http://www.sedos.org/italiano/Borrmans.htm
http://www.iqt.it/parrocchia/doc/collegiata/martirio_significato.htm
Il martirio e il suo significato spirituale
a
cura di dott. don Pierpaolo Caspani
Guardatevi dagli uomini, perché vi
consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e
sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare
testimonianza a loro e ai pagani… E sarete odiati da tutti a causa del mio
nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato (Mt 10, 17-22).
È questa la pagina del vangelo di Matteo
che leggiamo nella Messa della solennità di S. Stefano (26 dicembre): Gesù
predice ai suoi discepoli la persecuzione "a causa sua"; e Matteo,
che riporta queste parole, vive in una comunità che ha già sperimentato la
persecuzione. Il tema del martirio, dunque, affonda le sue radici già nel Nuovo
Testamento.
Partendo da qui vogliamo raccogliere il
messaggio che viene dall'esperienza dei martiri, ripercorrendo sia pur
velocemente qualche tappa significativa della storia della fede cristiana.
Prima di cominciare la nostra rapida corsa
nella storia, è opportuna una precisazione sul termine "martire",
dato che esso conosce un mutamento se non proprio di significato, perlomeno di
accento. Un mutamento che possiamo riassumere in uno slogan: inizialmente si è
uccisi perché martiri; poi si è martiri perché uccisi. Uccisi perché martiri.
Nel Nuovo Testamento, il termine
"martire" (martuV o martur) riprende il significato che questa parola
ha nella lingua greca, dove indica il testimone: colui che ha visto un fatto e
può darne testimonianza, ma anche colui che afferma la verità delle proprie
convinzioni. I cristiani, dunque, sono martiri, perché testimoni di Cristo:
professano la loro fede in Lui e, per questo motivo, vengono perseguitati ed
uccisi. In questo primo momento, l'accento è posto sulla testimonianza. A
partire dalla metà del II secolo, invece, leggendo i racconti dei martiri, ci
accorgiamo che l'accento viene sempre più messo sulla morte violenta di coloro
che testimoniano la propria fede.
Martire
è colui che muore per la fede. Ciò che rende tale il martire è la sua morte a
causa della fede, non più solamente la testimonianza della fede. Martiri perché
uccisi, dunque.
I martiri dei primi secoli
La svolta del IV secolo
Martiri di tutti i tempi
Un messaggio per noi
I. I martiri dei primi secoli
1. Le persecuzioni da parte dei Giudei
I
primi martiri sono vittime delle persecuzioni da parte dei Giudei. Stando al
racconto degli Atti degli Apostoli, dopo la Pentecoste, si ripropone la
situazione che ha preceduto la morte di Gesù: mentre le conversioni si
moltiplicano e la prima comunità cristiana si organizza, si organizza anche la
reazione degli Anziani e degli scribi.
Ritroviamo
così sulla scena tutti gli artefici della condanna di Gesù: Caifa, Anna e i
capi delle grandi famiglie di Gerusalemme.
I discepoli di Gesù vengono a trovarsi in una situazione simile a
quella del loro Maestro: il martire è colui che dà testimonianza, vivendo
questa situazione come l'ha vissuta il Maestro.
Non
a caso, il primo martirio - quello di Stefano - è presentato come la perfetta
imitazione della passione e morte di Gesù: per Stefano, come per Gesù, bisogna
ricorrere a falsi testimoni per formulare l'accusa che, in ambedue i casi,
riguarda parole dette contro il tempio di Gerusalemme; sia Stefano che Gesù
evocano la figura del Figlio dell'Uomo, in piedi alla destra di Dio; entrambi
vengono messi a morte fuori da Gerusalemme.
Soprattutto,
però, è identico l'atteggiamento dei due di fronte alla morte: Stefano affida
il proprio spirito a Gesù, come Gesù l'aveva affidato al Padre; come Gesù,
Stefano chiede perdono per chi lo mette a morte; sia Gesù che Stefano muoiono
con un alto grido. Stefano, primo martire, è dunque il perfetto imitatore di
Gesù.
Più
profondamente, nel martire è Cristo stesso che agisce di nuovo e di nuovo vince
le forze del male. La Chiesa, quindi, ne accoglie la testimonianza come se
venisse da Cristo stesso: è Lui che parla attraverso i martiri.
2. Le persecuzioni da parte dell'Impero romano
Prima
della persecuzione di Nerone (64 d.C.), cristianesimo ed Impero convivono in
maniera sostanzialmente pacifica. La Chiesa ha uno scarso peso sociale e non
viene avvertita come un pericolo per l'Impero.
In
effetti, i primi cristiani pensavano che il ritorno glorioso del Signore fosse
imminente: presto il Signore sarebbe tornato e avrebbe instaurato il suo Regno.
Di conseguenza l'ordine politico e sociale esistente era un fatto temporaneo:
si poteva benissimo tollerarlo, a patto di non essere obbligati ad abbracciare
la religione pagana.
Man
mano che la Chiesa si diffonde e si organizza, però, i pagani cominciano ad
essere presi dal timore: "E se questi folli che parlano di un Regno che
non è di questo mondo venissero a toglierci il nostro regno, le nostre tradizioni,
la nostra cultura e le nostre usanze?".
È
proprio da questo timore che nascono le persecuzioni.
L'atteggiamento
dei cristiani nei confronti dell'Impero che li perseguita è documentato in
maniera esemplare dagli Atti dei martiri scillitani. Si tratta di sette uomini
e cinque donne, arrestati a Scillium (Africa del nord) e portati a Cartagine,
davanti al tribunale del proconsole Saturnino. Il loro processo si svolge il 17
luglio 180.
Da questi Atti - che riprendono fondamentalmente il verbale del
processo e sono dunque molto scarni e privi di orpelli retorici - ricaviamo tre
indicazioni interessanti.
In primo luogo i cristiani dichiarano la loro lealtà nei confronti
dell'Impero e delle sue leggi: "Non abbiamo mai fatto nulla di male; non
abbiamo mai insultato nessuno…: perché noi obbediamo al nostro
imperatore": afferma Sperato. Poco dopo aggiunge: "Io non ho rubato
nulla e pago una tassa ogni volta che acquisto qualcosa".
I cristiani, però, rifiutano lo stato, quando questi si pone come
valore assoluto.
In questa linea evidentemente non accettano
di considerare l'imperatore alla stregua di un dio: "Onore a Cesare in
quanto Cesare, ma timore solo verso Dio". In queste parole di Donata
sentiamo risuonare il celebre detto di Gesù: "Date a Cesare quel che è di
Cesare e a Dio quel che è di Dio". " Narzalo, infine, che, dopo che
il proconsole ha emesso la sentenza di morte, esprime il proprio rendimento di
grazie a Dio: "Oggi stesso siamo martiri in cielo: grazie a Dio".
Le
reazioni dei pagani di fronte al martirio dei cristiani oscillano tra disprezzo
ed ammirazione. "I cristiani sono pieni di odio per il genere umano":
scrive lo storico Tacito.
Plinio
il Giovane parla di "testardaggine" e di "ostinazione
inflessibile" dei martiri cristiani. L'imperatore Marco Aurelio è
disgustato dall' "audacia volgare" con la quale i cristiani si
precipitano verso la morte.
Un
disprezzo che certo nasce dall'incomprensione, ma che, in qualche caso, pare
giustificato da alcuni atteggiamenti dei martiri stessi. Accanto al disprezzo
troviamo però anche l'ammirazione nei confronti della fermezza dei martiri.
Ammirazione
che, in diversi casi, porta alla conversione alcuni pagani, testimoni della
morte dei cristiani.
Come
scrive Tertulliano, "il sangue dei martiri è seme di nuovi
cristiani". Dalla sofferenza dei martiri la Chiesa esce rinvigorita e
rafforzata.
II La svolta del IV secolo
1. La pace di Costantino e il culto dei martiri
Il
IV secolo era cominciato male per il cristianesimo: tra il 303 ed il 304,
l'imperatore Diocleziano si era accanito contro il cristianesimo con una
violenza senza precedenti.
Con
Costantino si realizza l'impensabile: una religione fino ad allora maledetta e
vietata diventa religione non solo lecita, ma addirittura privilegiata.
A
partire dal 15 giugno 313, con l'editto di Milano, ai cristiani viene
riconosciuta piena libertà di culto, mentre l'imperatore non nasconde le sue
simpatie per il cristianesimo.
La
pace raggiunta non fa dimenticare ai cristiani quei fratelli che hanno sparso
il loro sangue per la fede.
Al
contrario, i cristiani sopravvissuti ripensano ai martiri con riconoscenza,
fierezza e devozione.
Così,
a partire dal IV secolo, si sviluppa il culto dei martiri, che già in
precedenza venivano venerati in maniera molto sobria.
Due
sono le fondamentali espressioni di questo culto, introdotte a partire dal IV
secolo: la cura delle tombe dei martiri, sulle quali vengono edificate grandi
basiliche; la celebrazione della festa del martire nel giorno anniversario della
sua morte, cioè della sua "nascita al Cielo".
Alcuni
storici moderni affermano che il culto dei martiri ha sostituito il culto delle
divinità pagane, venerate nelle diverse località.
In
questa tesi, c'è una parte di verità. Tuttavia vanno onestamente riconosciute
le differenze che esistono tra la venerazione nei confronti di un martire ed il
culto di una divinità pagana.
Differenze
che i pastori della Chiesa non hanno mancato di richiamare con forza,
come
documenta questo testo di S. Agostino:
Per
noi, i martiri non sono degli dei, perché noi sappiamo che lo stesso unico Dio
è insieme nostro Dio e loro Dio… Ai nostri martiri noi non costruiamo dei
templi, come fossero dei, ma delle tombe, in quanto sono dei mortali, il cui
spirito ora vive con Dio. Noi non erigiamo degli altari per sacrificare ai
martiri, ma al Dio unico dei martiri e nostro… " È a Dio, e non a loro,
che viene offerto il sacrificio.
I
martiri, quindi, non sono dei o semi-dei; sono semplici mortali, credenti che
hanno ricevuto la grazia di morire per Cristo.
Li
veneriamo come nostri fratelli, coi quali siamo in comunione: la comunione che
unisce i santi del Paradiso ed i fedeli ancora in cammino sulla terra.
2. I "successori" dei martiri
Con
la fine delle persecuzioni, alcuni cristiani si pongono una domanda: "Come
vivere il martirio dove non ci sono più persecuzioni? Come accogliere l'invito
di Gesù a seguirlo portando la propria croce, adesso che non c'è più
l'occasione di spargere il proprio sangue per Lui?".
La nascita (o lo sviluppo) del monachesimo
sono proprio il tentativo di dare risposta a questa domanda. La pazienza, la
costanza e l'energia con cui i monaci perseverano nella loro scelta di vita
fanno di loro dei "martiri viventi".
Il
martire, quindi, è e resterà nella Chiesa il santo per eccellenza.
Il
monachesimo e le altre forme di santità sono, in fondo, modi per vivere il
martirio, dove non c'è più la persecuzione.
In
questa linea, ricordiamo l'idea, diffusa soprattutto in ambito irlandese,
secondo cui si può parlare di tre forme di martirio: il martirio rosso, quello
in senso proprio, caratterizzato dallo spargimento del sangue; il martirio
bianco, quello di chi dedica la propria vita a Dio nell'ascesi e nella
verginità; il martirio verde, vissuto mettendo in atto le opere penitenziali o
il viaggio missionario per portare il vangelo in altri paesi.
III. Martiri di tutti i tempi
Con
la pace del IV secolo, le persecuzioni diventano molto più rare, ma non
scompaiono
del
tutto. Esse si ripropongono ogniqualvolta i cristiani vengono a trovarsi in minoranza.
Questo accade soprattutto nei paesi conquistati dall'Islam o, in
epoca più vicina a noi, negli stati governati da regimi dichiaratamente atei,
che vogliono sradicare la fede ed imporre l'ateismo.
Tuttavia, la maggior parte dei martiri venerati nella Chiesa dalla
fine del Medioevo ad oggi appartengono alla storia delle missioni.
Dalla Cina al Giappone, dal Vietnam all'India, dall'Oceania
all'America del Nord, all'Africa, la lista dei missionari e dei cristiani
indigeni massacrati per la fede cristiana è impressionante.
In particolare, il Giappone nel XVII secolo
ed il Vietnam nel XIX hanno dato più martiri di quanti non ne abbia dati la
Chiesa dei primi tre secoli. Certamente in questi paesi le persecuzioni si
scatenarono anche per una serie di motivi politici, economici e culturali.
Questa
considerazione impone molta cautela nel formulare giudizi di carattere storico.
Non si può comunque evitare di riconoscere come martiri migliaia di uomini e
donne che accettarono di morire piuttosto che rinnegare la fede.
IV. Un messaggio per noi
Il
messaggio per noi lo ricaviamo, ritornando al Nuovo Testamento, da cui ha preso
le mosse la nostra corsa nella storia. Ci riferiamo ad un passo della prima
lettera di Pietro, che probabilmente porta in sè gli echi della persecuzione di
Nerone:
E
chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche dovreste
soffrire per la giustizia, beati voi!
Non vi sgomentate per paura di loro, nè vi
turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a
rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia
questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perchè nel
momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che
malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così
vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male
(1Pt
3,13-17).
Questo
testo vuole rispondere alla domanda: "Come si comporta un cristiano nella
persecuzione?". Certo oggi da noi non si può parlare di persecuzione
contro chi crede.
Però
capita spesso che un credente si trovi in mezzo a persone che non condividono
la sua fede e non lo capiscono.
Raramente
oggi da noi la fede è attaccata con violenza.
Più
spesso è considerata inutile, irrilevante, qualcosa di cui si può benissimo
fare a meno. Così un credente, anche oggi da noi, può trovarsi a disagio. C'è
anche oggi una sofferenza per la fede. Per questo le parole di Pietro sono
rivolte anche a noi.
Ne
sottolineiamo tre.
"Se
sarete ferventi nel bene, chi potrà farvi del male?". Se uno è fervente
nel bene, niente potrà fargli veramente male.
Anche
la sofferenza che uno affronta nel fare il bene non porta sconforto, ma
beatitudine: "Se anche dovreste soffrire per la giustizia, beati
voi!". Parole assurde al di fuori di una logica di fede.
"Siate
sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi".
Il
credente è sempre pronto a mostrare agli altri le ragioni, i motivi, i
"perché" che sostengono la sua fede. E le ragioni che sostengono la
fede dei credenti di oggi sono in fondo identiche a quelle che hanno sostenuto
i martiri di ogni tempo nella professione della loro fede: Non possiamo vivere
senza Cristo. A tutto possiamo rinunciare, ma non a Cristo.
La
fede in Lui vale più della vita stessa, perché una vita senza Cristo è vuota e
senza senso.
"Questo
sia fatto con dolcezza e rispetto". La professione della propria fede,
anche di fronte a chi l'avversa, va fatta con dolcezza e rispetto.
Chi
si sente a disagio, chi si sente non capito, chi si vede attaccato facilmente è
portato a reagire con violenza.
"Dolcezza
e rispetto", raccomanda invece Pietro. Dolcezza e rispetto, che sono segni
di forza vera. Non a caso, da S. Stefano in poi, il perdono dato ai persecutori
è uno degli aspetti più caratteristici che accompagnano la morte dei martiri.
Don Pierpaolo Caspani