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STORIA

Il discorso ufficiale tenuto dal Sindaco Presutti [cfr."Don Marzio" del 20.05.918]
con il quale iniziò la cerimonia, si aprì con l'affermazione che"questa lapide non
è che un segno materiale della larga eredità che lasciò morendo Domenico
Martuscelli"

E parlando di lui, altri così si espressero:
"scolpire nel marmo il nome di D.Martuscelli è incidere il suo nome nelle pagine
più fulgide dell'Evangelo, ove sta il ricordo imperituro di Colui che si offrì pel
bene di ogni creatura nata e cresciuta nel dolore"

"Coloro che dedicano la loro attività all'insegnamento, godono di questa prerogativa
in confronto di coloro che dedicano la loro attività ad altri scopi, sia pure
socialmente utili: avere dei figli spirituali,
cui se non hanno dato materialmente,
diedero, però, moralmente la vita."

Questi ciechi dimostrano come la forza della volontà e la cultura possono riparare
alla inferiorità creata dalla natura matrigna.
Sono essi che ci insegnano che è solo la volontà, la tenacia, la energia morale che
danno il successo e che permettono di superare tutti gli ostacoli.-
"A questi ciechi Domenico Martuscelli aperse le vie della vita dando loro l'energia
morale e la cultura". E noi oggi dobbiamo soprattutto ricordare il suo nome, non
soltanto come quello di un filantropo, ma anche come quello di un uomo che a tutti
noi ha dato un insegnamento prezioso, soprattutto in questi momenti, di ciò che possono
la natura e la volontà.-
"Noi veggenti dobbiamo rammentare il suo nome ed onorarlo, Voi, suoi figli spirituali,
quella riconoscenza che per lunghi anni riscalderà le sue ossa nella tomba, facendo a
lui provare ancora la gioia maggiore che è data all'uomo, la gioia infinita di amare
e di essere amati".-
Ma chi si accorge dei pochi uomini giusti che passano, facendo del bene?

[Angelo Conti sul "Mezzogiorno" del 19.05.918 n°5] Domenico Martuscelli fu uno
dei pochi che non raggiungono la vita piena, se non per perdersi negli altri,
se non aspirando a far nascere una gioia, un qualche riposo, una illusione di pace,
dove il mondo ha messo il dolore, dove regna soltanto la sventura, se non portando
la luce dove il destino ha voluto che l'uomo nato per l'allegrezza fosse circondato
dall'oscurità.

Pochi uomini, dopo le grandi anime dei santi, hanno meritate, sulla terra, più
benedizioni di quante ha accompagnato questo benefattore dei ciechi, questo padre
del loro spirito, questa creatura di bontà, di cui la voce scendeva come una musica
nella loro solitudine e la illuminava come fosse stato un raggio di sole.-
Il più grande monumento che Domenico Martuscelli lasciò a sé stesso è l'infinito
beneficio sociale da lui compiuto: è la riconoscenza imperitura di quanti già
avvolti dalle tenebre doloranti ebbero da lui la luce."
Ed il Semmola, ad avvalorare quanto già ebbe a scrivere nell'epigrafe
[cfr."Mezzogiorno del 20.05.918 n°6] prima lancia un significativo invito
"Ah venite quassù e vedete dove possa giungere l'opera del cieco di cui sia
illuminato l'intelletto e plasmato il cuore: venite e vedrete che la
cecità non esiste."
E conclude col dire:
"Il Martuscelli sparisce come uomo, rimane come simbolo, passa, figura
radiosa tratante miserie morali, tra tante nullità ingombranti, solitario,
tra una folla di egoistie mediocri, passa come un apostolo,
rimane come un esempio."


Il nostro mosaico, il nostro collage sarebbe qui completato ma non possiamo
non citare anche una lettera di Ciro Di Sarno da Maiori, perché è una lettera
di uno dei tanti ciechi che hanno voluto inviare in privato, le proprie
condoglianze alla famiglia.-"Tremenda sciagura è toccata a noi poveri ciechi
indicibile è il mio dolore.Sì, noi abbiamo perduto il Direttore, il padre,
l'amico, il fratello, il nostro "ricreatore"e irreparabile ne è la perdita.
Chi non piangerà dinnanzi a tale tramonto di carità e d'amore,di gloria e
di beneficenza? Chi non avrà per questo grande benefattore viva ed eterna
memoria ed eterna riconoscenza?
E' vero che il dolore è immenso ma vi conforti il pensiero che la sua figura
non svanirà mai dal cuore dei suoi beneficati e tutti lavoreranno e lotteranno
nella vita pel suo onore."
A questa lettera c'è un P.S.,che senza alcun nostro commento o giudizio, trascriviamo
"ed ora vi chiedo una grazia: vorrei una fotografia del mio più grande benefattore."


Per chiudere questo breve ma significativo ricordo, ci piace annotare ancora che
nei suoi 44 anni di questo suo sacerdozio civile Domenico Martuscelli
non cessò mai di studiare l'anima di chi è privo della vista e frugarne i
nascondigli più inesplorati e seguirne le vibrazioni più ascose.-
L'attenta osservazione dei movimenti del cieco, delle espressioni del viso,
la sua continua vicinanza fisica ai suoi discepoli permise al Martuscelli di
acquisire una tale esperienza nel campo da sentire come proprie tutte le esigenze
di questi, i modi di vedere, di sentire e di conseguenza risultava facilitato sia
nel progettare attrezzi a loro utili, che predisporre piani didattici e di lavoro
ben precisi che, senza stancare e con reciproca soddisfazione, permettevano il
conseguimento dei vari obiettivi.-

Amnmirevole la sua coerenza all'emblema che scelse per l'Istituto consistente
in una croce circondata da raggi e che sormontò con il motto "Ego lux in mundum veni"
quale simbolo della fede nella rigenerazione umana, simbolo della fede nella luce
che egli accendeva sul suo cammino.-





Nei 44 anni di vita dell'Istituto, sotto la sua saggia ed oculata guida, ha ottenuto
44 premi, tra riconoscimenti, diplomi, encomi, medaglie ecc. i quali fanno testimonianza
del suo proficuo ordinamento e del suo progresso, l'uno e l'altro dovuti alla sua mente
ed al suo cuore e, se da un lato costituiscono lo sprone a meglio proseguire ed operare,
dall'altro nascondono, ma non a lui, un fardello di amarezze, di ostacoli imposti alla
vita della sua famiglia naturale, che lo hanno veramente addolorato, mal ripagato,
ma non per questo piegato.-
Privo di mezzi pecuniari, essendo sempre vissuto di lavoro, modestamente remunerato,
non fu fermato dalle difficoltà di provvedersene. Dalla prima oblazione di sole due
lire, Domenico Martuscelli alla sua morte lascerà l'Istituto con un patrimonio di oltre
un milione e morirà in onesta povertà col solo conforto di aver fatto del bene.-

Come sempre schivo per ogni tipo di manifestazione, di riconoscimenti, di plauso
che avesse lui come soggetto e non i suoi ciechi, speriamo che in questa occasione
non si risenta nella sua tomba a Poggioreale e non ritenga questo nostro dire un
elogio o una falsa adulazione perché invece è un sincero segno d'amore, di
quell'amore del quale ci ha trasmesso l'essenza, con la sua opera ed il suo
silenzioso esempio.-