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“Voglio vendicarmi di colui che regna nei cieli... l’idea di Dio è il punto chiave di una civiltà perversa. Deve essere distrutta” (Karl Marx, padre del comunismo)

 

La sera degli assassini

 

In una afosa sera d’agosto del 2002 il pastore Cornelio Tovar e sua moglie Nelly intrapresero il breve percorso a piedi verso la loro abitazione di Algeceris, in Colombia.

 

Era stato un sabato come tanti altri.

 

Nelly aveva portato a termine alcune incomben­ze amministrative per la chiesa mentre il marito aveva dato gli ultimi ritocchi al ser­mone che avrebbe pronunciato durante la riunione di culto serale.

 

In molti villaggi rurali della Colombia la sera del sabato è nota come la “sera degli assassini”, la sera della settimana in cui coloro che si oppongono al gruppo ribelle marxista noto come FARC (Forze Armate Rivoluzionare della Colombia) diventano bersaglio di attentati omicidi.

 

Nonostante il pericolo, quella sera le persone riunite per il culto nella chiesa dell’Alleanza Missionaria Cristiana erano più numerose del solito: ben trecento fedeli ascoltarono l’esortazione del pastore Tovar a mantenere lo sguardo fisso su Gesù.

 

Incoraggiò il corpo dei fedeli a resistere alle tentazioni e alle distrazioni e a restare saldi in Cristo.

 

Quella sera lo Spirito Santo riempì la chiesa e la congregazione prese vita.

 

 La lode e l’adorazione furono elettrizzanti.

 

E quando il pastore Cornelio estese l’invito ad accettare Cristo, quattro simpatizzanti decisero che non avrebbero atteso oltre e lo accettarono come Signore e Salvatore.

 

I membri della chiesa furono felicissimi di accogliere nel corpo di Cristo quelle anime appena convertite.

 

Di conse­guenza la comunione dopo il culto durò un po’ più del solito e cinque instancabili cre­denti perseverarono fino all’ultimo momen­to per accompagnare Cornelio e Nelly nella loro camminata di ritorno a casa. Erano tutti entusiasti ed euforici per la meravigliosa esperienza.

Anche se la camminata di ritorno a casa si svolgeva un’ora dopo rispetto al solito, nes­suno era preoccupato.

 

I guerriglieri del FARC non avevano mai pronunciato minac­ce contro il pastore Cornelio e altre autorità della sua chiesa.

Quando il gruppo fu giun­to a cinque isolati dalla casa del pastore due uomini mascherati balzarono fuori dal buio e la quiete di quella notte venne scon­volta dalla sparatoria.

 

Nelly ricorda che gli spari avevano un suono attutito, come quando la mazza da baseball colpisce la palla.

 

 Tutti uscirono in strada.

 

Nelly si guardò intorno e scoprì con orrore suo marito steso in una pozza di sangue.

In quel momento di panico e di confusione ini­ziò a urlare e chiese a Dio di dirle che cosa stava succedendo.

 

Mentre i due sicari fuggivano Nelly comin­ciò a pregare per loro, chiedendo al Signore di benedirli.

 

Più tardi, mentre suo marito giaceva morente al pronto soccorso dell’ospedale, Nelly alzò gli occhi e le mani verso il cielo. “Chiesi a Dio: Perché succe­de a me? Lo implorai: Ti prego, non lascia­re che accada!”

 

Come Gesù, Nelly pregò e chiese a Dio:

“Se è possibile, passi oltre da me questo calice!” (Matteo 26:39).

 

Finalmente la pace giunse su di lei che, sottomessa, disse a Dio: “Ma pure, non come voglio io, Signore, ma come tu vuoi”.

“Volevo la sua volontà; e dopo aver pre­gato, il Signore mi aiutò a comprendere che è necessario che un seme cada in terra affinché l’Evangelo si diffonda”, dice Nelly. “Sapevo che mio marito aveva lo spirito del martire ed era pronto a dare la sua vita per l’Evangelo”.

II pastore Cornelio Tovar, martirizzato il 17 agosto 2002

 

I predicatori chiamati a evangelizzare nelle zone rurali montagnose della Colombia affrontano i rischi maggiori.

 

Perciò molti comprendono perché i marxisti presero di mira il pastore Cornelio.

 

Nelly lo accompagnava spesso nei suoi viaggi in aree remote del paese per annunciare l’Evangelo ai contadini e agli altri.

 

Grazie agli sforzi evangelistici del pastore Cornelio molte anime si convertirono a Cristo, anime che si univano alla chiesa piuttosto che al FARC.

 

Uno dei comandanti del FARC, Mono Jojoy, aveva annunciato nel 2001 che i ministri evangelici sarebbero diventati obiettivi militari.

 

Julio Cesar Cabrera, presi­dente dell’Associazione delle Chiese Evangeliche    Inter-americane della Colombia, ha detto che Jojoy crede che i pastori si spingano fin nelle file dei suoi uomini.

 

Cabrera ha detto alla Missione per la Chiesa Perseguitata: “Egli ritiene che i pastori siano una grande minaccia per la sua organizzazione, perché chiunque abbracci l’Evangelo di Gesù Cristo abban­dona i ranghi e diventa membro del corpo di Cristo.

 

Hanno paura perché sentono che i cristiani li lasceranno senza soldati e per questo hanno iniziato Nelly, la vedova di Tovar, piange la perdita del marito, ma crede che la sua morte contribuirà alla crescita della chiesa in Colombia.

 

E’ stata pianificata una intensa persecuzione rivolta in particolar modo alla leader-ship della chiesa”.

 

Cabrera sostiene che nel 2002 sono stati assassinati almeno 35 pastori e i sopravvissuti vivono sotto la minaccia costante della morte. “Ogni volta che lasciamo il locale di culto, non sappiamo mai... se continueremo a vivere”, ha detto Cabrera.

 

“Viviamo continuamente all’ombra della morte”.

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I guerriglieri del FARC combattono i paramilitari noti come AUC (Gruppo Unito di Autodifesa) per il dominio politico e il controllo di alcune delle più redditizie coltivazioni e industrie di lavorazione della cocaina della nazione. L’esercito colombiano li combatte entrambi.

 

Tuttavia, verso la fine del 2002, gli ottomila miliziani dell’AUC hanno annunciato la propria disponibilità a deporre le armi e negoziare la pace con il governo colombiano.

 

Cabrera sa che ogni volta che parte alla volta delle montagne per evangelizzare potrebbe essere l’ultima volta che vede moglie e figli. Molti di coloro che proclamavano l’Evangelo sono stati rapiti o si sono ritrovati in mezzo al fuoco incrociato.

 

“Prima di partire dico loro che li amo e li esorto a continuare con il Signore Gesù

Cristo, a restargli fedeli”, ci ha detto.

 

“Molte volte, quando parto, non so se tornerò a casa”.

 

Molti altri hanno affrontato l’ombra della morte per essersi rifiutati di arruolarsi nei ranghi del FARC.

 

Il 23 gennaio 1998, di primo mattino, il pastore Antonio Revas e il figlio maggiore Roberto, ventiduenne (i nomi sono stati cambiati per tutelare la loro famiglia), baciarono e abbracciarono i familiari per l’ultima volta. La famiglia Revas aveva appena concluso un lungo culto serale in casa e tutti erano andati a letto.

 

Verso l’una sentirono bussare alla porta.

  

Un gruppetto di guerriglieri del FARC fece irruzione in casa e chiese al pastore Antonio e a Roberto di seguirli per un incontro con un locale comandante del FARC.

 

La moglie del pastore, che chiameremo con il nome fittizio di Rosa, ricorda che gli uomini indossavano sombreri, abiti militari e magliette. Diversi di loro erano armati di pistole, mitragliette e fucili.

 

“Le loro uniformi non erano complete come quelle dell’esercito regolare e riconobbi tra loro diversi membri noti del FARC”, ricorda Rosa.

 

Rosa non aveva paura e senza mostrare preoccupazione si rivolse agli uomini armati.

 

Credeva che fossero venuti ancora una volta per chiedere l’arruolamento dei suoi figli tra le file dei ribelli. Disse loro che doveva far vestire Roberto prima di lasciarlo andare all’incontro.

 

E in una stanza adiacente sussurrò a Roberto la propria convinzione che quegli uomini erano venuti per rapirlo e costringerlo a combattere con loro.

“Roberto mi disse di non preoccuparmi. Disse:

 ‘Dio sarà con tè e tutto andrà bene’”, ricorda Rosa.

 

Rosa, la nuora e diversi dei suoi figli attesero tutta la notte il ritorno di Antonio e Roberto.

 

Giunto il mattino non erano ancora tornati e Rosa mandò la nuora e due nipoti alla loro ricerca.

 

“L’ultima cosa che ricordo è che tornarono di corsa gridando:”Mamma, abbiamo bisogno di coperte, ci vogliono coperte. Hanno sparato a tuo marito e a tuo figlio”.

 

Antonio e Roberto erano stati uccisi ad appena un isolato di distanza.

 

Roberto aveva ricevuto un colpo di pistola nella nuca.

 

Al pastore Antonio avevano sparato nella schiena e la pallottola era fuoriuscita dalla fronte.

 

Perché i guerriglieri del FARC presero di mira il pastore Antonio e il figlio Roberto?

 

Rosa ci ha detto che lei e suo marito si erano opposti ai guerriglieri in molte occasioni.

Venivano spesso a chiedere che i loro figli si unissero al loro movimento marxista.

Antonio e Rosa si rifiutavano sempre, spiegando che erano cristiani nati di nuovo e contrari all’ideologia marxista.

“Un altro motivo per cui i guerriglieri odiavano mio marito era il fatto che non versava loro i contributi che chiedevano a tutti i contadini”, ci ha spiegato Rosa. “Mio marito citava sempre Malachia 3:8 e diceva che la decima era destinata alla casa del Signore e che non si doveva rubare al Signore.

 

Perciò mio marito ripeteva sempre ai guerriglieri: ‘Devo dare la mia decima al Signore e non a voi’”.

 

Poco tempo dopo l’assassinio del pastore Antonio e del figlio Roberto i guerriglieri del FARC occuparono la fattoria dei Revas e si appropriarono il raccolto.

 

Ma non avevano ancora finito.

 

Rosa ci ha detto che lo scorso anno i guerriglieri marxisti le hanno rapito il figlio minore, Juan.

 

Dopo diverse settimane di vana attesa del suo ritorno si recò in città per parlare con un noto leader del FARC:

      - L’uomo estrasse una rivoltella, mi guardò e disse: ‘Non devi chiedere di tuo figlio.

 

Non devi dire a nessuno dov’è. E se dici a qualcuno che l’hai perso ne subirai le conseguenze’”.

 

Rosa e la sua famiglia furono infine cacciati dalla loro terra.

 

Vivono adesso in una piccola casa in un villaggio distante dal loro luogo di origine.

 

Limitano La Chiesa

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In un tentativo di fermare la diffusione del cristianesimo la leadership del FARC ha emanato diversi decreti; perciò, a partire dall’inizio del 1999, i pastori dei villaggi rurali della regione di Neiva hanno ricevuto una serie di tre lettere.

 

La prima lettera, datata 8 febbraio 1999, affermava che la decima raccolta da molte chiese era in effetti una tassa.

 

Il FARC diceva che le chiese non avrebbero più potuto raccogliere tali “tasse” e quelle che si rifiutavano di ubbidire all’ordine sarebbero state costrette a “sospendere le attività dei loro predicatori e pastori”.

 

La lettera continuava spiegando che il FARC proibiva alle chiese di usare i loro sistemi di amplificazione durante la notte, in quanto “disturbano la vita normale di coloro che non praticano la religione... soprattutto nelle zone più popolate”.

 

Venivano anche proibite le vegli notturne di digiuno e preghiera. Secondo quanto affermato nella lettera, a motivo delle veglie gli studenti si addormentavano durante le lezioni.

 

“I bambini non dovrebbero essere costretti a partecipare a questi servizi di culto”, diceva la lettera.

 

“Dobbiamo permettere loro di comprendere e seguire i principi che caratterizzano il nostro movimento”.

Perciò il FARC decretava che nessun bambino al di sotto dei quindici anni poteva prendere parte alle veglie.

 

Una seconda lettera ricevuta l’anno successivo accusava i pastori di disubbidienza.

 

Proibiva loro di evangelizzare aree al di fuori dei loro villaggi.

 

Gamaliel Silva, di trentasei anni, ha detto che molti suoi colleghi pastori espressero preoccupazione quando ricevettero la seconda lettera.

 

“Era molto difficile per noi, perché volevano metterci paura.

 

Non soltanto esigevano che rispettassimo i termini della prima lettera, ma aggiungevano nuove proibizioni.

 

Così abbiamo iniziato a temere e ci siamo messi a pregare”.

 

I pastori decisero di incontrarsi con i capi locali del FARC per negoziare un compromesso. Il FARC non fece concessioni.

 

Non sarebbero state permesse decime.

 

Queste dovevano invece essere versate al FARC che avrebbe a sua volta aiutato la gente.

 

E ribadirono la proibizione di evangelizzare al i fuori del villaggio di appartenenza.

Una terza lettera arrivò nell’ottobre del 2001. Silva ci ha detto che era una minaccia molto più dura e diretta.

 

Accusava molti pastori di essere spie dei paramilitari dell’AUC.

 

“Ma non aveva alcun senso, perché i paramilitari operano in una zona completamente diversa da quella in cui noi eravamo”, ha detto Silva.

 

“Inoltre ci chiedevano di interrompere ogni attività.

 

I pastori non potevano più condurre culti o fare qualsiasi cosa”.

 

Ai pastori vennero concessi appena quindici giorni per eseguire gli ordini.

 

In caso di inadempienza sarebbero divenuti obiettivi militari.