CATANIA: LA SUA STORIA, I SUOI SERVIZI, LE SUE ATTRAZIONI, LE SUE SCUOLE

aburule.gif (651 byte)aburule.gif (651 byte)aburule.gif (651 byte)

Progetto

Ist. Comprensivo A. Manzoni

Circolo Didattico Coppola

Ist. Comprensivo Monterosso

Ist. Comprensivo Capuana - Pirandello

 

storia e arte

ambiente, servizi, scuole

personaggi illustri

Internet, e-mail

colleg1.jpg (22657 byte)

wpe2.jpg (27689 byte)

Image507.gif (180211 byte)

 

Classe 3a sezione B a.s. 2000/2001

Prof.ssa Olga Siciliano

A Catania più che altrove possiamo gustare un Barocco originale, ciò è appunto dovuto alla rinascita che si ebbe nella nostra antichissima città dopo il 1693, data che segna il suo capovolgimento stilistico, dovuto al terremoto che oltre a raderla al suolo ne decimò la popolazione " 17 mila così di eroi come plebei trovarono la morte".

Dopo un trentennio, appena dall’animo dei cittadini si allontanò l’incubo della morte e le finanze premisero di sostenere enormi spese, si iniziò una fervente opera di ricostruzione alla quale due uomini dedicarono la vita: il Duca di Camastra e Mons. Andrea Reggio sorretti e assistiti dal principe Ignazio di Biscari.

Di conseguenza Catania, come ebbe a citare il Casagrandi, ha " il vanto di essere una delle più antiche città d’Italia come una delle più moderne insieme", infatti il piano regolatore alla realizzazione del quale forse contribuì il Longobardo, venne studiato in modo consono alle esigenze di una città moderna.

Tagliando la città con ampie e diritte vie si studiò di dirigerla verso le tre massime fonti di vita: il piano, il monte e il mare.

Così si assistette alla rinascita di edifici religiosi e di sfarzosi palazzi, alla cui base furono quindi le due forze preponderanti del tempo: il clero e la nobiltà.

Anche Catania ebbe i suoi valenti capimastri i cui nomi ebbero a fondersi con quelli degli architetti dell’epoca: gli Amato, i Battaglia, i Longobardo, i Di Benedetto e, tra i grandissimi citiamo Vaccarini e Ittar, cioè come i ferventi artefici della rinascita di Catania; il loro impegno fu encomiabile, estrinsecarono il meglio della loro arte per la riuscita dell’opera e la via Crociferi può ben dirsi il sacrario di quest’arte nella nostra città.

Nelle manifestazioni artistiche i grandi architetti e i modesti artigiani notiamo che si incontrano e si intendono.

La manifestazione dell’abilità consumata e semplicissima di un intagliatore o di un fabbro ci incanta nei particolari, come ci incanta la capacità fervida dell’architetto- regista che porta all’unità la somma degli elementi disparati.

L’edificio insomma rappresentava una massa grezza che, essendo tale, non limitava né la libera fantasia, né la bravura degli artigiani chiamati a dargli un volto.

Costruzioni perfette esteticamente, troviamo in Catania sia nell’architettura religiosa che in quella civile, palazzi dalla linea pura, come palazzo Valle,

 

Image512.jpg (107687 byte)

il loro impegno fu encomiabile, estrinsecarono il meglio della loro arte per la riuscita dell’opera e la via Crociferi può ben dirsi il sacrario di quest’arte nella nostra città.

Nelle manifestazioni artistiche i grandi architetti e i modesti artigiani notiamo che si incontrano e si intendono.

La manifestazione dell’abilità consumata e semplicissima di un intagliatore o di un fabbro ci incanta nei particolari, come ci incanta la capacità fervida dell’architetto- regista che porta all’unità la somma degli elementi disparati.

L’edificio insomma rappresentava una massa grezza che, essendo tale, non limitava né la libera fantasia, né la bravura degli artigiani chiamati a dargli un volto.

Costruzioni perfette esteticamente, troviamo in Catania sia nell’architettura religiosa che in quella civile, palazzi dalla linea pura, come palazzo Valle,

Image514.jpg (100794 byte)

 

fanno contrasto con quelli dalla facciata pomposamente istoriata come palazzo Biscari,

Image516.jpg (89784 byte)

Image517.jpg (112268 byte)

 

e non sono neppure da lasciare in ombra quei panciuti balconi di squisita fattura barocca che adornano insieme con gli archi dei portoni dal forte bugnato la facciata di edifici, la cui semplicità di linea è un tocco dolcissimo tra tanto sfarzo.

Image518.jpg (73073 byte)

 

Image50.jpg (79984 byte)

 

Nell’architettura religiosa scorgiamo cupole bizzarre che si proiettano verso il cielo, timpani accartocciati, mascheroni e putti grassocci che fanno ricordare il Cavalier Marino.

Con l’architetto Stefano Ittar, abbiamo in Catania l’appassionante interprete di un dolcissimo barocco di sapore locale, che, staccandosi dall’accademismo romano riesce a conquistare, assieme a Vaccarini, l’animo dei siciliani.

La sua tradizione sarà continuata dai Battaglia, che segnano l’inizio del

 

Image51.jpg (66246 byte)

gustoso barocchetto catanese e da tutti quegli architetti che, spinti verso una comune visione creativa daranno con le loro opere una forte pennellata di colore locale alle concezioni ispanizzanti del barocco si contrappone Ittar che sa conciliare con equilibri di artista nato il gusto del tempo e i ricordi degli studi classici.

Stefano Ittar, con le sue tre opere religiose, San Martino ai bianchi, San Placido e la Collegiata rende palese l’evoluzione artistica subita dal suo spirito.

Bastano le tre opere citate per poter comprendere la parabola artistica dell’architetto.

 

Con San Martino ai Bianchi, possiamo dire che il nostro architetto segni lo schema di un tema che svolgerà in tutta la sua pienezza in San Placido e che sfocerà nella fluttuante e aerea composizione della Collegiata.

Nella Catania barocca troviamo quindi, accanto a Vaccarini, sempre grandioso, Ittar che si forma attraverso un lento travaglio creativo, tendente all’affermazione di una forma artistica che, dapprima latente, va poi prendendo forma e vita.

Se non conoscessimo le date di costruzione delle tre chiese sopra citate e dovessimo basarci, per ambientarle, al solo giudizio estetico, daremmo all’ultima il primo posto.

San Martino sai Bianchi sembrerebbe l’epilogo artistico dell’attività dell’Ittar.

Tale chiesa segna infatti l’alba di quel barocchetto tanto diffusosi in Catania per mano dei Battaglia.

In San Martino è conservato il seme delle opere maggiore dell’Ittar: la linea spezzata, le volute laterali che tendono a non appesantire la costruzione fanno da modulo alla chiesa di San Placido e alla Collegiata.

 

Image52.jpg (40161 byte)

 

In San Martino ai Bianchi i giochi di ombre e di luci nonostante la particolarità della linea, sono smorzati e quasi inesistenti e trai corpi che creano un po’ di ombra, sono da notare le cornici aggettanti e le due colonnine ioniche della nicchia centrale che seguono lo schema, mentre le finestre laterali alla porta d’ingresso sottolineate appena da modonature, sono sormontate da una cornice mistilinea.

La facciata è priva ancora di motivi decorativi e, sé paragonata alle altre due chiese resta nuda e fredda, l’alternarsi di spazzi pieni e vuoti, le nicchie coi Santi, i campi gioiosi di putti, sono ancora prematuri in questa chiesa, dov’è linea spoglia e fredda architettura.

Lo schema di San Martino ai Bianchi si anima in San Placido, dove, su una struttura quasi identica viene a svolgersi un pensiero artistico che tende ad arricchire le linee semplici con statue e nicchie ad accentuare il movimento, così il passo da questa chiesa alla Collegiata è breve, ormai lo spirito creativo dell’Ittar ha penetrato la materia e la ha innalzata alla dignità dell’arte, la Collegiata sarà ormai il frutto di due esperienze artistiche e il superamento di esse.

Nella chiesa di San Placido, giusto mezzo fra le due opere, impera la linearità, smorzata appena dall’ondulazione ottenuta dalla concavità della parte centrale stretta fra le ali laterali, non vi sono ancora colonne in questa chiesa ma lesene, che quasi geometrizzano il senso chiaroscurale e lo

 

Image53.jpg (71955 byte)

 

Image54.jpg (39973 byte)

limitano alla sola parte centrale concava, la decorazione è lineare, al fantasioso si oppongono semplici motivi geometrici, che servono soltanto ad annullare spazi troppo vuoti.
 

Image55.jpg (89755 byte)

 

Image56.jpg (112967 byte)

 

Image57.jpg (66031 byte)

 

Nell’arteria principale di Catania, la via Etnea, il barocco, in tutta la sua pomposità e leziosaggine diluito da un gusto prettamente locale, regna sovrano.

Così la Collegiata dice la sua parola eterna arricchita dai palazzetti viciniori.Sei grandi colonne a canna d’organo, in giurgiulena dorata danno il via al trionfo architettonico nell’opera di insieme che ci riporta, per il suo equilibrio e la sua compostezza, ad un complesso sinfonico- musicale.

La facciata, dalle linee aggettanti e rientranti, elegante nel suo movimento col quale giocano mirabilmente ombra e luce, si staglia maestosa nel contempo e rende più eleganti e armoniosi i palazzetti laterali dove tra i balconcini ormai diruti e gli occhialoni bianchi delle antiche finestre, il tempo ha saputo aggiungere ancora una volta di eleganza accoppiando al colore rossiccio dei muri i verdi dei licheni.

Dal colonnato, che sta quasi ad attestare la base massiccia della chiesa, la costruzione si alleggerisce mediante un gioco di finestre che conferiscono eleganza e armoniosità all’insieme architettonico.

Sui portali laterali i putti eleganti si adagiano sul timpano accartocciato, le loro espressioni ci richiamano i putti si Serpotta mentre il portale centrale viene coronato da un gioco di volute culminante con un timpano di ricordo classico.

L’ordine inferiore si lega con l’ordine superiore mediante un ‘elegante trabeazione mentre nelle altre due chiese citate la risoluzione e più semplice e di minor pretesa.

Il gioco di volute ottenute con eleganza da intenditore classico, conferisce all’opera un gusto non comune.

L’architetto intuisce che la parte superiore dell’edificio deve essere snellita e crea un gioco di lesene i cui capitelli poggiano su una trabeazione a linea spezzata una grande nicchia centrale accoglie una finestra di linea cinquecentesca sormontata da un timpano accartocciato a mò di voluta.

 

 

Image59.jpg (123014 byte)

 

Due nicchie laterali limitate da suddette lesene mal contengono due figure di santi che sembrano fuoriuscite dallo spazio per esse prestabilito.

Così il modulo della nicchia centrale che in San Placido abbiamo trovato ancora di sapore classicheggiante per la linearità del suo movimento, per la finestra priva di volute qui, nella Collegiata s’ingigantisce in nicchione il cui arco spezza la trabeazione armonizzando con la linea a pagoda della lanterna che s’innalza come un moto senza limite verso l’alto dei cieli.

La gioiosa animazione di statue di putti e fregi che nella collegiate non riscontriamo in San Placido dove i vari decorativi sono più contenuti.

Il prospetto imponente ma lineare di San Placido non ha diseguaglianze dei vari ordini perché, a differenza della reggia cappella linea, semplicità e senso plastico si fondono mirabilmente.

Le eleganti gelosie che chiudono le finestre aumentano i valori plastici dell’opera.

L’Ittar proveniente da Roma aveva studiato le chiese della sua epoca e nel progetto della Collegiata si accosta sia alla Chiesa che della Maddalena che alla ..Ttrinità dei pellegrini di Roma.

 

Image501.jpg (115854 byte)

 

Image502.jpg (113615 byte)

 

Image503.jpg (99802 byte)

 

Image504.jpg (111893 byte)

 

Poco distanti dalle chiese dell’Ittar troviamo la chiesa di San Giuliano e la Badia di S. Agata di G. Battista Vaccarini; ci sembra giusto, accostare a quelle, queste opere di pari merito e valore, anche se ideate da un architetto di diversi intendimenti artistici, per una più equa valutazione delle prime.

Vicino al S. Placido dell’Ittar sorge il gioiello vaccariniano ovvero la Badia di S. Agata; innalzando lo sguardo sulla facciata di questa chiesa, si ha la sensazione di essere accompagnati da una musica in continuo crescendo, che trasporta ad un’astrazione completa.

Elementi di ciò sono le colonne a calzetta decorate con un gioco di putti, motivo prettamente locale, i capitelli sontuosamente lavorati che di classico non hanno altro che lo schema, le frangie arabescate, che estendendosi lungo il prospetto danno un motivo ornamentale inusitato ed elegante, le gelosie minuziosamente intagliate, dove l’infrangersi dei raggi solari genera un gioco di luci e di ombre, il timpano assorbito quasi dall’attico terminante con una stupenda balaustrata, e ancora statue e putti tutti armoniosamente accolti in una visione celestiale.

Dopo questa sinfonia di sapore borrominiano e per la sua estrosità e per l’esasperazione delle linee, vediamo come San Placido ci appare ancora più lineare e di ricordo classico.

E notiamo che anche la Collegiata è la concretizzazione di ideali diversi da quelli del Vaccarini.

 

Image505.gif (44945 byte)

 

Di certo l’Ittar non supererà mai Vaccarini nella strabocchevole genialità dei particolari e degli ornamenti, ma l’arte non resta attaccata soltanto ai particolari, investe tutta la struttura della costruzione di cui l’Ittar è, specie nelle sue due ultime chiese, smaliziato artefice.

 

Image506.gif (65794 byte)

 

Nella chiesa di San Giuliano vediamo più una concomitanza con le chiese romane dell’epoca: la pianta vaccariniana a croce greca, ci riporta alla concezione bizantina della chiesa.

Concludendo potremmo dire che Vaccarini e Ittar furono per Catania barocca ciò che Borromini e Bernini furono per Roma barocca.

La diversità con cui i due artisti arrivano all’interpretazione delle opere, caratterizza la singolarità della loro personalità e del loro spirito, pur creando entrambi opere geniali e uniche; vediamo che a guisa di corona ferrigna interpreta la sua cupola Vaccarini, orientalizzante in un motivo di leziosa pagoda il suo campanile Ittar.

 

La chiesa della Collegiata ebbe origine su un antico tempio pagano dove sorgeva un’edicola intitolata alla Madre di Dio, dell’Elemosina o della Misericordia.

Questo tabernacolo, con l’andar dei secoli, per mezzo delle oblazioni dei fedeli e anche di re e di imperatori, si trasformò in una chiesa, che andò sempre più sviluppandosi.

Posta sulla via della Luminaria, il punto più popolato della città, era frequentata da nobili e plebei, nell’epoca aragonese venne riconosciuta come Regia Cappella dai re Federico e Martino Il Giovane.

L’11 gennaio 1693 alle ore 21.00, una violenta scossa tellurica fece crollare per intero la chiesa Collegiata; di questa furono trovate intatte, soltanto le campane grandi che erano sul campanile e una piccola, sulla Sagrestia.

La fervente opera di ricostruzione che dopo la tragedia aveva invaso l’animo dei catanesi, e l’esempio del clero, incoraggiarono i canonici della Collegiata a ricostruire il Sacro tempio e a continuare nel contempo l’ufficio divino in una " capanna ".

I canonici per poter affrontare le prime spese vendettero oggetti di valore, che erano stati trovati miracolosamente indenni tra le macerie della chiesa e piccoli possedimenti, naturalmente occorrevano fondi più cospicui che si ricavarono da lasciti e testamenti.

Cosi nel 1697 Mons. Andrea Reggio poté scagliare la prima pietra e Gran Maestro di fabbrica fu Antonio Amato.

La facciata della chiesa venne eseguita con pietre bianche e nere e quattro colonne arricchita da putti, statue e intagli.

Era prevista una torre campanaria di fianco ma il progetto venne impedito dal barone della Sigona al quale lo strepitio delle campane dava fastidio.

Per lungo tempo si protrasse la lite e la chiesa sebbene incompleta, venne riaperta, i lavori vennero ripresi nel 1769 e il nuovo progetto affidato ad un nuovo architetto Stefano Ittar incaricato di dare un nuovo volto alla chiesa.

L’architetto Ittar proveniva ad una nobile casata che si era trapiantata a Roma e in questa città era stato istradato all’arte dell’architettura raggiungendo la celebrità.

 

Image507.gif (180211 byte)

 

Ittar durante un viaggio si fermò a Catania, ospite del principe Biscari, da questo momento rimarrà in questa città, essendosi legato in matrimonio con la figlia di Francesco Battaglia.

Attraverso vari documenti possiamo ricostruire la partecipazione dell’Ittar alla ricostruzione della chiesa come la commissione della pietra "giurgiulena" proveniente dalla terra vecchia di Augusta.

Il posto per le campane lo trovò nell’orgione superiore della facciata e così dopo avere abbattuto il prospetto esistente fu iniziato quello nuovo e il 29 maggio 1784 la chiesa venne consacrata a Maria SS. dell’Elemosina.

Chi ha già ammirato la sobrietà della linea barocca della Collegiata, si aspetta, all’interno, gli affreschi di un secentista; vi troviamo invece quelli di Giuseppe Sciuti nato a Zafferana nel 1834.

Gli affreschi risalgono al 1896 e la navata centrale è divisa in diversi riquadri di cui sia il primo che l’ultimo hanno dimensioni assai ridotte in relazione agli altri, il pittore volle rappresentare: " Il passaggio dalle tenebre alla sapienza divina", "Angeli musicanti", "La Madonna che stende il manto della pietà circondata da due file di angeli", "Il pellegrinaggio" e "I peccati capitali: avarizia, lussuria e ira" nella cupola della chiesa troviamo l’Assunta.

 

Image508.gif (87767 byte)

 

Tutte le scene, anche se ben distinte l’una dall’altra, restano fuse dalla vastità dei cieli e dagli spazi immensi.

Nel "Il passaggio dalle tenebre alla luce" l’artista copre lo spazio con dense nuvole che lasciano intravedere appena scorci di braccia e visi di angeli, angeli che in un primo tempo, erano stati dipinti dallo Sciuti e da lui stesso giudicati i migliori.

La critica del tempo però li attaccò perché fin troppo nudi e così furono coperti … dall’artista stesso con delle nubi che, a dire il vero rendono di più effetto il passaggio dalle tenebre alla luce.

Nel secondo riquadro "Gli angeli musicanti", troviamo che le tinte fuse tra loro sono armoniose e di alto valore cromatico.

L’affresco è ancora accademico però la fuga degli angeli nella parte sinistra dell’opera è di efficace effetto prospettico.

Si avverte che l’artista sente il bisogno delle grandi tele e dello spazio.

Nel secondo riquadro che rappresenta "La Madonna che stende il manto della pietà circondata da due file di angeli", lo Sciuti tenta una nuova prospettiva.

 

 

Image509.gif (155730 byte)

 

La Madonna in primo piano si presenta eterea e poco mistica.

Il suo viso, nonostante la dolcezza, ha ben poco di celestiale ed è molto simile alle donne che il valente pittore ebbe modo di osservare nel suo paese di origine: Zafferana.

Ancora una volta la sua anima non sa vibrare di fronte ad una scena divina e per meglio apprezzare questo volto bisogna vederlo per quello che è e non per quello che sta a rappresentare.

Pregevole il vestito della Madonna attraverso il quale intuiamo il movimento anatomico; l’ampiezza del manto da molto respiro all’opera.

Di effetto il coro degli angeli.

Il vero Sciuti, amante della moltitudine degli spazi immensi si può cogliere pienamente nel "Pellegrinaggio" dove i vivaci bruni vengono corretti da qualche pennellata di bianco, spazio e profondità sono resi con maestria; tale riquadro ci rapisce in una visione di grandioso, di infinito e di profondo.

In quanto al modo di dipingere "a macchie", lo Sciuti segue la moda del tempo e dobbiamo riconoscere che egli è davvero maestro nell’affresco, perché sa accostare ad una tecnica già difficile quale l’affresco, la tecnica altrettanto difficile dell’impressionismo.

Le tinte sono forti, calde di grande effetto e servono a dare alla scena anche quel senso spaziale di cui l’artista è padrone.

 

 

Image510.gif (145005 byte)

 

Chi entra nella navata centrale della Collegiata intuisce questa evoluzione dell’artista attraverso i tre riquadri del soffitto; se nei primi due lo sentiamo più manierista e meno spontaneo, negli ultimi due troviamo l’artista maturo e in pieno equilibrio.

Le figure "dei peccati capitali" hanno il viso contratto non da un dolore fisico ma da una forza interiore che li spinge a esternare il male che in esse è contenuto.

Se nella Collegiata abbiamo trovato anche figure dagli atteggiamenti accademici, nei pennoni di cupola troviamo il San Marco evangelista dai lineamenti contratti e dall’atteggiamento pensoso che ci fanno intuire che egli scriva perché ispirato dallo spirito divino.

La cupola presenta l’Assunta con un numero infinito di angeli facenti capolino dalle nuvole, non si nota l’idea dell’infinità dei cieli ma l’affresco resta sobrio e sereno.

La Vergine con delle vesti morbide e panneggiate è immersa in uno sfondo che va dal violaceo al bianco.

 

 

Image511.gif (137164 byte)

 

A destra dell’abside troviamo la tela di Santa Maria dell’Elemosina, che aggiunge al valore artistico quello storico perché ci riporta all’origine della Collegiata.

Lo Sciuti dimostra che la Chiesa era prima un semplice tabernacolo dedicato alla Madonna; la scena ci riconduce ai primi tempi del Cristianesimo anche perché raffigura una Matrona che porta l’obolo alla Madonna.

In effetti gli archi e il colonnato di fondo ci fanno pensare alle figure del " Quo Vadis " lo Sciuti in quest’epoca si affida alla fantasia e ci crea in netto contrasto con la bella e serena espressione della giovinetta cristiana che porta l’obolo alla Madonna, una figura mesta di donna che sta a dimostrare forse il tramonto del paganesimo ormai stradicato dallo spirito di una umanità del tutto nuova.

Solo attraverso questa espressione contrastante penseremmo alla scena dei primi tempi del Cristianesimo.

Mentre la Madonnina dalle linee quattrocentesche delle icone e l’arco ogivale- normanno ci portano in tempi assai posteriori e ci parlano della fantasia del pittore che è scenografo e tiene a dimostrarlo.

 

Image513.gif (86550 byte)

 

Nella tela della Collegiata tutto è ben rifinito e preciso e l’arte stucchevole delle pennellate ci porta alla visione fotografica specie nello sfondo dell’Etna ammantato di neve, che brilla alla luce del sole di una tersa giornata d’inverno catanese, mentre nel bozzetto le rapide pennellate che servono a fissare le impressioni, ci parlano di una non comune sensibilità artistica e dell’intuito immediato del nostro pittore locale.

Il nostro artista chiude la sua travagliata vita il 13 marzo 1911 nella sua bella casa romana, ricordato con parole di elogio dalla stampa italiana.

L’arteriosclerosi, la malattia che gli aveva minato il fisico, gli aveva inflitto la più dura condanna prima della morte, quella di non poter dipingere a lungo col capo alzato ed egli aveva per questa limitazione parole assai accorate, diceva infatti: "Proprio a me, che ho saputo infondere un così ampio respiro alle mie tele, deve ora mancare l’aria".

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

I critici d’arte "in erba della 3^ B".

Da sinistra a destra:

Rossana D’Antona, Pinuccia Viscuso, Santina Battiato, Graziella Celso, Virginia Nicotra, Manuela Di Mauro, Maria Conti, Corradina Costanzo, Antinea Finocchiaro.

In seconda fila: Roberto Alagna, Valentina Nanfitò, Fabrizio Grillo, Giuseppe Musumeci e Mirko Di Benedetto.

Videoscrittura: Maria Conti e Mirko Di Benedetto.

Fotografia: Roberto Alagna.

 

 

Image515.gif (113995 byte)