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CAPITOLO VI

THOMAS BERNHARD E IL TEATRO DELL'ASSURDO

 

Ho già accennato nel capitolo introduttivo alle forti analogie del teatro di Bernhard con la tradizione dell'assurdo, di cui i maggiori rappresentanti sono Ionesco, Genet, Adamov e soprattutto Beckett, dal quale Bernhard prende certo molti spunti, come risulta confrontando la sua prima pièce Ein Fest für Boris, in cui domina un ambiente claustrofobico e la più totale immobilità, con una delle più importanti e significative opere del 'maestro' dell'assurdo Finale di partita.

 

Ho già sottolineato come Bernhard ritenga che la deficienza, la deformazione fisica, costituiscano l'aspetto fondamentale della sua comicità, poiché la gente non ride mai di qualcosa di perfettamente normale: "[...] das Scherzmaterial ist immer da, wo's nötig ist, wo ein Mangel ist irgendeine geistige oder körperliche Verkrüppelung. Über einen Spaßmacher, der völlig normal ist, lacht ja kein Mensch, sondern er muß hinken oder einäugig sein oder jeden dritten Schritt hinfallen. [...] Darüber lachen die Leut' - immer über Mängel und fürcherliche Gebrechen".

 

 

Queste parole sono particolarmente significative per capire la comicità di Bernhard, di cui ho già cercato di individuare gli aspetti principali, ed anche per definire il legame che esiste nella sua produzione letteraria tra serio e faceto, tra commedia e tragedia quindi, il rapporto tra le quali può essere spiegato chiaramente attraverso le parole di Eugéne Ionesco: "Non ho mai capito per parte mia, la differenza che si ravvisa tra il comico ed il tragico.

 

Il comico essendo intuizione dell'assurdo, mi sembra più disperato del tragico. Il comico non offre vie d'uscita. Dico 'disperato' ma in realtà è di là o di qua dalla disperazione o dalla speranza".

 

Per approfondire questo aspetto è necessario tracciare il più brevemente possibile un profilo della tradizione su cui si basa il Teatro dell'Assurdo, cercando di delinearne la natura per poter individuare gli elementi ricorrenti da cui è costituita.

1) La tradizione dell'Assurdo:

Il Teatro dell'Assurdo evidenzia alcune tradizioni antichissime rielaborandole in combinazioni nuove e personali nel tentativo di esprimere i problemi e le preoccupazioni contemporanee, tra queste svolgono un ruolo fondamentale ad esempio il teatro 'puro', per i suoi effetti scenici astratti, familiari nel circo e nella rivista, nei giocolieri e negli acrobati, nonché lazzi e scene burlesche.

 

Questi elementi hanno la funzione di allontanare il Teatro dell'Assurdo dal linguaggio inteso come strumento che esprime i più profondi livelli di significato.

 

Questo atteggiamento anti-letterario è infatti sottolineato dall'uso dell'azione stilizzata, rituale e pura in Genet o dalla proliferazione degli oggetti in Ionesco o dall'uso della routine con il suo effetto alienante in Beckett, e costituisce un ritorno alle primitive forme non verbali del teatro.

 

Viene qui ripreso il topos del clown, esecutore di compiti che non richiedono il linguaggio, che appartiene al teatro popolare fin dall'antichità, basato su una vasta rappresentazione di tipi e di personaggi che si muovono in azioni improvvisate e spontanee.

 

Il clown, come ho già sottolineato nel capitolo dedicato alla comicità, appare come l'idiota, lo stupidus, "il suo assurdo comportamento nasce dall'incapacità di capire le più semplici relazioni logiche".

 

Queste rappresentazioni dei mimi non erano regolate dalle severe norme della tragedia e della commedia tradizionali, non esistevano infatti limitazioni di alcun genere, al numero di personaggi ad esempio, le unità di tempo e luogo non venivano rispettate, non sempre inoltre le opere avevano un intreccio, ma potevano essere costituite da imitazioni di animali, danze, giochi di abilità ecc...

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La componente onirica in queste opere era spesso molto forte, ed argomenti elevati o umili, seri e perfino terrificanti erano come per miracolo uniti con il burlesco ed il divertente.

 

La tradizione del mimo si è poi mantenuta più o meno viva nel periodo medievale, attraverso le commedie di Plauto e Terenzio, e le tipiche azioni da clowns e da folli riappaiono nei personaggi comici, spesso sotto le sembianze di demoni e di vizi personificati nei Mistery plays francesi ed inglesi.

 

Un altro discendente del mimo dell'antichità fu il buffone di corte, che poi ritorna nel teatro shakespeariano come precursore sotto molti aspetti del Teatro dell'Assurdo.

 

Nel teatro di Shakespeare è più di ogni altra cosa evidente il senso della futilità e dell'assurdità della condizione umana, dove i grandi valori della tragedia tradizionale, come l'amore e l'eroismo, sono crudelmente ridimensionati.

 

La tradizione del dramma spontaneo continuò in seguito al di fuori del mondo letterario e fiorì in Italia con la Commedia dell'Arte, che ha radice, come la precedente tradizione del mimo, nell'esigenza umana per le buffonate e per la liberazione da inibizioni attraverso la risata spontanea.

I tipi ricorrenti del servo astuto e libertino, dello spaccone, del goloso, del vecchio, del falso dotto proiettano sul palcoscenico gli impulsi fondamentali del subconscio umano in immagini tanto potenti quanto essi sono grossolani.

La tradizione della Commedia dell'Arte rimane in vita, sotto diverse forme, fino ai giorni nostri, in Inghilterra ad esempio attraverso l'arlecchinata ancora nel diciannovesimo secolo, o in Francia con l'opera di drammaturghi come Moliére e Marivaux.

 

Successivamente gli elementi caratteristici del genere si fusero nella tradizione del music-hall inglese e del vaudeville americano, con attori abilissimi nei giochi di parole e nelle canzoni comiche, ed in seguito furono ripresi dal cinema muto dei Keystone Cops, Charlie Chaplin, Buster Keaton e una miriade di altri attori immortali.

 

Il film muto ha indubbiamente avuto un'influenza notevole sul Teatro dell'Assurdo, per la sua stranezza onirica, come di un mondo visto dall'esterno, con gli occhi di chi è tagliato fuori dalla realtà. Sembra quasi l'incubo di un mondo in costante ed inutile movimento, il cui ritmo viene ucciso dall'avvento del sonoro nel cinema.

 

Ma la tradizione della Commedia dell'Arte non muore e la si ritrova in Europa centrale, ad esempio nel teatro popolare austriaco, in cui essa si fuse con un altro filone, quello dello spettacolo barocco, e nel dramma allegorico dei Gesuiti, in cui le azioni da clowns sono combinate con immagini allegoriche che anticipano senza dubbio il Teatro dell'Assurdo. Un esempio è costituito dal teatro di Ferdinand Raimund (1790-1836). La condizione umana viene ancora una volta presentata come una concreta immagine poetica diventata reale sul palcoscenico, e che a volte è comica, a volte profondamente tragica. Il theatrum mundi barocco basato in primo luogo sulle figure allegoriche della Fortuna, che impersona l'instabilità delle cose umane ed anche l'illusorietà della vita terrena, e su quella della Superbia, che doveva essere esemplarmente punita o almeno doveva ravvedersi riconoscendo l'illusorietà della potenza, del piacere e della gloria, fiorisce a Vienna ancora nella prima metà dell'Ottocento. Il teatro barocco con i suoi ricchi scenari fantastici realizza concretamente il principio della vanità dell'esistenza terrena, derivato dal teatro spagnolo ed in particolare dall'opera di Calderòn, basti pensare a "La vida es sueno", in cui la vita si rivela sogno perché si vanifica nell'eternità. Un altro importante aspetto della tradizione barocca è la grande visione allegorica del mondo come un palcoscenico su cui ciascun personaggio recita la parte che gli è stata assegnata da Dio, artefice del mondo, e la morte rappresenta il risveglio alla realtà di salvezza eterna o di dannazione.

 

La tradizione del teatro barocco viene continuata da Hofmannsthal con la sua opera Das kleine Welttheater (il piccolo teatro del mondo), un dramma con otto figure in cui la totalità della vita è per la prima volta rappresentata in una sfilata di personaggi ben distinti e pur misteriosamente uniti da un legame che si rende palese soltanto alla fine. Questa immagine la ritroviamo nell'opera di Bernhard, nella sua visione della vita come una rappresentazione teatrale, in cui ciascun individuo recita una parte ben precisa e che fino alla morte non può togliersi la maschera. Se il mondo è un palcoscenico ed il palcoscenico raffigura sogni, è un sogno nel sogno, o se si vuole un incubo.

 

 Questa tradizione teatrale attira inevitabilmente l'attenzione del pubblico soprattutto di modeste pretese, che desidera vedere sul palcoscenico figure fantastiche ed efficaci, suddivise nettamente in buoni e cattivi.

 

Il barocco decade progressivamente a divertimento popolare, e la figura del buffone prende il sopravvento sui personaggi seri divenuti troppo astratti.

 

Con il teatro di Raimund si perfeziona l'arte di stabilire un labile rapporto tra personaggi comici e seri, tra ricchi e poveri, tra servi e padroni.

 

La figura allegorica della Fortuna acquista un nuovo senso dell'illusorietà terrena, non in quanto spiriti ultraterreni potevano diventare uomini di questa terra e viceversa, ma piuttosto come espressione di instabilità della sorte, a causa della quale i ricchi potevano diventare poveri ed i poveri ricchi.

 

Teatro barocco e farsa popolare si fondono completamente, attraverso le successive trasformazioni di figure farsesche in cui il pubblico viennese poteva riconoscere i suoi difetti e vizi.

 

Dopo Raimund e Nestroy, anch'egli rappresentante del teatro popolare viennese, il cui stile fu caratterizzato soprattutto dall'assurdità linguistica e dalla parodia spietata, un altro precursore del Teatro dell'Assurdo fu Georg Büchner (1813-1837) con la sua commedia Leonce und Lena (1836), dove ancora una volta prevale il topos barocco della futilità dell'esistenza umana che può essere mitigata solo dal coraggio di riconoscersi assurdi.

 

A questo aspetto si associa però quello negativo del dramma violento e brutale dell'ossessione e dell'aberrazione mentale con il Woyzeck, rimasto incompiuto alla morte dell'autore. Il protagonista è torturato da grottesche figure da incubo e da ossessioni che si esprimono attraverso la violenza e la stravaganza del linguaggio.

 

Christian Grabbe (1801-1836) appartiene a sua volta al gruppo dei poètes maudites che hanno molto influenzato il Teatro dell'Assurdo, e la sua commedia Scherz, Satire, Ironie und tiefere Bedeutung (scherzo, satira, ironia e significato profondo), in cui il demonio visita la terra ed è scambiato per un romanziere per fanciulle, è senza dubbio un capolavoro dello humor noir. Con quest'opera emerge il suo gusto intellettualistico del grottesco che trasforma la scena in un teatro di marionette pieno di vitale comicità popolaresca. L'intreccio assurdo trasforma la commedia in una parodia della commedia romantica dell'intrigo e diventa il pretesto per una satira mordace delle mode letterarie del tempo aprendo una polemica contro la dilagante letteratura femminile e la figura della donna letterata.

 

In quest'opera Grabbe riunisce una serie di figure caricaturiali che denunciano le deformazioni della vita sociale e culturale del tempo, rappresentata come theatrum diabolorum.

 

Un'altra corrente che ha influito sulla tradizione dell'assurdo è quella del nonsense, il cui piacere deriva dal senso di libertà che si prova quando si può abbandonare la 'camicia di forza ' della logica, un piacere secondo Freud nascosto nella vita, impegnata quasi fino al punto di scomparire, la cui esistenza va ricercata ad esempio nel piacere che i bambini traggono nel collegare tra loro parole senza la preoccupazione per il significato e l'ordine logico.

 

Freud sottolinea inoltre il legame del non sensO con i processi onirici, attraverso l'abbondante uso di rappresentazioni indirette, di spostamenti e specialmente di allusioni, nonché il dominio della finzione e dell'assurdità.

 

La letteratura del nonsense verbale esprime molto di più del semplice divertimento.

 

Tentando di far saltare i legami della logica e del linguaggio, tocca sul vivo l'essenza stessa della condizione umana. Quest'impulso si trova ad esempio nelle visioni di François Rabelais, uno dei più grandi rappresentanti della tradizione del nonsense, che immaginò un mondo di giganti dagli appetiti sovrumani, descritto con un linguaggio stravagante in grado di superare la povertà del mondo reale.

 

 Si tratta di un tentativo 'metafisico' per allargare e trascendere i limiti imposti dall'universo materiale e dalla sua logica.

 

Tra i più grandi maestri del nonsense inglese bisogna ricordare Lewis Carroll, logico e matematico, e Edward Lear, naturalista, grandi inventori di creature singolari, che ricevono la loro validità esistenziale dai loro stessi nomi.

 

Nell'opera fantastica di Carroll emerge una curiosa smania per il vuoto dove l'essere e il linguaggio svaniscono completamente, ciò significa che l'identità individuale definita appunto dal linguaggio diventa la causa del nostro isolamento e l'origine delle restrizioni imposte alla nostra fusione in una unità essenziale. Attraverso la distruzione del linguaggio e l'arbitraria denominazione delle cose che si esprime il desiderio mistico di integrarsi con l'universo.

 

La botanica del nonsense di Lear contiene fiori come la "Tickia Orologica", che fiorisce a forma di orologi da tasca, la "Shoebootia Utilis", che genera stivali e scarpe; ma queste originali invenzioni impallidiscono davanti alla poesia delle più valide canzoni del nonsense di Lear, spontanee creazioni di un'immaginazione che si è liberata dalle catene della realtà, ed è divenuta capace di creare solo con l'atto di nominare.

 

Non manca comunque la vena distruttiva e brutale, come dimostra la proliferazione dei suoi Limericks, esseri sconfitti, divorati, uccisi, bruciati, insomma annientati.

L'impulso metafisico appare in modo evidente in Christian Morgenstern (1871-1914), il poeta del nonsense tedesco.

 

La sua produzione poetica si basa sulla considerazione di tutti i concetti come ugualmente reali, e su una forte componente di humor noir nelle sue Galgenlieder (canzoni della forca), un miscuglio di grotteschi giochi di parole e di paure cosmiche.

 

Un sorprendente numero di poeti validi ed importanti hanno occasionalmente scritto poesia del nonsense, basti pensare a Samuel Johnson, Charles Lamb, Keats, Victor Hugo.

 

Anche nel campo della prosa vi sono numerosi esempi di un certo rilievo, come l'opera di Lawrence Sterne, gli aforismi di Lichtenberg, le opere di Charles Nodier, Mark Twain, Ambrose Bierce. Con il nonsense domina sempre di più in letteratura e poesia un elemento fantastico spesso con connotazioni satiriche che ritroviamo ad esempio nei Gulliver's Travel di Swift o nei romanzi gotici come The Castle of Otranto (Il castello di Otranto) di Walpole, in cui un misterioso elmetto precipita nel castello con l'inevitabilità onirica del cadavere, sempre più grande, che invade l'appartamento di Amédée nell'opera di Ionesco (Amedeo o come sbarazzarsene).

 

L'elemento onirico nel diciottesimo e diciannovesimo secolo è sempre più caratterizzato da improvvise trasformazioni di personaggi e mutamenti da incubo di tempo e spazio, come nelle opere di E.T.A. Hoffmann, Gérard de Nerval, Barbey d'Aurevilly. I loro racconti fantastici apparvero forse ai loro contemporanei come esempi di science fiction, mentre oggi sono considerati essenzialmente come sogni e fantasie, proiezioni d'aggressività, di sensi di colpa e di desideri.

 

Soprattutto le fantasie orgiastiche del Marchese de Sade sono in modo evidente proiezioni di una realtà psicotica in forma di fantasia letteraria.

 

Il primo a mettere in scena un mondo di sogni nella nuova prospettiva del pensiero psicologico moderno fu August Strinberg, le cui opere sono per lo più trascrizioni di sogni e di ossessioni, una fonte diretta per il Teatro dell'Assurdo.

 

In esse il passaggio dalla realtà oggettiva del mondo esterno, dell'apparenza superficiale alla realtà soggettiva degli stati interiori di coscienza, passaggio che fa da spartiacque tra il tradizionale ed il moderno, è finalmente portato a termine.

 

Tutto può avvenire e tutto è possibile e verosimile. Tempo e spazio non esistono più, e l'immaginazione prende il sopravvento su di un insignificante sfondo realistico.

 

Lo sviluppo del soggettivismo psicologico che si manifesta nelle opere oniriche espressioniste di Strinberg rappresenta il proseguimento diretto e logico del movimento che ha portato al naturalismo.

 

Si tratta del desiderio di rappresentare la realtà, che porta alla descrizione spietata delle apparenze ed alla conclusione che la realtà oggettiva, la semplice apparenza, sono solo una parte relativamente insignificante del mondo reale.

 

Questo è il presupposto dell'opera di Zola e di Proust. Anche Strinberg dalle prime opere storiche e dai drammi romantici degli anni tra il 1880 ed il 1890 arriva ad una forma di naturalismo spietato.

 

Lo stesso sviluppo si può riscontrare in Joyce, maestro di Samuel Beckett, che con il suo Ulisse arriva a registrare una realtà ancora più totale.

 

E saranno proprio i grandi rappresentanti del Teatro dell'Assurdo, Beckett e Ionesco a rendere possibile la rappresentazione delle scene di Joyce, che non solo li anticipano, ma in molti casi sviluppano le stesse tematiche superandoli in audacia ed originalità inventiva.

 

Finnegan's Wake, molti brani del quale furono dettati da Joyce all'amico e discepolo Beckett, quando la sua vista era ormai troppo debole per permettergli di scrivere, ad esempio, anticipa il problema del linguaggio, il tentativo di raggiungere il più profondo stato della mente, la scoperta del significato universale e collettivo delle ossessioni personali.

 

 

Ciò è vero anche per le opere di Dostojevskij e Franz Kafka, i cui racconti incompiuti sono descrizioni meticolose ed esatte di incubi e di ossessioni: l'ansia ed i sensi di colpa di un essere umano sensibile, perduto in un mondo di convenzioni e di abitudini; Il processo (1914-15) fu la prima opera a dare pienamente l'immagine contemporanea del Teatro dell'Assurdo.

 

L'intento dell'autore è quello di trovare un'adeguata espressione per il mondo interiore dell'esperienza psichica.

 

Questa verità dell'anima che è inconscia, si sottrae ad una descrizione di carattere analitico-razionale.

 

Solo la metafora e la parabola, prodotti della meccanica dell'inconscio, sono in grado di cogliere un riflesso di questa verità. Kafka rifiuta quindi il linguaggio della psicologia e della storia per fare della propria opera una trasposizione quasi biografica, in forma di parabola in cui ogni atto della vita viene riportato ad una dimensione metafisica.

 

 

Una delle figure più straordinarie tra i poètes maudits della letteratura francese fu Alfred Jarry (1873-1907), che appartiene alla scuola di Rabelais, ma le cui immagini risentono anche dell'influenza dell'oscuro e perseguitato mondo onirico dei Isidore Lucasse, chiamato Conte di Lautrémont (1846-1870), a sua volta fonte di ispirazione per i surrealisti.

 

Jerry deve molto anche a Mallarmé, nei cui scritti sono contenute numerose esortazioni ad iniziare una rivolta contro le pièces razionali di fine secolo.

 

Mallarmé auspicava un teatro mitico, completamente non francese nella sua irrazionalità, che si manifesta nella sua opera Ubi Roi, in cui compare un personaggio mitico in un mondo di grottesche immagini archetipe, immagine terrificante della natura animalesca dell'uomo, della sua crudeltà ed insensibilità.

 

Con la sua mostruosa opera di marionette Jarry si proponeva di porre il pubblico borghese di fronte all'orrore della compiacenza di se stesso e della propria abiezione. Con questo personaggio che sconvolse il pubblico fu creato un nuovo termine, quello di patafisica che si trasformò in seguito nell'estetica di Jarry, una sorta di scienza delle soluzioni immaginarie, la cui memoria sarà tenuta viva dal Collegio dei Patafisici di cui Ionesco, Raumand Queneau e Jacques Prevert sono i membri principali.

La stessa stravaganza si può trovare in un'altra opera che provocò uno scandalo simile: Les Mamelles de Tirésias (Le mammelle di Tiresia, 1917) di Guillaime Apollinaire, che l'autore stesso definì 'dramma surrealista', inventando così quel termine che diventerà in seguito il simbolo di uno dei più importanti movimenti estetici del secolo.

 

 

Il Surrealismo era per Apollinaire un'arte più vera della realtà, capace di esprimere l'essenza piuttosto che l'apparenza, egli infatti auspicava ad un teatro moderno, rapido, semplice capace di colpire lo spettatore.

 

Quest'opera è un vaudeville grottesco che cerca di dare un serio messaggio politico, difendendo il ripopolamento della Francia decimata dalla guerra e dall'emancipazione femminile.

 

La bohéme parigina di Jarry e Apollinaire era un mondo in cui coesistevano pittura, poesia, e teatro ed i tentativi per trovare ed esprimere un'arte moderna si intensificavano.

 

Apollinaire era il patrocinatore ed il propagandista del movimento cubista e amico di Matisse, Braque e Picasso.

 

La lotta per superare la concezione dell'arte come pura mimesi, semplice imitazione delle apparenze, aveva fatto molti progressi con i collages di Picasso o di Juan Gris e i dipinti di Klee, a cui il Teatro dell'Assurdo deve molto.

 

Il movimento dadaista, che ebbe origine a Zurigo durante la guerra tra obiettori di coscienza francesi, tedeschi e di altre nazioni europee, comprese artisti di ogni genere.

 

Il 2 febbraio 1916 i giornali di Zurigo annunciarono la nascita del Cabaret Voltaire, a cui seguì l'organizzazione di una serie di spettacoli da parte dei suoi membri tra cui Tristan Tzara, giovane poeta rumeno, Hugo Ball e sua moglie Emmy Hennings, Richard Huelsenbeck, Hans Harp, scultore e poeta, ed il pittore Marcel Janco, anch'egli rumeno.

 

Il nome del movimento è stato tratto da una rapida occhiata ad un dizionario francese; con la parola "dada", che significa cavalluccio di legno, i dadaisti volevano esprimere la loro intenzione di distruggere l'arte o, almeno quella convenzionale dell'età borghese che aveva prodotto gli orrori della guerra.

 

Il vero nemico da combattere è infatti la ragione borghese alla quale si contrappone come rimedio la natura 'irrazionale'.

Baluardo della società è il linguaggio in quanto mezzo di comunicazione e la logica inerente al discorso strumentale.

 

La parola ridotta a merce ha perso la sua dignità, per recuperarla bisogna liberare il linguaggio dalle norme che ne garantiscono la funzione comunicativa, si procede quindi allo stravolgimento delle regole morfo-sintattiche.

 

Hans Harp ad esempio si affida alla tecnica del 'caso' per sottrarsi alla prevedibilità di un linguaggio ormai consunto ed ingannare i condizionamenti occulti della psiche.

 

Prevale nella sua opera il gusto allitterante e la parodia di generi e forme letterarie, una ricerca della stranezza linguistica che presto assume un significato metafisico o mistico, con l'intento di rivelare i più profondi accadimenti della vita.

 

Nasce così la tradizione dei Cabarets letterari, tra cui quello di Monaco dove Wedekind ed il suo gruppo avevano creato un genere di canzone impertinente ed arguta, che si fuse con la tradizione francese della canzone popolare. L'opera di Kokoschka, definita dallo stesso autore ' una curiosità ' è un valido esempio del primo espressionismo, e lancia il filo conduttore alle rappresentazioni dadaiste.

 

Nonostante le grandi speranze che gli artisti di questo gruppo nutrivano verso il teatro, non riuscirono a creare nulla di straordinario sul palcoscenico, il dadaismo era infatti talmente distruttivo e radicale nel suo nichilismo che non ci si poteva aspettare quella capacità creativa che consente di instaurare una forma d'arte basata necessariamente sulla collaborazione costruttiva.

 

Mentre i dadaisti avevano trasferito il loro centro di gravità a Parigi dopo la fine delle ostilità, gli altri membri del circolo di Zurigo ritornarono in Germania, trapiantando il movimento a Berlino e a Monaco dove si fuse con l'espressionismo tedesco.

 

Le opere drammatiche del movimento espressionista furono nell'insieme troppo idealistiche e politicamente consapevoli per essere considerate vere e proprie anticipatrici del Teatro dell'Assurdo, con cui condivisero però la tendenza ad esternare la realtà interiore e ad oggettivare il pensiero ed i sentimenti.

 

L'unico vero precursore del Teatro dell'Assurdo fu Yvan Goll (1891-1950), che subì l'influenza di Apollinaire e Jarry e fu molto impressionato dalle possibilità offerte dal cinema, soprattutto quello di Chaplin.

 

Goll formula la teoria per elaborare un nuovo genere teatrale, in cui il drammaturgo moderno deve ritrovare un sistema per penetrare la superficie della realtà, riscoprire mondi diversi da quello dei cinque sensi, una sorta di supermondo.

 

Il teatro non è solo un mezzo per favorire e divertire la borghesia, ma deve spaventarla, farla ritornare all'infanzia, attraverso l'elemento grottesco, che evidenzia la monotonia e la stupidità umana.

 

Il mezzo che deve essere utilizzato per raggiungere questo scopo è la maschera, come simbolo del teatro, essa contiene una legge e questa legge è la legge stessa del teatro. L'irreale diventa realtà.

 

In un attimo si può provare che la cosa più grande può diventare irreale e 'divina' ed è proprio in ciò che si riscontra la verità più pura. La verità non è nella ragione, non viene scoperta dal filosofo, bensì dal poeta. Il palcoscenico non deve interessarsi solo alla vita reale, diventa surreale quando è consapevole di cosa si cela dietro le cose.

 

Tra i contemporanei tedeschi di Goll, l'unico che riuscì ad avvicinarsi alla realizzazione di un teatro crudele e grottesco fu Bertold Brecht, che nella sua evoluzione dal dramma poetico anarchico, sullo stile di Büchner e Wedekind, all'austerità del didascalismo marxista della sua ultima fase, scrisse molte opere che hanno intime connessioni con il Teatro dell'Assurdo, sia per l'uso di una comicità rumorosa propria del music-hall sia per l'indagine svolta sull'identità dell'io e della sua fluidità.

 

Il legame con la tradizione dell'Assurdo è evidente soprattutto nella sua opera Im Dickicht der Städte (nella giungla della città, 1921), per il suo deliberato rifiuto di fornire una motivazione alle azioni che in essa si svolgono, in una grottesca Chicago di gangsters violenti.

 

 Brecht affronta il problema dell'impossibilità di conoscere il vero movente delle azioni umane, nonché le difficoltà che l'uomo incontra nel comunicare con i suoi simili, proprio quelle difficoltà che si ritrovano in Beckett, Adamov e Ionesco.

 

La parabola del protagonista ha inizio con l'adesione ad un linguaggio letterario che respinge il contatto con la vita mercificata della metropoli (Garga parla soprattutto per citazioni da Rimbaud) e aspira apertamente all'evasione nell'esotismo, che è destinata a fallire con un ripiegamento sulla realtà inizialmente rifiutata, cioè quella della città-giungla, la quale oltre che involucro di devastanti processi di mercificazione, proprio perché riproduce un nudo conflitto barbarico, richiama alla luce un accumulo di energie primitive, in cui la lotta è insieme ricerca di solidarietà. Solo quando l'isolamento è estremo non è più possibile la lotta.

 

Anche Mann ist Mann (Un uomo è un uomo) scritta tra il 1924 e il '25 riprende lo stesso tema, dimostrando che la natura umana è incostante e che è possibile trasformare nel corso della rappresentazione un personaggio in un altro.

 

In entrambe le opere viene messa in evidenza la tematica del furto dell'identità come forma di rapimento, cioè l'appropriazione da parte di una personalità più forte della personalità più debole.

 

Con Brecht l'elemento dell'irrazionalità tipico della tradizione dell'Assurdo e l'opera di contenuto politico non sono inconciliabili, ma rappresentano il diritto ed il rovescio della stessa medaglia, dimostrando che il dramma 'a tesi' vive o muore non per la sua verità politica, ma per quella poetica che deriva direttamente dal più profondo intimo della personalità dell'autore.

 

Mentre l'impulso dato in Germania dal Dadaismo e dall'Espressionismo si va progressivamente indebolendo, lasciando il passo alla Neue Sachlichkeit (Nuovo Realismo Sociale), la tradizione continua ininterrotta in Francia. Con i Surrealisti l'azione del Dadaismo aveva perso la sua connotazione esclusivamente negativa, e si afferma la grande forza positiva del subconscio, nonché un automatismo psichico che esprime il funzionamento reale del pensiero.

 

Nel teatro comunque i risultati del surrealismo si dimostrarono scarsi, perché è una forma d'arte che non consente un completo automatismo nella composizione delle opere. Le opere più valide della maggior parte della produzione drammatica del movimento surrealista furono quelle dei suoi membri che avevano abbandonato il movimento.

 

Tra di essi si distinse Antonin Artaud (1896-1948), poeta, attore professionista e regista che ebbe l'influenza più radicale su tutto il teatro moderno francese e che insieme a Roger Vitrac fu bandito dal movimento per iniziativa di Breton, in quanto accusati di aver ceduto agli interessi commerciali al punto da voler produrre opere surrealiste nell'ambito del teatro professionale.

 

La vera importanza di Artaud nei confronti del Teatro dell'Assurdo stà nei suoi scritti teorici e nei suoi esperimenti di regista e capocomico. La sua concezione rivoluzionaria del teatro trovò espressione in una serie di appassionati manifesti, raccolti successivamente nel volume Théatre et son double (1938).

 

Artaud auspicò con molta fermezza e decisione un ritorno al mito e alla magia, ad una esposizione spietata dei più profondi conflitti della mente umana, in poche parole al Teatro della Crudeltà. A questo proposito mi sembra interessante citare alcuni brani del suo volume Il Teatro e il suo doppio, in cui sono contenute le sue dichiarazioni di intenti.

 

 Innanzitutto Artaud afferma che il Teatro della Crudeltà deve scegliere "temi e soggetti che corrispondano all'agitazione e all'inquietudine tipiche della nostra epoca. [...]

 

Rilancerà la moda dei grandi problemi e delle grandi passioni essenziali che il teatro moderno ha nascosto sotto la vernice dell'uomo pseudocivilizzato.

 

Questi temi saranno cosmici, universali [...] si rivolgerà all'uomo totale, non all'uomo sociale sottomesso alle leggi e deformato dalle religioni e precetti".

 

Secondo Artaud la lunga abitudine agli spettacoli di evasione ci ha fatto dimenticare l'idea di un teatro serio che, sconvolgendo i nostri preconcetti, ci trasmetta l'ardente magnetismo delle immagini e agisca su di noi come una terapia spirituale.

 

Tutto ciò che agisce è crudeltà: il teatro deve rinnovarsi ricorrendo allo spettacolo di massa "cercare nell'agitazione di masse numerose, ma convulse e scaraventate l'una contro l'altra, un pò di quella poesia che esiste nelle feste e nelle folle, i giorni [...] in cui il popolo si riversa nelle strade. [...] Bisogna che il teatro ci restituisca tutto ciò che è nell'amore, nel delitto, nella guerra o nella pazzia".

 

Il teatro deve permettere ai mezzi magici dell'arte e della parola di agire organicamente e nella loro totalità, e questo può avvenire solo se si restituisce ad esso il suo linguaggio.

 

Questo linguaggio deve essere definito attraverso le sue capacità di espressione dinamica nello spazio, contrapposte alle capacità espressive della parola dialogata.

 

"Ciò che il teatro può strappare alla parola sono le sue capacità di espansione oltre le singole parole, di sviluppo nello spazio, di azione dissociatrice e vibratoria sulla sensibilità.

 

A questo punto entrano in gioco le intonazioni, il particolare modo di pronunciare una parola.

 

Ed a questo punto oltre il linguaggio acustico dei suoni entra in gioco il linguaggio visivo degli oggetti, dei movimenti, degli atteggiamenti, dei gesti[...]."

Artaud paragona il teatro alla peste, perché si tratta di una crisi che si risolve con la morte o con la guarigione.

 

Il teatro è malattia perché è un equilibrio supremo, non raggiungibile senza distruzione.

 

L'azione del teatro come quella della peste è benefica, perché spingendo gli uomini a vedersi quali sono, fa cadere la maschera, mette a nudo la menzogna, la rilassatezza, la bassezza, l'ipocrisia, arrivando a rivelare alla collettività la propria oscura potenza, la forza nascosta, invitandola ad assumere un atteggiamento eroico e superiore.

 

Deve fornire allo spettatore immagini di sogno nelle quali il suo gusto per il delitto, le sue ossessioni erotiche, la sua primitività le sue chimere, persino il suo cannibalismo, si riversano su un piano non convenzionale ed illusorio, ma interiore.

 

Il teatro deve cercare con tutti i mezzi una riaffermazione del mondo interiore, dell'uomo metafisicamente considerato, solo così si potranno riaffermare i diritti dell'immaginazione.

 

Artaud inoltre sottolinea che la parola "crudeltà" deve essere intesa in senso lato e non nell'accezione fisica e rapace che abitualmente le si attribuisce, una crudeltà senza strazio carnale, non fatta di sadismo, né di sangue. Egli intende la crudeltà in senso metafisico, come "rigore, applicazione e decisione implacabile, determinazione irreversibile, assoluta".

 

Il determinismo filosofico più corrente, dal punto di vista della nostra esistenza, è una delle immagini della crudeltà.

 

Hans Höller nella sua monografia sottolinea l'interesse di Bernhard per il teatro di Artaud maturato durante gli anni di studio al Mozarteum che lo avrebbe portato a scegliere come argomento della tesi di laurea proprio Artaud e Brecht, altro precursore dell'assurdo, anche se in realtà non si sa nulla di questo lavoro, che non è mai stato trovato, ma che avrebbe inoltre influito sulla realizzazione delle sue prime opere teatrali, in particolare Ein Fest für Boris.

 

Nel manifesto del Teatro di Jarry pubblicato per l'inaugurazione della sua prima stagione teatrale nel 1926-27 Artaud definisce chiaramente gli intenti che, insieme ai suoi collaboratori si propone di perseguire, nei quali si riconoscono gli obiettivi del Teatro dell'Assurdo: "Con questo teatro, insomma, ci ricolleghiamo alla vita invece di separarcene.

 

Lo spettatore e noi stessi non potremmo più prenderci sul serio, se non avessimo ben chiara la sensazione che una parte della nostra vita profonda è impegnata in questa azione che ha per sfondo la scena.

 

Comico o tragico, il nostro sarà uno di quei giochi, in cui ad un certo momento si ride verde. Ecco a cosa ci impegnamo. Ecco l'angoscia umana in cui lo spettatore dovrà trovarsi uscendo dal nostro teatro.

 

Egli sarà scosso e sconvolto dal dinamismo interno dello spettacolo[...]. E tale dinamismo sarà in diretta relazione con le angosce e le preoccupazioni di tutta la sua vita. [...] Bisogna che lo spettatore abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza".Una componente fondamentale di questo teatro, è la ripetizione, la quale ha la funzione di riassumere la negatività, raccogliere e conservare il presente e passato come verità, come idealità. Il vero è sempre ciò che si lascia ripetere: "La non-ripetizione, il dispendio risoluto e senza riscatto nell'unica volta che consuma il presente, deve porre fine alla discorsività spaurita, all'ontologia incollocabile, alla dialettica. [...] La possibilità del teatro è il fulcro obbligato di questo pensiero che riflette la tragedia come ripetizione. In nessun luogo la minaccia della ripetizione è così ben organizzata come nel teatro".

 

Un altro importante poeta che emerse dal movimento surrealista fu Robert Desnos (1900-1945), autore di versi elegiaci e di nonsense, che registrava sogni delicati e terribili, scrittore di numerose sceneggiature per films surrealisti che, però non furono mai realizzati. Jean Cocteau sperimentò un teatro di puro movimento, e si interessò soprattutto ad alcuni elementi principali di un teatro astratto ed onirico, che appaiono forse in modo più chiaro nei suoi films poetici ed ossessionanti, a cui Ionesco ha reso omaggio per il gusto barocco e la gaiezza. Tra gli altri precursori del Teatro dell'Assurdo bisogna ricordare Raymond Rousell (1877- 1933) che ebbe una notevole influenza sulla letteratura contemporanea. Nei suoi scritti Rousell cerca di escludere totalmente il mondo reale, vuole costruire un suo mondo personale basato sulla logica delle assonanze e sull'associazione verbale, come nella tradizione del nonsense. Alcuni suoi romanzi sono costruiti usando due frasi simili nel suono, ma diverse nel significato, che egli collocava all'inizio e alla fine del libro, cercando poi di collegarle con una serie di proposizioni che avrebbero così formato una successione ininterrotta di tale logica verbale.

 

Gli stessi meccanismi basati su una logica di metafore, di giochi di parole, di omonimie, di associazioni d'idee e di anagrammi si ritrova nella sua produzione teatrale, costituita da opere particolarmente lunghe e complicate, successioni di storie fantastiche che i personaggi si raccontano usando un linguaggio statico ed ampolloso.

 

Intanto si rafforza il rapporto tra la pittura contemporanea e le nuove tendenze sperimentali del dramma, soprattutto con Stanislaw Witkiewicz (1885-1939), che cominciò la sua carriera come pittore e sviluppò una forma estetica 'pura', tendente a dimostrare la totale indipendenza dell'artista dalla natura e dalla realtà esterna.

 

Witkiewicz esplorò il mondo dei sogni, della pazzia, della parodia e della satira politica, incubi grotteschi si mescolano con visioni di dementi, parabole politiche si trasformano in umoristiche parodie dei classici.

 

Altro scrittore polacco d'importanza internazionale è Witold Gombrowicz, precursore e maestro del Teatro dell'Assurdo, che ci trasporta in un mondo grottesco, romantico e fiabesco allo stesso tempo.

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La sua commedia più famosa Slub (Il Matrimonio), scritta nel '45 è un'opera onirica di grande effetto, il cui protagonista è prigioniero di un incubo da cui non riesce a liberarsi, che dimostra l'abilità dell'autore di suggerire efficacemente la presenza di vari livelli di coscienza nella mente del sognatore.

 

Anche nella sua opera il linguaggio diventa autonomo, in un mondo che ha smarrito i criteri oggettivi del reale ed il pensiero è diventato onnipotente, ma schiavo del linguaggio e delle sue regole.

 

Il Teatro dell'Assurdo fa parte di una ricca e varia tradizione, che si è tramandata ed arricchita nel tempo, grazie ad un insolito incontro tra i diversi e familiari atteggiamenti del pensiero ed i linguaggi letterari e che ha potuto contare su di un pubblico sempre più vasto. La vera innovazione consiste nel coraggio di affrontare il fatto che il mondo ha perso la sua spiegazione ed il suo significato, rendendo impossibile l'accettazione di forme artistiche basate su criteri e concetti tradizionali non più validi.

 

Esso si propone di mettere il pubblico di fronte alla duplice assurdità della sua condizione: da una parte, condanna, attraverso la satira, l'assurdità di esistenze passate nell'inconsapevolezza e nell'incoscienza verso i veri valori della vita; dall'altra, il suo senso di indifferenza e di insensibilità meccanica, di esistenza trascorsa nell'ignoranza.

 

L'uomo è sospeso al di fuori di una dimensione temporale, si trova perennemente nella condizione di attesa tra la vita e la morte, come appare evidente soprattutto nel teatro di Beckett, e ciò che il teatro dell'Assurdo si propone di rappresentare è questo suo stato angoscioso, penetrando nei recessi dell'inconscio.

 

Non ha carattere informativo, né presenta i problemi o i destini dei personaggi al di fuori del mondo interiore visto attraverso gli occhi dell'autore, è un teatro di situazioni e non di eventi in successione, e fa uso di un linguaggio costruito su modelli di immagini concrete.

 

Il linguaggio viene usato come uno dei tanti elementi, a volte dominante, a volte secondario, di un'opera costituita da immagini poetiche multidimensionali, viene ridotto a gergo senza significato, sottoposto alla logica poetica dell'associazione e dell'assonanza, aprendo una nuova dimensione scenica.

 

Il linguaggio deve chiaramente documentare come la comunicazione tra gli uomini sia giunta ad un punto di rottura nella moderna società delle comunicazioni di massa; deve essere ricondotto alla sua vera funzione, cioè l'espressione di contenuti autentici e non la loro dissimulazione, possibile solo se si riuscirà a ripristinare il rispetto umano per la parola scritta e parlata tesa a sostituire i clichés fossilizzati che dominano il pensiero.

 

Inevitabilmente la componente grottesca prende il sopravvento, ponendo lo spettatore di fronte alla follia della condizione umana, e privandolo di tutte le illusioni che non gli permetterebbero di affrontare questa situazione in modo cosciente e quindi di liberarsene.

 

Questi sono i caratteri essenziali del Teatro dell'Assurdo di Ionesco e Beckett, ma sono anche, per molti versi, i tratti fondamentali del teatro di Bernhard, rispecchiano perfettamente la condizione esistenziale dei suoi personaggi, anch'essi in attesa perenne tra la vita e la morte, nella quale vedono l'unica possibile via di scampo quando si rivela loro l'illusorietà di una vita ridotta a puro meccanismo di distrazione.

 

2) Il Teatro di Samuel Beckett:

Dopo questa introduzione generale sulla tradizione dell'assurdo vorrei approfondire l'analisi del teatro di Beckett, prima di avviare un confronto tra il suo teatro e quello di Thomas Bernhard, che presentano come si può già chiaramente capire numerosi elementi in comune.

 

Le prime opere significative realizzate da Beckett, nato a Dublino nel 1906, che fu notevolmente influenzato dall'amicizia con Joyce, Murphy, pubblicato nel 1938, e la commedia Eleutheria rimasta inedita, trattano degli sforzi di un giovane di crearsi una vita propria, indipendente, e di liberarsi degli obblighi sociali e familiari, riflettendo lo stato d'animo di Beckett nella sua ricerca della libertà e del diritto di vivere la propria esistenza.

 

 Si tratta degli anni di vagabondaggio di Beckett, anni in cui viaggia, si dedica a interessi diversi, fa lavori saltuari per approdare infine a Parigi, dove si stabilisce definitivamente nel '37.

 

Il suo vero debutto avverrà solo dopo la guerra con il suo rientro in questa città da cui era fuggito durante l'occupazione nazista, per trovare rifugio prima in Irlanda, sua terra di origine, poi entrando a far parte di un gruppo della resistenza, e trovandosi quindi perennemente in fuga.

 

Nei cinque anni che seguono il suo ritorno a casa scrive, sotto un'efficace impulso creativo, Aspettando Godot e Finale di Partita, seguiti dai romanzi Murphy, Watt, Molloy, Malone muore, L'Innominabile, Mercier e Camier ed anche novelle e frammenti in prosa pubblicati con il titolo Nouvelles et Textes pour Rien, tutte opere scritte in francese. Ciò che lo ha spinto a scegliere questa lingua per scrivere i suoi capolavori è stato il bisogno della disciplina che un linguaggio acquisito gli imponeva.

 

Infatti mentre nella propria lingua uno scrittore può indulgere in virtuosismi, l'uso di un'altra lingua lo costringe ad utilizzare il talento che avrebbe sprecato in inutili abbellimenti di stile nella ricerca di chiarezza ed economia d'espressione.

 

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La commedia Aspettando Godot, apparsa in volume nel 1952 e rappresentata per la prima volta il 5 gennaio 1953 al Théatre de Babylone a Parigi, costituisce il vero trionfo teatrale di Beckett, tanto che è stata poi tradotta in più di venti lingue, e vista nei cinque anni successivi al debutto da oltre un milione di spettatori. Già da questa prima opera emergono le caratteristiche essenziali del suo teatro: innanzitutto manca una trama vera e propria, più ancora delle altre commedie appartenenti al Teatro dell'Assurdo; anziché uno sviluppo lineare esse riflettono l'intuizione della condizione umana da parte dell'autore attraverso un metodo che può essere definito polifonico, cioè pongono il pubblico di fronte ad una struttura coordinata di situazioni e di immagini che si compenetrano a vicenda e che devono essere apprese nella loro totalità. "Aspettando Godot non racconta una storia, esamina una situazione statica".Come aveva affermato lo stesso autore non succede assolutamente nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va. In una strada di campagna, ai piedi di un albero, due vagabondi, Vladimiro ed Estragone, aspettano. Questa è la situazione all'inizio del primo atto. Alla fine dell'atto essi apprendono che Godot, con il quale credono di avere un appuntamento, non può venire, ma verrà certo l'indomani. Nel secondo atto accade esattamente la stessa cosa, lo stesso ragazzo di prima arriva e porta loro lo stesso identico messaggio, che Godot arriverà l'indomani. La successione degli avvenimenti ed il dialogo di ciascun atto sono differenti. Ogni volta in circostanze diverse i due vagabondi incontrano un'altra coppia di personaggi, Pozzo e Lucky, padrone e servo; in ciascun atto Vladimiro ed Estragone tentano il suicidio e falliscono per ragioni diverse; ma queste piccole variazioni servono solo ad accentuare l'uniformità essenziale della situazione.

Vladimiro ed Estragone derivano chiaramente dalle coppie di comici del varietà e in ossequio a questa tradizione vi è un accentuato elemento di comicità puramente mimica: Estragone perde i pantaloni, segue una gag a proposito di tre cappelli che sono messi, tolti e passati di mano in mano in una sequenza molto confusa ed una abbondanza di cadute all'indietro. I due protagonisti hanno personalità complementari, Vladimiro è il più pratico tra i due, Estragone afferma di essere stato un poeta; Estragone è volubile, Vladimiro è costante; Estragone sogna, Vladimiro non può sentire parlare di sogni; Vladimiro ricorda avvenimenti passati, Estragone ha la tendenza a dimenticarli rapidamente. E' soprattutto Vladimiro ad esprimere la speranza che verrà Godot e che la sua venuta cambierà la situazione, mentre Estragone rimane scettico fino alla fine ed a volte dimentica anche il nome di Godot. Lo stesso rapporto di complementarietà vale per l'altra coppia di personaggi, Pozzo e Lucky, la cui amicizia però è ad un livello più primitivo: Pozzo è il maestro sadico, Lucky il servo sottomesso; nel primo atto Pozzo è ricco e potente, sicuro di sé, rappresenta l'uomo di mondo in tutto il suo facile ottimismo, mentre Lucky agisce e pensa per lui. In realtà Lucky ha insegnato a Pozzo tutti gli alti valori della vita, ed i due arrivano a rappresentare il rapporto tra anima e corpo, i lati materiali e spirituali dell'uomo.

Per quanto riguarda il titolo della pièce si è supposto che Godot sia una forma attenuata della parola God, un diminutivo formato sulla analogia Pierre-Pierrot, Charles-Charlot, come l'ometto chapliniano, chiamato in Francia Charlot, i quattro personaggi della commedia portano la bombetta come segno distintivo. Si è egualmente osservato che il titolo Aspettando Godot contiene un'allusione a L'Attente de Dieu di Simone Weil, e ciò fornisce un'ulteriore indicazione che Godot sta a significare Dio. Allusione ancora più enigmatica è quella che invece riporta il titolo ad una commedia di Balzac, in cui compare un personaggio di cui si parla molto ma che non si vede mai, chiamato Godeau. La commedia in questione si intitola Le Faiseur, meglio conosciuta come Mercadet.

Vero soggetto della commedia non è comunque Godot bensì l'attesa: l'atto di attendere come essenziale e caratteristico della condizione umana. Per tutta la vita noi aspettiamo continuamente qualcosa e Godot rappresenta l'oggetto di questa attesa, un avvenimento, una persona, la morte. In questo atto di attesa è contenuto lo scorrere del tempo nella sua forma più pura ed evidente. Se siamo passivi, non trascorriamo il tempo ma siamo posti di fronte alla sua azione, e quindi di fronte al problema fondamentale dell'essere, il problema della natura della propria identità che, soggetta a costanti cambiamenti, è in un flusso perenne e di conseguenza fuori della nostra comprensione. Se Godot è l'oggetto del desiderio di Vladimiro ed Estragone è naturale che egli appaia sempre al di fuori delle loro possibilità, significativo è in proposito che il ragazzo che funge da messaggero non riesca a distinguere la coppia da un giorno all'altro, le persone che incontriamo oggi non sono mai le stesse di ieri, il tempo cambia gli individui sottoposti costantemente alla sua azione.

"Aspettare è sperimentare l'azione del tempo che è costante cambiamento. Così, poiché non accade mai niente di reale, questo cambiamento è di per se stesso una illusione. L'incessante attività del tempo non fa che distruggere se stessa, è senza senso e, pertanto, vuota ed inutile. Più le cose cambiano, più restano le stesse. E' la terribile stabilità del mondo". Ogni giorno è uguale ad un altro, e quando moriamo potremmo non essere mai esistiti. "Le lacrime del mondo sono immutabili. Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chi sa dove, smette".Pozzo esclama: "Ma la volete finire con le vostre storie di tempo? [...] Un giorno, non vi basta, un giorno come tutti gli altri, è diventato muto, un giorno io sono diventato cieco, un giorno diventeremo sordi, un giorno siamo nati, un giorno moriremo, lo stesso giorno, lo stesso istante, [...] Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte".

Vladimiro ed Estragone vivono nella speranza: aspettano Godot, la cui venuta fermerà lo scorrere del tempo: "Stanotte dormiremo forse a casa sua. Al caldo, all'asciutto, sulla paglia, con la pancia piena. Val la pena di aspettare non ti sembra?"Questo passo, omesso nella versione inglese, suggerisce chiaramente la pace, la fine dell'attesa, la sensazione di essere giunti alla meta, ciò che appunto Godot rappresenta per i due vagabondi. Essi sperano infatti di essere salvati dalla instabilità e dalla illusione del tempo, di trovare la pace al di fuori di esso, solo allora saranno arrivati a casa. In realtà domina su tutta la commedia un forte senso di incertezza, i due vagabondi aspettano Godot, sebbene il loro appuntamento non sia affatto certo, Estragone non lo ricorda, Vladimiro non sa più cosa gli abbiano chiesto esattamente: "Niente di preciso [...] una specie di preghiera [...] una vaga supplica". E Godot ha promesso loro "che si sarebbe visto [...] Che doveva pensarci sù".

Quando si interroga sul tema di Aspettando Godot Beckett cita un passo di Sant'Agostino: "C'è una meravigliosa frase di Sant'Agostino. Vorrei potermela ricordare in latino.[...] Non disperare mai: uno dei ladroni fu salvato. Non presumere niente: uno dei ladroni fu dannato. [...] Io mi interesso della costruzione delle idee, anche se non credo in esse [...] questa frase ha una costruzione perfetta. E' la costruzione che mi interessa".Il tema dei due ladroni sulla croce, dell'incerta speranza di salvezza e del dono fortuito della grazia, pervade tutta la commedia. Vladimiro lo afferma all'inizio con precisione: "Uno dei ladroni fu salvato [...] è una percentuale ragionevole. [...] Due ladri. Si dice che uno fu salvato e l'altro [...] dannato. [...] E come si spiega che dei quattro Evangelisti, uno solo racconti il fatto in questo modo; eppure erano là tutti e quattro - o almeno da quelle parti. E solo uno dice che un ladrone si è salvato.[...] Quanto agli altri tre, due non parlano affatto e il terzo dice che l'hanno insolentito tutti e due".

Ciò che affascina Beckett è l'idea che di tutti i malfattori, di tutti i milioni di criminali che sono stati giustiziati nel corso della storia, solo due hanno avuto l'opportunità di ricevere l'assoluzione in punto di morte. I ruoli possono essere facilmente rovesciati, tutto dipende dal caso come afferma anche Pozzo parlando di Lucky: "Da notarsi poi che potrei benissimo trovarmi al suo posto e lui al mio. Se il caso non avesse deciso altrimenti. A ciascuno il suo".Così le scarpe possono andare bene un giorno e l'altro no. Gli stivali tormentano Estragone nel primo atto, nel secondo miracolosamente non gli fanno più male. Godot è imprevedibile nel concedere premi o castighi. Il ragazzo che gli fa da messaggero bada alle capre e Godot lo tratta bene, picchia invece suo fratello che bada alle pecore, senza un motivo preciso. La grazia del Signore discende su uno piuttosto che sull'altro, senza una spiegazione logica. Tuttavia se Godot concede casualmente la grazia, la sua venuta non sarà solo causa di gioia ma potrà significare anche dannazione. Infatti quando Estragone nel secondo atto crede che Godot stia per arrivare, il suo primo pensiero è: "Sono maledetto". Mentre Vladimiro esclama trionfante: "C'è Godot finalmente! Andiamogli incontro". Estragone fugge gridando: "Sono dannato".

Aspettando Godot sembra basato sulla speranza della salvezza per intercessione della grazia, come viene dichiarato apertamente dalla testimonianza di Beckett e dallo stesso testo. Le varie interpretazioni che sono state date riguardo allo spirito cristiano della commedia non sembrano essere del tutto esaurienti. Esse trascurano molte caratteristiche essenziali della commedia: la costante incertezza dell'appuntamento con Godot, l'inattendibilità e l'irrazionalità di Godot stesso e la reiterata dimostrazione di inutilità della speranza in lui riposta. Sembra che il suicidio rappresenti l'unica soluzione possibile a questa situazione di incertezza, ma inattuabile a causa dell'incapacità personale e della mancanza di mezzi per compierlo.Questa attesa incerta che dovrebbe costituire una svolta nel destino dell'individuo e consentirgli di risollevarsi dalla sua tragica condizione ricorda a mio parere un personaggio di Bernhard, Minetti, protagonista della pièce omonima, che si reca in un albergo sulla costa olandese l'ultima notte dell'anno per incontrare un amico direttore di teatro, nella speranza che gli faccia recitare per l'ultima volta la sua parte di re Lear, che durante gli anni di esilio a Dinkelsbühl ha continuato a provare e riprovare per rimanere in esercizio. L'attesa di Minetti è vana, e lui stesso in fondo non è certo dell'arrivo di questo personaggio, infatti ha perso il telegramma con il quale l'appuntamento era confermato. Alla fine Minetti si uccide, indossando la maschera di Ensor, per concludere la propria carriera con un'ultima 'rappresentazione' del Lear, riuscendo là dove Vladimiro ed Estragone continuano a fallire.

E' proprio per la delusione del fallimento del loro tentativo di suicidio che i due vagabondi si chiudono nell'attesa. Vladimiro parla di una sorta di contentezza in questa attesa: "Siamo venuti all'appuntamento[...] non siamo dei santi, ma siamo venuti all'appuntamento. Quanti uomini potrebbero dire lo stesso?" Estragone lo punge replicando: "Delle masse". Vladimiro è pronto ad ammettere che aspettano per una abitudine irrazionale: "Una cosa è certa però: il tempo è lungo [...] e ci spinge a popolarlo di movimenti [...] che possono a prima vista, sembrare ragionevoli, ma ai quali non siamo abituati".La completa devozione all'abitudine paralizza l'attenzione, rende impossibile una percezione oggettiva e tutti i passatempi a cui si dedicano Vladimiro ed Estragone sono destinati ad impedire loro di pensare.I due parlano incessantemente, proprio con lo scopo di distrarsi: Vladimiro: "E' vero siamo inesauribili"/ Estragone: "Lo facciamo per non pensare"/ Vladimiro: "Abbiamo delle attenuanti"/ Estragone: "Lo facciamo per non sentire"/ Vladimiro: "Abbiamo le nostre ragioni"/ Estragone: "Tutte le voci morte".

Questa commedia permette un gran numero di interpretazioni filosofiche, religiose, psicologiche, ma ciò che veramente conta è che si tratta di una poesia sul tempo, la trascendenza ed il mistero dell'esistenza, sul paradosso della stabilità e del cambiamento, sulla necessità e sull'assurdo. Questa commedia come la successiva Finale di partita, e in generale tutta la produzione di Beckett, secondo Esslin "mirrors some of the fundamental preoccupations of contemporary philosophy. [...] His writing might be described as a literary exposition of Sartre's Existentialism. Existential philosophy starts from rejection of the validity and reality of general concepts. [...] General truhts, ethical systems, thus become mere illusions. Each individual has to work out his salvation by himself, for, encapsuled in his own particularity, he is utterly alone. For him, and for him alone, the good, the true, and the beautiful derive entirely from his own experience".Dopo Aspettando Godot Beckett pubblica il romanzo Come è (1951) con cui raggiunge un nuovo significativo risultato: rappresenta un mitico universo popolato di creature solitarie che si trascinano con il ventre nel fango e che si imbattono occasionalmente in loro simili con i quali scambiano brevi e grotteschi tentativi di comunicazione. Questo romanzo è seguito da Molloy (1957), Malone muore (1958) e l'Innominabile (1959), che scritti in forma di monologo, trattano gli stessi temi delle commedie.

Se Aspettando Godot mostra i due protagonisti trascorrere il tempo impegnati in giochi occasionali ed interminabili, nell'attesa di Godot, la seconda commedia tratta di un ‘ finale di partita ’, del gioco conclusivo nell'ora della morte, quando il tempo dell'attesa è ormai terminato. Questa pièce come vedremo in seguito è particolarmente significativa per un confronto tra Beckett e Bernhard, per la staticità, l'assenza di qualsiasi forma di azione, la chiusura in uno spazio claustrofobico e la presenza costante di deformazione, malattia e morte. E' un dramma in un solo atto che mostra l'indebolirsi di un meccanismo fino al suo arresto totale, raggruppando ancora una volta i personaggi in coppie simmetriche. In una stanza spoglia con due piccole finestre Hamm, vecchio e cieco, siede su di una sedia a rotelle (come la maggior parte dei personaggi di Bernhard, dalla Buona, Boris e gli invalidi invitati alla festa, fino ad Herreinstein in Elisabeth II). Il suo servitore, Clov, al contrario del padrone che non può alzarsi, non riesce a stare seduto. I genitori di Hamm, Nagg e Nell, sono senza gambe e stanno in due bidoni della spazzatura, come nelle loro urne funerarie. Il mondo esterno è morto, tutti gli esseri viventi sono stati spazzati via da una qualche catastrofe, di cui i protagonisti della pièce, chiusi nel loro totale isolamento alienante, sembrano essere gli unici sopravvissuti.

Il rapporto tra servo e padrone è fondato sull'odio. Clov odia Hamm e vuole lasciarlo, ma deve obbedire ai suoi ordini: "Fai questo, fai quello, e io lo faccio. Non mi rifiuto mai. Perché?". Clov non ha la forza di lasciare il suo tiranno, è questo il motivo della tensione drammatica della commedia. Se lo lascia Hamm deve morire, poiché Clov è il solo sopravvissuto che possa nutrirlo. Ma anche Clov morirà, in quanto non esiste nessun altro al mondo e le provviste di cibo di Hamm sono le ultime rimaste. Lasciando Hamm, Clov riuscirà là dove Vladimiro ed Estragone hanno fallito, cioè si suiciderà. Clov è tormentato da questo dilemma, mentre Hamm è ossessionato dal senso di colpa: avrebbe potuto salvare un gran numero di persone che gli avevano chiesto aiuto, e non lo ha fatto. Ora le stesse provviste che Hamm ha tenuto egoisticamente per sé stanno esaurendosi, il mondo stesso, o meglio ciò che ne è rimasto, sta esaurendosi: "Qualcosa sta seguendo il suo corso".

Se da un lato Hamm è infantile, trasandato, dall'altro Clov è ragionevole e maniaco dell'ordine. Hamm vede attraverso gli occhi di Clov, è Clov che con il cannocchiale guarda attraverso le finestrelle il mondo esterno, da un lato la campagna, dall'altro il mare. I genitori di Hamm sono imbecilli grottescamente sentimentali. Hanno perduto le gambe in un incidente mentre attraversavano le Ardenne sulla bicicletta a tandem, sulla strada per Sedan. Hamm li odia, ed è a sua volta odiato, tanto che Nell incoraggia segretamente Clov ad andarsene, pur sapendo che così sarà anche la loro fine. Le parole di Nagg rivelano un egoismo spietato nei confronti del figlio: "Chi invocavi di notte quando eri piccolo e avevi paura? Tua madre? No. Me. [...] Ti lasciavamo piangere. Poi ti abbiamo allontanato, per poter dormire [...] Spero che verrà un giorno in cui avrai veramente bisogno che io ti ascolti [...] Sì, spero di vivere fino a quel punto, per sentirmi invocare da te come quando eri piccolo, e avevi paura, la notte ed io ero la tua sola speranza".

Infine Hamm si rassegna al proprio destino di solitudine ed accetta l'inevitabile: "E' finita Clov, non ho più bisogno di te".Forse non crede che Clov possa realmente abbandonarlo. Ma Clov è ormai deciso ad andare via, e mentre Hamm, ormai cieco, si abbandona ad un ultimo monologo di ricordi e di compianto su se stesso, Clov appare pronto per partire: cappello di panama, giacca di tweed, l'impermeabile sul braccio, resta ad ascoltare imperturbabile. Quando cala il sipario è ancora lì. Non si sa quindi se andrà realmente via. Quest'opera può essere interpretata come un monodramma da un lato e come una rappresentazione allegorica sulla morte del ricco dall'altra.

Spesso si è colpiti dalla realtà psicologica dei personaggi di Beckett, Pozzo e Lucky sono stati interpretati come il corpo e l'anima, Vladimiro ed Estragone come personalità complementari tanto da sembrare le due metà di una sola persona: la coscienza e l'inconscio. Ciascuna di queste tre coppie è legata da un rapporto di interdipendenza. Vogliono lasciarsi, si combattono reciprocamente, ma continuano a dipendere l'uno dall'altro. In fondo questi padroni tirannici non sono molto diversi da personaggi come la Buona, il riformatore del mondo o il vecchio industriale Herrenstein, che umiliano continuamente i loro servitori, per poi dipendere completamente da loro e temere di essere abbandonati. Questa commedia è una sorta di sonda che esplora la profondità dell'essere, mettendo a nudo quelle situazioni ricorrenti tra le persone, tra coppie sposate ad esempio, e le approfondisce fino a renderle universali, d'altra parte l'inferno privato della vita coniugale ci è già noto dall'opera di Bernhard, e non solo dal teatro, basti pensare all'incubo della convivenza tra Konrad e sua moglie nella fornace (Das Kalkwerk).

Secondo Lionel Abel Beckett ha voluto ritrarre nel rapporto tra Hamm e Clov ed in quello tra Pozzo e Lucky il suo rapporto con il maestro James Joyce, che despota e quasi cieco sottopone alla propria potente influenza il suo devoto discepolo. Le analogie a prima vista appaiono sorprendenti: Hamm ci è mostrato alle prese con una storia interminabile, Lucky a recitare frammenti di pensieri, i quali, costituirebbero secondo Abel una parodia dello stile di Joyce. Ma se si analizza questa tesi in modo più approfondito diventa insostenibile, perché anziché illuminare l'intero contenuto della commedia, la riduce ad un livello insignificante. Se Finale di partita non fosse altro che un resoconto appena mascherato delle relazioni letterarie e umane tra due individui, non avrebbe suscitato un effetto così immediato e profondo su di un pubblico all'oscuro di queste particolari circostanze. Questa reazione è dovuta essenzialmente al fatto che il pubblico avverte che si tratta di un conflitto di carattere ben più universale.D'altra parte Pozzo che dovrebbe rappresentare Joyce non ha niente di artistico fin dalla sua prima apparizione, e solo dopo essere diventato cieco è capace di malinconiche riflessioni.

Ciò che caratterizza il romanzo che Hamm scrive è la ricerca dell'esattezza scientifica, quindi non si tratta di un'opera d'arte, bensì di un mezzo appena dissimulato per giustificare il senso di colpa di Hamm riguardo al proprio comportamento egoistico all'epoca della catastrofe. Clov inoltre dimostra il più totale disinteresse per l'opera del suo padrone e questi è costretto a corrompere il suo vecchio padre per farsi ascoltare, situazione certo poco rappresentativa dei rapporti tra Joyce e Beckett. "L'esperienza nelle commedie di Beckett è di una natura assai più profonda di una semplice autobiografia. Esse rivelano la provvisorietà e la fugacità del tempo; il senso della tragica difficoltà di cogliere se stessi nell'incessante processo di rinnovamento e di distruzione che accompagna il cambiamento; la difficoltà della comunicazione tra gli esseri umani; la ricerca interminabile della realtà in un mondo in cui tutto è incerto e dove la frontiera tra sogno e realtà è sempre più instabile".

In Finale di partita assistiamo ad una chiara manifestazione del senso di indifferenza, di prostrazione e di disperazione, sintomatico negli stati di profonda depressione. Per chi si trova in questo stato il mondo esterno è morto, nella sua mente si apre un conflitto incessante tra le diverse parti della personalità divenute autonome. Il successo di Beckett deriva proprio dalla sua capacità di mettere il pubblico di fronte alle concrete proiezioni delle ansietà e dei più profondi timori, producendo un processo di catarsi e di liberazione analogo all'effetto terapeutico che si ottiene in psicoanalisi dal confronto con i contenuti subconsci della mente. E' un processo di liberazione dall'abitudine alienante che infiacchisce e porta ad accettare passivamente le sofferenze della vita, liberazione che Vladimiro e Estragone sperano di ottenere con l'arrivo di Godot, e che Clov attende se avesse il coraggio di liberarsi dalla schiavitù che lo lega ad Hamm.

La speranza è ancora aperta come sembra suggerire l'episodio del bambino che attira l'attenzione di Clov intento ad osservare il mondo esterno con il suo cannocchiale, per riferire poi a Hamm ciò che ha visto. Nella versione originale in francese questo episodio è trattato più dettagliatamente che nella versione inglese, forse perché Beckett si è accorto di essere stato troppo esplicito. Esslin fa un confronto tra le due versioni. In quella inglese, Clov, dopo aver espresso sorpresa per ciò che ha scoperto dice semplicemente: Clov: (con spavento) Guarda, si direbbe un bambino! / Hamm: (sarcastico) Un... bambino! / Clov: "Vado a vedere (Scende dalla scaletta, getta il cannocchiale, si avvia alla porta, si ferma) Prendo il rampino. (Cerca il rampino, lo vede, lo raccatta, si avvia verso la porta) /Hamm: "No" /(Clov si ferma) / Clov: "No? Un procreatore in potenza?" / Hamm: "Se esiste morirà lì o verrà qui. E se non esiste... / (Pausa).Nella versione originale in francese Hamm mostra maggiore interesse per il bambino ed il suo atteggiamento passa da un'aperta ostilità alla rassegnazione: Clov: "[...] C'è qualcuno lì! C'è qualcuno! / Hamm: "Sai cosa devi fare, vai a sterminarlo (Clov scende dalla scaletta) Qualcuno! (Vibrante) Fa' il tuo dovere! (Clov si precipita alla porta). No, lascia perdere. (Clov si ferma) Che distanza? / Clov: "[...] settanta...quattro metri"/ Hamm. "Si avvicina? Si allontana?" / Clov: "[...] Immobile. / Hamm: "Sesso?" Clov: "E che importanza ha? [...] Sembra un bambino" / Hamm: "Occupazione?" / Clov: "Cosa?" Hamm: (con violenza) Che cosa fa?" / Clov: (stesso tono) "Non lo so che cosa fa! Quel che facevano i bambini. [...] Sembra seduto per terra, appoggiato a qualcosa." / Hamm: "La pietra sacrificale. (Pausa). La tua vista va migliorando. (Pausa). Sta certamente guardando la casa, con gli occhi di Mosé morente." /Clov: "No." / Hamm: "Che sta guardando?" / Clov: (con violenza) Non lo so quel che sta guardando! [...] Si guarda l'ombelico. Insomma, da quelle parti. (Pausa) Perché mi fai tutto questo interrogatorio?" / Hamm: "Forse è morto".

Questa versione più lunga rivela il simbolismo religioso o quasi religioso del bambino; le allusioni a Mosé ed alla pietra sacrificale sembrano sottointendere che il primo essere umano, il primo segno di vita scoperto nel mondo dopo la grande calamità che ha distrutto la terra, è un bambino che si appoggia alla pietra sacrificale, come Cristo rinato ad una nuova vita un'istante dopo la resurrezione. Come Budda contempla il suo ombelico. La sua apparizione convince Hamm che è ora di andarsene, che siamo ormai alla fine della partita.Questa scoperta rappresenta l'evento più significativo dell'intera commedia, rappresenta la redenzione dalla illusione e dalla fuga del tempo mediante l'identificazione e l'accettazione di una realtà superiore: "Il bambino contempla il proprio ombelico: egli fissa la sua attenzione nel gran vuoto del 'nirvana', che è il 'nulla' ".

Un analogo momento rivelatore si ritrova in Murphy, quando dopo aver giocato una partita a scacchi, egli prova una strana sensazione: "[...] e Murphy si mise a vedere il Nulla, questo splendore incolore di cui si gode tanto raramente una volta usciti dalla madre e che consiste [...] non tanto nell'assenza del percepire quanto del 'percepi'. Gli altri sensi, piacere inatteso, giacevano in pace. Non la pace agghiacciata dalla loro stessa incertezza, ma la pace positiva che sopravviene quando i 'qualcosa' soccombono, o forse se ne ritornano semplicemente al nulla, quel nulla di cui, come diceva il buffone di Abdera, non c'è nulla di più reale. Il tempo si fermò, sarebbe stato chiedere troppo, ma la ruota delle ronde e delle pause smise di girare, mentre Murphy [...] pompava avidamente da tutte le posterle della sua anima inaridita, la Cosa senza accidenti, comunemente detta nulla".

Non è possibile formulare una ipotesi conclusiva riguardo a questa questione lasciata in sospeso, è possibile che Hamm cieco ed egoista muoia, quando Clov, la sua parte razionale, scopre la realtà illusoria del mondo materiale e che la redenzione e la resurrezione esistono solo nel nulla; oppure la scoperta del bambino non è altro che un simbolo della morte che sopraggiunge; oppure la riapparizione della vita all'esterno indica che il periodo di perdita di contatto con il mondo è terminato e la personalità disintegrata è sulla via della guarigione. Tutte queste ipotesi sono ugualmente valide per cui decidere in favore di una limiterebbe lo stimolo della ricerca di altre possibili interpretazioni.

Significativa però è la ripresa della relazione tra bisogni materiali e senso di inquietudine ed inutilità in un'opera successiva, la breve commedia mimica, Atto senza parole, rappresentata la prima volta con Finale di partita. Qui ritroviamo un uomo spinto sulla scena della vita che, dapprima obbedisce alla chiamata di una quantità di impulsi, persegue mete illusorie guidato dai fischi che provengono dalle quinte e trova pace solo quando ha imparato la lezione e rifiuta ogni soddisfazione materiale. I fischi che risuonano dalle quinte sembrano quelli con cui Hamm chiamava Clov quando doveva impartirgli degli ordini; l'immobilità finale dell'uomo ricorda invece la posizione del bambino nella versione originale di Finale di partita. Ritornano sempre gli stessi temi, dall'attivismo di Pozzo e Lucky, colui che guida e colui che è guidato, all'attesa di Vladimiro ed Estragone, all'atteggiamento difensivo di Hamm, che si è costruito un rifugio solo per sé; sono tutti aspetti della identica ed inutile preoccupazione del perseguimento di fini illusori. Ogni movimento è disordine, come dice Clov: "Io amo l'ordine. E' il mio sogno. Un mondo in cui tutto sia silenzioso e immobile. E ogni cosa al suo posto estremo, sotto la polvere estrema".

Aspettando Godot e Finale di partita esprimono entrambe la tragica condizione umana. Mancano personaggi e trama, almeno in senso tradizionale, infatti perché esistano dei personaggi bisogna supporre che le differenze individuali siano concrete e rilevanti; perché esista una trama bisogna supporre che gli avvenimenti che si svolgono siano significativi.Nelle commedie di Beckett questo non è possibile. Tutti quelli che abbiamo visto fino ad ora non sono personaggi veri e propri ma incarnazioni delle fondamentali attitudini umane; gli avvenimenti che si svolgono in esse non hanno un preciso inizio ed una fine, ma sono situazioni che si ripetono sempre identiche. Quest'ultimo aspetto è fondamentale se vogliamo fare un paragone tra le opere di Beckett e quelle di Bernhard. Anche nelle pièces di Bernhard non accade assolutamente nulla, i personaggi sono immobili, prigionieri di una situazione senza scampo, la quale tende però a risolversi con il sopraggiungere della catastrofe finale. Questa catastrofe in Beckett non è esplicita, il finale resta sospeso, ma anche per i suoi personaggi non sembra esserci altra via d'uscita che la morte. Beckett cerca di analizzare, soprattutto in queste due commedie, le profondità nelle quali svaniscono le individualità ed i precisi avvenimenti, mentre emergono le sole situazioni fondamentali.

Questa indagine è meno profonda nelle commedie scritte per la radio ed il teatro inglese: L'ultimo nastro di Krapp tratta dello scorrere del tempo e della instabilità dell'essere; Tutti quelli che cadono e Ceneri dell'attesa, del senso di colpa e dell'inutilità di riporre la speranza in qualcosa o qualcuno. Krapp è un vecchio che ha registrato annualmente sul magnetofono le impressioni e gli avvenimenti più salienti della sua vita matura. Quando compare sulla scena è ormai vecchio e decrepito e riascolta la sua voce registrata trent'anni prima, divenuta per lui quella di un estraneo, tanto da dover ricorrere al dizionario per comprendere le parole più elaborate che usava in precedenza. Dopo aver riascoltato vari episodi, Krapp che ha ormai sessantanove anni registra sul nastro il bilancio dell'anno in corso: "Niente da dire, non una sillaba".

Mediante questo espediente della cronaca registrata di vicende autobiografiche avvenute durante l'anno Beckett è riuscito a rendere il problema del continuo cambiamento della propria identità: l'io di oggi è confrontato con quello di un tempo e quello che se ne ricava è un sentimento di assoluta estraneità. La commedia radiofonica Ceneri riprende lo stesso tema: anche qui il protagonista è un vecchio, che rimugina sul suo passato. Nel sottofondo si sente il rumore delle onde, mentre Henry rammenta la propria giovinezza. Questo personaggio riprende i protagonisti dei romanzi di Beckett per il gusto degli aneddoti e per l'inarrestabile bisogno di parlare.

Questa necessità di comunicare, di raccontare sempre la stessa storia, che è poi la trama che passa attraverso i tre romanzi della grande trilogia di Beckett costituisce anche il tema della commedia radiofonica Cascando. Ci sono due voci, l'Apritore e la Voce che il primo apre e chiude. Sentiamo "la Voce" raccontare, bassa ed ansimante, della ricerca di un individuo imprendibile chiamato, nella versione inglese Woburn; ci viene suggerito che una volta raggiunto questo Woburn la sofferenza cesserà. Ma la commedia termina in maniera inconcludente, come Finale di partita o Aspettando Godot essa ci lascia incerti se la conclusione finale, il conseguimento della salvezza e la cessazione della sofferenza siano stati effettivamente raggiunti o siano ancora da ricercarsi. La voce rappresenta la coscienza verbale, costretta per sempre a riempire il vuoto con le parole, a raccontarsi storie, ed il suo ronzio è accompagnato dal sorgere della coscienza non verbale, in un crescendo di emozioni espresse in musica.

La condizione umana viene descritta da Beckett anche in Giorni felici, attraverso il personaggio di Winnie, una donna vivace e grassottella che affonda progressivamente in un mucchio di terra. Nel primo atto è interrata fino alla vita, ma ha ancora le braccia libere, nel secondo è ormai sommersa fino al collo. Willie, il marito è libero di muoversi, ma è talmente assorto nella lettura del giornale che non si accorge di lei. La preoccupazione di Winnie per i suoi pochi beni, il suo buon umore ed il suo ottimismo, suscitano l'ironia della commedia. Da un lato questa allegria, in una situazione così infelice, appare tragica, dall'altro divertente; da un lato il suo buonumore è pura follia e viene utilizzato dall'autore per un commento pessimistico sulla condizione umana; dall'altro l'ottimismo di Winnie di fronte alla morte ed al nulla è nobile e per questo la commedia produce una sorta di effetto catartico. La felicità deriva dall'incapacità di provare sgomento.

Il dramma breve Va e viene mostra un altro aspetto della condizione umana, la riluttanza ad affrontare la nostra situazione ed il desiderio di sparlare del prossimo. Vi compaiono tre personaggi femminili: Flo, Vi, Ru. Quando una esce, le altre si informano reciprocamente di una qualche disgrazia che sta per accadere all'assente. Esauriti tutti i cambiamenti possibili in questa situazione le tre protagoniste tornano a riunirsi di fronte al pubblico. La stessa concisione caratterizza la prima commedia televisiva di Beckett: Di' Joe. Ancora una volta il protagonista è un uomo anziano, solo nella sua stanza che non parla mai ma ascolta la voce di una donna che lo rimprovera del poco amore che l'ha condotta al suicidio. Il tema è quello del rimpianto per l'amore non dato e per quello rifiutato in passato, tema del quale Beckett si è inizialmente molto occupato. Quella che il protagonista ascolta è in realtà la sua stessa voce, che gli ronza continuamente nella testa, è il ronzio della coscienza che lo obbliga a raccontarsi la propria storia. Per il fatto di essere vivo egli è cosciente di se stesso, ed essere coscienti significa ascoltarsi nei propri pensieri, in quegli implacabili flussi di parole. I sentimenti di Beckett nei confronti del linguaggio sono ambivalenti: come essere umano che soffre per quello che considera una costrizione, Beckett rifiuta il linguaggio; come poeta costretto ad usarlo, lo ama. A volte esso gli appare come uno strumento divino, altre come un vuoto mormorio senza senso.

Nelle commedie radiofoniche il suono articolato del linguaggio è paragonato ai suoni inarticolati della natura, in un mondo che ha perduto il suo significato, il linguaggio stesso diviene un brusio senza senso. Come Molloy dice ad un certo punto: "[...] le parole che sentivo, le sentivo benissimo, avendo l'orecchio abbastanza fine, le sentivo la prima volta, e pure la seconda anzi, e spesso perfino la terza, come dei suoni puri, liberi da ogni significato [...] E le parole che io stesso pronunciavo e che dovevano accompagnarsi quasi sempre ad uno sforzo dell'intelligenza, spesso mi facevano l'effetto di un ronzio di insetto. E questo spiega perché ero poco chiacchierone cioè, quella fatica che facevo a capire non solo quanto mi dicevano gli altri, ma anche quanto dicevo io a loro. [...] E anche ai rumori della natura, e alle opere degli uomini, reagivo a modo mio, credo, senza pensare affatto di trarne delle lezioni".Quando sentiamo parlare i personaggi di Beckett ci sentiamo spesso come Celia quando parla a Murphy: "inzaccherata di parole che appena pronunciate cadevano in polvere - ogni parola annullata dalla parola che seguiva, prima di poter ricevere un senso. Era come una musica difficile ascoltata per la prima volta".

Il dialogo nelle commedie di Beckett è spesso costruito sul principio che ogni affermazione annulla la precedente. Se queste commedie ricercano un significato in un mondo soggetto ad incessanti cambiamenti, l'uso che egli fa del linguaggio esamina i limiti che esso ha, inteso come mezzo di comunicazione, veicolo per l'espressione di valide affermazioni e strumento di pensiero. Beckett ha cercato di trovare strumenti di espressione al di là del linguaggio, come attestano le sue commedie mimiche, in cui dimostra la possibilità di esprimersi senza ricorrere alle parole, o quantomeno di rilevare la realtà che si nasconde dietro le parole, come quando gli atti dei personaggi contraddicono l'espressione verbale: "andiamocene" dicono i due vagabondi alla fine di ogni atto in Aspettando Godot, ma la didascalia ci indica che non si muovono affatto (come avviene nel teatro di Bernhard, in cui le parole vengono contraddette dai gesti: l'impazienza del protagonista di Einfach kompliziert, che dichiara di voler restare solo, di non voler avere nessuno in casa, viene tradita dal suo continuo andare e venire dalla porta alla finestra finché non arriva la tanto attesa Katharina). In scena il linguaggio fa da contrappunto all'azione, i fatti nascosti dalle parole possono però essere rilevati, di qui nasce l'importanza del mimo e del silenzio della farsa nelle commedie di Beckett (Krapp che mangia banane, le cadute all'indietro di Vladimiro ed Estragone, il numero di varietà fatto con il cappello di Lucky, l'immobilità di Clov nell'ultima scena di Finale di partita, che mette in dubbio il desiderio di andarsene).

"L'uso che Beckett fa del palcoscenico è un tentativo di colmare la distanza esistente tra i limiti del linguaggio e l'intuizione della vita, il senso della condizione umana che egli cerca di esprimere contro il suo fermo convincimento che le parole siano inadeguate ad esprimerlo. La natura concreta e tridimensionale del palcoscenico può essere utilizzata per aggiungere nuove risorse al linguaggio inteso come strumento di pensiero e di esplorazione dell'essere".Il linguaggio nelle commedie di Beckett serve ad esprimere il fallimento, la disintegrazione del linguaggio. Dove non esiste certezza non possono esservi significati sicuri - e l'attesa delusa è uno dei temi principali delle sue commedie.

Niklaus Gessner ha elencato dieci modi diversi di disintegrazione del linguaggio visibile in Aspettando Godot: essi vanno dal semplice malinteso e doppio senso, ai monologhi (come segni di impossibilità di comunicare), clichés, ripetizioni di sinonimi, incapaci di trovare le parole giuste e allo ' stile telegrafico ' (mancanza di una struttura grammaticale, comunicazione per ordini urlati), fino al miscuglio di caotico nonsenso di Lucky e all'abbandono dei segni di interpunzione, tali che il punto interrogativo indica la perdita da parte del linguaggio della sua funzione di strumento di comunicazione e che le domande sono diventate affermazioni che non richiedono necessariamente una risposta.Il dialogo si interrompe ripetutamente perché cessa di essere un vero dialettico scambio di pensiero, sia perché le singole parole perdono il loro significato, sia per l'incapacità dei personaggi di ricordare ciò che è stato appena detto (Estragone: "Sono fatto così. O dimentico subito, o non dimentico mai")Il dialogo si riduce ad un semplice gioco per passare il tempo, come Hamm rileva in Finale di partita: Hamm: "[...] e poi parlare, presto, delle parole, come il bambino solitario che si mette in diversi, in due, in tre, per essere insieme, nella notte [...] un istante dopo l'altro pluff, pluff". E' il tempo stesso a svuotare il linguaggio del suo significato, come dimostra L'ultimo nastro di Krapp, in cui le professioni di fede fatte in gioventù sono diventate suoni vuoti per il vecchio Krapp, mentre in Ceneri le fantasticherie del vecchio sono paragonate all'infrangersi delle onde sulla spiaggia.

3) Beckett e Bernhard a confronto:

Quanto detto finora chiarisce senza dubbio i legami che vi sono tra due scrittori apparentemente così lontani tra loro, uno irlandese che scrive in lingua francese ed uno austriaco che scrive per e soprattutto contro il suo paese; scrittori e drammaturghi entrambi, che appartengono a generazioni diverse (Beckett nasce a Dublino nel 1906, Bernhard a Herleen in Olanda nel 1931) e provengono da ambienti sociali, economici e culturali diversi. L'opera di entrambi è stata definita da Ehrig "absurde Dichtung"sottolineando così il legame dello scrittore austriaco con la tradizione dell'assurdo di cui Beckett è uno dei massimi rappresentanti. Abbiamo visto che cosa si intende per "assurdo", fenomeno che viene analizzato ancora più a fondo da Albert Camus che si pone la domanda cruciale: se la vita ha perduto tutti i suoi significati, perché l'uomo non ricerca scampo nel suicidio? Nel Mito di Sisifo tenta una diagnosi della condizione umana in un mondo privo di fede, e questa diagnosi si addice perfettamente ai personaggi presentati da Bernhard e Beckett nelle loro opere: "Un mondo che possa essere spiegato sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma viceversa, in un universo subitamente spogliato di illusioni e di luci, l'uomo si sente un estraneo, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo divorzio tra l'uomo e la sua vita, fra l'autore e la scena, è propriamente il senso dell'assurdo".

Nella nostra epoca disincantata il mondo ha cessato di avere un significato, l'uomo è sopraffatto da un senso di angoscia per l'assurdità della propria condizione, e chi meglio di Bernhard esprime questo sentimento di angoscia, questa riduzione della vita a pura apparenza, dietro la quale si nasconde l'inevitabilità della morte? Anche per Beckett sono valide, a mio parere, le parole con cui Görtz descrive l'opera di Bernhard: "[Bernhard] beschreibt die Symptome sozialer Krankheit, aber auch ihre Ursachen (Erlebniskatasprophen, Auflösung des Traditionsgutes, und der Kommunikationsformen) mit schokierender wissenschaftlicher Genauigkeit. Seine Psychogramme sind geeignet, ichbezogene Leser in ihrer asozialen, d.h. vereinsamten Haltung zu bestätigen, unbewußte Ängste aber auch freizusetzen, bewußt zu machen, und damit überwindbar".

Ciò che accomuna Beckett e Bernhard è innanzitutto il prevalere del tema della morte e del fallimento, come dimostrano due affermazioni degli stessi autori. Secondo Thomas Bernhard: "es ist nichts zu loben, nichts zu verdammen, nichts anzuklagen, aber es ist vieles lächerlich; es ist alles lächerlich, wenn man an den Tod denkt".Molto simile è un'affermazione di Beckett riportata da Ehrig: "Ich arbeite mit Nichtkönnen, Nichtwissen; Ich glaube nicht, daß die Unfähigkeit in der Vergangenheit ausgebeutet wurde".Come quelli di Bernhard i personaggi di Beckett pensano alla loro morte "weil er schon bei der Geburt seine Hebammenhände im Spiel hat und weil er für sie, die 'Zeit genug' hatten, um alt zu werden, das buchstäblich naheliegende ist".I personaggi di Beckett attendono e la loro attesa viene continuamente delusa, l'abitudine diventa un passatempo per dimenticare che l'unico 'finale di partita' possibile è la morte. Morte e fallimento dunque dominano nella produzione di Beckett, ricorrono in maniera ossessiva proprio come in Bernhard.

Secondo Willi Huntemann le fasi produttive dei due scrittori si corrispondono: al gruppo di testi in prosa di Bernhard fino a Korrektur, dedicati alla figura dell'artista fallito, corrispondono i romanzi di Beckett Murphy e Watt e soprattutto la trilogia (1948/1949), che riprendono il modello narrativo della "Quest".Questa 'ricerca' può essere considerata l'equivalente tematico e strutturale degli sforzi artistici dei personaggi bernhardiani insieme ai protocolli redatti dai loro narratori: anche i protagonisti beckettiani falliscono nei loro tentativi: "Auf jeweils andere Art und Weise schlägt bei jedem der Werke dieser mittleren Schaffenzeit das Scheitern der Protagonisten und - da diese zuletzt mit dem Autor identifiziert werden - des Künstlers in das Gelingen des Werks um".

La "Typologie des Scheiterns" accomuna i due autori: ma questo fallimento presenta in realtà caratteristiche differenti, che si riscontrano nel paradosso della comunicazione.Se lo scopo della ricerca in Murphy e Watt era ancora al di fuori di loro stessi (Murphy cerca nella regressione la liberazione dal suo corpo e viene a sua volta continuamente ricercato dagli altri personaggi; Watt ricerca nel misterioso Mr. Knott la trascendenza del nulla), i personaggi della trilogia sono invece alla ricerca di se stessi. Se in Watt la molteplicità delle prospettive di citazione nidificate l'una nell'altra rappresenta il riflesso della problematica di riconoscimento della realtà, in questo confrontabile con Das Kalkwerk - la forma narrativa della trilogia è quella della prospettiva dell'io monologico. Ad esempio il romanzo Molloy, con lo sdoppiamento della prospettiva delle due voci narranti e la separazione esterna tra narratore e protagonista, tipica di Bernhard, si avvicina notevolmente alla forma del romanzo Korrektur.

Nella prima parte Molloy racconta della vana ricerca della madre, quando è finalmente giunto nella sua stanza, nella seconda parte l'agente Moran racconta della sua ricerca di Molloy, che ha dovuto interrompere per ordine dei suoi superiori. Egli spinto da una voce scrive un resoconto sulla sua ricerca avvicinandosi in questo modo allo stato di decadenza psichica di Molloy e pertanto arrivando ad identificarsi con lui. E' il fallimento della ricerca che spinge Moran a scrivere, così come Roithamer in Korrektur arriva a scrivere un trattato su Altensam dopo il fallimento del suo grande progetto di costruzione, a causa della morte della sorella a cui l'abitazione a forma di cono era destinata. L'avvicinamento delle due figure è reso possibile solo su di un piano psicologico attraverso la realizzazione dello scritto in questione, in quanto essi finiscono per diventare le due parti di una stessa personalità: "Moran und Molloy lassen sich als Sonderfall der schizophrenen Ich-Spaltung sowie der erkenntnistheoretischen Subjekt-Objekt-Dichotomie deuten".

Poiché Molloy cerca sua madre, ciò da cui proviene e Moran allo stesso modo cerca ciò che vuole diventare, la ricerca di entrambi viene smascherata come ricerca di se stessi. Essi devono fallire perché non riconoscono il vero soggetto, ed il fallimento si manifesta nei loro scritti: la fine del resoconto di Moran riporta solo apparentemente al suo inizio, il tempo della narrazione precede quello dell'evento narrato. Questo paradosso nella costruzione dell'intero romanzo di Beckett si ritrova nel romanzo di Bernhard Korrektur al livello intermedio dello scritto di Roithamer e della sua correzione, se si interpreta il suo fallimento secondo le parole dello stesso protagonista che deve riconoscere: "daß immer alles anders ist, als beschreiben, das Tatsächliche anders als das Beschriebene, Altensam und alles, das mit Altensam zusammenhängt, anders".

La realtà e la descrizione non possono mai andare d'accordo, perché in tutto ciò che viene descritto agisce la consapevolezza nella sua infinita potenzialità che riporta tutto a sé ed in questo modo lo rappresenta. Come afferma anche l'amico di Roithamer a proposito del suo scritto "durch die totale Korrektur dieser Schrift, gleichzeitig die Vernichtung seiner Schrift und durch die Vernichtung dieser seiner Schrift gerade zu der einzigen authentischen geworden war".Per gli scritti di Beckett come per quelli di Bernhard vale la considerazione di Breuer secondo cui "das Scheitern auf der Ebene der Protagonisten bzw. der Handlung [...] nun aber paradoxerweise in eben dem Maße zum Triumph des Kunstwerks und der Kunstabsicht [wird], als dieses das Scheitern in sich spiegelt und beglaubigt, d.h. auf der Meta-Ebene nachvollzieht, und, voll auf seine Problematik eingehend, sich dadurch überhaupt erst konstituiert".

Con i successivi romanzi Beckett però segue una direzione completamente diversa da Bernhard: con la riduzione del campo di azione dell'io narrante accresce i riferimenti a se stesso nell'attività artistica. Si rafforza sempre più il solipsismo dei personaggi con la riduzione della prospettiva esterna, e la finzione diventa un tema a se stante, come nel romanzo Malone muore. Il protagonista chiuso nella propria stanza cerca di trascorrere il tempo abbandonandosi ai ricordi ed in tal modo il tempo della riflessione e quello del racconto si alternano continuamente. Mentre in Bernhard la voce narrante tratta del fallimento del protagonista nei suoi scritti attraverso il ricordo e la citazione, ma segue comunque un percorso logico, Malone e dopo di lui L'Innominabile, indugia attraverso l'invenzione di storie, che nel caso dell'Innominabile diventa anche invenzione di identità, sulla propria morte a cui allo stesso tempo anela. Il protagonista si pone la domanda se sia davvero importante essere nati, esistere, oppure se tutto sia indifferente, nascere e morire, perché nessuno in realtà sa chi è, cosa fa, dove sta andando.La finzione viene allargata intertestualmente quando sia Malone che l'Innominabile spiegano di essere i creatori dei protagonisti precedentemente introdotti. Ne l'Innominabile, il romanzo conclusivo della trilogia viene annullata anche questa ultima certezza della voce narrante. L'io narrante viene paradossalmente dissociato in una consapevolezza ed in una voce, che parla in lui ma che gli appare come estranea, in essa non riconosce più la propria voce, ma resta l'unico strumento con cui poter parlare.

L'io che non percepisce più se stesso come unità psicologica, crea identità sempre nuove, come l'Innominabile inventa le identità di Mahood e Worm che vuole conservare per sé in qualità di istanza ontologica superiore. Tutte le collocazioni temporali e spaziali di questo io narrante sottostanno all'incertezza e sono ancora sempre finzioni della lingua: non esistono più espressioni per indicare il tempo o lo spazio, nulla è più misurabile. Secondo Willi Huntemann "Becketts Ich-Erzähler verfehlt in seinem unablässigen Sprechen, die Wahrheit auszusprechen, die es ihm erlaubte, endlich zu verstummen - er ist ein 'paralogisches' Selbst, was sowohl im psychopathologischen Sinne als 'Vorbeireden' wie im logischen Sinne als 'Wiedervernüftigkeit' (was die Paradoxie einschließt) zu verstehen ist".

Secondo Breuer la trilogia trova il suo principio unificatore nella "Selbstwendung des failure-Prinzips", così come nel corrispondente gruppo di romanzi di Bernhard il fallimento dell'artista diventa definitivo, ma anche, ed in questo ritorna a Beckett, costruttivo della forma compressa dell'opera. Dal pittore Strauch e dal principe Saurau, che hanno ormai da tempo disperato di poter realizzare i loro sforzi artistici fino a Konrad che ancora lavora alla stesura del suo saggio, a Roithamer che ha già realizzato la costruzione del cono e il suo scritto su Altensam, che infine distrugge attraverso la sua continua opera di correzione, il protagonista resta come "metafiktive Konstrution unangetastet und wird gerade nicht von innen her destruiert wie bei Beckett".

Nell'immaginazione dialettica di Bernhard il fallimento del protagonista stimola il desiderio di auto-affermazione del narratore, che riflette come istanza logicamente sovraordinata e che effettua una mediazione tra esso ed il lettore distanziandolo; si tratta quindi solo di una possibilità dell'Io. L'immaginazione 'paralogica' di Beckett porta alla paradossale auto-soppressione della relazione costitutiva tra narratore e narrato e in tal modo alla disintegrazione di un io stabile: "Der Hinname von Paradoxien, die folgen, wenn man die Zweistufigen aller Kommunikation zu einer einstufigen Einheit von Ebene und Meta-Ebene verschmelzen will"si contrappone in Bernhard alla divisione categoriale di questi livelli, che nella finzione del ricordo dei testi posteriori alla biografia fino ad Auslöschung appare ancora più chiaramente.

Con il successivo romanzo Come è Beckett inizia una nuova fase della sua produzione in prosa che si collega sotto molti aspetti al romanzo Gehen (1971) di Bernhard: entrambi i testi sono per i loro autori i primi, che si allontanino significativamente anche nell'ambito linguistico dalla narrazione convenzionale. In questi romanzi domina un flusso di narrazione che solo esteriormente appare suddiviso in parti. In Come è le frasi e frammenti di frasi straripano gli uni negli altri ininterrottamente, senza l'uso della punteggiatura, e devono essere prima separati dal contesto per poter essere capiti. In Bernhard invece ogni frase appare come se potesse anche reggersi da sola, risultato che si può raggiungere attraverso la conseguente rinuncia alla pronominalizzazione. In questo modo come attraverso il mancato distanziamento tra narratore e narrazione viene sciolta l'univocità del nesso temporale, per cui non c'è né un livello temporale dominante né un narratore con il compito di ristabilire l'unità.

Se in Gehen cambiano i livelli temporali con il mutamento continuo della voce citata (Oheler, Karrer, Scherrer), in Come è non è chiaro se il discorso della voce narrante sia sotto forma di ricordo. L'io narrante afferma continuamente di citare solo una voce dentro di sé, per cui l'io non è più padrone del suo discorso, proprio come afferma Bernhard in Gehen: "Im Grunde ist alles, was gesagt wird, zitiert"ribadendo che la verità oggettiva non è più comunicabile, perché ciascuno può comunicare solo ciò che crede essere verità. L'assenza di identità dell'io narrante è ulteriormente ribadita dai nomi dei personaggi che suonano tutti uguali: Oheler, Karrer, Scherrer - Pim, Pom, Pem in Come è. In quest'ultimo racconto non è chiaro se si tratti di personaggi sempre diversi, l'identificazione è sfuggente come già ne L'Innominabile. L'intercambiabilità dei personaggi ed il discorso ad essi estraneo diventa comprensibile attraverso un evento chiave, che in Bernhard come in Beckett si trova sempre al centro della narrazione: l'improvviso manifestarsi della pazzia di Karrer nel negozio di pantaloni di Rusterschacher ed il tormentato incontro dell'io strisciante nel fango con Pim. In entrambi gli episodi si manifesta una forza mitica, che si sottrae ad una razionalizzazione linguistica:in Gehen poiché nella pazzia la soggettività supera i suoi confini, in Come è poiché l'incontro tormentato con un altro soggetto si rivela come anello di una catena universale di milioni di coppie di tormentatori e tormentati.

Dopo Come è non c'è più una prospettiva dell'io-narrante che ristabilisca l'unità della narrazione, l'io è completamente disintegrato. Rappresentativo di questa fase è il gruppo di testi che costituisce una seconda trilogia: Company, Mal vu mal dit, Worstward Ho. Dove Bernhard nella trilogia dell'artista, che può essere posta in relazione con la sua opera successiva, e in Auslöschung pone tradizionalmente la costruzione narrativa di ciò che viene ricordato e ciò che viene vissuto dall'io narrante, Beckett tematizza in Company (1980), con una narrazione spezzata, se un io possa sperimentare i suoi ricordi in modo unitario. In poche parole "Bernhard schreibt (fingierte) Erinnerungen auf, Beckett schreibt über Erinnerung". Qui sta una differenza importante tra le due tecniche narrative: non è un io che racconta i propri ricordi, bensì una voce nell'oscurità che li comunica ad un "lui" che ascolta. Con l'uso del 'tu' la voce racconta i quindici episodi di vita tratti dall'infanzia di Beckett. Certo l'identità nell'attribuzione di questi eventi ad un ascoltatore non può essere stabilita, essa ci perviene solo alla morte.

Se nel monodramma di Beckett L'ultimo nastro di Krapp (1958) appare ancora possibile un dialogo con il proprio passato, l'io-narrante si configura anche qui come "paralogico", manca di identificarsi come "io" e quindi di farsi capire come unità. La voce è anche in questo testo espressione della dissociazione paradossale dell'io: la voce non è quella dell'io ed allo stesso tempo può essere solo quella dell'io. In Worstward Ho infine l'io paralogico non è altro che l'esecuzione delle sue capacità linguistiche e di finzione. L'autore tenta una 'estinzione' ancora più radicale di quella di Bernhard con il suo ultimo romanzo Auslöschung: "indem sich jedes Erzählen fiktionskritisch sofort wieder selbst auslöscht und dies mit jedem Text in einer neuen 'Grammatik' vorgeführt wird". Leslie Hill afferma in proposito che: "Beckett's writing both embodies and disembodies itself in one self-effacing enactment. The Text is both a bodily fragment and an insubstantial trace, a mark and a self-eclipsing performance".

Willi Huntemann ha analizzato il rapporto tra Beckett e Bernhard come appartenenti a quella corrente che può essere definita 'post-modernista', cioè: "Das Postmoderne wäre dasjenige, das im Modernen in der Darstellung selbst auf ein Nicht-Darstellbares anspielt; das sich dem Trost der guten Formen verweigert [...]; das sich auf die Suche nach neuen Darstellungen begibt, jedoch nicht, um sich an deren Genuß zu verzehren, sondern um das Gefühl dafür zu schärfen, daß es ein Undarstellbares ist".Lo scrivere diventa una forma di sperimentazione dei limiti, un modo per esplorare i più impercettibili scambi tra i segni della vita e della morte: "it has since set out to blaze a trail amidst the unnamable: Beckett is the best example with his derisory and infernal testimony".

Nelle opere di Bernhard e Beckett è sempre presente un'esperienza limite, che segna appunto il confine tra rappresentabile e non rappresentabile, che in Bernhard è a sua volta determinata sul livello della trama dal raggiungimento da parte dei suoi personaggi dell'orlo dell'abisso rappresentato dalla pazzia o dalla morte. Ed è proprio su questo piano che è possibile confrontare "das dialektische Selbst" di Bernhard con "das paralogische Selbst" di Beckett, secondo la definizione di Huntemann:l'immaginazione dialettica dell'io in Bernhard rimanda con le sue costruzioni narrative di tipo gerarchico al modello di legittimazione dell'emancipazione illuministica ed alla dialettica dello spirito. I suoi racconti sono "Emanzipationserzählungen"in quanto essi rappresentano un modello per superare le eventuali minacce a cui è sottoposto l'io.

A livello del rapporto autore-testo Fokkema rileva un'altra caratteristica sostanziale dei post-modernisti, cioè la preferenza di "Aufzeichnungs- und Brieffiktion"mentre le forme diaristiche sarebbero tipicamente moderniste. Fokkema parla in proposito di "lack of well-constructed plots in Modernist texts"affermazione che senza dubbio rispecchia la maggior parte delle opere di Bernhard ed anche di Beckett in cui la trama è praticamente assente e la ripetizione delle stesse parole, degli stessi gesti, ridotti ad un rituale quotidiano ed alienante prende il sopravvento imprigionando i personaggi in situazioni senza via d'uscita. "The composition of the text is very much determined by the opposition of conscious deliberation on the one hand, and action dictated by the natural and social enviroment on the other, with an obvious preference for the first".

Le analogie tra Bernhard e Beckett si riscontrano in modo ancora più evidente in un confronto delle rispettive produzioni teatrali. L'opera più rappresentativa del teatro di Beckett e più in generale di tutto il teatro dell'assurdo è senza dubbio la pièce Finale di partita, di cui ho già parlato in precedenza, nella quale si possono riscontrare numerosi elementi tipici anche della produzione di Bernhard. Anche i personaggi di Beckett come Hamm e Clov sono prigionieri del loro centro geometrico, che hanno trasformato nel loro carcere da cui non possono più uscire (in questo caso si tratta della casa di Hamm con due piccole finestre che si affacciano su di un mondo annientato da una terribile calamità), anch'essi ripetono il rapporto gerarchico servo-padrone, che troviamo nella maggior parte delle pièces di Bernhard, in cui il padrone (la Buona, la moglie del presidente, Herrenstein, il riformatore del mondo) tiranneggiano ed umiliano continuamente il servitore, urlandogli ordini di ogni tipo, ma del quale non possono più fare a meno, perché costretti alla più assoluta immobilità, a causa delle loro malattie e deformazioni fisiche. Come la Buona, Hamm è seduto sulla sua sedia a rotelle mentre il servo Clov è libero di muoversi, come Johanna, ma essi non possono godere di questa libertà perché economicamente dipendenti dal padrone. Senza le provviste di Hamm Clov sarebbe infatti destinato a morire.

I personaggi di Beckett sono dei solitari come quelli di Bernhard e possono essere equiparati a grotteschi clowns, figure comiche e tragiche ad un tempo come Caribaldi, Immanuel Kant, Minetti. Questi personaggi bernhardiani sono rinchiusi nella più totale solitudine ed isolati dal mondo non solo fisicamente ma anche psicologicamente, e il loro isolamento si estende anche alla sfera privata, alla difficile convivenza coniugale, (Ein Fest für Boris, Der Weltverbesserer), all'impossibilità di instaurare dei legami profondi con altri esseri umani, come accade secondo Ehrig anche ai protagonisti di Beckett: "Folgerichtig sind Bernhards und Becketts Figuren denn auch einsame, zutiefst pessimistische Clowns. Einsam sind Nagg und Nell in Becketts 'Endspiel', deren seniler Versuch zu schäkern, schon am Abstand der Mülltonnen scheitert, in welche sie eingesperrt sind; isoliert [...] ist Winnie (Glüchliche Tage) in ihrem Staubhügel. Pozzo und Lucky müssen sich ihrer merkwürdigen Kommunikation durch einen Strick versichern und Molloy kann zu seiner altersblöden Mutter nur noch durch morsende Faustschläge auf ihren Schädel Kontakt aufnehmen".

Un segno costante di questa solitudine è il fallimento di ogni tentativo di comunicazione con il prossimo, l'impossibilità di un dialogo che, anche quando sono presenti due interlocutori, si trasforma in una sorta di monologo a due, come abbiamo potuto constatare nella maggior parte dei drammi di Bernhard. Anche tra i personaggi di Beckett la lingua cessa di essere uno strumento di contatto con gli altri, anzi essa perde completamente il suo significato. La comunicazione tra gli uomini è ormai giunta ad un punto di rottura, ridotta ad una semplice esaltazione satirica della situazione esistente, perché nella nostra epoca di comunicazioni di massa ha perso ogni freno e non riesce a ritornare all'espressione di contenuti autentici. L'uomo sta infatti diventando sempre più scettico nei confronti del linguaggio perché continuamente bombardato dai messaggi dei mass-media, dalla stampa, dalla pubblicità, che sono riusciti a svalutarlo al punto che esso si è ridotto ad una insignificante cantilena.

Secondo Adorno che ha riscontrato nell'opera di Beckett diversi aspetti dell'esistenzialismo francese, la lingua diventa strumento per esprimere l'assurdità della condizione umana, come nella tradizione dei mimi e delle figure clownesche in cui il linguaggio è praticamente nullo e le azioni sono ridotte ad un assurda pantomima. Il nonsenso che si vuole qui motivare non soltanto è crudelmente illuminato dalla stoltezza del cliché occultata dall'abitudine, ma è anche espresso contemporaneamente dall'inganno del parlarsi: gli individui, senza speranza lontani fra loro, non possono comunicare conversando, esattamente come i vecchi e storpi genitori di Hamm nei loro bidoni non arrivano a toccarsi: "[...] Kommunikation, das universale Gesetz der Clichés, bekundet, daß keine Kommunikation mehr sei. Die Absurdität allen Sprechens ist nicht unvermittelt gegen den Realismus, sondern aus diesem entwickelt. Denn die kommunikative Sprache postuliert durch ihre bloße syntaktische Form schon, durch Logizität, Schlußverhältnisse, festgehaltenene Begriffe, den Satz vom zureichenden Grunde".Ma questa esigenza praticamente non viene più soddisfatta: gli uomini nel parlarsi, in parte sono guidati dalla loro psicologia (l'inconscio prelogico), in parte mirano a scopi che, in quanto intesi alla pura e semplice autoconservazione, si allontanano dall'oggettività che la forma logica fa balenare. La stessa semplice struttura sintattica di domanda e risposta è ormai minacciata, poiché presuppone una schiettezza della cosa da dire che non esiste più: "Der Frage ist die vorgezeichnete Antwort anzuhören, und das verdammt das Spiel von Frage und Antwort zum nichtig Wahnhaften des untauglichen Versuchs, durch den Sprachgestus der Freiheit die Unfreiheit der informativen Sprache zu verschleiern. Beckett reißt ihr den Schleier herunter, auch den philosophischen".

Con il suo Finale di partita Beckett distrugge ogni illusione superstite. Il singolo è ormai completamente isolato dal mondo, si è rivelato come categoria storica, risultato del processo di alienazione capitalistico e soprattutto nella fugacità della sua esistenza. Il tramonto del mondo è ormai scontato, come se fosse sottointeso, parte del destino degli uomini. Ogni presunto dramma dell'era atomica sarebbe destinato a schernire se stesso, non fosse che per il fatto che il suo argomento falsificherebbe e renderebbe confortevole l'orrore storico dell'anonimità inserendolo in caratteri e azioni umane, assumendo magari un atteggiamento di stupore al cospetto dei notabili che giudicano se premere o no il bottone: "Die Gewalt des Unsäglichen wird nachgeahmt von der Scheu, es zu erwähnen. Beckett hält es nebulos. Über das aller Erfahrung Inkommensurable läßt nur euphemistisch sich reden, so wie man in Deutschland von der Ermordung der Juden spricht. [...] Der desperate Stand der Dinge liefert in grausiger Ironie ein Stilisationsmittel, das jene pragmatische Voraussetzung vor der Kontamination mit kindischer Science Fiction schützt".

I personaggi di Beckett e Bernhard sono ridotti ad anti-eroi che esistono non solo in un mondo artificiale, bensì sono loro stessi vuoti artifici, la cui identità non può più essere compresa né sulla base di modelli psicologici, né con riferimento alla realtà oggettiva extraletteraria. Di conseguenza entrambi gli autori 'ripuliscono' i loro personaggi e le situazioni, nelle quali vengono collocati, da ogni residuo di esperienze storico-sociali: a partire da Aspettando Godot fino allo scenario completamente vuoto di Finale di Partita, si perdono sempre più i contatti con un mondo esterno, estraneo all'esistenza dei protagonisti. Lo stesso discorso è valido per i personaggi di Bernhard, basti pensare al pittore Strauch che si isola dal mondo rifugiandosi in un piccolo e grottesco paese di montagna, o ai folli monologhi del principe Saurau rinchiuso tra le mura del suo castello, o alla costruzione del cono da parte di Roithamer con l'intento di segregarvi la sorella, o la fornace di Konrad, tutti casi in cui: "Isolation und Depersonalisierung der Figuren und der zunehmenden Entsinnlichung ihrer fiktionalen Situationen Absurdität als ein 'zeitloser', nicht aber als ein sozio-historisch bestimmter und damit veränderbarer Zustand bewußt wird".Tutti questi personaggi si trovano imprigionati in "Grenzsituationen"(situazioni estreme): "Situationen wie die, daß ich immer in Situationen bin, daß ich nicht ohne Kampf und ohne Leid leben kann, daß ich unvermeindlich Schuld auf mich nehme, daß ich sterben muß, nenne ich Grenzsituationen. Sie wandeln sich nicht, sondern nur in ihrer Erscheinung; sie sind auf unsere Dasein bezogen, endgültig".

Gli individui vengono ridotti a pura corporeità, alle loro funzioni vitali, come per Hamm assicurarsi il cibo quotidiano, regrediscono ad una condizione primitiva, da qui la loro 'comicità', quella comicità che Bergson ha definito 'di carattere', perché il fisico prende il supravvento sullo spirito. Adorno a sua volta afferma che la psicoanalisi spiega l'umorismo come regressione ad uno stadio oltremodo primitivo, e l'opera regressiva di Beckett va sempre più a fondo in questo stadio. Il riso al quale incita è tutt'altro che liberatorio, è un riso soffocato, amaro, grottesco. Questo è il risultato a cui si giunge una volta che l'umorismo è passato di moda come strumento estetico ed è stato privato di qualsiasi norma che lo regoli, di un luogo di 'espiazione', privato di quel qualcosa di inoffensivo che consentiva di essere sempre deriso. L'umorismo stesso è diventato sciocco, ridicolo, e Beckett esegue la condanna pronunciata contro di esso. Le facezie di individui deteriorati sono deteriorate anch'esse. Non raggiungono più nessuno: la loro forma decaduta, la freddura, le ricopre come una crosta. Ad esempio quando Hamm domanda a Clov, che guarda dal cannocchiale, di che colore è l'esterno, e sussulta alla risposta "grigio", Clov si corregge con l'espressione "nero chiaro". Si tratta di una copia deturpata dell'arguzia dell'"Avaro" di Molière, dove la cassettina che si presume rubata viene descritta come grigio-rossa. Anche ai colori come al motto di spirito è stato succhiato il midollo.

Non solo l'umorismo ma tutte le categorie drammatiche diventano oggetto di parodia. Tutte vengono parodiate ma non schernite: "Emphatisch heißt Parodie die Verwendung von Formen im Zeitalter ihrer Ummöglichkeit. Sie demonstriert diese Unmöglichkeit und verändert dadurch die Formen". Le tre unità aristoteliche vengono conservate, ma è in pericolo l'esistenza stessa del dramma. Con la soggettività, il cui epilogo è anche il finale di partita, viene eliminato dal dramma l'eroe tradizionale, della libertà esso conosce solo più il riflesso ridicolo e impotente di decisioni prive di valore. Otto Beer afferma che "Nun ist zwar unsere Literatur reich an Endspielen aller Art.[...] Nicht Abstraktion wird hier abgehandelt, nicht intellektuelle Verdünnung, sondern pulsierendes Leben, ein Stück zuckender Wirklichkeit".Anche nel teatro di Beckett umorismo e parodia rivestono un ruolo di grande importanza, ma come in Bernhard vengono definitivamente superati i confini tra comico e tragico, tra materiale 'serio' e 'faceto', per questo come afferma Bernhard nel suo volume autobiografico Der Keller, lo spettatore non può che rimanere confuso, non è più in grado di capire ciò che viene recitato, così come non lo capiscono più nemmeno gli attori, e questo perché l'autore stesso non lo sa. Una volta si tratta di una commedia, una volta di una tragedia, il pubblico ora applaude, ma poi se ne pente, ora tace e attacca l'autore per poi ritornare nuovamente sui propri passi. Questo atteggiamento del pubblico è tipico del teatro dell'Assurdo, perché di fronte all'assurdità della vita diventa del tutto superfluo domandarsi se venga rappresentata una commedia o una tragedia. Lo spettatore non assiste ad una commedia o a una tragedia con una trama ben definita, che nel primo caso suscita il riso liberatorio e nel secondo un effetto catartico che lo porta a soffrire e gioire con i personaggi sulla scena, la trama è completamente dissolta, come dissolto è il linguaggio nella sua tradizionale funzione di strumento comunicativo.

Secondo Adorno nell'arte contemporanea si delinea sempre più chiaramente un progressivo deperimento dell'alternativa tra serietà e comicità, tra tragedia e commedia, tra vita e morte, ma l'umorismo nelle pièces di Beckett è salvo perché esse contagiano con la risata per l'assurdità del riso stesso e per la sua disperazione. Esse testimoniano uno stato della coscienza, che esclude completamente l'alternativa tra serio e faceto come un'effettiva fusione delle due categorie: il tragico si scioglie in virtù della manifesta vanità della pretesa di soggettività che proprio il tragico dovrebbe rappresentare. Al posto del riso entra in gioco il pianto privo di lacrime, completamente essiccato.Lo scopo di questo teatro è di privare il pubblico delle sue illusioni e consentirgli di affrontare il proprio stato in tutta la sua disperazione e follia. L'oggetto di questo teatro non è la realtà oggettiva ma una realtà psicologica espressa in immagini che rappresentano la proiezione esterna degli stati mentali, delle paure dei sogni, degli incubi e dei conflitti inerenti alla personalità dell'autore. La tensione drammatica così prodotta differisce profondamente dalla suspense tradizionale creata per un teatro il cui obiettivo principale è la presentazione di personaggi oggettivi che si muovono in un preciso intreccio narrativo. La raffigurazione del conflitto e della soluzione finale rispecchia un'immagine del mondo in cui è possibile una soluzione, un'immagine che si basa su un campione di realtà oggettiva, generalmente riconoscibile ed accettata; da tale realtà è possibile dedurre sia lo scopo dell'esistenza umana sia le principali regole di comportamento. Il Teatro dell'Assurdo rifiuta invece l'idea che sia possibile motivare il comportamento umano e che il carattere dell'uomo si basi su di un'essenza immutabile, diventa quindi impossibile basare il suo effetto sulla suspense che solitamente nasce dall'attesa di una soluzione dell'equazione drammatica, presentata in termini chiari fin dalle scene iniziali.

Nelle opere teatrali di Beckett e Bernhard, il pubblico non può domandarsi "cosa accadrà?" perché fin dall'inizio la situazione in cui sono prigionieri i personaggi si rivela in tutta la sua logorante immobilità, i gesti, le parole con cui questi si presentano al pubblico sono per lo più incomprensibili e lo spettatore di conseguenza dovrà chiedersi "cosa sta accadendo?", "cosa viene rappresentato?"; invece di usufruire di una situazione esso deve penetrare il vero significato dell'opera, porsi delle domande, per farlo deve attendere la fine, il compimento dello schema predisposto dall'autore; solo quando sarà calato il sipario, potrà iniziare ad indagare sul significato di ciò che ha visto. Per queste ragioni lo spettatore non si domanda più se l'opera sia comica o tragica, questo aspetto passa in secondo piano, come afferma lo strano personaggio vestito da donna che il narratore del racconto Ist es eine Komödie? Ist es eine Tragödie? incontra nel Volksgarten di Vienna, mentre attende l'inizio della rappresentazione al Burgtheater, di cui ha già acquistato il biglietto, ma che non sa decidersi se andare o no a vedere: "[...] aber sagen Sie mir nicht, was heute gespielt wird. Für mich ist das äußerst interessant, einmal nicht zu wissen, was gespielt wird. Ist es eine Komödie? Ist es eine Tragödie?".Il comico diventa più disperato del tragico, come afferma Ionesco perché non sembra offrire vie d'uscita, è ridotto al ridicolo, e anziché suscitare il riso, con effetto liberatorio, lo soffoca.Lo stesso termine "assurdo" indica il venir meno di qualsiasi visione ottimistica della condizione umana, e per questo anche il concetto di commedia non può più essere inteso nel senso tradizionale, di risoluzione positiva di qualsiasi situazione critica, ed il riso si riduce ad una smorfia, al "fürcherliches Gelächter" della Buona al termine della pièce Ein Fest für Boris, dopo la morte improvvisa dell'invalido che si è presa per marito. Bernhard stesso ha affermato che "alles [wird] lächerlich, wenn man an den Tod denkt", la morte è sempre stata il suo tema, perché la vita è il suo tema,la morte rappresenta l'unico destino certo dell'uomo. L'incrocio continuo di morte e riso "sprengt das gängige Begriffverhältnis des Komischen und verleiht diesem etwa Abgründig-Bizzarres, als Ausdruck eines tief in den menschlichen Erfahrungsbereich (des Irrationalen) hinabreichenden Versuches, Schmerz und Leid und Ohnmacht zu meistern und den Schicksal wirksam Trotz und Widerstand zu bieten".

Il tema che domina nell'opera di Thomas Bernhard è la paura che l'uomo ha della morte ed i suoi tentativi grossolani e ridicoli di dominarla attraverso la creazione di tabù o il rifiuto di affrontare il problema. La morte fa sempre da sfondo agli eventi che producono un effetto comico, come nel racconto Ernst nella raccolta Der Stimmenimitator, di cui ho già parlato, dove il comico non viene preso sul serio neppure quando minaccia di uccidersi, la sua condizione è quella dell'attore che non può più liberarsi della maschera che è costretto ad indossare fino al momento della sua morte, come l'attore Minetti che porterà con sé fino alla fine la maschera di re Lear, per morire nel suo ruolo, così come in esso è sempre vissuto. Come afferma Schmidt-Dengler "die Erfahrung der Lächerlichkeit macht den Menschen bewußt, daß sie Akteure in einer Komödie sind. Diese Poetik der Lächerlichkeit bestimmt auch die Konzepte in dem Roman Frost: 'Keine Tragödie regt die Welt auf. Nichts ist tragisch. Das Lächerliche sei allgewältiger als alles andere'. Innerhalb des Lächerlichen gebe es 'Tragödien, in die man vorstößt, ohne mit einem Licht ausgerüstet zu sein, in ein finsteres Bergwerk'. Verzweiflung sei in der Lächerlichkeit".

Nel famoso discorso pronunciato in occasione del conferimento del Büchner Preis nel 1970 Bernhard sottolinea il potenziale creativo di questa fondamentale esperienza umana: "Wir sind (und das ist Geschichte und das ist der Geisteszustand der Geschichte): die Angst, die Körper- und die Geistesangst und die Todesangst als das Schöpferische". Allo stesso tempo dà rilievo con acutezza aforistica al fatto che questa situazione presenta una doppiezza di fondo: "[...] es ist ein Theater der Körper- und in zweiter Linie der Geistesangst und also der Todesangst [...] wir wissen nicht, handelt es sich um die Tragödie um der Komödie, oder um die Komödie um der Tragödie willen [...] aber alles handelt von Fürchterlicheit, von Erbärmlichkeit, von Unzurechnungsfähigkeit [...]".

Non si tratta però solo di presentare l'esistenza umana minacciata dall'enormità di questa paura, tragica e comica ad un tempo, bensì del tentativo di fuga da essa, che sembra però destinato al fallimento.Il tentativo di rendere visibile l'invisibile e di mostrare all'uomo i suoi grotteschi ed inutili sforzi di riempire il suo vuoto interiore con contenuti altrettanto vuoti e di fissarlo nelle sue trivialità prive di significato, costituisce il campo tematico dell'opera di Bernhard, soprattutto delle sue opere teatrali. Questa visione pessimistica è sì tragica ma allo stesso tempo ha una connotazione che potremmo definire 'comica' come afferma Konrad in Das Kalkwerk: Wir haben nichts anders als den Inbegriff der Komödie auf der Welt und wir können tun, was wir wollen, wir kommen aus der Komödie nicht heraus“