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 La strage di cristiani in Pakistan

 

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Uno scontro dentro l’Islam

 

 

"Allah Akbar" per alcuni significa Dio è grande, ma per altri, i "guerrieri di Dio, come suona il titolo di un libro di Elena Doni (Rizzoli), significa semplicemente “all’attaco!”, un grido di guerra.

 

Così come il jihad, che per alcuni indica la "via nel cammino di Dio", lo sforzo per essere dei veri credenti e osservanti, per altri significa prevalentemente lotta contro i nemici dell’Islam. Quanti siano gli uni e quanti gli altri, nel multiforme universo musulmano, nessuno può dirlo.

 

Non esiste un’autorità universale capace di dare direttive univoche. Questo produce disorientamento, pericolo di generalizzazioni in un senso o in un altro e sospetti invincibili.

 

Il tragico 11 settembre ha scatenato sedimentati risentimenti e materializzato in atti violenti il disprezzo e i pregiudizi anticristiani da una parte e antislamici dall’altra.

 

L’identificazione di cristianesimo con mondo occidentale, la confusione tra guerra anti-terrorismo americana e crociata perdurano e sono riportati in vita in questo triste periodo di storia.

 

In Pakistan, nella città di Bahawalpur, una piccola chiesa cattolica condivisa da una comunità evangelica, viene attaccata da un gruppo denominato Jamat Ulema Islam, composto da islamismi integralisti fanatici e rimangono a terra venti persone, bambini e donne, vittime innocenti. Innocenti sì, ma non inconsapevoli, sapendo che da tempo si sentivano chiusi in un ghetto controllato e minacciato.

 

Molti musulmani pakistani si sono schierati dalla parte dei cristiani ed hanno condannato l’atto terroristico e il governo si è impegnato a punire i colpevoli. Prima ancora di essere contro i cristiani questi gruppi estremisti sono contro una parte della loro stessa società.

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Il mondo che si riferisce alla religione musulmana sta attraversando un periodo decisivo di trasformazione nel confronto con la modernità che assume sempre di più un'ampiezza globale e si trova ad un bivio.

 

 Modernizzare l’Islam o islamizzare il mondo moderno.

 

E’ uno scontro di civiltà, che ha luogo all’interno dell’Harb - al Islam (la terra dell’Islam) stessa. In questo contesto sono da porre gli scatti d’ira e le violenze di chi ha paura di perdere la propria identità.

 

I cristiani non possono dimenticare di essere stati tali anche in tempo di persecuzione e in situazioni di sofferenza e il mondo occidentale non può esimersi dal dare il meglio di sé offrendo esempi di dignitosa umanità e una cultura di pace, in cui il grido "Dio è grande" abbia un significato solo religioso e pacifico simile a quell’annuncio evangelico "gloria a Dio e pace agli uomini".

 

Piangiamo i nostri martiri cristiani e piangiamo anche il baratro morale, spirituale e culturale in cui si trovano i terroristi che uccidono senza capire che le loro vittime in realtà erano i loro migliori amici, capaci di amare anche i nemici e di mettersi al servizio anche dei malfattori, avendo ricevuto il comando di non rispondere al male con il male e ad essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in loro.

 

La cristianità mondiale a sua volta ha il dovere di aiutare e proteggere le minoranze cristiane che vivono nel pericolo e nella precarietà, in situazioni dove mancano garanzie giuridiche di esistenza e privati della libertà di testimoniare pubblicamente la loro fede.

 

Così come nei paesi occidentali devono esserci (e in gran parte ci sono) garanzie giuridiche di vita per le minoranze etniche e religiose, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali degli uomini.

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Elio Bromuri 

AGGIORNAMENTO 7/3/2002