Giuseppe Gioachino Bèlli

Poeta italiano, Roma, 1791 - 1863. Di famiglia borghese, ebbe un'infanzia travagliata. Rimasto orfano, visse nella miseria, finché uno zio non riuscì a sistemarlo nell'amministrazione di casa Rospigliosi. Cambiò vari impieghi, dagli spogli ecclesiastici al demanio, ma riuscì anche a partecipare alla vita culturale romana, dove i suoi versi italiani cominciavano a farsi apprezzare. Fu tra i fondatori dell'Accademia tiberina, 1813, cui rimase a lungo legato, pur con molti contrasti. Nel 1816, dopo molte esitazioni, sposò Maria Conti, vedova facoltosa del conte Giulio Pichi, di tredici anni più anziana di lui. Il matrimonio assicurò a Bèlli una discreta agiatezza e in questo periodo favorevole cominciarono a sbocciare i Sonetti romaneschi: oltre duemila negli anni compresi tra il 1830 e il 1837, periodo cui appartengono anche i quattromila articoli degli undici volumi dello Zibaldone. La morte della moglie, 1837, provocò ancora difficoltà finanziare; nello stesso anno Bèlli stilava un testamento con l'indicazione di bruciare i suoi Sonetti. Si trattava non tanto di ripensamenti ma dell'idea che, pubblicati, potessero offendere e nuocere alla reputazione e poi alla carriera dell'adoratissimo figlio Ciro. Incaricato del rogo fu monsignor Tizzani, legato a Bèlli da profonda amicizia e che fortunatamente avrebbe mancato di parola. Nel 1839 apparvero a stampa i primi componimenti poetici in italiano, Versi di G.G. Bèlli Romano, per interessamento dell'Accademia tiberina e dello stesso monsignor Tizzani, artefice di un riavvicinamento alla Chiesa, con conseguente impiego pontificio. Altri versi romaneschi furono scritti fino al 1847, quando la proclamazione della Repubblica Romana sconvolse il poeta, memore forse dei tragici eventi cui aveva assistito nell'infanzia. Poi si schiererà dalla parte della reazione, ricoprendo tra il 1852 e il 1853 la carica di censore per la "morale politica". Gli ultimi anni furono tormentati, solitari e silenziosi. Eccetto un sonetto, pubblicato su una rivista, nulla era stato stampato in vita dei versi romaneschi: la prima raccolta attendibile fu quella in sei volumi usciti tra il 1866 e il 1869. L'opera presenta i tre stadi non nettamente distinti, ma stratificati in motivi e toni ricorrenti, specchio di una manifesta trasposizione dell'autore nei suoi virulenti personaggi e nel loro furoreggiare vivo e spontaneo. Il primo stadio mostra gli accenti più gergali e plebei, culminanti nei sonetti del 1830-31, in una cornice quasi barbara dove la misera materialità domina incontrastata; mentre il periodo successivo, sonetti del 1831-35, è contrassegnato da un più composto contenuto di invettiva politica, che non priva tuttavia i versi della loro micidiale efficacia. Sono i sonetti migliori, dove gli spietati strali contro papa Gregorio XVI toccano i vertici della più completa vis comica di Bèlli. La padronanza del mezzo espressivo è tale, che difficilmente si coglie la differenza tra attore e regista, personaggio e autore: la fantasia verbale e la poliedrica capacità di intonazione dello scrittore non permettono distinzione e sdoppiamenti di personalità. Il terzo periodo, sonetti più distintivi quelli del 1835-36, smussa un po' i riverberi più infuocati, e si assesta su toni più umani e intrisi di fasmiliarità; è la messa in scena dei quadri di mercato, animati da massaie e venditori, e in cui la plebeità raggiunge inaspettati accenti lirici. Bèlli è il suo popolo, il "monumento della plebe" (come il poeta stesso definì i suoi versi) si è sgretolato in un naturale processo di identificazione, il dialetto è arte, la poesia si cimenta nel patrimonio linguistico - letterario italiano.