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Ven 22 Novembre 2002 

S. Cecilia 

 

  Cristianesimo e Islam

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- Otto per mille alla comunità islamica?

- Slov'ëv e Maometto

- In che senso l'islam sfida la Chiesa

  Nel digiuno il realismo della pace

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 Nel digiuno il realismo della pace  

 Autore: Vladimir Solovev  {BOXPDF} 

  Curatore: Nerella Buggio 

  Fonte: La Casa di Matriona 

 

 

Solov'ëv e Maometto

 

I due testi di Solov'ëv che vengono qui presentati appartengono agli ultimi anni della sua produzione:

il primo è tratto da La Russia e la Chiesa Universale e apparve nel 1889, il secondo è costituito dalle pagine conclusive di Maometto.

 

Vita e dottrina religiosa, una breve ma densa biografia pubblicata a San Pietroburgo nel 1896.

 

Non molto distanti temporalmente, sono, per un certo verso, complementari in quanto il secondo chiarisce in che cosa consista, positivamente, quella "essenza religiosa dello spirito orientale" di cui si parla nel primo.

 

Nella sua biografia di Maometto, Solov'ëv insiste su questa positività ricordando che per l'Arabia del tempo l'islam rappresentò comunque il superamento di un paganesimo rozzo e crudele, che si macchiava regolarmente di sacrifici umani e che venne allora sostituito da una fede capace di fondare diversi e più solidali rapporti tra gli uomini.

 

Un nuovo Dio più degno cui rivolgere le proprie preghiere e una nuova unità tra gli uomini, dunque.

 

Ma questo, agli occhi di Solov'ëv, non basta, occorre qualcosa di più essenziale, capace di liberare l'umano dai suoi limiti e di garantirgli un autentico progresso, qualcosa che l'uomo stesso non può darsi, come dimostrano i peccati in cui cadono persino quelli che sono considerati gli uomini più grandi sia da un punto di vista morale sia da un punto di vista religioso: è il caso di campioni della cristianità come Costantino e Carlo Magno che, per le loro sole virtù, non risultano certo migliori di Maometto.

 

Questo cuore essenziale che l'uomo non può darsi da solo è anche ciò che costituisce il nucleo comune dei due testi: la divinoumanità di Cristo, alla cui luce si può cogliere sia la grandezza dell'islam, sia il suo limite, l'essere una religione nella quale la creatura è privata di qualsiasi libertà di fronte a un creatore che non le chiede altro se non un atto di devozione cieca.

 

È una dialettica, quella di Solov'ëv che proprio perché centrata su un Cristo reale, vero Dio e vero uomo, non prodotto dall'uomo né dominatore dell'uomo, gli consente di pronunciare verità sgradite e dure senza schiacciare l'altro; così il giudizio sull'islam è assolutamente al fuori di ogni prudenza diplomatica, ma nello stesso tempo è assolutamente al di fuori di ogni pretesa di una presunta superiorità gelosa e violenta: ciò in base a cui si condanna e si denuncia l'indigenza dell'islam non è un proprio privilegio esclusivo ma è esattamente quello che giudica anche gli stessi cristiani.

 

Se Solov'ëv cristiano condanna l'antiumanesimo di Maometto, non lo fa dall'alto del proprio particolarismo culturale, razziale o religioso ma in nome di una pienezza - quella di Cristo - di fronte alla quale tutti, in primo luogo i cristiani, sono chiamati a convertirsi.

 

Nessun senso di superiorità, me neppure nessun indifferentismo, nessun finto dialogo, in una sorta di disinteresse per la verità che finisce per non far incontrare mai due posizioni autenticamente diverse e anzi le costringe a diventare delle maschere che rinunciano in partenza alle proprie identità: quello che Solov'ëv rende possibile con la sua dialettica divinoumana è invece la possibilità di un dialogo autentico in un comune cammino di conversione, dove il rimprovero fatto all'altro muove innanzitutto dalla denuncia dei propri peccati e dove l'affermazione della verità non è mai per il proprio vanto ma per l'arricchimento reciproco e per la stessa salvaguardia della verità altrui che, abbandonata a se stessa, diventa sterile e si chiude in un meschino autocompiacimento.

 

 

(Adriano Dell'Asta)

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Da "La Russia e la Chiesa Universale"

 

L'ISLAM È IL BIZANTINISMO coerente e sincero, liberato da ogni contraddizione interiore. È una reazione piena e completa dello spirito orientale contro il cristianesimo, è un sistema nel quale il dogma è intimamente legato alle leggi della vita, nel quale la credenza individuale è in perfetto accordo con lo stato sociale e politico.

Già sappiamo che il movimento anticristiano, che si era manifestato nelle eresie imperiali, era culminato nel VII e nell'VIII secolo in due dottrine, l'una delle quali (quella dei monoteliti) negava indirettamente la libertà umana, mentre l'altra (quella degli iconoclasti) rifiutava implicitamente la fenomenalità divina.

L'affermazione diretta ed esplicita di questi due errori costituì l'essenza religiosa dell'islam, che vede nell'uomo una forma finita senza alcuna libertà e in Dio una libertà infinita senza alcuna forma.

 

Una volta che Dio e l'uomo siano stati così fissati ai due poli dell'esistenza, non vi è più alcun nesso fra loro, e ogni realizzazione discendente del divino al pari di ogni spiritualizzazione ascendente dell'umano resta del tutto esclusa; e la religione si riduce a un rapporto puramente esteriore tra il creatore onnipotente e la creatura che è privata di qualsiasi libertà e non deve altro al suo signore se non un semplice atto di devozione cieca (è questo il senso del termine arabo islam).

 

Questo atto di devozione, espresso in una breve formula di preghiera che si deve ripetere immutabilmente ogni giorno a ore fisse, è tutta l'essenza religiosa dello spirito orientale che ha detto la sua ultima parola per bocca di Maometto.

 

A questa semplicità dell'idea religiosa corrisponde una concezione non meno semplice del problema sociale e politico: l'uomo e l'umanità non sono chiamati a realizzare alcun progresso essenziale; non si dà rigenerazione morale per l'individuo e a maggior ragione per la società; tutto è abbassato al livello dell'esistenza puramente naturale; l'ideale è ridotto a una misura che gli garantisce una realizzazione immediata.

 

La società musulmana non poteva avere altro scopo se non l'espansione della sua forza materiale e il godimento dei beni della terra.

 

Tutto il compito dello Stato musulmano, compito che gli sarebbe ben difficile non adempiere con successo, consiste nel diffondere l'islam con le armi e nel governare i fedeli con un potere assoluto e secondo le regole di una giustizia elementare fissate nel Corano.

 

Nonostante l'inclinazione alla menzogna verbale, tipica di tutti gli orientali come individui, il perfetto accordo tra le credenze e le istituzioni dà a tutta la vita musulmana un carattere di verità e di onestà che il mondo cristiano non è mai riuscito a raggiungere.

 

La cristianità nel suo insieme è senz'altro in via di progresso e di trasformazione; e l'altezza stessa del suo ideale non ci consente di giudicarla definitivamente sulla base dei suoi diversi stati passati e attuali.

 

Ma il bizantinismo, che è stato ostile per principio al progresso cristiano, che ha voluto ridurre tutta la religione a un fatto compiuto, a una formula dogmatica e a una cerimonia liturgica - questo anticristianesimo nascosto sotto una maschera ortodossa - ha dovuto soccombere nella sua impotenza morale di fronte all'anticristianesimo aperto e onesto dell'islam.

 

È curioso constatare come la nuova religione, con il suo dogma fatalista, sia apparsa proprio nel momento in cui l'imperatore Eraclio inventava l'eresia monotelita, quella cioè dietro la quale si celava la negazione della libertà e dell'energia umana.

 

Con questo artificio si voleva consolidare la religione ufficiale, e ricondurre all'unità l'Egitto e l'Asia.

 

Ma l'Egitto e l'Asia preferirono l'affermazione araba all'espediente bizantino. Se non si tenesse in conto il lungo lavorio anticristiano del Basso Impero, non vi sarebbe nulla di più sorprendente della facilità e della rapidità che caratterizzarono la conquista musulmana.

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Cinque anni furono sufficienti per ridurre a un'esistenza archeologica tre grandi patriarcati della Chiesa orientale.

 

Il fatto è che non vi erano conversioni da compiere, ma solo un vecchio velo da strappare.

 

La storia ha giudicato e condannato il Basso Impero. Esso non solo non ha saputo compiere la propria missione - fondare lo Stato cristiano - ma si è attivamente adoperato per far fallire l'opera storica di Gesù Cristo.

 

Non essendo riuscito a falsare il dogma ortodosso, lo ha ridotto a una lettera morta; ha voluto minare alla base l'edificio della pace cristiana attaccando il governo centrale della Chiesa universale; e nella vita pubblica ha sostituito la legge del Vangelo con le tradizioni dello Stato pagano.

 

 I bizantini hanno creduto che, per essere veramente cristiani, fosse sufficiente conservare i dogmi e i riti sacri dell'ortodossia senza preoccuparsi di cristianizzare la vita sociale e politica; hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l'agone pubblico ai principi pagani.

 

Non poterono certo lagnarsi del loro destino. Hanno avuto quello che volevano: hanno conservato il dogma e il rito e solo la potenza sociale e politica è caduta in mano ai musulmani, eredi legittimi del paganesimo.

 

 

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