente o indirettamente dall'organizzazione dei Fratelli Musulmani",
spiega un sito islamico americano che pubblica la sua biografia.
In una
opera chiave, al Banna insegna che il dovere dei Fratelli è "espandere
l'Islam in tutti gli angoli del globo, finché non ci sarà più rivolta ne
oppressione e la religione di Allah avrà prevalso".
Insegna anche
il loro slogan: "La morte sulle vie di Allah dev'essere la nostra più
nobile aspirazione".
In questa
Fraternità, sunniti e shiiti marciano fianco a fianco e mantengono una unità di
azione.
Nel 1989,
il regime di Teheran divulgò un opuscolo che accumulava esempi di concordanze e
collaborazioni fra sunniti e shiiti radicali in seno ai Fratelli.
Esso
trascrive lodi sperticate della Fraternità a Khomeini e, viceversa, esalta al
Banna come grande artefice di questa unità.
Ai suoi
primordi, l'organizzazione simpatizzò per le idee nazifasciste, nazionaliste,
antica-pitalistiche e antiebraiche, all'epoca di moda in Europa.
Tale
tendenza non ha mai smesso di esistere nel movimento fondamentalista, ma in
genere è stata accresciuta da altri elementi.
Sayyid Qutb
il Gramsci del fondamentalismo rilegge il Corano in chiave rivoluzionaria.
Nessuno
segnò tanto la Fraternità Musulmana quanto Sayyid Qutb (19061966), che
rappresentò per il fondamentalismo ciò che l'italiano Gramsci fu per il
comunismo, cioè fece con Maometto quello che il pensatore sardo fece con Marx:
una rilettura rivoluzionaria.
Negli Stati
Uniti, Qutb conobbe la rinascita pentecostalista del protestantesimo, basata
sul ritorno alle cosiddette fondamenta.
Di
conseguenza il "fondamentalismo" venne esteso al neoislamismo, anche
se questo non impiega mai tale termine.
Qutb
riadattò la vulgata musulmana alle utopie rivoluzionarie occidentali.
E
necessario, secondo lui, che l'Islam torni alla sua natura originaria, alle sue
fondamenta; e riformulò tali fondamenta parafrasando la dottrina anarchica
della disalienazione (nessuno dev'essere sottomesso a nessuno).
Nel suo
libro basilare insegna: "L'Islam è una dichiarazione generale di
liberazione del l'uomo nel mondo dalla dominazione da parte dei suoi simili;
(...) il rifiuto completo del potere di ogni creatura, sotto ogni forma; il
rifiuto di ogni situazione di
dominazione su esseri umani
per opera di organizzazioni o situazioni, di qualunque forma.
Quando
il potere è in mano ad esseri umani, questi impersonano il Creatore e di
conseguenza vengono accettati dai loro simili.
Orbene,
questo è misconoscere ed espropriare il potere di Allah.
"Insieme Iran e Cuba sono in condizione di
mettere in ginocchio l'America.”
Fidel Castro
all'Università di Teheran, nel corso di un giro per i paesi arabi radicali lo
scorso maggio. (AFP, 10052001).
Fino
a dove potrà arrivare questa sorta di simbiosi fra fondamentalismo islamico e
comunismo?
e questi
usurpatori devono essere eliminati. Questo comporta la negazione del regno
degli esseri umani, per sostituirlo con un regno divino sulla terra".
Qutb sapeva
che un regno diretto di Allah sugli uomini non è realizzabile e allora
proponeva un regime intermediario in cui una organizzazione poco visibile
guidasse i popoli, fino al momento in cui ogni governo
cesserebbe e gli uomini
passerebbero a vivere in contatto diretto con Allah.
Cioè,
qualcosa di analogo alla "avanguardia del proletariato" di Lenin.
Le somiglianze fra il progressismo
cattolico e il fondamentalismo islamico
Secondo
il Corano, Dio si rivelò originariamente ad Abramo.
A
causa della prevaricazione degli ebrei, si manifestò poi a Gesù.
Ma anche i
cristiani falsificarono la rivelazione divina, e allora Dio si manifestò a
Maometto.
Il Corano
sarebbe il messaggio definitivo indiscutibile e Maometto l'ultimo dei
"profeti".
Qutb spiega
l'apostasia dei cristiani seguendo il pensiero del progressismo occidentale.
Le prime
comunità cristiane, secondo lui, avevano un diretto contatto con Dio, senza
intermediari ne autorità ne dottrine razionali.
Ma il
riconoscimento di un magistero teologico e pastorale razionale portò alla
catastrofe. E aggiunge: "La più grande calamità fu il successivo evento
del trionfo storico del cristianesimo.
Esso
accadde quando l'imperatore romano Costantino abbracciò la nuova
religione".
E poi,
secondo Qutb, i concili definirono verità di fede e rafforzarono l'autorità
pontificia.
Qutb vedeva
difensori della "vera religione" negli eretici ariani, monofisisti e
giacobiti, scomunicati dalla Chiesa.
L'apostasia,
secondo la sua tesi, culminò nel Medioevo.
Qutb se la
prende contro il monachesimo medioevale, l'ubbidienza e la castità praticata da
monaci e frati.
"Furono
introdotti nel credo — asserisce — dogmi astratti assolutamente
incomprensibili, inconcepibili ed incredibili (...) il più sorprendete dei
quali fu il dogma riguardante l'Eucarestia, contro cui si rivoltarono Martin
Lutero, Giovanni Calvino e Ulrich Zwingli, ponendo le basi di quel fenomeno
storico-religioso chiamato Protestantesimo".
Egli
aborrisce anche l'Inquisizione, che punì Giordano Bruno con la morte e Galileo
Galilei con le censure ecclesiastiche.
Nelle
eresie e nelle contestazioni alla Chiesa cattolica, egli vede segni precursori
di un ritorno al messaggio primitivo del Cristianesimo, che sarebbe rimasto
integro nell'Islam.
"L'Europa
si ribellò fai Cristianesimo; l'Europa si ribellò contro l'arbitrio degli
uomini di Chiesa.
Ma l'Europa
ribelle rimase tanto segnata dalla Chiesa che non se ne può sperare la
salvezza".
L'europeo,
secondo lui, in ogni cosa ragiona logicamente, fa distinzioni, per influenza
della Chiesa prevaricatrice.
La
missione del fondamentalismo: completare la Rivoluzione anticristiana.
Questa è
una delle chiavi di lettura per comprendere il fenomeno del fondamentalismo
islamico.
Siamo allo
stadio culminante del processo rivoluzionario, denunciato e analizzato da Plinio
Correa de Oliveira.
Qutb
riverisce i "principi della Rivoluzione francese e i diritti di libertà
individuale, all'inizio dell'esperienza democratica nordamericana".
Tuttavia,
lamenta che "questi valori non si sono mai pienamente sviluppati ne realizzati
interamente.
Essi sono insufficienti per far fronte alle
esigenze di una umanità in evoluzione".
La salvezza, concludeva l'ideologo dei
Fratelli Musulmani, non verrà dall'Occidente ma dall'Islam, che completerà ciò,
che la ribellione contro il Cristianesimo non è riuscita a fare.
"Ciò
presuppone una operazione di risurrezione islamica che sarà seguita prima o poi
dalla conquista del comando del destino umano nel mondo".
"L'Islam
è destinato a tutto il genere umano: il suo campo di azione è la terra, tutta
la terra", che deve costituirsi in una Repubblica islamica universale,
sotto la guida di autorità religiose coperte dal segreto.
Sradicare dalla terra tutte le vestigia della
Cristianità
Ecco la finalità del ritorno alle
fondamenta: scacciare dalla terra le ultime vestigia di Cristianità che ancora
sopravvivono nei Paesi un tempo cattolici.
Cioè, gli ultimi riflessi
soprannaturali sull'ordine temporale, che sono fra i beni più preziosi donati
al mondo dai meriti della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo.
Qutb espone
una visione abbastanza chiara del processo rivoluzionario che, dalla decadenza
del Medioevo, va corrodendo la Civiltà cristiana.
Tuttavia,
gli aggiunge un epilogo tragico che pochi hanno intravisto: alla fine della
Rivoluzione anticristiana non si realizzerà un mondo di piaceri e libertà, ma
una sinistra tirannia materiale e morale, sotto la frusta del fanatismo
fondamentalista islamico.
Una Rivoluzione
che supera il comunismo sclerotizzato
Per quanto
riguarda la proprietà privata, il prof. Olivier Carré riassume così le massime
di Qutb: "Nell'Islam, il proprietario non ha mai il diritto di usare o di
abusare del suo bene.
Nell'Islam,
la proprietà privata è un mezzo sociale al servizio delle utilità.
Ma allora
come spiegare il fatto che fondamentalisti islamici si dichiarino
anticomunisti?
L'ayatolah Baqir assadr,
chiamato "il Khomeini iracheno", giustiziato nel 1980, così risolve
la difficoltà.
Egli
sintetizza la dottrina comunista: "II fine inconscio che il marxismo
attribuisce al movimento della storia consiste nell'eliminazione degli
sbarramenti sulla strada dello sviluppo delle forze produttive.
Questo fine
sarà raggiunto mediante l'abolizione della proprietà privata e la costruzione
di una società comunista".
E, in
seguito, introduce la critica fondamentalista: "Dopo questa liberazione,
la storia si fermerà e tutte le potenzialità e l'impulso dell'uomo nuovo
spariranno".
Per evitare che l'evoluzione si fermi, spiega l'ayatollah, ci vuole un orizzonte nuovo che trascini gli uomini oltre il comunismo.
Questo
orizzonte nuovo dev'essere religioso. Dice as Sadr: "Porre Allah come fine
della marcia evolutiva costituisce l'unica struttura ideologica che può offrire
al movimento umano una inesauribile energia".
In questa prospettiva i comunisti classici rappresentano una
sclerosi e devono essere eliminati. Il compito verrà quindi assegnato ai
religiosi.
L'orizzonte
nuovo ha anche una finalità di rottura.
Nel mondo musulmano, l'autorità naturale e religiosa dei capi
tribali ed etnici è tenuta in grande considerazione.
Per i
rivoluzionari era impossibile distruggere quel resto di ordine naturale appellandosi
alle dottrine laiche moderne, "perché prima o poi il movimento nuovo
mostrerà la sua vera faccia di nemico dichiarato della Religione.
Questo
porterà a un grande spreco di energie ed esporrà l'opera in corso ai pericoli
provenienti dalla maggioranza dei conservatori del mondo islamico".
Questo risultato diventa ottenibile solo
sotto vesti religiose.
Del
resto, mutatis mutandis, lo stesso avviene con il progressismo cattolico che,
per motivazioni analoghe a quelle dei fondamentalisti musulmani, ha fatto
ricorso alla teologia della liberazione.
Dalle "mille e una
notti" alle tenebre infernali
II
fondamentalismo non mira a riaccendere il mondo delle Mille e una notti, degli
affascinanti tappeti, dei mitici emiri e sceicchi del deserto, degli slanciati
ed eleganti minareti e delle dorate moschee, del TajMahal.
Quell’universo
di meraviglie riflette aspetti positivi che oggi languiscono nell'Islam.
Il
fondamentalismo mira anzi a estinguere quelle potenzialità dell'anima che
potrebbero far sbocciare civiltà da favola — se si convertissero all'unica vera
Chiesa, quella santa, cattolica e apostolica — e vuole anzi una civiltà
proletarizzata, miserabilista, tribale.
E a questo
scopo, per convenienza, si maschera con antiche e sacrali venustà.
La
rivoluzione ugualitaria occidentale inoculata nell'islamismo genera il mostro
fondamentalista.
Roger Garaudy, già dirigente del PC francese
poi diventato islamico, raccontò le sue conversazioni col dittatore libico
Muhammar Gheddafi.
Significativa vignetta
pubblicata sul giornale spagnolo El Pais, nel 1992.
Pensatori
socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo islamico è
succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.
fino a poco tempo fa ritenuto
in Occidente sostenitore del terrorismo internazionale. Gheddafi gli fece
vedere la traduzione politica del versetto II13 6 del Corano: "E una
democrazia diretta senza deleghe di potere e senza alienazione.
Niente si
sostituirà al popolo, ne partiti ne parlamenti.
Democrazia
diretta attraverso comitati e congressi popolari, come emanazione immediata
delle imprese, delle cooperative agricole, delle università, dei villaggi e dei
quartieri".
In altre parole, un aggiornamento del modello
che i soviet non sono riusciti a realizzare e che le sinistre riciclate tentano
di raggiungere impiegando varie forme di autogestione.
Nel 1995,
Garaudy pubblicò il libro Verso una guerra di Religione?
II
dibattito del secolo, prefatto da Leonardo Boff, teologo della liberazione ed ex
religioso.
L'ex frate
francescano qualificava Garaudy come un profeta che, assieme a Mons. Helder
Camara, avrebbe posto le fondamenta per una convergenza cristiano-marxista in
chiave anti-capitalistica, e aggiungeva che il fondamentalismo islamico vive
dello stesso fuoco libertario della teologia della liberazione.
Garaudy
annuncia una guerra di religione, non fra la Chiesa cattolica e l'Islam, ma
quella dei credenti ribelli contro ogni forma di autorità, perché questa
sarebbe intrinsecamente complice del capitalismo consumistico ed edonistico.
Infatti, il
fondamentalismo islamico fa parte di un vasto movimento che oltrepassa i limiti
dell'islamismo storico.
Il molto
documentato Atlas Mondial de l'Islam Activiste constata che "la rinascita
islamica non è un fenomeno isolato, ma s'inserisce in un movimento globale di
rifiuto del materialismo mercantilistico e mediatico, che dilaga nel mondo da
decenni.
Questo
movimento ha una dimensione naturalistica: quella ecologista, e una religiosa:
il ritorno alle fondamenta".
Il
fondamentalismo è oggettivamente un alleato delle forze del caos, che si sono
manifestate nel World Social Forum di Porto Alegre, nelle sommosse di Seattle,
Praga e Genova e nella sovversione ecclesiastica progressista.
Il
fondamentalismo, feccia dell'Occidente, cerca di realizzare una sintesi della
Rivoluzione con l'Allah maomettano. Questa funesta convergenza ricorda la tesi
di uno storico articolo del prof. Plinio Corréa de Oliveira: "Se Oriente e
Occidente si uniscono fuori della Chiesa, genereranno mostri".
Il
fondamentalismo islamico e il terrificante attentato dell'11 settembre ne
costituiscono una tragica conferma.
Articolo
tratto da Tradizione Famiglia Proprietà
Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001
“El
islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992.
Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo
islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.
* Trascritto di Catolicismo,
organo della Th'P brasiliana. No. 611, novembre 2001, pp.1521.
Note
1. O Estado de S. Paulo
(Brasile), 23102001.
2. Cfr. O Globo (Brasile),
2509 2001; O Estado de S. Paulo, 30092001.
3. Roger du Pasquier, Le
réveil de l'Islam, Cerf/Fides, Parigi 1988, p. 34.
4. du Pasquier, op. cit., pp.
5664.
5. Ghali Chuckri, Al Bay adir.
No. 11, 01021982. In Al Hoda, El sunnismo y el shiismo: una querelici artìficial
y una provocación pèrfida, Teheran, 1989, p. 34.
6. Ehsan Tabari, "Le role
de la religion dans notre revolution", in La Nouvelle Reviie
Internationale. Problemes de la l'aix vi du socialisme, No. 12 (292), dicembre
1982, pp. 8889. Tabari firma questo pezzo come "membro de) Bureau politico
e segretario del CC del Partito Popolare d'Iran, Tudeh".
7: Institut de Criminologie de
Paris. Centre de Recherche sur la Violence Politique. Xavier Raufer, ed., Atlas
mondial de l'Islam activiste. La Table Ronde, Parigi, 1991,p.234.
8. Bruno Étienne, L'islamismo
radicai, Hachette, Parigi, 1987, p. 327.
9. Http ://www.j annah.
org/articles/li assan.htmi.
10. Six tracts of Hasan
AlBanna, International Islamic Federation of Student Organisations, Kuwait,
s/d, pp. 1618.
11. Al Hoda, op. cit.
12. Cfr., per esempio, Shayk
Abdui Qader AlMurabit, Para el hombre que viene, Ediciones Ribat, GranadaMéxico
Chicago, 1988.
13. Sayyid Qutb, Jalons sur la
route de l'Islam, International Islamic Federation of Student Organisations,
Kuwait, s/d, 293, pp. 9697.
14. Sayyid Qubt, II futuro
sarà dell'Istalli, International
Islamic Federalion of Student Organisations, Kuwait, 1980, pp. 4244.
20. Olivier Carré, Mystìque et
politìque Lecture révolutionaire du
Coran par Sayyid Qubt Frère Musulman radicai, Les Éditions du Cerf / Presses de
la Fondation Nationale des Sciences Politiques, Parigi, 1984, p. 149.
21. Baquir asSadr, senza
titolo, in AlHoda, op. cit., pp. 910.
22. Baquir asSadr, id., p. 27.
23. Roger Garaudy, Appel aux
vivants, Seuil, Parigi, 1979, pp. 294195.
24. Desclée de Brower, Parigi,
1995.
25. Atlas mondial de l'Islam
acliviste, p. 14.
26. Cfr. Catolicismo, No. 106,
ottobre 1959.
Articolo
tratto da Tradizione Famiglia Proprietà
Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001
“El
islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992.
Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando
che il fondamentalismo islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta
di classe.