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 NOTE DI BIOETICA 

14 FEBBRAIO 1999

 

GIUSEPPE ANZANI

DALLA PAROLA DONAZIONE LUCE SULLA LEGGE

 

La nuova legge sul trapianto di organi è a metà strada: approvata dalla Camera dei deputati, attende ora il voto del Senato. L'intervallo ci sembra un momento propizio - placate le polemiche insorte subito dopo l'approvazione - per qualche riflessione più serena sull'argomento.

 

Lo spessore umano del problema coinvolge tutti, e non solo gli addetti ai lavori; come sempre accade, quando le regole del diritto da scrivere incrociano la civiltà stessa del diritto.

 

Per prima cosa, empiricamente, saldamente ancorati alla concretezza, proviamo a vedere le cose con gli occhi dei malati.

 

Pensiamo ai casi in cui il trapianto è l'ultima speranza per ridare a un cardiopatico il battito della vita, per affrancare un dializzato dal laccio doloroso della macchina, per dare a un cieco la luce, e via dicendo.

 

Sappiamo che fra noi ci sono persone che soffrono e muoiono, perché qualche loro organo vitale è malato, e che potrebbero vivere se ricevessero da un morto il dono di un organo ancora buono, prima che se lo prenda la terra del cimitero.

 

Che cosa giova, a chi è morto, rendere il corpo alla putrefazione quando un espianto d'organo potrebbe salvare una vita con il trapianto?

 

In Italia, secondo alcune stime, la lista d'attesa (soprattutto per cuore e fegato) per poter vivere ancora, è lunga 12 mila nomi. Ma forse molti moriranno, per molti sarà troppo tardi.