Il Buon Pastore da la vita per le
sue pecore
(Gv. 10,11)
La domenica 17 marzo 2002, all'uscita della
parrocchia del Buon Pastore a Cali, Colombia, dove aveva sposato 104 coppie, è
stato assassinato da due sicari S.E. Mons. Isaias Duarte Cancino, intrepido
arcivescovo della terza città del Paese.
Va notato che i media poco hanno riferito e alcuni,
quando l'hanno fatto, si sono prodigati nel distorcere la realtà, presentando
Mons. Duarte come una sorta di pacifista ad oltranza e comunque, non ucciso dai
guerriglieri marxisti ma dai killer del narcotraffico.
Ma che vuol dire?
Non bastano agli eterni idealizzatori nostrani del
guevarismo (che non sembrano impressionarsi nemmeno quando a farne le spese
sono inermi cittadini italiani sequestrati) le migliaia di prove raccolte da
americani e colombiani a dimostrazione che i cartelli della droga e la
guerriglia marxista agiscono come un tutt'uno?
Che sono i
soldi della droga sui mercati internazionali ad armare i guerriglieri, e le
armi di costoro a proteggere le piantagioni di coca?
Ma tant'è. Il mito di Fidel sembra paralizzare le
grandi agenzie informative, quindi meglio solo parlare di narcotraffico.
In Italia se uno sventurato viene rapito, occupa la
prima pagina di tutti i giornali.
Se vengono rapiti in Colombia cinque o più nostri connazionali, al massimo c'è un
flash di agenzia e quattro righe in fondo alle pagine internazionali.
Anche per questi strani silenzi, ed in omaggio alla
verità e alla figura del coraggioso presule colombiano, si impone qualche
parola sui precedenti del caso, per capire quanto accaduto il 17 marzo scorso.
Mons. Duarte è stato un vescovo lucido, che si rese
ben presto conto della tragedia che attanagliava la sua sventurata nazione,
parlando senza timori.
Pochi giorni prima dell'assassinio aveva denunciato
la gigantesca collusione di interessi che faceva marcire il suo paese: il
narcotraffico che finanzia molti candidati politici, a loro volta impegnati in
accordi con la guerriglia, impedendo l'urgente asportazione di questo
gigantesco tumore terroristico-criminale e affaristico nel seno dell'America
latina.
Anche l'amministrazione nordamericana del presidente
Bush ha denunciato categoricamente che la guerriglia colombiana non è una
guerra di liberazione intrapresa da idealisti, ma un autentico movimento
terroristico che si nutre degli introiti del narcotraffico.
Ma c'è una parte della classe politica colombiana
che per decenni si è ostinata a non vedere come stavano le cose, estenuandosi
in trattative e negoziati paralizzanti, i quali addirittura avevano portato le
autorità a consegnare alla guerriglia un territorio più grande della Svizzera,
una sorta di Stato nello Stato colombiano, che provocava instabilità e
insicurezza per il resto della nazione (vedi notizia su questo stesso numero).
24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ/MARZO 2002
L'arcivescovo di Cali, dice
l’agenzia vaticana Fides, criticava "energicamente la brutalità della
guerriglia e l'eccessiva condiscendenza del governo colombiano". E
aggiungeva: "L'arcivescovo fa riferimento all'incursione delle Forze
Armate rivoluzionarie di Colombia
[cioè, le famigerate FARC, ndr] ad Arboleda, dove i guerriglieri hanno massacrato
la popolazione (...) giocando poi con le teste dei poliziotti e dei militari
assassinati".
E mentre l'indeciso governo
di Pastrana faceva guadagnare tempo ai guerriglieri castristi in estenuanti
negoziati, Mons. Duarte protestava:
"La guerriglia ha l'insolenza di affermare che essa
rappresenta il popolo della Colombia sui tavoli del negoziato, mentre sappiamo
che l'unica cosa che fa è oltraggiarlo, umiliarlo e, distruggerlo con
sequestri, violenza in tutte le sue forme e morte... un guerrigliero che
sequestra e uccide, che elimina intere popolazioni e si fa gioco del processo
di pace, manca delle virtù proprie di un essere umano e si trasforma nel più
miserabile degli uomini".
E riferendosi al governo
colombiano di Pastrana molto prima che esso, travolto dalla schiacciante
evidenza della malafede marxista, rinunciasse a continuare la farsa dei
negoziati e rioccupasse il territorio prima assegnato ai guerriglieri, Mons.
Duarte asseriva:
"Voglia Dio che la
stessa società civile, oltraggiata e umiliata, possa sedersi un giorno ai
tavoli di negoziato per difendere i suoi diritti e chiedere a quei violenti
quanto lo Stato colombiano non è stato capace di chiedere " 1.
Già nel 1999 aveva
scomunicato i mèmbri dell'ELN (l'altro gruppo guerrigliero marxista della
Colombia) dopo il sequestro di tutti i fedeli della chiesa La Maria di Cali.
Non è "compiendo
ingiustizie che si lotta perla giustizia, ne aggredendo esseri innocenti che si
giunge alla pace", dichiarò in quell'occasione, asserendo che "è uno
sproposito parlare con un gruppo ribelle che continua i suoi atti violenti
mentre dialoga " 2.
Avvertito dai rischi che
correva con queste denunce, Mons. Duarte ha preferito la strada della coerenza
fino al martirio piuttosto che quella del silenzio.
Così ha seguito i passi di
un altro eroico presule colombiano, Mons. Jesùs Emilio Jaramillo Monsalve,
vescovo di Arauca, ucciso il 2 ottobre 1989 dai guerriglieri filo-castristi
dell'ELN.
Filo castristi? Sì, proprio così. Gli italiani forse non
conoscono le parole di Mons. Agustin Romàn, vescovo cubano e ausiliare di
Miami, proferite pochissimi giorni prima dell'uccisione di Mons. Duarte.
Il presule della Florida aveva detto che, come cubano, si
sentiva nel dovere di fare una richiesta di perdono e un atto di riparazione ai
colombiani "per la violenza marxista uscita da Cuba".
E aggiungeva: "Da lì è partito l'odio di molte battaglie
fratricide che hanno insanguinato altri popoli latinoamericani, da lì sono
partiti il terrorismo e l'eversione nonché le armi che sono state strumenti di
morte dal Rio Bravo alla Patagonia . (...)
Non è certo il popolo cubano
da incolpare per tutto ciò. Questo popolo è la prima vittima di questi uomini
senza Dio che hanno promosso la violenza e il terrore, ma siccome costoro non
vogliono finora riconoscere il male fatto, come figlio di quella nobile terra,
voglio chiedere perdono alle famiglie di Colombia lacerate dalla violenza
marxista sortita da Cuba"3.
Una impressionante folla di
oltre un milione di persone ha sfidato la pioggia per rendere omaggio giorno e
notte alla salma di Mons. Duarte, esposta nella Catedral de San Pedro, a
riprova di quanto fosse vera la sua affermazione che la tresca del marxismo guevarista,
dei politici e dei cartelli della droga, fosse aliena al sentire del suo
cattolico popolo colombiano.
Ma comunque, anche a questo
popolo lanciava un monito con parole di coraggio. Nella sua ultima omelia, il
pastore aveva detto.
"Oggi davanti a una
patria malata diciamo a Cristo: 'Signore, siamo stanchi di tanta violenza,
ingiustizia e malvagità (...) solo tu puoi (restituirci) la speranza di un
domani di pace.
Dove troveremo il rimedio dei nostri mali? Nel ritorno a Dio,
nella sincera conversione del cuore dei colombiani. E necessario riconoscere
che ci siamo sbagliati, che abbiamo preferito la via del male alla sequela di
Cristo per la strada dell 'onestà della rettitudine e della giustizia".
Non per altro forse il
cardinale colombiano della Curia romana, Dario Castrillón Hoyos, ha definito il
suo conterraneo assassinato "una voce come una spada"5.
Note:
1.Fides, 25-8-2001.
2. Zenit, 18-3-02.
3. Agenzia Cubdest, Miami,
11-03-02.
4. Notìcias EclesiaSes,
19-3-02.
5. Avvenire, 19-03-02.