Giovanni Prati

Poeta italiano, Campomaggiore, 1814 - Roma, 1884. Di indole inquieta e disordinata, ebbe vita avventurosa, si attirò calunnie e persecuzioni, e solo nella tarda maturità il suo costante e sincero patriottismo e la sua fedeltà alla causa monarchica gli assicurarono, con qualche onore, una certa tranquillità di vita. Dopo le prime Poesie, 1836, dove evidenti sono gli influssi da Lamartine a Hugo e da Foscolo a Manzoni, la popolarità di Prati esplose con la pubblicazione di una novella in versi, Edmenegarda, 1841, storia di un adulterio consumato nell'alta società veneziana di scarso valore poetico, ma interessante come primo tentativo di assumere la realtà borghese e quotidiana a materia di ispirazione. La produzione successiva, fu raccolta in volumi dai titoli vari: Canti lirici, 1843; Canti per il popolo, 1843; Ballate, 1843; Nuovi canti, 1844; Memorie e lagrime, 1847; Passeggiate solitarie, 1847; Storia e fantasia, 1851; Canti politici, 1852. La figura del contraddittorio eroe romantico è ripresa in Rodolfo, 1853; d'ispirazione goethiana e byroniana sono Satana e le Grazie, 1855 e Il conte di Riga, 1856; un romanzo in versi è l'Ariberto, 1860. Più notevole l'Armando, 1864-68, tardiva analisi del "mal du siécle" che si esaurisce in un vano anelito e in una fatale disillusione. Di forma più limpida e classicheggiante sono le ultime raccolte di versi: Psiche, 1876, dove Prati abbandona le grosse ambizioni romantiche e ripiega nel cerchio di un realismo quotidiano, e Iside, 1878, il cui nucleo poetico più vivo è l'idillio con la fata Azzarellina, che consente al poeta di appagare nella natura il suo desiderio d'infinito.