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Aristotele

filosofo dell'esperienza

Aristotele: Vita e opere - Pensiero

VITA

Aristotele nacque a Stagira, una piccola città della penisola Calcidica nel nord della Grecia, nel 384 a.C. Il padre Nicomaco era medico presso la corte del re dei macedone Aminta, ma mori quando Aristotele era ancora giovane. Egli fu dunque allevato da un parente più anziano, Prosseno. (I periodo di Atene) Nel 367, all’età di 17 anni, si reco ad Atene per entrare nell’Accademia di Platone, che si trovava allora a Siracusa. Nel1’Accademia rimase vent’anni, svolgendovi anche attività d’insegnamento, sino alla morte di Platone avvenuta nel 347. A Platone subentrò Speusippo nella direzione dell’Accademia. (Periodo dei viaggi) Aristotele si allontanò da Atene, forse a causa della crescente ostilità in Atene, sobillata da Demostene, contro il re macedone Filippo, che nel 348 si era impadronito di Olinto nel nord della Grecia. Nel 347 si recò da Ermia, tiranno di Atarneo, che nutriva simpatie per la filosofia platonica e aveva messo a disposizione degli accademici una sede ad Asso, nella Troade, una zona dell’Asia minore. Qui si stabili Aristotele e poi nel 345 a Mitilene, nell’isola di Lesbo. In questo periodo egli sposò Pizia, nipote di Ermia, dalla quale ebbe due figli, Pizia e Nicomaco, entrò in rapporto con Teofrasto, che divenne suo discepolo, e intraprese ricerche biologiche sugli animali. Nel 343 il re di Macedonia, Filippo, lo invitò a corte quale precettore di Alessandro, che era nato nel 356. Qui rimase vari anni, sinché Filippo, il quale aveva sconfitto i greci a Cheronea nel 338, fu assassinato da Pausania nel 336 e Alessandro gli succedette sul trono. (II periodo di Atene) Nel 335 Aristotele tornò ad Atene insieme a Teofrasto e svolse attività di ricerca e di insegnamento nel Liceo, un ginnasio vicino al tempio di Apollo Liceo, perché lui, essendo meteco, non può possedere terreno nella città e non può costruire un’accademia come aveva fatto Platone, allora insegna in un luogo pubblico. Qui raccoglie intorno a sé amici e scolari. Dalla presenza di una passeggiata (in greco peripatos) nel Liceo, la scuola aristotelica sarà denominata appunto Peripato. Nel 323, pero, morto Alessandro in Oriente, prese il sopravvento in Atene la corrente antimacedone capeggiata da Iperide. Secondo quanto tramandato da una tradizione, Aristotele, quasi sicuramente a causa dei suoi rapporti con la monarchia macedone, sarebbe stato accusato di empietà e avrebbe pronunciato la celebre frase: "Non voglio che gli ateniesi commettano un secondo crimine contro la filosofia", alludendo alla sorte di Socrate. Di fatto egli si allontano da Atene ritirandosi a Calcide, nell’isola di Eubea, dove la famiglia della madre aveva possedimenti: qui morì a 62 anni nel 322 a.C. Nominò suo esecutore testamentario Antipatro, che proprio nel 322 ristabiliva il dominio macedone sulla Grecia e in Atene, e lascio Teofrasto a capo della scuola.

 

OPERE

Aristotele ha tenuto lezioni orali per le quali si serviva di appunti non destinati al pubblico e opere scritte, spesso dialoghi destinati al pubblico. A noi rimangono però solo le opere della scuola, consistenti in canovacci di lezioni e collezioni di appunti che venivano svolti dagli allievi più preparati e chiamate opere esoteriche o acroamatiche. Le opere per il pubblico sono invece chiamate opere essoteriche. Questo è accaduto perché quando è morto Aristotele, Teocrasto ha ereditato la biblioteca del Liceo il quale la ha lasciata a Neleo che ha regalato e venduto una parte delle opere (quelle scritte da altri autori e non da Aristotele) e ha tenuto invece per sé le opere del maestro. I discendenti di Neleo, che si era trasferito a Scepsi, se ne sono dimenticati finché Apellicone di Atene li ha acquistati e li ha portati ad Atene. Qui furono saccheggiate da Silla e portate a Roma dove Tirannione e Andronico da Rodi hanno provveduto a pubblicarle. Le hanno raccolte in volumi, come ad esempio la Metafisica, termine suo e non di Aristotele che la chiamava "filosofia prima".

Le opere sono divise in:

Sono state scoperte anche delle opere non autentiche come i Problemi e altri scritti minori. Le opere perdute hanno dato luogo a leggende: si dice che quelle destinate al pubblico avessero contenuti diversi a quelli della scuola e avessero una posizione più vicina a quella di Platone, invece si è poi scoperto da alcuni frammenti che le differenze fra le opere scritte e orali sono più di stile. Ci sono anche le opere scritte durante la permanenza nell’Accademia: i Dialoghi (di cui ci rimangono titoli e frammenti), Raccolte, Trattati (come ad esempio quello sul bene, usato dai sostenitori delle dottrine non scritte di Platone).

Le opere di scuola si sono salvate, quelle pubbliche sono scomparse, la gente ha perciò cominciato a richiedere le opere di scuola. Queste opere erano schematiche, aperte, probabilmente non avevano quel carattere ordinato, come noi lo conosciamo, anche se è probabile che l’opera di Aristotele abbia avuto questo carattere sistematico.

Per quanto riguarda la datazione delle opere la critica moderna ha due posizioni perché se Andronico da Rodi ha messo insieme unità testuali prodotte in tempi diversi, dobbiamo scomporle. Le due tesi sono sostenute dal grande filologo W. Jäger e da I. Dühring. Jäger inaugurò la "prospettiva evolutiva". Si ritiene che le prime opere sono più influenzate da Platone, le opere mature sono quelle in cui Aristotele è più lontano da Platone. Dühring ha invece rovesciato questo criterio, perché secondo lui gli accenti anti-platonici sono presenti all’inizio e diminuiscono poi.

Filosofia di Aristotele

Aristotele: Vita e opere - Pensiero

- RAPPORTO FRA PLATONE E ARISTOTELE

- PRIMO DISCORSO: dottrina delle categorie e dei predicabili

  1. dottrina delle categorie

  2. dottrina dei predicabili

- LA LOGICA

  1. teoria dei giudizi

  2. logica modale

- TEORIA DEL RAGIONAMENTO

- TEORIA DELLA DIMOSTRAZIONE

  1. sillogismo scientifico

  2. sillogismo dialettico

  3. sillogismo eristico

- LE SCIENZE E L'ENCICLOPEDIA DEL SAPERE

- LA FISICA

  1. il mutamento

  2. materia=potenza/forma=atto

  3. la dottrina delle 4 cause

- LA COSMOLOGIA

- L'ANIMA

- TEORIA DELLA CONOSCENZA

- LA METAFISICA

  1. principio di non contraddizione

  2. principio del terzo escluso

  3. il motore immobile

- POLITICA

- ETICA

 Rapporto fra Platone e Aristotele
Ci sono due tendenze che scaturiscono dal rapporto fra la coppia allievo-maestro più famosa della filosofia: l’Aristotelismo e il Platonismo, una volta identificati come simboli opposti di fare filosofia e oggi invece messi in risalto dalla critica nei pensieri che sono comuni. Sempre secondo la critica odierna Aristotele è il più genuino degli allievi di Platone perché ha cercato di andare oltre il maestro nello spirito del maestro.

Le differenze fra Aristotele e Platone vanno identificate soprattutto nella frattura che si genera fra la cultura greca classica (Platone) e l’ellenismo (Aristotele, anche se fa parte ancora della filosofia classica). Un’altra differenza sono gli scopi del sapere: per Platone l’aspetto politico, per Aristotele la conoscenza: la forma più elevata di vita è quella dedicata a conoscere (quella del filosofo) ed è l’unica che può portare al bene. La conoscenza è un’attività disinteressata più importante della vita politica, che le è subordinata.

Platone ha una concezione unitaria e verticale della conoscenza, che viene conosciuta attraverso la dialettica, per Aristotele è diverso: secondo lui sono nati dei campi autonomi del sapere, come la geometria, quindi accanto alla visione verticale c’è un’articolazione orizzontale. Il sapere è un’enciclopedia con dei campi ben individualizzati. Il compito della filosofia è di fornire i concetti generali di base.

Per Aristotele la filosofia è lo studio della metafisica detta con sue parole filosofia prima: lo studio dell’essere in generale prima che questo si realizza nei vari campi del sapere.

Cade con questo la componente escatologica: la concezione dell’anima è differente. Aristotele supera il dualismo gnoseologico e ontologico. Il suo è un discorso rigorosamente razionale, elimina la componente mitica e poetica.

Mentre Platone privilegia la matematica, Aristotele predilige le scienze naturali (biologia). Il suo modello di realtà è biomorfo.

Il sistema di Platone è aperto: la filosofia viene intesa come una ricerca continua, Aristotele da una sistemazione stabile e definitiva alla filosofia.

Un punto cruciale delle differenze fra Platone e Aristotele è la critica alla dottrina delle idee: Aristotele aveva infatti partecipato al dibattito sulla critica alle idee nell’Accademia, traendone però conseguenze diverse. Aristotele elimina le idee, ritenendo che complicano e che sono superflue. Aristotele parte da Platone ma poi si distacca.

 

Primo discorso: dottrina dei predicabili e delle categorie

La dottrina dei predicabili sono contenuti nei Topici, le categorie nel De Categoriis, entrambe opere dell’Organon.

DOTTRINA DELLE CATEGORIE

La dottrina delle categorie è contenuta nel De Categoriis, opera dell’Organon. Il punto di partenza è l’ultimo Platone: la dialettica viene intesa come diaresis per Platone.

Il metodo per spiegarlo è quello diaretico, che indica da dove devo partire per evidenziare le categorie.

Un’idea entra in relazione con alcune ma in esclusione con altre (l’uomo è pedestre ma non piumato). La diaresis ci permette di stabilire il criterio di verità di un’idea, non solo l’ontologia: io posso attribuire un predicato ad un soggetto se le loro idee comunicano. Tuttavia il metodo diaretico presenta dei difetti perciò Aristotele lo vuole perfezionare, eliminando difetti e difficoltà per migliorare il discorso. Voleva inoltre seguire Platone, che dice che se si procede con metodo diaretico, si va dal caso generale al caso particolare, ma bisogna stabilire il livello su cui è l’idea generale, perché il punto di partenza non è definito, è un sistema aperto: posso stringere la mia idea partendo da un’altra che non coincide con la prima perché non ho un criterio preciso con cui orientarmi in questa ragnatela. Aristotele vuole migliorarlo per definire il discorso e la logica: dice di privilegiare la linea che esprime il "che cos’è" di una cosa rispetto a quelle che si definiscono in modo diverso (il come ad esempio, non esprime il che cos’è: la neve è bianca, ma bianca è solo una qualità, non è l’essenza della neve). Con questo Aristotele da ordine al metodo diaretico inteso come metodo di predicazione ("tutta la realtà può essere rappresentata attraverso la predicazione").

Aristotele stabilisce che al vertice ci sono 10 generi o categorie (generi di predicazione): predicati supremi che non hanno generi superiori ad essi e sono:

Ma Aristotele non dice perché sono questi e non altri, dice che sono provvisori, ma poi non ci torna.

La dottrina delle categorie non riguarda solo il piano del discorso (ontologia), ma anche la realtà: Aristotele riafferma l’identità fra dire=pensare=essere. Siccome i predicati esprimono anche la realtà, riguardano anche il piano ontologico. Per Aristotele hanno realtà ontologica non solo gli uomini, ma anche i soggetti che stanno nelle cose.

La prima osservazione è che le categorie esprimono i generi sommi e i predicati ma anche i generi sommi a cui devono essere ricondotti gli enti. Il secondo aspetto è la distinzione fra le categorie: di un soggetto (determinano in modo maggiore o minore l’essenza), in un soggetto (determinano questa o quella categoria) (uomo è detto di un soggetto, un cervo bianco è detto in un soggetto). La distinzione fra dirsi ed essere in un soggetto differenzia la categoria di sostanza dalle altre nove e ciò la fa la categoria più importante e l’unica che può dirsi di esprimere l’essenza (il "che cos’è") ed ha un ruolo fondamentale, poiché le altre dipendono da questa. La categoria di sostanza è il sostrato senza il quale le altre non sussistono. Le altre categorie sono gli accidenti (cfr dottr. predic.) della sostanza.

Tutta la filosofia di Aristotele si compendia in queste polarità sostanza – accidenti: gli accidenti devono avere una sostanza a cui riferirsi (cosa fa si che il soggetto è quello che è?).

Aristotele distingue gli individui (Socrate, cavallo ...) che chiama sostanza prime dalle loro specie e generi (uomo, animale) che chiama sostanze seconde. Le sostanze prime possono figurare solo come soggetto e non come predicato (è sbagliato dire l’uomo è Socrate); tra le sostanze seconde la specie è più sostanza del genere. La mia definizione è tanto più accurata se io uso il genere più prossimo, quindi la specie in questo caso.

La sostanza non ha contrario, non esiste il contrario di Socrate, e la sostanza prima non ha gradazione, non esiste uno che può essere più o meno uomo. Però se la sostanza prima non ha contrari, tuttavia può assumere successivamente i contrari (un uomo da giovane ha i capelli scuri, poi da vecchio ha i capelli bianchi) perché gli accidenti variano.

DOTTRINA DEI PREDICABILI

La dottrina dei predicabili è contenuta nei Topici, opera dell’Organon. La dottrina dei predicabili espone quali modi di predicazione esistono e quale bisogna seguire. Indica l’analisi delle modalità attraverso cui un predicato può essere riferito ad un soggetto. Secondo Aristotele ci sono 4 tipi di predicati: definizione, genere, proprietà e accidenti.

1) definizione: predicazione in cui l’appartenenza del predicato al soggetto è così stretta che il predicato è uguale al soggetto (identità) (uomo è un animale razionale). E’ costituita dal genere (categoria più ampia dove il soggetto è compreso: animale) meno la differenza specifica (ciò che differenzia il soggetto dagli altri della stessa categoria: razionale). (Ti es ti = che cos’è = genere – diff.specifica)

2) genere: forma di predicato più evanescente perché il soggetto è compreso nel predicato, quindi genera un rapporto meno stretto (uomo è un animale, ma lo sono anche il gatto e il pesce).

3) proprietà: pur non esprimendo l’essenza del soggetto, può appartenere solo ad esso (uomo capace di ridere)

4) accidenti: predicato che non esprime l’essenza e neppure può predicarsi di tutti gli individui cui il soggetto appartiene (uomo con la barba bianca si può predicare solo di alcuni individui).

Scala:

genere

Più esteso del soggetto

Concorre alla definizione

Es. Uomo è animale

definizione

Coesteso al soggetto

= essenza

Es. Uomo è animale razionale

proprietà

Coesteso al soggetto

? essenza, non concorre alla definizione

Es. Uomo capace di ridere

accidenti

Meno esteso del soggetto

Non concorre alla definizione

Es. Uomo con la barba bianca

 

La logica

La parola logica non è usata da Aristotele, ma è nata nell’età ellenistica ed è entrata nella filosofia . Il termine logica applicato alla dottrina di Aristotele inizia con il commento di Alessandro di Afrodisia: Aristotele usava il termine analitica, risoluzione o scomposizione, cioè l’analitica dava un metodo per cui partendo da una data conclusione era possibile risolverla e analizzarla negli elementi da cui deriva, quindi significa risolvere gli elementi del discorso nei suoi componenti e vedere le relazioni fra essi. La logica trae spunto dalla dialettica di Platone, però la dialettica era stata definita la scienza delle relazioni tra le idee, ora eliminate le idee diventa scienza dell’universale non più separate dalle cose, cioè scienza dei concetti perché il concetto può essere definito come ciò che esprime gli aspetti universali della realtà sensibile. Non troveremo mai in Aristotele il termine concetto, perché è una parola che è nata dopo e significa tenere insieme (per esempio uomo è un concetto perché coglie tutti gli elementi comuni e quindi universali che definiscono il singolo uomo, quindi astraendo le caratteristiche di ognuno di noi arriviamo al concetto di uomo). La logica è la scienza del pensiero e del, cioè considera la forma che deve avere qualunque tipo di discorso che pretenda di dimostrare, cioè di essere provato: quindi nella logica di Aristotele troviamo le regole che deve avere il pensiero quando pensa e le regole che deve avere il linguaggio quando pretende di essere: la logica è lo strumento per realizzare le scienze dei vari ambiti della realtà.

ORGANON = strumento

Titolo opera

Contenuti

De Categoriis ( Categorie )

dottrina delle categorie

De interpretatione (dell'espressione )

teoria del giudizio

Analytica priora (analitici primi)

teoria del ragionamento(sillogismo)

Analytica posteriora (analitici secondi )

teoria della dimostrazione (sillogismo scientifico)

Topica (i Topici)

Dottrina dei predicabili, sillogismo dialettico

De sophisticis elenchis (confutazioni sofistiche )

Sillogismo eristico

 

TEORIA DEI GIUDIZI

Abbiamo un giudizio quando uniamo dei termini tra di loro e neghiamo o affermiamo una relazione tra di loro. Un giudizio per Aristotele comprende sempre due termini, il verbo e il nome, e lui specifica le differenze tra di loro: presi singolarmente ne il verbo ne il nome sono veri o falsi però quando li prendiamo insieme per formare un giudizio o una proposizione, questa può essere affermativa o negativa perché :

Le proposizioni che formano un giudizio possono essere o vere, quando uniscono o dividono termini che significano cose realmente unite o divise, oppure possono essere false, quando uniscono o dividono cose non realmente unite o divise. Tuttavia non tutte le proposizioni sono vere o false, ci sono preghiere, comandi, esse sono fuori dalla logica e queste vengono chiamati discorsi semantici, invece la logica si occupa solo delle preposizioni che possono essere vere o false e sono chiamati discorsi apofantici, o enunciati dichiarativi. I giudizi si distinguono per la qualità o per la quantità: per la qualità in affermativi o negativi, per la quantità in universali (tutti gli uomini) in particolari (qualche uomo) e individuali (Socrate …).

Quantità

Qualità

Esempio

1. universale

affermativa

tutti gli uomimi sono affabili

Tutti gli S sono P

2. universale

negativa

nessun uomo è onesto

Nessun S è P

3. particolare

affermativa

qualche uomo è onesto

Qualche S è P

4. particolare

negativa

qualche uomo non è onesto

Qualche S non è P

I giudizi particolari non vengono presi in esame perché essi non appartengono alla scienza, in quanto la scienza può basarsi solo su termini che possono fungere sia da soggetto che da predicato, mentre i termini individuali possono fungere solo da soggetto, quindi non può riguardare la scienza. Gli autori medioevali hanno creato un metodo semplice per riportare il pensiero di Aristotele, il quadrato aristotelico o delle opposizioni. Considerando le due variabili quantità e qualità posso determinare i vari tipi di giudizio: posso avere un giudizio universale-affermativo, universale-negativo, particolare-affermativo e una proposizione particolare-negativa. Utilizzando l’accorgimento di dare a ciascuno di essi una lettera (si usano le due espressioni latine nego e adfirmo) ho la possibilità di rappresentare in un quadrato tutte le varie posizioni: questo quadrato rappresenta tutte le relazioni che ci sono tra le proposizioni .

Questo schema consente di individuare le caratteristiche delle proposizioni: se noi analizziamo un giudizio (tutti gli uomini sono mortali) abbiamo all’inizio il quantificatore, in questo caso universale, il soggetto, la copula e il termine predicato.

Finora abbiamo avuto a che fare con discorsi apofantici o dichiarativi, non si possono fare questi ragionamenti con discorsi che non siano apofantici .

Logica modale

I giudizi si distinguono per modalità , abbiamo quindi 4 situazioni:

POSSIBILITA’ : esprime ciò che non è ma può essere

IMPOSSIBILITA’ : esprime ciò che non è e non può essere

CONTINGENZA : esprime ciò che è ma potrebbe non essere

NECESSITA’ : esprime ciò che è e non può non essere

TEORIA DEL RAGIONAMENTO

La teoria del ragionamento si trova in Analitici primi.

Quando giudichiamo non ragioniamo ma lo facciamo quando passiamo da giudizi a giudizi, che hanno tra loro determinati nessi e sono legati da un rapporto di antecedenza o conseguenza.

Possiamo quindi definire il ragionamento come una concatenazione di più giudizi comprendenti ciascun giudizio un termine dell’altro (posso dire che un giudizio è collegato ad un altro se c‘è un termine in comune): il ragionamento è un collegamento tra giudizi che hanno un termine in comune. Per Aristotele il tipo perfetto di ragionamento è il sillogismo; il sillogismo è un discorso in cui poste talune cose (le premesse) segue necessariamente qualcosa d’altro (la conclusione) per il semplice fatto che quelle cose sono state poste (troviamo questa definizione negli analitici primi). Il sillogismo come definizione moderna è una inferenza deduttiva. Un sillogismo prevede due premesse, che devono avere in comune un termine medio.

Termine medio: uomo

Tra la premessa maggiore e la premessa minore ci deve essere un termine medio; la conclusione avverrà tra gli altri due termini, che sono mediati dal termine medio, tra Socrate e mortale. Quindi uomo, il termine medio, fa da mediatore nella relazione con gli altri termini. Il termine medio deve occupare nella premessa maggiore e nella premessa minore una posizione diversa, in una deve essere soggetto, nell’altra predicato; la conclusione è formata dagli altri due termini che vengono chiamati estremi. La premessa maggiore è sempre più universale della premessa minore, mentre la conclusione sarà sempre più particolare rispetto alla premessa maggiore e allora noi diciamo che il sillogismo è un metodo deduttivo (abbiamo un metodo deduttivo quando passiamo dal generale al particolare; esiste anche il metodo inverso il metodo induttivo con cui dal particolare arriviamo al generale). Io posso distinguere sulla base del quadrato aristotelico i modi del sillogismo, che sono 64 combinazioni. Alcune combinazioni sono deduzioni corrette, sillogismi validi: sono validi quei sillogismi per cui partendo da premesse vere noi non possiamo avere conclusioni false. Il sillogismo ha un valore puramente formale, è un meccanismo che produce verità, però alla condizione che le premesse siano vere e quindi noi prescindiamo dal contenuto: se non ho premesse vere posso costruire un sillogismo corretto ma esso sarà falso o irreale ("se l‘ippogrifo è un cavallo è Belzebù). Accanto al sillogismo Aristotele considera un altro tipo di ragionamento: l’induzione che è l’opposto della deduzione: si parte da giudizi particolari per arrivare a conclusioni universali:

Questo ragionamento non è infallibile perché non considera tutti gli uomini, quindi è meno sicuro della deduzione perché è basato sull’esperienza, ma nei limiti della sua validità permette di acquisire conoscenza, conoscenza nuova al contrario del sillogismo che non permette di ricavare conoscenze che non siano già contenute nelle premesse. Aristotele ritiene che nelle scienze bisogna ricorrere all’induzione e il sillogismo diventa solo una tecnica di presentazione dei risultati della scienza.

Se torniamo al sillogismo possiamo notare che

Termine medio: uomo

i predicati sono il termine maggiore mortale, il termine minore Socrate e il termine medio uomo. In base alla posizione del termine medio delle due premesse, il sillogismo può essere diviso in figure; io posso però anche distinguere i sillogismi in modi, che sono 64, basati sulla caratteristica delle proposizioni.

FIGURE M= termine medio P= Predicato S= Soggetto

1 M P

S M

S P

2 P M

S M

S P

3 M P

M S

S P

4 P M

M S

S P

Siccome posso avere 4 tipi di figure, se combino le figure con i modi ottengo 256 tipi diversi di sillogismo. Nel medioevo avevano inventato un modo per ricordare i tipi di sillogismi validi perché Aristotele ritiene che solo 19 fra i 256 sillogismi possibili sono validi (es. BARBARA = la premessa maggiore è universale affermativa, la premessa minore è universale affermativa, la conclusione universale affermativa / CESARE …). Solo i sillogismi della prima figura sono perfetti: un sillogismo è perfetto quando la necessità della conclusione risulta evidente in modo immediato senza bisogno di ragionamenti supplementari. Aristotele dice questo perché quando nella prima figura i termini sono disposti nella loro forma normale risulta evidente la transitività della connessione dei termini, mentre i sillogismi delle altre figure non sono perfetti perché non godono di questa proprietà dell’immediatezza del cogliere la transitività e devono essere dimostrati attraverso ulteriori passaggi e ragionamenti. Il sillogismo per Aristotele è l’inferenza privilegiata.

1° figura

2° figura

3° figura

4° figura

BARBARA

CESARE

DARAPTI

BRAMANTIP

CELARENT

CAMESTRES

FELAPTON

CAMENES

DARII

FESTINO

DISAMIS

DIMARIS

FERIO

BAROCO

DATISI

FESAPO

   

BOCARDO

FRESISON

TEORIA DELLA DIMOSTRAZIONE

Aristotele distingue tre tipi di sillogismi: quello dimostrativo , quello dialettico nei topici e quello eristico negli elenchi sofisticii.

Sillogismo scientifico: si trova in Analitici secondi e fa parte della teoria della dimostrazione.

Per avere un sillogismo scientifico :

  1. Le premesse devono essere vere , quindi le relazioni tra i termini devono essere perfettamente conformi a quelle esistenti nella realtà .
  2. Le premesse devono essere prime , non hanno bisogno di ulteriori dimostrazioni.
  3. Le premesse devono essere più note e anteriori .
  4. Le premesse devono essere più universali della conclusione , perché ne devono contenere la ragione .

In una dimostrazione la conclusione è per forza vera, i sillogismi scientifici ci dicono quindi come stanno veramente le cose e ci dicono anche, poiché sono necessarie , che non possono essere diverse da come sono: in questo consiste la vera scienza, l’episteme, che deve essere caratterizzata da dimostrazioni necessarie, cioè deve essere dimostrata da sillogismi scientifici : quindi il modello di scienza per Aristotele è la geometria, perché è un sistema deduttivo. Le premesse delle dimostrazioni quando sono prime sono chiamate principi, perché non vengono dedotte da altre premesse: i principi sono distinti in principi comuni, comuni a più scienze, o principi propri, propri di una sola scienza .

I principi propri , o ipotesi ( proposizioni non dimostrate ma vere ) , sono :

  1. L’assunzione dell’esistenza dell’oggetto della scienza in questione (nell’aritmetica i numeri, nella geometria le grandezze)
  2. La definizione della sua essenza (cosa è un numero pari)

Secondo Aristotele i principi sono veri perché sono accettati dagli specialisti di quella particolare scienza.
I principi comuni esprimono proprietà che sono comuni agli oggetti di più scienze (tutte le scienza quantitative: sottraendo quantità uguali …). Essi sono accettati da tutti e non solo dagli specialisti e sono detti perciò assiomi: assioma è una proposizione degna di essere ammessa a causa della sua evidenza. Fra gli assiomi comuni a più scienze ce ne sono due molto importanti: il principio di non contraddizione e il principio del terzo escluso. Ciascun assioma è comune a più scienze solo per analogia perché esprime un rapporto identico tra oggetti diversi: quindi essendo i principi propri diversi per ognuna scienza e i principi comuni identici solo per analogia, non si può dire che per Aristotele le scienze abbiano gli stessi principi e quindi che esista una sola scienza come diceva Platone. Quindi un aspetto caratteristico della filosofia di Aristotele sarà l’affermazione della molteplicità e autonomia delle scienze.

I principi sono indimostrabili e vengono conosciuti attraverso un atto dell’intelletto. Il nous (intelletto) è infallibile e non dimostra. L’evidenza viene intuita, non dimostrata e diventa un principio perché tutti accettano questo assioma. Quest’atto di intuizione è un prodotto intellegibile che si ottiene alla fine di un processo che parte dal sensibile (per questo Aristotele viene detto padre dell’empirismo: l’esperienza è la fonte della conoscenza). La conoscenza parte dai sensi ma va oltre. La conoscenza con i sensi ha come oggetti le realtà particolari, ma nella realtà particolare ci sono anche delle verità universali. La ragione coglie nei dati dei sensi delle realtà universali di cui è fatta la scienza. Esperienza significa aver avuto molte percezioni: astraendo da queste si può ricavare l’universale attraverso un processo di induzione. Quando costruisco una scienza la prima fase è induttiva, poi diventa deduttiva. Il sillogismo serve ad esporre la scienza.

Sillogismo dialettico: Aristotele prende spunto dalla dialettica platonica, ma per Platone la scienza è una relazione fra idee; Aristotele elimina le idee e mette i concetti (che corrispondono al logos = metto insieme cose per arrivare all’universale). La dialettica è per Platone una tecnica di dimostrazione orale e valida. Cessando di essere conoscenza vera ha un utilizzo più ampio: quando ad esempio indago in un campo nuovo del sapere e non opero su principi, la dialettica argomenta in modo corretto ma non ha valore di scienza. La dialettica diventa per Aristotele l’arte di argomentare correttamente in campo di opinioni. Aristotele parla di sillogismo dialettico nei Topici, dove fornisce una serie di schemi di argomentazioni per condurre correttamente le argomentazioni. Il sillogismo dialettico si differenzia da quello scientifico perché al posto di partire dai principi parte da èndoxa, le opinioni di particolare valore, ammesse dai più autorevoli esponenti di quel campo. Il sillogismo dialettico è formalmente corretto, ma inferiore alla dimostrazione perché i punti di partenza non sono verità accettate da tutti.

Sillogismo eristico: è un tipo di sillogismo usato per avere successo nella disputa. Parte da endoxa apparenti: i luoghi comuni. L’eristica è una contraffazione della dialettica, tecnica di discussione corretta e onesta. Gli eristi giocano sul fatto che un termine può avere due significati , pur rimanendo il significante uguale , in realtà nelle proposizioni del sillogismo (nella premesse maggiore e nella premessa minore) abbiamo due significati diversi , quindi non è un vero e proprio sillogismo , perché un sillogismo si ha solo con 3 termini invece noi qui abbiamo 4 termini .

 

Le scienze e l’enciclopedia del sapere

Per fare scienza: nella prima fase della ricerca si utilizza il sillogismo dialettico: sottopongo a confutazione endoxa, se resistono devono essere accettati da tutti. Poi seguono la presentazione e l’insegnamento che devono avvenire attraverso il sillogismo scientifico.

Classificazione delle scienze:

Aristotele classifica i tipi di scienze nel IV libro della Metafisica, proponendo una divisione secondo due criteri: lo scopo e l’oggetto di tali scienze:

  1. scienze teoretiche (es. matematica): da teoria=lo studio dei termini più generali e astratti. Ha come oggetto il necessario e come scopo la verità.
  2. scienze pratiche (es. politica, etica): da praxis=azione. Insegna come agire correttamente.
  3. scienze poietiche (es. architettura): da poiesis =produzione: riguarda le scienze produttive.

Scienze teoretiche: riguardano le conoscenze che mirano alla verità e sono la fisica, la matematica e la filosofia prima. Riguardano ciò che avviene necessariamente.

Si distinguono in fisica come oggetto e in enti matematici caratterizzati dal mutamento. Aristotele distingue la fisica dalle scienze. La matematica studia gli enti che hanno esistenza separata. Gli enti matematici sono ricavati per astrazione da quelli fisici.

La filosofia prima o metafisica studia gli enti che esistono separatamente e sono immobili. È la scienza degli enti in quanto enti, quindi la forma più astratta.

Le scienze pratiche e poietiche si distinguono da quelle teoretiche perché riguardano ciò che può essere o non essere: hanno come oggetto il possibile. Inoltre si distinguono fra di loro per lo scopo che nelle scienze pratiche è produrre qualcosa di non separato da chi lo produce, mentre nelle scienze poietiche è produrre qualcosa di separato da chi lo produce. Le scienze pratiche hanno come oggetto l’azione e non fanno parte delle scienze dimostrative e sono molto più sensibili a noi.

 

scopo

oggetto

Esempio

Scienze teoretiche

necessario

verità

Matematica

Scienze pratiche

possibile

azione

Politica

Scienze poietiche

possibile

prodotto

Architettura

Metodo delle scienze:

Accanto alla classificazione delle scienze , vi è un discorso più complesso che riguarda il metodo delle scienze

Aristotele negli Analitici secondi distingue nettamente il campo delle scienze tra quelle che sono caratterizzate dalla dimostrazione da quelle che si servono di indagini dialettiche ,che mirano quindi a conoscere i principi . In altre parti Aristotele mostra di attribuire alle scienze il compito di indagare intorno ai propri principi ,introducendo in tal modo in esse delle procedure di tipo dialettico. Negli Analitici assume come modello di scienza dimostrativa: la geometria, perché era l’unica a possedere degli assiomi. Aristotele riconosce che il momento in cui nella scienza si usa un metodo rigorosamente deduttivo è il momento dell’insegnamento: l’insegnamento è il momento in cui i contenuti acquisiti della scienza vengono esposti in modo dogmatico e non problematico, quindi a partire da assiomi. Il modello di scienza dimostrativa non è sufficiente a rendere conto del momento euristico, cioè della ricerca, che procede a spanne, cercando dei punti fermi senza essere sicuro della direzione in cui andare e questo si ottiene confrontando ipotesi.

In sintesi: Il metodo deduttivo , che è il metodo del sillogismo scientifico , riguarda il momento dell’insegnamento. Quando faccio ricerca e i principi sono ignoti, devo partire da tesi diverse e quindi confrontarle e vedere quale è quella corretta, allora sono nella fase euristica e utilizzo il metodo dialettico. Il metodo deduttivo serve solo quando i principi sono acquisiti, quindi non posso usarlo per ricercare i principi ignoti.

SCIENZE TEORETICHE

oggetto =ciò che è necessario

SCIENZE PRATICO-POIETICHE

oggetto= ciò che è possibile

Fisica

enti che mutano e hanno esistenza separata

Pratiche

il fine è in se

Matematica

enti immobili e privi di esistenza separata

Poietiche

il fine è fuori di se

Metafisica

enti immobili con esistenza separata

 

 

La fisica

La filosofia è la ricerca delle cause prime, che per Platone erano le idee, mentre Aristotele le ricerca nella natura (fusis). Gli enti naturali o fisici sono sostanze prime e sono sottoposte a processi di trasformazione per cui Aristotele li classifica come enti che hanno in sé il principio del loro mutamento (chimesis). Delle sostanze si può dare spiegazione razionale quindi il mondo del divenire diventa scienza ed è la fisica che è lo studio degli enti naturali e delle loro caratteristiche. Nello spiegare i fenomeni naturali Aristotele prende le mosse dai predecessori , interpretando il pensiero degli altri in chiave della sua concezione : Aristotele dice che gli ionici hanno interpretato l’archè come causa materiale.

Il mutamento:

Aristotele osserva che i predecessori spiegando il mutamento hanno usato due termini contrari , interpretati o come principi astratti (amore–odio), o traendoli dal campo della percezione. Aristotele concorda che per spiegare il mutamento servono i contrari ma non sono sufficienti, occorre introdurre un altro principio: il sostrato del cambiamento, che è il fondamento permanente in rapporto al quale si esplica l’azione conflittuale dei contrari.

Il mutamento, se noi abbiamo i due contrari, può essere allora pensato come una trasformazione, cioè una modificazione del sostrato, che consiste nel passaggio da un contrario all’altro. Per Aristotele i due contrari sono la forma e la privazione:

Forma: corrisponde ai caratteri che il sostrato acquisisce alla fine del processo di trasformazione .

Privazione: coincide con la condizione di assenza della forma in cui il sostrato si trova prima che abbia luogo la trasformazione .

(quando un uomo non è colto = privazione, dopo che ha imparato la filosofia acquista la forma, cioè diventa colto: il sostrato è l’uomo, perché si modifica)

Il sostrato è una sostanza che permane nel variare degli accidenti .

Questo avviene nel mutamento qualitativo, ma può avvenire anche in quello che coinvolge la sostanza stessa (il seme che acquista forma di pianta al termine del processo di generazione). Questo modello gli consente di superare il divieto degli eleati di considerare il movimento; Parmenide partendo da una premessa condivisa da Aristotele, nulla nasce dal nulla, aveva concluso la negazione del movimento. Per Aristotele questa conclusione non era accettabile. Le obiezioni degli eleati sul mutamento possono essere spiegate pensando il non essere come privazione.

Il sostrato essendo privo di forma è proteso a conseguirla.

Platone interpreta il non essere come diverso, Aristotele interpreta il non essere come privazione: il mutamento non è il passaggio dal nulla a qualcosa.

Materia = potenza / forma = atto

Nel secondo libro della Fisica Aristotele parla degli elementi del processo di mutamento: la materia che fa da sostrato per i due contrari forma e privazione.

La materia all’inizio è senza forma, ma possiede la possibilità di acquistarla, si dice che la materia è in potenza di acquisire la forma. Mente la forma non è presente all’inizio del processo come realtà dispiegata, ovvero come atto (marmo/statua di Socrate, uovo/gallina), ma si presenta alla fine del processo. Aristotele afferma che non è possibile che nulla che sia in potenza passi all’atto se non ha a sua volta qualcosa in atto che lo spinga.

L’atto rispetto alla potenza possiede una priorità di tipo ontologica, gnoseologica (perché la conoscenza della potenza presuppone una conoscenza dell’atto ) , cronologica .

La potenza indica la possibilità o potenzialità, proprio di qualcosa di trasformarsi in qualcos’altro.

La realizzazione piena completa del processo in atto da luogo all’entelechia(indica qualcosa che abbia compiuto il proprio fine) . La coppia atto - potenza permette di spiegare il divenire come passaggio da potenza ad atto. Aristotele concepisce il divenire, la natura, come il passaggio da quel certo non essere, che è l’essere in potenza, ad un certo essere che è l’essere in atto.

Questi principi sono gli stessi per analogia, cioè in tutte le cose c’è qualcosa che svolge la funzione da essi espresse. Potenza e atto sono concetti relativi, come materia e forma, un bambino può essere considerato sia atto rispetto al seme che come potenza rispetto all ‘ uomo adulto.

La dottrina delle quattro cause:

I principi sono necessari ma non sufficienti a spiegare il mutamento. Se non c’è un agente la forma non passa da potenza ad atto (la statua non si fa da sola, serve lo scultore). Serve perciò un principio movente o causa motrice. Aristotele ha considerate le cause raggruppandole in quattro:

  1. causa materiale o materia: ciò di cui è fatto o da cui ha origine (nel caso di una statua il marmo)
  2. causa formale o forma: coincide con il che cos’è di una cosa, cioè con la sua essenza (l’effigie della statua). Ogni sostanza fisica costituisce un "tutto insieme" o sinolo di forma e materia
  3. causa efficiente o motrice: ciò che da il via al mutamento (lo scultore). Questa è una realtà diversa da altri principi, perché "lo scultore" esiste prima della statua.
  4. causa finale o fine: ciò in vista di cui il mutamento avviene (la realizzazione della statua)

Il processo ha termine quando la forma viene realizzata, la causa efficiente si distingue dalle altre che in alcuni casi possono anche coincidere.

Aristotele nel primo libro della metafisica ha scoperto che i primi filosofi, gli ionici, concepivano solo la causa materiale, poi venne introdotta la causa efficiente da Empedocle con l’opposizione amore – odio, quindi la causa formale con le idee di Platone ma solo con Aristotele le quattro cause vengono distinte.

Quando noi concepiamo la causa finale non deve essere solo uno scopo della mente, ma l’esplicarsi di un ordine immanente.

Aristotele distingue poi gli enti naturali, che non dipendono dall’uomo, da quelli artificiali, che hanno nell’arte degli uomini il principio del loro movimento. L’idea di natura è tutto ciò che non appartiene al mondo degli uomini. L’uomo è un ente naturale non prodotto come un ente artificiale, ma generato come gli altri animali. L’arte, tecnica del’uomo, è subordinata alla natura perché la imita. L’arte integra e completa la natura, come l’agricoltore quando coltiva la terra, aiutando la terra come un medico aiuta l’uomo a guarire. I processi naturali si ripetono.

Aristotele è l’opposto di Democrito, che ammetteva il caso. Aristotele ammette il fine ed esclude il caso, se non come eccezione per la resistenza della materia alla forma: quando un processo orientato verso un certo fine non lo raggiunge per motivi svariati. La sua è una concezione teleologica o finalistica. Il fine della natura non è estremo ma interno alla natura stessa (immanente): ogni ente naturale tende al proprio fine: il suo completo sviluppo: la perfezione. Negli esseri viventi la perfezione si raggiunge nell’età adulta, ossia quando si è in grado di produrre un ente simile a sé.

Il tema centrale della fisica è il movimento. Aristotele definisce il mutamento come atto di ciò che è potenza oppure esistenza attuale della potenza. Esistono quattro tipi di mutamenti:

  1. secondo la sostanza (generazione e corruzione, nascere e morire)
  2. secondo quantità (accrescimento, diminuzione)
  3. secondo qualità (alterazione)
  4. secondo luogo (traslazione o movimento in senso proprio)

Il movimento ha priorità su ogni tipo di mutamento. Il tempo è la misura del mutamento secondo il prima ed il poi. Connesso al tempo c’è il luogo, che è il limite interno del corpo contenente.

 

La cosmologia (nel De caelo)

La prima causa della natura è quella motrice (dottrina delle quattro cause), tutto ciò che muta deve averla. Dalla definizione di mutamento deriva che ciò che muta deve ricevere la forma da qualcosa che già la possiede (artigiano, genitori). Alla ricerca della causa motrice non possiamo andare all’infinito, perché l’infinito è solo potenziale (Aristotele ammette infatti solo l’infinito potenziale, ritenendo contradditorio quello attuale) e non può realizzarsi concretamente, cioè è concepibile solo come possibilità. La causa motrice prima viene identificata nel primo motore o motore immobile, che non potrà essere mosso da altro perché richiederebbe una causa e così all’infinito, identificato da Aristotele con Dio. Diversamente da Platone che faceva dipendere il movimento dall’anima del mondo concepita come semovente, Aristotele fa dipendere i movimenti dal motore immobile che, essendo immobile è in atto , perciò non ha potenza , quindi non ha materia e non fa parte della natura. Ecco perché Aristotele non tratta del motore immobile nella fisica ma nella metafisica.

Nel De caelo si occupa di ciò che è mosso dal motore immobile; la prima realtà mossa dal motore immobile è il cielo: un insieme di sfere concentriche con incastonati i pianeti che si muovono. La prima sfera è quella delle stelle fisse, seguono poi i pianeti, compresa la luna, ultimo dei quali è Saturno. Le sfere si muovono di moto circolare, che è il moto più perfetto. Sono create da materia incorruttibile, che non cambia mai ed è l’etere o quinta essenza, più sottile del fuoco. Essendo di questo materiale fatti i pianeti e le stelle, questi sono perfetti. Ogni cielo ha un anima, perché muove i pianeti, secondo la concezione che ogni cosa che si muove ha un’anima. Ogni cielo è inoltre mosso da un proprio motore immobile, distinto da esso e da esso superiore, che è la fonte del movimento ma non è a sua volta mosso.

La Terra è formata da corpi che a loro volta sono formati dalla combinazione di quattro elementi o da elementi allo stato puro e quindi i corpi della Terra sono soggetti ad alterazione crescita, diminuzione, generazione e corruzione. Questi fenomeni sono analizzati da Aristotele nel libro De generazione et corruptione. Ciascun elemento ha un proprio luogo naturale, quello più in alto è il fuoco, sotto il fuoco c’è l’aria, poi l’acqua e infine la terra. La teoria dei luoghi naturali spiega i movimenti: ogni elemento tende ad andare verso il proprio luogo naturale, questi movimenti sono detti naturali, ma ci sono anche i moti violenti, che violano inizialmente i moti naturali.

Il lancio di un freccia è caratterizzato da un moto composto, violento e naturale; la freccia composta di terra dovrebbe subito cadere ma ciò non avviene. Aristotele spiega questa obbiezione affermando che per un tratto la freccia è sostenuta dall’aria, ma questa finisce, quindi, per avere un‘azione di freno che di sostegno, il che è contraddittorio. Nel medioevo venne fuori la teoria dell’impetus , che sosteneva che nel momento in cui si scoccava la freccia gli veniva attribuita una sorta di impetus che si sarebbe gradualmente esaurito. Questa teoria è un ponte tra la concezione aristotelica dei luoghi naturali e la meccanica moderna di Galileo.

Siccome gli elementi terrestri si trasformano l’uno nell’altro, Aristotele ammette l’esistenza di una materia prima che fa da sostrato ma non esiste allo stato puro. Le forme dei quattro elementi terrestri sono le quattro qualità fondamentali: caldo, freddo, secco, umido combinate in coppia.

 

 

 

Fuoco: CALDO / SECCO

Aria: CALDO / UMIDO

Terra: SECCO / FREDDO

Acqua: FREDDO / UMIDO

La trasformazione di questi elementi produce i fenomeni meteorologici che sono studiati nei meteorologica.

 

De anima

L’anima

Aristotele parla dell’anima nel De anima, composto di 3 libri in cui divide i corpi terrestri in viventi e non viventi. Il suo è un modello biomorfo, dove tutta la natura è vivente, quindi anche un sasso è vivente. Distingue tre campi di indagine per le scienze teoretiche: la forma nella filosofia prima (motore immobile), la matematica studia le forme ottenute per astrazione (i numeri), la fisica la forma in quanto immanente alla materia (anima).

La biologia non è disciplina autonoma ma è inserita nella fisica perché studia i corpi naturali, la psicologia, studio dell’anima, fa parte della fisica.

Aristotele passa in rassegna le concezioni dei suoi predecessori , e fa la storia del concetto di anima: coglie l’insufficienza della concezione di Empedocle che identificava l’anima con i componenti materiali di cui è costituita. Questa concezione è incapace di evidenziare la specificità dei viventi, se l’anima si identifica con l’acqua o con il fuoco, la loro presenza comporterebbe la presenza della vita, ma questo non è sempre vero. A Democrito, Anassagora e Platone Aristotele attribuisce il merito di aver concepito l’anima come incorporea e di aver individuato in essa il principio del movimento e della conoscenza; Democrito (l’anima è costituita dagli atomi più sottili) e Platone hanno elaborato in modo insufficiente la dottrina dell’incorporeità: Democrito confonde l’anima con degli atomi materiali, con la natura, Platone separa troppo decisamente l’anima dal corpo facendone una entità a se stante, l’essenza dell’anima invece deve essere un immanente principio vitale all’organismo, quindi il corpo muore con l’anima.

L’anima è l’atto primo di un corpo naturale che ha la cita in potenza o atto primo di un corpo naturale dotato di organi. L’anima non è una sostanza indipendente: coordina il funzionamento degli organi verso un certo fine. L’anima non è realmente esistente, non esiste qualcosa come l’anima ma esistono tre specifiche facoltà o funzioni dell’anima, che corrispondono a diverse funzioni dell’organismo:

  1. vegetativa: funzione di riproduzione e nutrimento, posseduta dalle piante
  2. sensitiva: funzione della sensibilità e del movimento, posseduta dagli animali
  3. intellettiva o razionale: funzione del pensiero e della volontà: posseduta dall’uomo

Ciascun vivente ha una sola anima, che svolge tutte le funzioni proprie di quella subordinata, secondo la regola che il livello superiore contiene il superiore e non sono in conflitto, quindi non sono da confondere con le anime di Platone.

TEORIA DELLA CONOSCENZA

Nel De anima Aristotele tratta della sensibilità, comune a tutti gli animali, e del pensiero, esclusivo dell’uomo da cui prende il via la trattazione della conoscenza.

Aristotele tende a superare il rigido dualismo platonico tra conoscenza sensibile (doxa) e conoscenza razionale (episteme). Platone concepisce sensibilità e ragione come sfere dell’esperienza umana irriducibili tra di loro e relative a oggetti ontologici diversi. Aristotele tende a ricomporre i due tipi di oggetti in un processo unico e relativo agli oggetti appartenenti allo stesso piano del reale, non ci sono le idee ma gli oggetti della realtà con cui noi veniamo a contatto attraverso i sensi oppure attraverso l’astrazione della realtà.

Questo processo di conoscenza si fonda quindi su percezioni sensibili e viene realizzato dalla ragione , per cui Aristotele può affermare la tesi che "se non si percepisce nulla con i sensi non si apprenderebbe ne si comprenderebbe nulla"; i sensi sono quindi indispensabili.

Il processo di ragionamento parte dai sensi e si conclude nella ragione.

La sensazione è la capacità di provare una percezione e viene spiegato come il passaggio di un senso (la vista) dalla potenza (possibilità di vedere) all’atto (attuale percezione visiva di un oggetto in concomitanza dello stimolo esercitato sul senso visivo). Ciò che è percepito da ogni senso è forma sensibile.

Aristotele distingue gli oggetti della sensazione in sensibili propri , di ciascun senso , e sensibili comuni , quelli che possono essere percepiti da più sensi contemporaneamente, moto o quiete. La forma sensibile non è la forma intelligibile.

Per spiegare come i sensi possano coordinarsi nelle conoscenze dei sensibili comuni , Aristotele postula una funzione di sintesi dei 5 sensi, il senso comune, che fa da sintesi per la percezione dei sensibili comuni. Questo senso comune spiega anche la coscienza che il senziente ha della propria sensazione, e inoltre ha la facoltà di stabilire associazioni tra sensibili propri e sensi diversi (il giallo del miele e il sapore dolce). Se io fossi legato ai sensibili propri tutto sarebbe sconnesso, ecco quindi la necessità del senso comune che mi da oltre ai sensibili comuni anche la coscienza di essere io soggetto dell’atto percettivo e in più mi consente di fare associazioni tra i vari sensi. In virtù della percezione si formano negli organi di senso una specie di immagine, il fanatasmata dell’oggetto, che viene conservata nella memoria e riprodotta dall’immaginazione. L ‘ immaginazione è quella facoltà che ci consente di fissare nella nostra mente un oggetto e di modificarlo senza la sua presenza; può lavorare su immagini che sono prive dell’immediatezza della sensazione in atto ma proprio per questo svincolate dalle caratteristiche concrete dei singoli oggetti e quindi più manipolabili. Secondo Aristotele l’immaginazione ha un ruolo fondamentale nel linguaggio, se non ci fosse non riusciremmo a usare le parole.

Studio del pensiero:

Lo studio del pensiero porta alla formazione di concetti, cioè dei giudizi e dei ragionamenti di cui si è occupato nella logica.

Come si formano i concetti: sull’immagine conservata nella memoria opera la ragione la quale coglie per astrazione le forme intelligibili, cioè il concetto degli enti. Questo processo avviene al termine del processo di induzione:

tu hai le singole immagini che vengono dai sensi à le immagazzini nella memoria à l’esperienza ti fa avere tante di queste immagini à su queste la ragione agisce per astrazione ricavandone il concetto

L’astrazione avviene usando il metodo induttivo: tu hai visto tante immagini: hai visto tantissimi uomini, per induzione ricavi dal particolare il generale che tutti gli uomini sono bipedi, e quindi il concetto di uomo avrà come sua componente il fatto di essere bipede.

Per Aristotele la condizione necessaria per avere conoscenza razionale è nelle percezioni, senza esperienza non è possibile avere conoscenza. Questa posizione è opposta a quella di Platone, infatti è stata definita empirista, cioè la conoscenza deriva dall’esperienza, ma per Aristotele la conoscenza umana è poi capace di andare oltre l’esperienza e attraverso l’uso della ragione e l’induzione portare alla formazione dei concetti, cioè giungere a una conoscenza universale.

Perché si verifichi questo sono necessarie due condizioni:

  1. intelletto attivo: il principio che faccia passare ad atto la forma intelligibile presente nell’immagine sensibile solo allo stato di potenza. Questo intelletto attivo deve essere già in atto, perché solo ciò che è in atto può far passare all’atto un’altra cosa (lo paragona alla luce che fa vedere le cose). Quindi è immateriale perché è privo di potenza ed è indipendente dal corpo e quindi è immortale
  2. intelletto passivo: il principio che apprenda tale forma, passando da intelligenza in potenza a intelligenza in atto (lo paragona a una tabula rasa che assume su di se qualsiasi forma intelligibile)

Aristotele, non essendo per lui una cosa importante, non ha detto se l’intelletto attivo sia unito all’intelletto passivo, che è legato al corpo e quindi lo faccia partecipe della sua immortalità, oppure se l’intelletto attivo sia separato da quello passivo e quindi sia un principio esterno all’uomo, unico e identico per tutti (e quello passivo sia quindi specifico di ognuno).

Il problema restò aperto tra i commentatori e assunse una particolare importanza con l’avvento del cristianesimo, che identificava l’anima con l'intelletto e doveva garantirne l'immortalità.

La metafisica (o filosofia prima)

Aristotele ha ripreso il concetto platonico di filosofia come scienza dei principi , delle cause prime della natura . Studiando la natura è arrivato a risultati oltre gli ambiti della natura (   > motore immobile) . Quindi l ‘ oggetto della filosofia non è solo la natura ,ma una realtà più ampia onnicomprensiva che egli indica con l ‘ espressione essere in quanto essere ( filosofia prima) , la fisica diventa filosofia seconda .

La metafisica nasce quindi in Aristotele come scienza dell ‘ essere in quanto essere , cioè essere prima di qualunque determinazione à ontologia . L ‘ essere in quanto essere non è altro che la totalità dell ‘ essere , cioè tutto ciò che esiste considerato in se stesso .  Aristotele osserva che l ‘ essere si dice in tanti sensi ,ciò non concordava con Parmenide (  per il quale esiste un solo significato di essere ) : per Aristotele la parola essere ha molti significati   diversi e irriducibili, che si  identificano con le  10 categorie ( essere come sostanza , come relazione , come luogo etc. ) .

Per Aristotele se l ‘ essere fosse privo di unità non sarebbe possibile una scienza complessiva ; questo pericolo è sventato perchè  esiste una certa unità data dalla dipendenza di tutte le categorie dalla sostanza . I vari tipi di essere sono quelli riconducibili alle categorie > punto in comune : la  categoria di sostanza ( la sostanza è il principio  delle altre categorie , perchè esse non possono esistere senza di essa ) . La sostanza non è un genere universale , di cui le altre categorie siano particolari  , è una catregoria fra le altre , che è -però- condizione =causa delle altre  àIl problema diventa : cercare la causa prima dell ’ essere   equivale a cercare la causa prima della sostanza   .

Ci sono 2 proprietà che valgono per la sostanza e per tutte le altre categorie :

  1. PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE : è la condizione stessa del ragionamento = è impossibile che una stessa cosa , cioè lo stesso predicato , appartenga o non appartenga alla stessa cosa , cioè allo stesso soggetto , nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto . E’ impossibile affermare e negare allo stesso tempo, nella medesima maniera ,un predicato al soggetto . Questo principio è evidente e non può essere dimostrato ; può essere dimostrato indirettamente per confutazione , confutando i tentativi di negarla che vengono fatti à dialettica . Zenone diceva che se non è vera NON A allora sarà vera A . Chi vuole negare il principio di non contraddizione è costretto a dire qualcosa che abbia un significato determinato : nel momento in cui fa questo significa che afferma una cosa e ne esclude un’altra ,quindi non nega ma afferma il principio di non contraddizione à il principio di non contraddizione  diventa criterio di significazione , significare vuol dire ammettere qualcosa di determinato , cioè qualcosa che esclude il suo opposto .
  2. PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO : ( è un corollario dell ‘ altro principio ) è impossibile che tra 2 predicati contraddittori( cioè tali per cui uno sia negazione dell'altro ) , vi sia un termine intermedio : A è B o NON B non c’è una terza possibilità . E’ necessario di un medesimo soggetto  affermare o negare un medesimo predicato . Questo principio è un corollario del Principio di non contraddizione perchè la possibilità da esso esclusa ( cioè che il soggetto non abbia nè un certo predicato nè la sua negazione ) è equivalente a quella esclusa dal principio di non contraddizione  In altre parole: non avere un predicato equivale a non avere la sua negazione e viceversa e non avere nessuna delle due equivale ad averle entrambe (il che è vietato dal principio del terzo escluso) . Questo principio è molto utile alla dialettica perché consente di  dimostrare un’affermazione attraverso la confutazione della sua negazione .

Cercare le cause prime dell'essere in quanto essere  - abbiam detto - equivale a cercare le cause prime della sostanza.

I caratteri distintivi della sostanza sono :

  1. ogni sostanza è un essere separato , sussiste in se e non in altri
  2. ogni sostanza è un questo ,una realtà determinata in modo ultimo , non intesa a determinare altro,ciò consentedi distinguere la sostanza prima ( Socrate ) dalle sostanze seconde( uomo ) ,perciò  non può essere sostanza solo la materia , perché la materia non può esistere indipendente dalla forma , inoltre la materia non è determinata in modo ultimo , può accogliere ulteriori determinazioni ; nè può essere cercata la sola materia , perché pur essendo una realtà determinata non è altro che determinazione posseduta dalla forma e non può sussistere separata da quest’ultima . Nella realtà sensibile può essere sostanza solo l ‘ insieme di materia e forma , cioè il sinolo .

Nel sinolo bisogna ricercare le cause più profonde , le cause prime e queste sono le quattro cause .

Le considerazioni sulla causa efficiente o motrice è individuata per le sostanze sensibili in altre sostanze terrestri, nell'artefice per le sostanze artificiali .

Per il movimento alla ricerca di una causa efficiente devo , per non andare all ‘ infinito , presupporre il motore immobile . Originariamente il motore immobile è un postulato della fisica ,  Aristotele trasforma il motore immobile in un principio cosmologico da un lato e in un ente divino dall’altro : abbiamo una stretta connessione tra cosmologia e teologia .

Il punto di partenza è il moto dei cieli.Il moto dei cieli  è eterno , cioè circolare continuo ,come è provato dal fatto che è eterno  il tempo ,che è la sua misura.

Per Aristotele ammettere un inizio e una fine del tempo sarebbe come ammettere un tempo che c'è prima dell’inizio e un tempo che c’è dopo la fine à Aristotele rigetta l’idea della creazione à eterno è il tempo e eterno è il mondo .

Un moto eterno esige una causa motrice tutta in atto perché se fosse in potenza potrebbe non passare all’atto , e allora il movimento potrebbe interrompersi , cosa impossibile per i cieli  . Una causa motrice tutta in atto è necessariamente immobile , perché ci può essere movimento solo dove c’è potenza .

La causa motrice dei cieli deve essere il motore immobile .

Un motore immobile essendo puro atto sarà pura forma , cioè sarà una sostanza immateriale semplice , senza grandezza ,dotata di potenza infinita . Può muovere i cieli , quindi , non per contatto ( perché subirebbe un’azione venendo toccato ) ma attraverso gli oggetti di intellezione , cioè attraendoli attraverso l’intelletto e la volontà . Quindi il motore immobile muove i cieli perché è oggetto di amore e di intellezione , infatti non si ama se non ciò che non si conosce : i cieli si mettono in moto perché sono attratti dal motore immobile . Bisogna presupporre nei cieli un’anima capace di intendere e amare e infatti i cieli si muovono in cerchio per imitare il motore immobile . Il moto degli astri nelle rispettive sfere è dovuto ad agenti esterni , cioè il motore immobile o intelligenza divina . I motori immobili sono tanti quanti le sfere previste nel modello cosmologico aristotelico , quindi 56 .

All’interno di questi motori immobili c’è una gerarchia , il primo motore immobile muove la sfera delle stelle fisse che essendo la prima coinvolge tute le altre . Essendo un solo universo c’è un solo motore immobile .

Proprietà del motore immobile : è puro atto quindi la sua sostanza è il pensiero , che è l’attività più dilettevole ed eccellente , quindi i motori immobili sono felici ed eterni à sono delle divinità .

Il primo motore immobile , il Dio supremo , muove tutta la natura e ci si chiede cosa pensa : pensa a se stesso , perché se pensasse ad altro da se sarebbe in potenza rispetto a tale oggetto , quindi dovrebbe apprenderlo , passare all’atto . Quindi Dio è pensiero di pensiero , sostanza pensante che pensa a se stessa , pensa al mondo indirettamente , perché pensando a se stesso pensa alla causa del mondo . Con questa dottrina Aristotele è pervenuto razionalmente a prospettare alcune caratteristiche della divinità che sono simili a quelle  del Dio della Bibbia , per la trascendenza , cioè la superiorità e indipendenza rispetto all’universo , poi per la personalità , perché in quanto pensa è capace di intendere e di volere ,intelligente e intelligibile allo stesso tempo , quindi ha le caratteristiche di una persona ; tuttavia il Dio biblico è il creatore del mondo , mentre il Dio aristotelico è solo la causa del movimento del mondo e la natura è eterna  , è un freddo Dio filosofico .

La politica

( trattato in 8 libri )

La politica è per Aristotele la filosofia che concerne la polis ,cioè i legami all’interno della comunità.

 

La I° tesi : l’uomo è un animale politico , fuori dalla polis vivono soltanto le bestie . Secondo Aristotele l’uomo non può vivere al di fuori di una comunità politicamente organizzata , l’uomo non basta a se stesso à egli è portato dalla natura stessa ad unirsi ad altri , ad esempio alla donna per procreare à famiglia à casa à villaggio ; il villaggio è una comunità avente come fine il provvedere ai bisogni non quotidiani , ai bisogni quotidiani provvede invece la famiglia . Sia la famiglia che il villaggio servono per la sopravvivenza , ma l’uomo non è fatto solo per la sopravvivenza altrimenti sarebbe un animale , ma anche per vivere bene e per questo nasce la polis , la comunità perfetta autosufficiente .

Un segno tangibile di questa predisposizione dell’uomo a vivere in comunità , è dato dalla parola , perché solo l’uomo possiede la parola , che mette l’uomo in condizione di discutere .

La polis si fonda sull’amicizia , sulla collaborazione e sulla giustizia . La società politica si fonda sulla natura dell’uomo , ma questo non significa che essa sia sempre esistita , ma solo che questa sia necessaria per la piena realizzazione dell’uomo . La natura umana non è data dalla condizione primitiva , ma la natura umana si realizza solo quando l’uomo riesce a sviluppare a pieno le proprie capacità , cioè si realizza a pieno nella civiltà .

Famiglia : all’interno della famiglia (che aveva un concetto più esteso di oggi) vi sono vari rapporti:

La schiavitù era considerata normale , la mancanza dello sviluppo dei mezzi di produzione faceva si che fosse necessaria la manodopera .

Aristotele ritiene che la schiavitù sia giusta solo quando è effettivamente fondata sulla natura , infatti uno è per natura schiavo o padrone : è schiavo quello che non sa governare se stesso e quindi è fatto per ubbidire agli altri . Lo schiavo non è un uomo in senso proprio , ma è uno strumento animato dotato di parola .

Crematistica : è lo studio dell’arte di procurarsi i mezzi per sopravvivere , quando questa ricerca diventa ricerca dei beni illimitata , quindi senza più lo scopo di nutrirsi e di vivere decentemente , allora secondo Aristotele è ingiusta e non fa più parte dell’economia , cioè della scienza che studia la conduzione della casa .

Per Aristotele l’economia si svolgeva secondo un ciclo merce - denaro – merce , non per arricchirsi ma semplicemente per scambiare alla pari .

Struttura della polis , del governo : considera la polis come una famiglia allargata , però a impedire una perfetta equivalenza tra famiglia e polis , vi sono due elementi :

  1. esistenza dei cittadini liberi , che fanno lavori manuali ; ritiene che questi vengano privati della cittadinanza , cioè dei diritti politici ( cosa che farà un governatore macedone ) à è un cittadino solo chi è in grado di autosostenersi , quindi ha dei beni che gli permettono di sopravvivere à restringimento della democrazia dell’Atene classica
  2. l’emergere di attività economiche , volte non più al soddisfacimento dei beni comuni ma all’incremento illimitato di ricchezza . Queste attività vengono bandite da Aristotele , dalla polis che si deve quindi basare solo su attività agricole

Costituzione migliore : per costituzione intende l’ordinamento delle cariche nella città , cioè chi deve esercitare il comando ; Aristotele critica la costituzione della repubblica di Platone , perché abolisce la famiglia dei governanti , mentre per Aristotele la famiglia è un fatto naturale , nessuno la può abolire , la famiglia addirittura viene prima della polis . La polis è sia unità che pluralità . Rifiuta la soluzione di Platone esposta nelle leggi , perché pur rispettando la famiglia e la proprietà tuttavia affida il governo a pochi ( governo del consiglio notturno ) . Aristotele rifacendosi al politico di Platone elenca le varie forme di governo che si possono avere elenca a coppie , le forme positive e le forme negative .

 

                           Giusto/ Sbagliato


governo di uno : regno – tirannide

governo di pochi :aristocrazia – oligarchia

governo di molti :politia – democrazia

Aristotele non scegli la migliore tra queste forme , perché sostiene che la forma di governo dipende dalle condizioni particolari ( per i barbari il regno ) .

La costituzione migliore per i greci è la politia , quella forma di governo più adatta a una società di liberi e di uguali , è il governo di tutti i proprietari e sono esclusi dalla politia quei cittadini che non possiedono beni ; chi lavora per un altro perde la sua libertà . La politia è un giusto mezzo tra due vizi opposto l’oligarchia e la democrazia . Ad Atene nel V secolo si era arrivati a un governo di tutti e questo aveva portato alla crisi .

La politia si differenza dalla democrazia perché governano solo i proprietari e dalla oligarchia dove governano pochi . E’ la forma meno soggetta a cambiamenti di costituzione , cioè rivoluzioni .

In cuor suo Aristotele riteneva che lo stato migliore fosse quello monarchico . Le rivoluzioni si producono quando una costituzione è causa di gravi ingiustizie , per esempio la distribuzione delle ricchezze ; per Aristotele non è detto che la nuova costituzione sia migliore di quella precedente , quindi la rivoluzione non è una via razionale , perché continua a produrre delle ingiustizie e squilibri . Siccome abbiamo detto che il fine della polis è il viver bene , Aristotele si chiede cosa debbano fare i governanti per assicurare il vivere bene , cioè la felicità di tutti i cittadini . Abbiamo visto nell’etica che la vita teoretica è superiore alla vita politica , secondo Aristotele è felice quella città in cui è consentito in egual misura ai cittadini di dedicarsi alla vita teoretica .

Si può far questo realizzando due condizioni : garantendo la pace e attraverso il tempo libero (scholè) , che significa la parte di attività non dedicata alle attività che servono a garantirsi il proprio benessere . Aristotele ammette solo le guerre di difesa e condanna le guerre di conquista . Per garantire il tempo libero c’è bisogno della rotazione delle cariche , quindi la funzione di governo è vista come un servizio reso agli altri ( liturgia ) . La felicità si ottiene non governando ma essendo governati bene , in modo da essere liberi per dedicarsi ad altre cose , ricerca del deos teoricos : per fare ciò serve la cultura e questa è data dai governanti attraverso una paideia pubblica , rivolta a tutti à tutti i cittadini devono essere educati in modo da poter esercitare il governo e all’attività che rende felice , l’attività di ricerca ( la vita teoretica =Biòs theoricòs) la politica e l’etica sono strettamente connessi perché il fine della politica è il raggiungimento della felicità .

L’etica

(etica nicomachea – etica eudemea – la grande etica )

La filosofia pratica riguarda l’uomo , le sue azioni e le sue produzioni . Aristotele distingue l’azione , attività fine a se stessa , e produzione , attività che ha per fine un oggetto che viene prodotto .

La filosofia pratica riguarda la sfera dell’azione , non mira esclusivamente alla conoscenza come la scienza teoretica , ma mira a realizzare il bene dell’uomo che fa parte del bene della polis à possiamo considerare la filosofia pratica come filosofia politica .

Etica riguarda il bene del singolo e quando parliamo di filosofia pratica , intendiamo sia l’etica che la politica : la filosofia pratica è una scienza meno rigorosa della filosofia teoretica , perché nelle azioni umane esiste un margine di imprevedibilità , però è più vicina alle situazioni concrete .

Rapporto tra felicità e virtù

Ogni azione umana è volta a realizzare il bene : di questi beni alcuni sono ricercati come mezzi altri come fini in se stessi . Tuttavia c’è un bene che è considerato il fine ultimo a cui tutti gli altri sono subordinati : la felicità . E’ in vista della felicità che gli uomini fanno quel che fanno . La felicità consiste nella realizzazione piena della propria forma e quindi della perfezione , nel caso dell’uomo l’anima intellegibile razionale , cioè la conoscenza . La felicità consiste nell’esercizio della funzione specifica dell’uomo che consiste nella perfezione , cioè nella virtù dell’anima , nel raggiungere il massimo grado dell’esplicazione dell’attività razionale . Per Aristotele la felicità consiste nel vivere secondo ragione .

L’uomo è un sinolo quindi per raggiungere la felicità non basta realizzare il bene dell’anima , ma bisogna anche realizzare il bene del corpo ( ricchezza , salute ) . I beni per il corpo non sono la felicità , ma solo dei mezzi : Aristotele si allontana dall’etica ascetica platonica e si avvicina all’etica dei cirenaici ( edonistica ) . In Aristotele l’anima razionale comprende 2 parti , la ragione propriamente detta ( dianoia ) e una parte che si lascia guidare dalla ragione , il carattere .

*Excursus sull’anima

L’anima perde quel carattere di crocevia problematico che aveva in Platone , l’anima non è più il risultato di un conflitto tra la parte razionale e quella dei desideri , perché la parte non razionale , il carattere , è predisposta a subire quella razionale , come il figlio ubbidisce al padre . Aristotele non assegna nessun ruolo nella sua etica ai premi e alle punizioni nell ‘ aldilà , al contrario di Platone ; l’etica di Aristotele è un’etica terrena . Il cittadino virtuoso acquisterà un habitus , un’abitudine , che gli consentirà di reprimere gli eccessi del desiderio , attraverso un progressivo condizionamento educativo della parte irrazionale dell’anima con lo scopo di indirizzarla verso l’acquisizione di valori comuni . *

Vi saranno virtù dianoietiche , o della ragione , e virtù etiche , cioè del carattere , cioè un uso della ragione in relazione anche agli impulsi sensibili .

 

Le virtù etiche vengono considerate come una via di mezzo tra vizi opposti ( viltà e la temerarietà à tra questi due estremi la virtù è la via di mezzo , il coraggio ) .

Siccome la virtù è un habitus , una disposizione non innata ma acquisita con l’educazione , la virtù etica sarà definita come la disposizione costante a scegliere il giusto mezzo tra due estremi che è determinata dalla ragione . Le virtù etiche richiedono l’uso della virtù dianoietica della pronesis , che consiste nell’uso della ragione nelle azioni , quella capacità della ragione astratta che mi fa sempre stabilire con esattezza qual è il punto medio tra 2 estremi , devo avere delle capacità di ragionamento .

Aristotele dedica particolare attenzione alla giustizia , distinguendone due forme :

Le virtù dianoetiche in ordine sono :

La sapienza non ci dice come dobbiamo agire, quello ce lo dice la saggezza, la fronesis è il fine ma non è normativo, cioè non dà indicazioni su come dobbiamo comportarci .

Aristotele dice che fra sapienza e saggezza c'è lo stesso rapporto tra salute e medicina.

Nell'etica eudemea dice che la felicità consiste nel servire e contemplare Dio ma non ci dà ordini perché non ha bisogno di nulla .

Il genere di vita migliore è quella teoretica, cioè quello dedicato allo studio e alla ricerca, quindi alla contemplazione della verità. La vita teoretica , che ha cercato di condurre Aristotele, è superiore a quella politica, alla cioè dedicata a governare, perché è autosufficiente ed è l ' attività che più assomiglia all'attività degli dei.

L'etica di Aristotele più che deontologica , basata su doveri ,è teleologica, basata sui fini, non è un'etica che prescrive delle norme ma piuttosto propone un fine.

L'etica di Aristotele non è individualistica ,.cioè ,è vero che si rivolge al singolo, ma Aristotele ritiene indispensabile per raggiungere la felicità l'amicizia, specialmente quella non basata sul conflitto ma sulla virtù .

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