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Forse mai come nella storia recente il problema della pace si è trovato così al centro dell'attenzione.

 

Per noi cattolici la pace è un imperativo divino: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Giov. 14, 27). Ed è proprio da qui che dobbiamo partire.

 

Nostro Signore non ci da una pace qualunque.

 

Egli ci da la Sua pace: "Io ve la do, non come la da il mondo" (id.). La pace che Egli ci lasciò non è la pseudo-pace che sacrifica la Verità all'idolo del consenso relativista.

 

E la pace di Cristo nel Regno di Cristo.

 

E la pace in “interiore”, di colui che osserva la Sua parola, e che si proietta poi all'estremo nelle sue relazioni familiari e sociali, nella vita delle nazioni.

 

 

Ecco la classica definizione di pace di Sant'Agostino: "La pace dell'uomo è l'obbedienza ordinata nella fede in dipendenza alla legge eterna. (...) La pace dell'universo è la tranquillità dell'ordine" (De civitate Dei, cap.19).

 

La condizione essenziale per la pace è, quindi, l'ordine — naturale e soprannaturale — a cominciare da quello inferiore per il quale, nell'uomo, la Fede illumina l'intelligenza, che a sua volta guida la volontà, che poi controlla la sensibilità sregolata dal peccato originale.

Il peccato capovolge questa gerarchia, introducendovi un fondamentale conflitto che.

  Una teologia della pace poi si riflette in tutte le opere umane.

 

A questo punto dobbiamo per forza concludere: dove c'è peccato non c'è ordine, e quindi non c'è pace.

 

Lo stesso S. Agostino avverte: "La pace dei disonesti non si può considerare pace". Il grande vescovo di Ippona non fa altro che ripetere l'ammonizione del profeta Isaia: "Non c'è pace per i malvagi, dice il Signore" (Is. 48, 22).

 

Coloro che hanno abbracciato l'errore ed il male tendono poi ad unirsi ed organizzarsi, in un modo o nell'altro, per lottare contro coloro che desiderano amare Dio e seguire la Sua legge.

 

Fu proprio questa empietà organizzata a scagliarsi contro Nostro Signore Gesù Cristo e a portarlo fino al Calvario.

 

Christianus alter Cristus.

 

Quest'odio che si levò iniquo, peccaminoso, sinistramente organizzato contro il Figlio di Dio fatto Uomo, si doveva scatenare anche contro la Sua Santissima Madre, contro gli Apostoli e Discepoli, contro la Chiesa nascente, contro i fedeli nel corso dei secoli: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. (...) Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Giov. 25, 18).

 

La realtà di questo odio, in un certo qual senso insondabile, comporta per noi cristiani dei doveri precisi.

 

Per chi pretenda di seguire seriamente Nostro Signore Gesù Cristo, esiste un dovere di militanza, che comincia naturalmente da se stesso, ma che implica l'obbligo di testimoniare Cristo davanti agli uomini, in presenza di coloro che Lo aggrediscono, in urto con quelli che si organizzano per distruggere la Sua opera di salvezza.

 

Ecco la vera dimensione della pace, utile da ricordare nelle attuali circostanze.

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    art. di Famiglia domani

Liceità del ricorso alla forza delle armi

 

9. Il Magistero della Chiesa sulla liceità della guerra II fine legittimo della guerra è la pace nella giustizia Secondo il Dictionnaire Apologetique de la Foi Catholique alla voce "Paix et Guerre", l'insegnamento di Sant'Agostino sulla pace e la guerra può essere riassunto in quattro punti:

 

1. In primo luogo vi sono guerre giuste. Sono quelle che tendono a reprimere un'azione colpevole commessa dall'avversario.

 

2. Tuttavia, la guerra deve essere considerata un rimedio estremo al quale si ricorre solo dopo aver riconosciuto l'evidente impossibilità

di salvaguardare in altri modi la causa del legittimo diritto. Infatti, pur essendo giusta, la guerra provoca così numerosi e gravi mali - che si può scatenarla solo se costretti da un imperioso dovere.

 

3. Il fine legittimo della guerra non è la vittoria con le relative soddisfazioni, ma la pace nella giustizia, ossia il ristabilimento duraturo di un ordine pubblico in cui ogni cosa venga rimessa al suo giusto posto.

 

4. Infine, le disgrazie della guerra costituiscono in questo mondo uno dei castighi provocati dal peccato. Anche quando la sconfitta umilia quelli che avevano ragione, è necessario vedere questa dolorosa prova come voluta da Dio per punire e purificare il popolo dalle colpe delle quali esso deve ammettere la responsabilità.

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La dottrina di San Tommaso sulla guerra Ancora secondo la stessa fonte, S. Tommaso d'Aquino enuncia le tre condizioni che rendono legittimo, in coscienza, il ricorso alla forza delle armi:

 

1.  Che la guerra sia intrapresa non da semplici privati, o da una autorità secondaria (...) ma sempre dall'autorità che esercita nello Stato il potere supremo.

 

2.  Che la guerra sia motivata da giusta causa, ossia che il nemico sia combattuto a causa di una colpa proporzionata che abbia realmente commesso.

 

3. Che la guerra sia condotta con retta intenzione, in pratica facendo un leale sforzo per ottenere il bene ed evitare il male, il più possibile.

Questa dottrina di San Tommaso è confermata chiaramente dalle Bolle pontificie, dai decreti conciliari del medioevo a proposito della pace di Dio, della tregua di Dio e della regolamentazione pacifica e mediante arbitrato dei conflitti tra regni.

 

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Sono documenti che per la loro concordanza di pensiero traducono l'autentica dottrina della Chiesa e lo spirito generale del suo insegnamento sulle questioni morali riguardanti il diritto di pace e di guerra.

 

La pratica dei Papi e dei Concili corrobora e accredita gli insegnamenti dei Dottori sull'argomento, i cui tre principi fondamentali sono posti in rilievo da S. Tommaso.